19/2018 TECH COMPANIES: IL CANALE GUARDA ALLE NUOVE TECNOLOGIE DIGITALI QUALI VANTAGGI DAI PARTNER PROGRAM?
SYSTEM INTEGRATOR VERSO LA SPECIALIZZAZIONE
Mauro Bellini, Direttore responsabile Digital4Trade
Nicoletta Boldrini, Condirettore Digital4Trade
mauro.bellini@digital4.biz @mbellini3
nicoletta.boldrini@digital4.biz @NicBoldrini
Dall’hardware, ai dati, all’ecosistema. Il percorso di sviluppo dell’Internet of Things è giunto alla sua terza tappa che la porta a tutta velocità nel campo d’azione dei partner. Se leggiamo questo percorso dalla prospettiva dei dati il passaggio è dalla data collection alla data analytics alla data driven. Si arriva così alla centralità del dato con il contributo di un IoT concepito per essere in relazione stretta e integrata con gli altri ambiti della digital transformation, con il Cloud, l’Edge computing, il Mobile, la blockchain e l’artificial intelligence. Questa tecnologia acquisisce un nuovo valore grazie alla capacità di integrazione. Nella fase della data collection il primo livello di conoscenza che arrivava dai dati dell’ambiente o del territorio era già, di per sé, il valore aggiunto. Da quella conoscenza originale sono partiti tanti mercati: dalla smart home alla building automation, alla smart energy, alle smart city. Con l’IoT analytics si è “alzato il livello di conoscenza”. Ora non c’è più l’IoT intesa come sensoristica che mette in rete dati preziosi, ora ci sono progetti che fanno leva sull’integrazione. Uno dei simboli di questo passaggio è rappresentato dalla manutenzione preventiva che con la sintesi tra IoT, analytics, remote control, mixed reality, permette di gestire il funzionamento di un prodotto a distanza e passare prodotto al servizio. Il valore? Integrazione e visione di insieme. Vale a dire la partita ideale per i partner.
Il canale ICT esce dal privè e inizia a parlare “digitaliano” Loris Frezzato, Caporedattore Digital4Trade loris.frezzato@digital4.biz @lorisfrezzato
Il club del canale ICT non è più esclusivo. Non può più esserlo e non ha più senso che lo sia. Sono cambiate le dinamiche nel rapporto con il cliente e sono cambiate le tecnologie su cui per anni si sono basati gli equilibri con le aziende da un lato e con i vendor dall’altro. E anche le relazioni con la competition sono mutate. Le nuove tecnologie digitali stanno via via contaminando il mercato ICT che conoscevamo fino a oggi, mettendoci di fronte a un mondo nuovo, più cliente-centrico che in passato, e dove i (nuovi) decisori aziendali hanno nuove esigenze che spesso esulano dalla sola infrastruttura o dotazione IT. Servono nuove competenze, nuove specializzazioni, che possono mancare nei system integrator tradizionali. Skill che in-
Il Canale ICT è sempre riuscito a crescere, negli anni, grazie alle relazioni dirette, da un lato, con i vendor, dall’altro, con le aziende clienti. Una “fortuna”, quella delle relazioni, che nella grande arena del web moderno conta ancora molto ma che deve “fare i conti” con un processo decisionale di acquisto da parte dei cosiddetti Tech Buyer (i decisori di acquisto delle tecnologie e dei servizi ICT in azienda) completamente differente rispetto al passato. Un processo di consapevolezza che cresce prima di tutto sul web attraverso la ricerca, la comprensione, la conoscenza, la condivisione di informazioni utili ad arrivare alla decisione. Uno scenario che complica non poco lo sforzo per l’acquisizione di nuovi clienti e che richiede nuove competenze nell’ambito del Digital Marketing & Sales. Pensare che questo possa riguardare solo il mondo Consumer sarebbe un errore gravissimo da parte dei vendor IT e del Trade. Convincersi che basti un po’ di comunicazione aziendale sul web e i social network sarebbe il secondo grave errore. Sparare nel mucchio non serve a nulla! Mai come oggi il B2B ha bisogno di ripensare il proprio modello di proposta e avvicinamento al cliente: un buyer sempre più informato e abituato ad utilizzare Internet ed i social network. Ecco perché il Digital Marketing non può vivere (in modo proficuo) senza la componente Sales. Ecco perché nasce Digital360Hub ed ecco perché al Tech Companies Lab è prevista una speciale Academy per gli operatori del “nuovo Canale ICT”.
E di to r i al e
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Nella grande arena del Web, sparare nel mucchio non serve!
vece sono native in nuove realtà, nate sull’onda delle new tech che si stanno affacciando, a partire dal cloud per andare verso l’AI, l’IoT, l’Industry 4.0, la blockchain, la data analysis. Oppure che risiedono storicamente in operatori che appartengono a canali paralleli all’IT, che la convergenza sta portando a essere sempre più vicini. Si sta formando una nuova galassia di partner, che si devono conoscere e che il mercato stesso deve conoscere. Pianeti che saranno la platea di Tech Companies Lab, l’evento dedicato al canale ICT che affronta le sfide del futuro, organizzato dalla nostra rivista. Alle nuove tecnologie che verranno trattate in occasione dell’evento e ai protagonisti che le stanno cavalcando sono dedicate gran parte delle pagine di questo numero. Buona lettura.
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L’ecosistema IoT parla il linguaggio del trade
1 9 | 2 018 TECH COMPANIES: IL CANALE GUARDA ALLE NUOVE TECNOLOGIE DIGITALI DIGITAL4TRADE è una testata di ICT and Strategy Srl, società del Gruppo Digital 360 SpA Via Copernico, 38 20125 Milano Iscrizione presso il R.O.C. Registro degli Operatori di Comunicazione al n. 16446 Testi e disegni: riproduzione vietata
On Il canale ICT? È vivo e in evoluzione e si compone di Tech Company
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Le nuove frontiere delle tecnologie esponenziali in scena a Roma
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Day Time Realtà Aumentata e Realtà Virtuale: il ruolo dei System Integrator
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Supercomputer e Data Center: Lenovo pronta ad affrontare l’AI
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B.Digital, la fucina di AI che alimenta l’innoviazione di Blueit
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Attacchi DDos meno frequenti ma più intensi: come proteggersi
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Sicurezza IT, nel 2018 si spenderanno 114 mld di dollari
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Big Data, in arrivo una crescita sostenuta e uniforme
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Revenue dai Big Data con il Data Hub di Pure Storage
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Direttore Responsabile Mauro Bellini mauro.bellini@digital4.biz
Poliglotta, scalabile e gestibile, è la Data Strategy di Quantyca
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La Blockchain c’è ed è il momento di farla partire
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Condirettore Nicoletta Boldrini nicoletta.boldrini@digital4.biz
Blockchain in Cloud, argomento di business per i partner Oracle
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IoT, un mercato che si nutre dll’interazione con le altre tecnologie
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IoT à la carte. Le soluzioni che Tech Data confeziona per l’Internet of Things
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L’Internet of Things di Cisco connette persone, cose e partner
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Osservatorio Cloud: per il canale un’opportunità per investire in innovazione
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Cloud e Canale, un rapporto che ha bisogno di crescere
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System Integrator italiani, un viaggio senza fine verso la specializzazione
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Caporedattore Loris Frezzato loris.frezzato@digital4.biz Redazione Gianluigi Torchiani gianluigi.torchiani@digital4.biz Hanno collaborato Annalisa Casali, Maria Teresa Della Mura, Fabrizio Marino, Gabriele Faggioli, Giorgio Fusari, Stefano Mainetti, Giuseppe Goglio Pubblicità antonello.giusto@digital4.biz Tel. 02.92852782 Cell. 339.3277976 Progetto grafico Stefano Mandato Impaginazione Luca Migliorati Segreteria di redazione Tel 02.92852785 info@digital4.biz Stampa Tipolitografia Pagani s.r.l. Passirano, Brescia - Italia Per informazioni sugli abbonamenti abbonamenti@digital4.biz Tel. 02.92852785
Digital360 opera nell’offerta B2B di contenuti editoriali, servizi di comunicazione e marketing, lead generation, eventi e webinar, advisory, advocacy e coaching, nell’ambito della Trasformazione Digitale e dell’Innovazione Imprenditoriale
Prime Time Partner program, ecco perchè hanno ancora senso
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Da Zucchetti un Partner Program per spingere le competenze
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Bitdefender: nessuna disaffezione nei confronti del Parner Program
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Il Partner Program Commvault è cruciale per la gestione della relazione
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Nutanix rinnova il Partner Program per centrare le esigenze del mercato
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Rubrik: incentivi e formazione per premiare i partner
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Rebate dal primo dollaro: HPE cambia le regole d’incentivazione al canale
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Story Tellers Ca Technologies mira ad ampliare la copertura del midmarket con un canale a valore
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Tra Edge e In-Memory, per HPE la sfida è unire tecnologia e business
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Cloud: il triangolo perfetto tra tecnologia, infrastruttura e system integrator
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Mappatura dei dati: lo strumento Panda Security in aiuto ai DPO
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In Solution Up l’integrazione del cloud di Computer Gross
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Exclusive Networks: un distributore che si comporta “da vendor”
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Rosenberg OSI vuole espandersi in Italia tramite partner
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Dai partner Sophos l’offensiva al cybercrime con soluzioni integrate
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Il canale ICT evolve e va mappato secondo nuovi criteri. I rivenditori di ieri oggi sono Tech Companies che seguono la trasformazione digitale delle aziende sotto tutti gli aspetti
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Il Canale ICT? È vIvo
e In evoluzIone e oggI sI Compone dI TeCh Company I nuovi ruoli imposti dall’emergere delle new tech comportano un nuovo approccio all’analisi del trade. L’Osservatorio Canale della School of Management del Politecnico diventa così Osservatorio Tech Company e studia l’impatto delle new tech e delle nuove strategie marketing sul trade
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Il mondo delle terze parti ICT sta cambiando in maniera drastica i propri connotati, al punto che risulta difficile ricondurlo a quello che era qualche anno fa. L’evoluzione del Canale ICT l’ha portato a essere oggi ben più che un tramite di vendita, e le nuove tecnologie digitali che stanno rapidamente emergendo ne stanno accelerando la trasformazione. «Già il Cloud, una decina di anni fa, ha fatto compiere un primo salto quantico agli operatori del canale, andandone a mettere in discussione addirittura la sopravvivenza in un modello tradizionale di rapporti tra le parti nel mondo delle forniture di tecnologie IT. Ma oggi stiamo assistendo a un nuovo, dirompente, momento di trasformazione, innescato dalla veloce evoluzione e dall’altrettanto aumento dell’attenzione da parte dei clienti, delle nuove tecnologie, quelle new tech fino a qualche tempo fa futuribili ma che oggi iniziano a mostrare concretezza sul mercato» è il commento di Raffaello Balocco, responsabile scientifico dell’Osservatorio Tech Company della School of Management del Politecnico di Milano, che abbiamo voluto consultare sul tema della trasformazione in atto nel canale ICT e sui nuovi parametri di analisi e valutazione delle sue performance.
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Le new tech innescano un nuovo salto nell’evoluzione del Canale ICT
Raffello Balocco, responsabile scientifico dell’Osservatorio Tech Company della School of Management del Politecnico di Milano
Parliamo di Big Data, Intelligenza Artificiale, Blockchain, IoT e Industry 4.0, uscite con clamore dal mondo universitario e della ricerca, per essere applicate al contesto business. Nuove tecnologie che richiedono nuove competenze e specializzazioni, che nella sua evoluzione il Canale ICT deve acquisire per soddisfare le nuove esigenze che stanno emergendo dal mercato. Da qui la decisione della School of Management del Politecnico di Milano di aggiornare e arricchire i criteri di analisi del proprio Osservatorio del Canale, varato nel 2008, che oggi, per esteso, è l’Osservatorio Tech Company-Innovazione del Canale ICT, i cui risultati saranno illustrati in anteprima in occasione del Tech Companies Lab, l’evento indirizzato al canale organizzato da Digital360 che si terrà a Milano il 22 Novembre. «Con il termine Tech Company ci riferiamo a tutto quel mondo di operatori coinvolti in tutti i suoi step, pesi e ruoli nel processo di fornitura delle tecnologie informatiche alle aziende clienti - spiega Balocco -. Dai vendor ai distributori, system integrator, VAR, reseller, sviluppatori, ossia coloro che veicolano le soluzioni digitali verso le imprese. Si tratta di circa 90.000 realtà presenti nel nostro Paese, gran parte delle quali di piccole o piccolissime dimensio-
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ni. L’obiettivo dell’Osservatorio è proprio di cercare di capire come questi operatori stanno cambiando sotto la pressione dei nuovi trend». È un panorama mutato dall’evoluzione del canale ICT tradizionale, ma in gran parte caratterizzato anche dalla comparsa di nuove figure, che fino a una decina di anni fa non esistevano, nate sull’onda del cloud e sulle nuove declinazioni “a servizio” da esso stimolate di aree quali il CRM, lo sviluppo software, l’infrastruttura, e così via.
Nella sua evoluzione, ora il Canale ICT collabora alle decisioni di business dei clienti
«In un progetto di Internet of Things o di Big Data analysis, per esempio, sono richiesti ai partner, oltre alle competenze tecnologiche, soprattutto skill di business, che li rendano in grado di calarsi nella realtà di riferimento dei loro clienti e comprenderne le loro esigenze» sottolinea Balocco, che prosegue: «Nel rapporto con il cliente, il ruolo consulenziale del partner è oggi prioritario rispetto al resto, trattandosi di progetti complessi dove la componente tecnologica va a innestarsi su processi di business tipici dell’azienda e del suo ambito verticale. Da qui, la conseguenza di un cambio di interlocutori per i fornitori ICT, non più solo i CIO come in passato, ma con i responsabili delle Line of Business sempre più coinvolti nei processi decisionali dei singoli progetti».
Le new tech cancellano gli standard e chiamano skill consulenziali
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Se le soluzioni e i prodotti potevano avere un range, per quanto ampio, di standard previsti dal produttore, oggi le variabili, le componenti e gli aspetti che compongono un progetto che coinvolga le new tech, sono talmente ampie che non basta più avere competenze di integrazione. Bisogna andare oltre. I nuovi progetti hanno l’obiettivo di dare un vantaggio competitivo alle aziende clienti, con soluzioni differenzianti e uniche rispetto agli altri, in termini di efficienza di produzione, nel customer care, marketing, ecc. Progetti di questo tipo, orientati su queste tecnologie, richiedono quindi nuovi skill, nuove strategie di go to market e nuovi modelli di business rispetto al canale tradizionale. Che facilmente si trovano, native, nelle startup.
Il ruolo delle startup. Ultimo anello nell’evoluzione del canale ICT
Se da un lato si ha il canale tradizionale investito da questa onda che gli impone di acquisire nuove competenze, altre realtà, dicevamo, nascono proprio sulla base di questi skill e su queste tecnologie. Sono le startup, sia indipendenti, sia create all’interno dei partner tradizionali, che dedicano team o business unit all’innovazione le quali, una volta avviate, si accreditano anche in maniera autonoma sul mercato. Nuovi protagonisti, piccoli, specializzati, che proprio per le competenze focalizzate su tecnologie emergenti, possono attirare l’attenzione anche di grandi aziende internazionali.
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Le nuove strategie d’acquisto dei clienti e il marketing digitale
Guarda la videointervista a Raffaello Balocco sui nuovi criteri di mappatura del canale ICT www.digital4trade.it
Un ulteriore elemento che sta fortemente influenzando l’evoluzione del canale ICT, è sul fronte acquisti. «Le aziende stanno profondamento cambiando i mezzi e i criteri di valutazione per i propri acquisti tecnologici - puntualizza Balocco -. Si calcola che i tech buyer oggi destinino l’80% del processo decisionale all’online, e solo il restante 20% all’approfondimento e al face to face, che segue solo dopo una prima fase di pre-screening delle soluzioni. Da qui la necessità per i fornitori di tecnologie di essere presenti online. Purtroppo, gran parte dei siti Web degli operatori dei canali sono ancora statici, con poca attenzione all’aggiornamento e scarsamente sfruttati per effettuare lead generation, la quale ancora si basa su strumenti tradizionali, quali eventi o call center ». E proprio questi saranno alcuni degli aspetti che l’Osservatorio Tech Company, nella sua nuova edizione, terrà in considerazione, per capire quali strumenti i partner stanno utilizzando, con quali investimenti e con quali risultati.
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Le nuove frontiere deLLe tecnoLogie esponenziaLi in scena a roma
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L’appuntamento capitolino di IBM Think ha portato manager e decisori di azienda, anche del mondo della Pubblica Amministrazione, alla scoperta di intelligenza artificiale, blockchain, cloud, cybersecurity mostrando le nuove frontiere delle tecnologie esponenziali grazie alle quali si stanno ridefinendo i mercati. Uno scenario di cambiamento che non può essere ignorato dal Canale ICT Nicoletta Boldrini
È un autunno caldo quello che ha accolto IBM a Roma dopo qualche anno di assenza (intesa dal punto di vista dei grandi eventi, non certo come presenza sul territorio). Big Blue ha portato nella capitale il format Think che lo scorso giugno ha riscosso un enorme successo a Milano; la “due giorni” romana ha rappresentato un importante momento di confronto e dibattito per «allargare il perimetro dell’innovazione tecnologica e della trasformazione digitale in Italia», sono state le prime parole di apertura e benvenuto da parte di Luca Altieri, CMO di IBM Italia. «Un perimetro che non è solo tecnologico ma che si intreccia con competitività e business, nonché con sviluppo economico e crescita del Sistema Paese. Una sfida che richiede però una conoscenza approfondita delle nuove tecnologie, bisogna “provarle e sentirle sulla pelle” per poterne comprendere le potenzialità e coglierne le opportunità». Ed è proprio con questo spirito che si è svolta la kermesse che ha accolto sul palco anche Alessandro La Volpe, Vice President IBM Cloud Italy e responsabile per l‘Italia delle attività su cloud, software e intelligenza artificiale, il cui compito è stato traghettare il pubblico alla scoperta delle nuove tecnologie esponenziali. «L’accelerazione verso il digitale e le tecnologie emergenti impongono alle organizzazioni di adottare un modello sempre più innovativo e centrato sul cliente grazie alla combinazione tra intelligenza artificiale e dati», è la premessa di La Volpe. «In particolare, tre sono i fattori chiave in questo scenario di innovazione: talenti/competenze, dati e piattaforme».
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Le aziende data-driven diventano piattaforme digitali
Il messaggio di fondo è che oggi, e sempre più nell’immediato futuro, senza i dati non si possono prendere decisioni efficaci, risolvere problemi, prevenire situazioni critiche, fare scoperte, ricerca e innovazione. Di contro, senza le corrette competenze per l’utilizzo e l’analisi dei dati difficilmente si può generare valore. Ecco allora che il punto di svolta sta nelle piattaforme digitali da intendersi non come strumenti tecnologici ma come veri e propri modelli di business: l’azienda si trasforma in piattaforma digitale, attraverso le tecnologie esponenziali, i dati ed i talenti. In un disegno simile, dove intelligenza artificiale, blockchain, analytics, IoT e cybersecurity giocheranno un ruolo centrale, il cloud diventa un grande elemento abilitatore (tassello su cui anche il Canale ICT può e deve puntare per trasformare se stesso e ridefinire una
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proposta a valore per le aziende). «Il cloud non è solo un abilitatore tecnologico ma anche un driver importante per la trasformazione dei modelli di business in chiave digitale», evidenzia La Volpe. «Il cloud deve poter integrare i dati provenienti da qualsiasi fonte ed ambiente, essere pronto per supportare le tecnologie esponenziali, in particolare l’intelligenza artificiale, ma al contempo essere sicuro, affidabile ma aperto e senza lock-in, soprattutto oggi che ci si muove ormai verso ambienti multicloud». Uno scenario che “impone” una forte accelerata sui processi di innovazione delle imprese. Un viaggio verso le nuove frontiere della trasformazione digitale che deve partire dalla comprensione concreta dei temi che stanno rivoluzionando il business, le imprese, la nostra vita di professionisti, cittadini e consumatori. Un’opportunità tutta da cogliere per chi può e deve accompagnare le aziende in questi percorsi, vale a dire il Trade.
Alessandro La Volpe, Vice President IBM Cloud Italy
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In questo grande scenario evolutivo l’intelligenza artificiale sta giocando un ruolo importante, come ha avuto modo di illustrare Andrea Rangone, CEO di Digital360 Group: «L’Italia non sta a guardare e sul fronte dell’intelligenza artificiale molte aziende iniziano a fare investimenti e progetti importanti; in alcuni settori, come quello delle auto a guida autonoma, c’è senz’altro ancora molto da fare, ma in altri settori iniziano a vedersi progetti “a regime”, soprattutto quando si tratta di Intelligent Data Processing, riconoscimento e comprensione di immagini, testo e voce». A dare testimonianza diretta che i numeri non sono previsionali ma mostrano il quadro di una Italia che già si muove, sul palco di IBM Think Roma si sono susseguiti alcuni manager ed esponenti aziendali che hanno raccontato come stanno sfruttando l’intelligenza artificiale all’interno delle loro organizzazioni. Elica per esempio sfrutta sensoristica e analisi avanzata dei dati per il miglioramento della qualità dell’aria nelle case delle persone. Non solo, il CIO Gianluca D’Arcangelo ha spiegato come l’azienda sia riuscita a migliorare la qualità dei propri prodotti attraverso l’intelligenza artificiale: Watson di IBM è stato inserito nel ciclo produttivo delle cappe Elica aiutando la catena di produzione a riconoscere (mediante riconoscimento di immagini) eventuali difetti di qualità non percepibili ad occhio nudo. Alessandro La Rocca, Managing Director di Nugo - Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, ha parlato di mobilità sostenibile attraverso l’utilizzo delle tecnologie emergenti. Efficace, in tal senso, l’esempio dell’app Nugo che non solo offre servizi “intelligenti” ai cittadini ma consente una efficace interazione uomo-macchina grazie all’utilizzo di tecnologie avanzate come quelle del riconoscimento facciale e del linguaggio naturale. Interessantissimo esempio di applicazione di Watson e dell’intelligenza artificiale targata IBM anche da parte di Amgen che ha avviato un progetto con la Società Italiana di Nefrologia: uno dei primi esempi europei di intelligenza artificiale per migliorare l’accesso alle informazioni mediche. La soluzione consente, in tempo reale, di interagire in linguaggio naturale con una selezione di circa 100 documenti specializzati ed aggiornati, ottenendo risposte puntuali ed efficienti complete di documentazioni necessarie all’aggiornamento professionale. «Siamo protagonisti di un cambiamento epocale all’interno del quale l’intelligenza artificiale rappresenta uno dei driver più potenti, quello che ci porterà più lontano - sono le ultime parole di Rangone durante la kermesse romana -; ma è adesso che si definiscono gli scenari futuri, è ora che ciascuno di noi, come persone ed aziende, può “lasciare un segno”: chi ha il coraggio di fare oggi i primi passi avrà sicuramente più successo nei prossimi scenari competitivi mondiali (che stiamo definendo ora!)».
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L’intelligenza artificiale sta già mostrando il suo valore di business
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Cresce la galassia del trade. Nuovi pianeti, prima lontani, entrano nell’orbita, altri presenti da decenni si trasformano e si fondono. Un nuovo mondo che nasce dall’influsso delle digital new tech
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Gianluigi Torchiani
Realtà Aumentata e Realtà Virtuale: quale ruolo per i System Integrator La Realtà Aumentata e la Realtà Virtuale sono due tecnologie, diverse ma affini, su cui il canale dei system integrator può giocare un ruolo fondamentale. Cogliendo notevoli opportunità Uno dei mantra che istituti di ricerca e vendor cercano di trasmettere al proprio canale di partner e di rivenditori è quello di non lasciarsi scappare le opportunità di business offerte dalle nuove tecnologie. Per questo motivo, in questi ultimi anni, non pochi System integrator - grandi e piccoli - hanno investito tempo, persone e risorse per approcciare temi come Cloud, Big Data, IoT e così via. Ultimamente ci sono due nuove tecnologie emergenti che stanno offrendo al canale IT la possibilità di sfruttare al meglio le proprie competenze e capacità: stiamo parlando di Realtà aumentata e Realtà Virtuale. Come recita la definizione dell’Agid, nella Realtà Aumentata (AR - Augmented Reality) il computer utilizza sensori e algoritmi per determinare la posizione e l’orientamento di una
telecamera. La tecnologia AR, attraverso un computer, crea oggetti in grafica 3D e li orienta come apparirebbero dal punto di vista della telecamera, sovrapponendo infine le immagini generate a quelle del mondo reale. In buona sostanza, dunque, la realtà aumentata trasforma enormi masse di dati e di analitiche in immagini o animazioni che vengono sovrapposte al mondo reale. In combinazione con i dati IoT, le applicazioni AR stanno portando numerose aziende a ridefinire completamente il modo in cui progettano, producono, vendono, gestiscono e supportano i prodotti. A rendere chiaro il fenomeno al grande pubblico è stata l’applicazione Pokemon Go, che per la prima volta ha dimostrato le potenzialità della Realtà Aumentata.
Gli utilizzi anche di tipo business
Il punto è che, nonostante Pokemon Go e i tantissimi giochi di Realtà Virtuale ormai disponibili, AR e VR non sono esclusivamente un fenomeno consumer, anzi. La Realtà Aumentata viene ad esempio utilizzata nel mondo retail, come una forma di visual content management 2.0 che consente ad aziende e organizzazioni di aggiungere nuovi livelli informativi, in tempo reale e ad alto tasso di interazione usando device mobili di qualsiasi tipo. Nelle moderne fabbriche dell’Industria 4.0, invece, la realtà aumentata può essere di estremo ausilio agli operatori, ad esempio permettendo di visualizzare attività complesse. La stessa Realtà Virtuale, invece, grazie alla sua esperienza di simulazione immersiva, offre la possibilità alle aziende di testare e formare i dipendenti su lavori estremamente complessi e potenzialmente pericolosi.
Gli esempi e gli ambiti applicativi
Di fatto l’Augmented Reality è una forma di visual content management 2.0 che consente ad aziende e organizzazioni di aggiungere nuovi livelli informativi, in tempo reale e ad alto tasso di interazione, usando device mobili di qualsiasi tipo, tecnologie indossabili incluse. Le prime sperimentazioni sono nate nell’entertainment, sfruttando quell’effetto wow capace di catturare l’attenzione attraverso la sorpresa e la magia virtuale. Molto interessanti e già sperimentate sono le applicazioni di AR nel settore automobilistico: alcuni brand usano questa tecnologia sia per la teleassistenza che per le attività di presentazione negli show room dei nuovi
Quale ruolo per i system integrator
La necessità di un ruolo della system integration per l’adozione di queste tecnologie nasce almeno da due considerazioni: Realtà Aumentata e Virtuale non funzionano da sole, ma per essere realmente utili all’utente finale sono chiamate a dialogare continuamente con i sistemi IT, dispositivi hardware e software, apparati IoT e quanto altro. Un dialogo che può essere assicurato soltanto da un precedente lavoro di integrazione, compito storico ovviamente dei system integrator grandi e piccoli, chiamati a tradurre le potenzialità di AR e VR in progetti specifici a misura di azienda. Assicurando poi successivamente il necessario monitoraggio e supporto delle soluzioni messe a punto. Ovviamente, anche il grado di fiducia acquisito in precedenti progetti più tradizionali, può essere speso con efficacia dai system integrator per convincere alle aziende a “imbarcarsi” in progetti innovativi quali sono quelli che riguardano AR e VR. Da soli, i vendor di AR e VR potrebbero fare ben poco, anche perchè poi solitamente si limitano a produrre o la parte hardware (come i visori) o quella software. Anzi, gli stessi operatori di canale, trasformandosi in ISV, possono avere tutte le potenzialità per mettere appunto applicazioni/piattaforme software in grado di gestire le soluzioni AR e VR. Un aspetto, quest’ultimo, che consentirebbe agli imprenditori del canale IT di riuscire ad aumentare notevolmente il proprio tasso di marginalità all’interno di progetti di Realtà Aumentata/Virtuale.
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Affine ma distinta alla AR è la cosiddetta Realtà Virtuale (VR - Virtual Reality), che presuppone l’uso di tecnologie informatiche per creare un ambiente simulato. A differenza delle altre interfacce utente tradizionali, la VR pone l’utente all’interno di una esperienza: invece di visualizzare uno schermo di fronte a loro, gli utenti sono immersi ed in grado di interagire con mondi virtuali in 3D in cui possono essere simulati tutti i sensi. Qual è allora la differenza fondamentale tra Realtà Virtuale e Realtà Aumentata? Semplice: la realtà aumentata rappresenta il mondo reale arricchito con oggetti virtuali. La Realtà Virtuale, al contrario, è un mondo completamente virtuale.
modelli. Ma anche in ambito industriale, il controllo delle parti del motore o dell’impianto elettrico per tutte le attività di monitoraggio e manutenzione può essere più efficacemente assicurato dall’Augmented Reality, che è in grado di offrire informazioni dettagliate in overlay rispetto a ogni singola parte su cui si devono effettuare controlli o interventi. Sia la Realtà Aumentata che Virtuale, inoltre, possono essere estremamente utili per migliorare l’esperienza nel mondo del turismo, integrandosi efficacemente con le infrastrutture delle smart city. Per quanto riguarda la Realtà Virtuale, è indubbio che attualmente venga utilizzata principalmente per applicazioni ludiche. Ma le applicazioni di VR possono rivelarsi particolarmente utili quando i contesti di riferimento sono pericolosi o remoti. Oppure per attività di formazione e addestramento dei dipendenti.
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Realtà Aumentata e Realtà Virtuale Le differenze
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Supercomputer e Data Center: Lenovo pronta ad affrontare l’AI Il Data Center Group del vendor cinese accelera sull’HPC per l’applicazione dell’elaborazione di Big Data in mercati verticali, dove più che una Digital, propone una Intelligent Transformation HPC, supercomputer e Hyperscale. Lenovo, con la propria divisione Data Center Group, punta con decisione alle infrastrutture dalle performance aumentate fino ad arrivare al supercalcolo, per abbracciare le potenzialità dell’augmented intelligence e portarle, concretamente, nei diversi settori verticali. La strada ormai è quella, ed è una strada che Lenovo ha percorso a grande velocità nel giro di poco tempo da quando ha iniziato, nel 2014, con l’avvio del business data center a seguito dell’acquisizione dell’offerta server da IBM.
Data Center Group cresce del 66% in EMEA
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Alessandro De Bartolo, General Manager Data Center Group Lenovo Italia
«Il Data Center Group di Lenovo ha avuto una crescita mondiale del 43,9% (1.223 milioni di dollari) anno su anno nel corso dell’ultimo quarter del nostro esercizio 2018, che si è concluso lo scorso marzo - dichiara Alessandro De Bartolo, General Manager Data Center Group Lenovo Italia -. In EMEA il trend è stato di ben lunga maggiore, con crescite del 66%, area che contribuisce maggiormente alla nostra quota per il mercato dell’High Performance Computing. Proprio su HPC, infatti, stiamo puntando in maniera particolare, avendo peraltro raggiunto il primo posto nella top 500 dei fornitori di supercomputer, con presenza delle nostre tecnologie in 117 installazioni (30 solo nell’ultimo anno)».
I supercomputer Lenovo trovano impiego nei mercati verticali Una risposta alla rapida ascesa di richieste di macchine ad alta capacità di calcolo da parte del mercato, dove l’offerta di Data Center Lenovo, si declina in
utilizzi per Servizi, hyperscale, mercato IoT, Telco e supercomputer. Questi ultimi, in particolare, trovano collocazioni tipiche in segmenti quali Manufacturing, Finance, Accademico, Life Science, Oil & Gas, Engineering e Meteorologia, con progetti che vedono l’integrazione di hardware con software, servizi e soluzioni. «Ma nel contesto del supercalcolo, Lenovo non lavora da sola - sottolinea De Bartolo -. Intorno a questo tema, infatti, abbiamo aggregato un intero ecosistema di partner vendor tecnologici, con cui realizziamo le installazioni, riuscendo a lavorare anche su tecnologie che non siano di nostra proprietà, con vantaggi sia per i clienti sia per i system integrator che ci accompagnano su tale mercato». Un ecosistema di partner che collabora, quindi, per la creazione di sistemi in grado di gestire e analizzare i Big Data con alti gradi di efficienza, anche dal punto di vista energetico. Dal canto suo Lenovo contribuisce con LICO, un sistema di intelligent computing orchestration, ossia un sistema software che semplifica la gestione e l’uso dei cluster distribuiti in progetti di HPC, giunto ormai alla versione 5.2, attraverso il quale gestisce le performance end to end dei propri sistemi di High Performance Computing, intervenendo sempre più anche nelle interpretazioni in ambito Augmented Intelligence.
Dalla Digital Transformation alla Intelligent Transformation
«Il percorso intrapreso attraverso i nostri sistemi HPC è ormai orientato con forza verso l’AI – conclude De Bartolo -, con un approccio che prevede sia una fase di discover, ossia di ricerca delle potenzialità derivanti dall’AI, per la quale mettiamo a disposizione 4 innovation center a livello worldwide, dove i clienti possono usare LICO sulle nostre infrastrutture e capire attraverso quali algoritmi utilizzare i propri dati».
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B.Digital, la fucina di AI che alimenta l’innovazione di Blueit
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Paolo Mazza Co-founder e responsabile marketing innovation di Blueit
L’innovazione esce dai laboratori per andare dritta sul mercato. È quanto succede in B.Digital, azienda nata nel 2017 all’interno di Blueit per dare una concretezza alle sperimentazioni sulle nuove tecnologie digitali basate su Intelligenza Artificiale e IoT. «Abbiamo voluto inizialmente creare un luogo “protetto” all’interno di Blueit, dove si potessero sperimentare le nuove tecnologie dell’AI e dell’Industrial IoT - conferma Paolo Mazza, CEO di B.Digital e già Co-founder e responsabile marketing innovation di Blueit -, creando un’offering di servizi e di progetti di innovazione appetibili per le aziende. Con Blueit che ha funto da “cavia” per la sperimentazione dell’applicazione di tali progetti, definendo i bisogni a cui dare risposta prima della loro proposizione sul mercato». Sono già vari i progetti di IoT lanciati da B.Digital, spingendosi anche all’Industria 4.0, il che ha consentito alla società di incontrare numerose aziende del manifatturiero con un offering completo per la loro trasformazione digitale. Che per le aziende non si traduce poi in progetti avvenieristici ma, molto pragmaticamente, nel collegare l’IT all’OT dell’automazione. Due mondi ancora separati, con protagonisti e competenze non sovrapponibili. «Uno dei fattori per il successo di un progetto IoT riguarda proprio il data gathering e, a seguire, la data normalization, che colleghi il desktop e l’IT ai tanti dati usati in produzione - puntualizza Mazza -. Abbiamo quindi fatto convergere le nostre competenze in automazione industriale con quelle IT, cercando di risolvere il nodo della raccolta dei dati erogati dalle macchine». In produzione, infatti, le macchine tendenzialmente non parlano né comunicano tra di loro. Bisogna quindi risolvere il problema aggiungendo
sensori di campo o altre tecnologie, a riprova che ci vuole certamente tanta tecnologia ma anche tanta competenza trasversale. Per questo Blueit si è voluta mettere in mezzo a questi due mondi. «In ambito Intelligenza Artificiale siamo partiti in anticipo, grazie alla partecipazione al contest mondiale lanciato da IBM basato sul cognitive computing di Watson, che abbiamo vinto con BioBotguard, un progetto in ambito agrifood, dandoci modo di sperimentare in concretezza dei progetti di AI - racconta il CEO -. Dopodichè ci siamo lanciati anche su altre tecnologie, tra cui il progetto Flexa, la piattaforma per il continuous learning lanciato dal MIP del Politecnico, che utilizza l’AI di Microsoft per costruire una sorta di mentor di Intelligenza Artificiale per il suggerimento di contenuti profilati». A riprova della trasversalità dell’AI sui diversi verticali, dall’agricoltura, all’education o al fashion - prossimo mercato che verrà affrontato -, ma che la stessa Blueit sfrutta all’interno di un progetto di trasformazione delle infrastrutture di monitoraggio e di produzione dei servizi di gestione, usando l’AI per fare manutenzione predittiva sui sistemi. In dettaglio, il progetto BioBotguard si basa sulla visual recognition, dove viene utilizzata l’Intelligenza Artificiale per riconoscere dei particolari pattern all’interno di immagini nel visibile o in altre lunghezze d’onda. Nel caso di Flexa, invece, si tratta di un caso di recomandation engine, dove viene messo in correlazione il profilo dell’utente con i contenuti disponibili in rete. Utilizzando il network language processing associato al machine learning che segue le preferenze dell’utente/studente durante il percorso di apprendimento.
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L’azienda del gruppo Blueit è interamente dedicata ai progetti sulle nuove tecnologie di AI e di IoT. Soluzioni concrete che escono dalla sperimentazione per essere proposte al mercato
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Nella prima metà del 2018 sono stati registrati ben 2,8 milioni di attacchi DDos, evidenzia una ricerca di Netscout Arbor. Anche in Italia si sta assistendo a una sofisticazione della minaccia
Attacchi DDos meno frequenti ma più intensi: come proteggersi www.digital4trade.it
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Nel variegato campo della sicurezza informatica ci sono alcune minacce che sono più sottostimate di altre: in questa fase l’attenzione delle imprese è soprattutto rivolta alla protezione dal malware, che si è dimostrato capace di colpire in numerose modalità. Molto meno noto è invece il pericolo rappresentato dagli attacchi DDoS (distributed Denial of services) che ha lo scopo di rendere un server, un servizio o un’infrastruttura indisponibile sovraccaricando la banda passante del server, utilizzando le risorse fino all’esaurimento. Come ha rilevato una recente ricerca condotta da Netscout Arbor, questo
pericolo è ancora piuttosto consistente e sta anzi aumentando di potenza e di intensità: nella prima metà del 2018, nel mondo sono stati registrati 2,8 milioni di attacchi DDoS, di cui ben 47 di dimensioni superiori a 300 Gbps, a fronte di soli sette attacchi registrati nello stesso periodo del 2017. Come racconta infatti a Digital4Trade Marco Gioanola, Cloud Services Architect di Netscout Arbor, «I nostri dati evidenziano che quello che succede a livello globale si riproduce abbastanza fedelmente nel nostro Paese. In particolare, per quello che riguarda gli attacchi DDos, si è assistito a una globale diminuzione della
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frequenza, accompagnata però da un incremento delle dimensioni. Negli ultimi mesi abbiamo identificato varie campagne di attacco che sono state progettate per fare attacchi più avanzati, facendoci supporre che dietro ci sia uno sforzo organizzativo molto importante, che non è più soltanto quello del piccolo gruppo di hacker, ma che dietro può avere persino ragioni geopolitiche. Anche In Italia stiamo assistendo a una sofisticazione crescente degli attacchi, che sono sempre più mirati a colpire una determinata azienda o un business». In effetti l’Italia ha visto un incremento degli attacchi di dimensione superiore a 10 Gbps e cinque attacchi superiori a 50 Gbps. Tra l’altro questi attacchi di grandi dimensioni sono stati identificati da Netscout Arbor come provenienti tutti dalla stessa origine, probabilmente una botnet, situata in un paese del Sud Est asiatico. Tale botnet è risultata responsabile di più di 2.000 attacchi DDoS verso l’Italia nei primi 8 mesi di quest’anno e in generale di più di 130.000 attacchi globalmente. Qualcosa, però, è cambiato a livello di strategia: «Tradizionalmente, si osservava una divisione abbastanza netta tra chi sviluppava il classico malware da diffondere e chi invece utilizzava Botnet per lanciare attacchi Ddos - racconta Gioanola -. Negli ultimi 3-4 anni si è assistito a una convergenza di
questi due elementi: chi ha in mano queste botnet si è reso conto di poterle utilizzare sia per lanciare attacchi malware o DDos a seconda delle convenienze del momento. A volte gli attacchi DDos sono stati persino stati utilizzati soltanto come cortina fumogena, quando invece l’obiettivo era soltanto quello di sottrarre informazioni. L’aumento della dimensione degli attacchi DDos riscontrato dai nostri dati è una naturale evoluzione: periodicamente emergono protocolli che possono essere sfruttati dai cybercriminali per generare attacchi più potenti. D’altro canto c’è l’incremento costante della potenza di banda fornita agli utenti finali, che in mano agli hacker diventa inevitabilmente un’arma». Di fronte a questo scenario, la domanda naturalmente è: quanti di questi attacchi vanno a buon fine? I dati di Netscout Arbor non approfondiscono questo aspetto, ma il vendor ha rilevato un trend di crescita della mitigation, ossia della protezione contro i DDos. «Gli Internet service provider tendono a proteggersi non solo per aiutare i propri clienti che possono subire un attacco, ma anche per proteggere la propria infrastruttura, che può subire dei danni molto gravi da azioni di questa dimensione. C’è insomma un trend di miglioramento, anche se comunque rimane il fatto che l’attacco andato a buon fine continua a essere il principale motivo che porta poi all’installazione di soluzioni anti DDos». Ma in che modo un Internet service provider, ma anche una media-grande azienda, può difendersi? Occorre partire dalla considerazione che un attacco DDos, fondamentalmente, non è che una grande quantità di traffico che viene gettato addosso alla vittima. Il livello base di protezione è quello di bloccare tutto, indistintamente, nel momento in cui un dominio Web è sotto attacco. L’alternativa è quella di filtrare i dati, pacchetto per pacchetto, individuando quelli “buoni” e quelli “cattivi”. Ovviamente il filtraggio può essere più o meno accurato, a seconda delle necessità aziendali, ma quel che conta è arrivare a una limitazione del danno in caso di attacco. «La protezione dai DDos è importante perché ormai c’è una dipendenza diretta delle aziende da Internet, basti pensare al ruolo sempre più rilevante assunto dall’e-commerce, che spesso ha un’incidenza anche sul fatturato aziendale. Ma non solo: ormai qualunque azienda ormai utilizza applicazioni on line per la produttività dei propri dipendenti. In caso di attacco che non permetta l’accesso a Internet si tratta di intere giornate di lavoro perse», conclude l’esperto di Netscout Arbor.
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Sicurezza IT, nel 2018 si spenderanno 114 mld di dollari L’analisi di Gartner evidenzia come nel 2018 il giro d’affari del settore sia destinato a crescere del 12,4% rispetto al 2017. Oltre la metà di questa cifra è appannaggio dei servizi Gli investimenti in sicurezza informatica a livello globale sono in costante aumento: lo certifica anche l’ultima ricerca rilasciata dalla società di analisi Gartner, secondo cui la spesa mondiale per prodotti e servizi di sicurezza supererà quota 114 miliardi di dollari nel 2018, con un incremento del 12,4% rispetto all’anno precedente. Una crescita che appare destinata a proseguire: nel 2019, il mercato dovrebbe infatti conoscere un progresso del +8,7%, toccando quota 124 miliardi di dollari.
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Il peso dei servizi di sicurezza: un’opportunità per il canale
Particolarmente importante è la segmentazione fatta da Gartner relativamente a questa spesa: si scopre così che dei 114 miliardi complessivi, oltre la metà, vale a dire quasi 59 miliardi di dollari sono appannaggio dei servizi collegati. Che, come è facile da capire, rappresentano un’attività a elevato margine per gli operatori del canale. Che, secondo l’analisi di Gartner, in questi ultimi anni hanno saputo riorganizzare le loro offerte di servizi per supportare i clienti nel loro viaggio di trasformazione digitale. La seconda voce di spesa è rappresentata dai prodotti che si occupano della protezione delle infrastrutture, che assorbono poco più di 14 miliardi. La protezione delle reti, invece, incide per quasi 12,5 miliardi.
L’Identity Management cuba più del consumer
Meno importante di quello che si potrebbe pensare è il mondo consumer: i software acquistati dai co-
muni utenti producono un giro d’affari di poco meno di 6,5 miliardi, destinato a crescere leggermente nel 2019. Decisamente maggiore è il fatturato di un segmento poco sotto i riflettori come l’Identity and Access Management, pure cruciale in ambito aziendale: da un valore di 8,8 miliardi nel 2017 si passerà a 9,7 miliardi nel 2018, che diventeranno 10,6 nel 2019. Ancora minoritarie, ma in crescita a doppia cifra, sono aree come l’Application Security e la Data Security. Importante è anche conoscere il modo in cui viene implementata la sicurezza nelle aziende: secondo Gartner al momento il modello on premise resta complessivamente il più popolare, ma per certe categorie ormai il cloud (e la conseguente formula commerciale per abbonamento) è diventato dominante.
Il ruolo del GDPR
Per quanto riguarda il trend complessivo di crescita, lo studio evidenzia almeno tre fattori chiave che ne sono alla base: in primo luogo ovviamente i rischi di cui abbiamo parlato tante volte, poi le esigenze aziendali e, infine, i cambiamenti del settore. Anche le preoccupazioni sulla privacy stanno diventando un elemento importante: Gartner ritiene che le preoccupazioni relative alla privacy genereranno almeno il 10% della domanda di servizi di sicurezza entro il 2019, ovviamente anche per effetto del GDPR. Le preoccupazioni relative alla gestione dei rischi e alla privacy nell’ambito delle iniziative di trasformazione digitale guideranno ulteriori spese per i servizi di sicurezza fino al 2020 per oltre il 40% delle organizzazioni interrogate da un apposito sondaggio di Gartner.
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Big Data, in arrivo una crescita sostenuta e uniforme
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Un business in crescita a doppia cifra su quale investire con fiducia nei prossimi anni? Senza dubbio quello dei Big Data e Analytics, almeno secondo quanto riporta l’ultima guida semestrale di IDC. Secondo la società di analisi, il giro d’affari del comparto raggiungerà infatti quota 260 miliardi di dollari nel 2022, per un tasso di crescita annuale medio dell’11,9% nel periodo di previsione 2017-2022. Già nel 2018 i ricavi del settore dovrebbero toccare un totale di 166 miliardi, con un incremento dell’11,7% rispetto al 2017. A investire in queste soluzioni sono soprattutto cinque settori: banche, industria, produzione di processo, servizi professionali e Governi. Combinati, questi cinque settori rappresentano circa la metà (81 miliardi) del fatturato mondiale dei Big Data e Analytics nel 2018. La percentuale non sarà molto differente nel 2022, dal momento che questi cinque comparti fattureranno circa 129 miliardi di dollari. Nel periodo preso in esame ci saranno alcuni settori che viaggeranno più veloci di altri, ma le differenze non saranno particolarmente marcate rispetto alla media complessiva: si va dal +13,5% annuo
del retail, al +13,2% del banking al +12,9% dei servizi professionali. A testimonianza che, a prescindere dal settore di appartenenza, le imprese – soprattutto quelle di grandi dimensioni – stanno puntando sui Big Data come parte della loro strategia di digitalizzazione. In effetti IDC mette in evidenza come le aziende molto grandi (quelle con più di 1.000 dipendenti) faranno la parte del leone, tanto da essere responsabili di quasi due terzi del giro di affari del settore, tanto da superare quota 100 miliardi già nel nel 2018. Nei prossimi anni gli investimenti software cresceranno a più di 90 miliardi nel 2022, guidati dagli acquisti di strumenti di query, reporting e analisi e strumenti di gestione del data warehouse degli utenti finali. Particolarmente rilevante il fatto che due delle categorie di tecnologie a più rapida crescita saranno le piattaforme software Cognitive e AI (+36,5% ) e Dati Analitici non relazionali (+30,3%). Non sarà però per nulla disprezzabile anche l’impatto dei Big Data sul mondo hardware: gli acquisti di server e storage necessari a gestire i crescenti volumi di dati aumenteranno a un tasso annuale del + 7,3%, raggiungendo quasi 27 miliardi nel 2022. Inoltre, per la felicità degli operatori del canale IT e dei system integrator, il segmento a maggiore crescita sarà quello dei servizi collegati ai Big Data. Dal punto di vista geografico, gli Stati Uniti sono di gran lunga il maggiore mercato, con 88 miliardi di ricavi previsti per il 2018 e più della metà del totale mondiale nel 2022 cinque anni. A seguire l’Europa occidentale (35 miliardi) e la regione Asia/Pacifico (23,9 miliardi). Nei prossimi anni i Paesi più attivi sul fronte Big Data saranno Argentina (+20,8%), Vietnam (+19,8%), Filippine (+19,5% ) e Indonesia (+19,4%).
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Anche il mondo del canale IT potrà beneficiare dell’aumento dei ricavi globali del mondo Big Data e Analytics: tra le aree a maggiore crescita ci saranno i servizi
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Mauro Bonfanti, Regional Director Italy di Pure Storage
Alfredo Nulli, Emea Cloud Architect di Pure Storage
Revenue dai Big Data con il Data Hub di Pure Storage L’approccio del vendor verso il tema dei big data si basa su una piattaforma adattativa e aperta in grado di gestire dati svincolandosi dai classici silos, per nutrire AI e machine learning a beneficio del business Che farsene dei dati se non servono per generare business? E di dati, oggi, se ne generano, trasmettono, duplicano a iosa, tra strutturati e non, di ogni dimensione e forma, e il problema che ne nasce, se fino a poco tempo fa era prevalentemente riguardo al loro stoccaggio, ora è di come trarne informazioni utili per averne profitto. Il fenomeno dei Big Data è pane quotidiano per Pure Storage, azienda nata 8 anni fa e che da 4 anni è presente anche in Italia, focalizzata proprio nei sistemi di gestione dei dati e che intende trasformare in concetto di Storage in un vero e proprio sistema di valorizzazione dei dati in ottica business. «Dove ci sono grandi quantità di dati Pure Storage è presente con le proprie soluzioni - afferma Mauro Bonfanti, Regional Director Italy di Pure Storage - il cui valore è apprezzato ormai da 5.000 clienti worldwide, i quali ci hanno fatto raggiungere, con l’ultimo fiscal year, il fatidico miliardo di fatturato. Un giro d’affari che Pure Storage, in Italia e nel resto del mondo, ha realizzato interamente attraverso il canale di Var e reseller specializzati con il coinvolgimento diretto della distribuzione, che nel nostro Paese si appoggia ad Arrow e a Computer Gross, i quali gestiscono i partner sulla base dei diversi mercati verticali, delle tecnologie e delle geografie presidiate». Una crescita di business che va di pari passo con la progressiva consapevolezza del mercato riguardo al valore che è possibile trarre dai dati, anche quelli non strutturati. Il concetto di Big Data Analytics sembra essere ormai sdoganato da molte aziende, affrancandosi dal classico modello di storage o dalla sola implementazione di infrastrutture Hadoop per andare verso un nuovo modello che apre a nuove opportunità, portando, di fatto, lo storage e i Big Data a essere elementi strategici nelle deci-
sioni di business aziendali. «Oggi il tema dei Big Data e della loro analisi viene affrontato ed evidenziato direttamente dai clienti - conferma Alfredo Nulli, Emea Cloud Architect di Pure Storage -. L’analytics non è un tema che si affronta a 360 gradi, ma ha declinazioni per le diverse aree tematiche: per le Telco, per esempio, la network analytics è fondamentale, mentre nella gestione molteplice delle quantità di dati si parla di analytics tradizionale. A questi si aggiunge poi un tema simile all’analytics che è quello dello streaming e dell’inserimento dei dati tipico del machine learning e dell’artificial intelligence, risultati di implementazione di enormi quantità di dati. Una massa tale di dati che le aziende ora stanno pensando a come mettere “a revenue”, guadagnarci cioè, traendone informazioni utili al business, piuttosto che affrontare il tema unicamente dal punto di vista dell’allocazione degli stessi». Serve, quindi, un approccio trasversale allo storage, con visibilità sulle varie piattaforme verticali che invece oggi ancora si tende a utilizzare, e che sono state disegnate per utilizzi diversi: storage orientato al RAID, o al RID, storage per il data warehouse o storage per l’analytics. Ciò comporta che un’azienda che intenda fare analytics o machine learning, per avere a disposizione dei dati di cui dispone è costretta a travasarli nella piattaforma più opportuna per l’uso. Pure Storage subentra in tale contesto con una piattaforma adattiva e bidimensionale per dati strutturati e non strutturati, che permette ai clienti di soddisfare tutte le fasi di progettazione di un’analitycs, da quella di ingestion, quella di adattamento dei dati, di reportistica e di lavoro sui dati stessi, senza doversi spostare tra le diverse piattaforme,
Serve un canale competente per attivare una “analytics as a service”
La Big Data analytics rimane comunque ancora un tema approcciato con una certa incertezza, anche per un problema di competenze e cultura. Servono infatti skill non infrastrutturali, ma da data scientist, in grado di estrarre valore dalla semantica del dato. Figure che in Italia stentano a emergere, e quelle esistenti vengono prevalentemente cresciute e formate all’interno di progetti embrio-
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nali di grandi istituzioni, soprattutto Banche, che hanno lanciato progetti di innovazione digitale. «Mentre lo sviluppo di competenze è la condizione necessaria affinchè un system integrator possa affrontare progetti di questo tipo, i quali invece in Italia si stanno muovendo con molta lentezza, partendo ancora da argomenti molto vicini all’IT, come la predictive maintenance, la log analysis, la cybersecurity, ossia dall’uso dell’analytics per predirre comportamenti sospetti dal punto di vista della sicurezza. Sempre mirati all’efficientamento e al miglioramento delle operazioni IT. Manca ancora il salto di qualità che consenta di vedere l’analytics da altri punti di vista più strategici. Pure Storage scommette sulla strategia di canale, coinvolgendo i grandi system integrator nella proposizione di questi progetti alle aziende. Si tratta
di un ecosistema di system integrator votati alla sperimentazione, ma anche di organizzazioni che iniziano a sviluppare infrastrutture di analytics as a service, di service provider che abilitano le proprie infrastrutture a ospitare grandi moli di dati per conto dei clienti. Consentendo di fatto anche ai clienti più piccoli di affrontare il mondo dell’analytics senza doversi dotare di infrastrutture on premise» conclude Bonfanti.
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facendo convergere tutti i dati per ogni uso se ne debba poi fare. «È quello che definiamo Data Hub, che si differenzia dal Data Lake che è una definizione che nasce in ambito analytics, per estendersi verso i concetti di machine learning e artificial intelligence - riprende Nulli -. Il Data Hub fornisce una piattaforma adattiva sia in termini prestazionali sia capacitivi rispetto agli use case di riferimento, capace di gestire tipologie di dati differenti, grandi o piccoli, pochi o numerosi, strutturati o non, con le stesse predictive performance. Un obiettivo su cui abbiamo basato la nostra strategia, senza compromessi: abbiamo scelto l’all flash e non cediamo a soluzioni ibride, a beneficio della semplicità, rendendo i clienti liberi di sfruttare le funzionalità previste dalle piattaforme, con prestazioni predicibili e costanti, indipendentemente dai singoli use case». L’adattabilità della piattaforma alle tipologie e alle quantità dei dati la rende così in target con aziende di qualsiasi dimensione e mercato, dalla piccolissima impresa all’enterprise, con appetibilità particolare per il Banking e le Telco, ma anche per quelle aziende che intendono sfruttare i dati per utilizzi in campo AI e machine learning. Un’offerta che si potenzia ora con la sigla di una partnership strategica con Nvidia volta a creare una soluzione integrata le sue capacità di computing per il machine learning e AI e le piattaforme Pure Storage, proprio per metterle al servizio dei nuovi impieghi FlashBlade nell’analytics. Una soluzione che prende il nome di AIRI (Artificial Intelligence Ready Infrastructure), che consente ai clienti di testare le soluzioni di machine learning, uscendo dalla classica sperimentazione accademica. Soluzione scalabile che consente ai clienti di aggiungere potenzialità di calcolo e storage in funzione del crescere delle esigenze e di quanto poi effettivamente andrà messo in produzione.
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Poliglotta, scalabile e gestibile. La Data Strategy di Quantyca per affrontare il cambiamento L’innovazione galoppa, e non guarda chi si lascia indietro: bisogna abituarsi al cambiamento continuo e al fatto che questa condizione stia diventando uno standard di normalità. Ormai la corsa verso i mercati di domani, o anche solo per stare al passo con quelli attuali, ha preso delle velocità tali che richiedono ai partecipanti di essere adeguatamente attrezzati per poterla sostenere. E la fonte principale di carburante che fa viaggiare sempre più in fretta è rappresentata dai dati, la cui analisi e gestione attraverso una corretta data strategy può scatenare nuove dinamiche «Le architetture IT presenti in azienda devono essere in grado di evolversi con il mutare delle esigenze delle aziende: siamo ormai nel pieno della quarta rivoluzione industriale, dove le tecnologie stanno abilitando un cambiamento repentino dei modelli di business a cui siamo abituati» ha commentato Andrea Gioia, CTO e partner Quantyca, società specializzata nel data management, in occasione di un incontro dall’esplicativo titolo: “Change is the new Normal”. Un cambiamento che, dicevamo, rischia di deragliare se non è supportato da architetture adeguate, e Quantyca illustra la propria strategia di approccio all’innovazione, proponendo una Data Platform che risponde a quattro requisiti fondamentali: apertura al poliglottismo, message driven, scalabile e che sia data governance by default. «Nessun settore può sentirsi esonerato dal cambiamento: i rischi sono
troppi, e i new comer sono pronti a prendere il posto di chi rallenta - prosegue Gioia -. Non c’è alternativa: bisogna difendersi e predisporsi al cambiamento, con modelli dove la velocità di esecuzione diventa il nuovo vantaggio competitivo rispetto agli altri».
Ambienti poliglotti: flessibilità e specializzazione nella gestione dei dati
Un ripensamento dell’approccio al business che è possibile attraverso la tecnologia, l’IT, vero motore del cambiamento e che può trasformare ogni azienda in una software company, con la tecnologia al centro dei processi decisionali. Anzi, “le” tecnologie, come sottolinea Francesco Gianferrari Pini, founder e partner Quantyca: «Non bisogna far convergere i dati in una sola tecnologia, ma scegliere quelle più adatte che consentano, insieme, di modellare il dato adeguatamente. Le tecnologie computazionali e analitiche in questo modo possono compensarsi per estrarre valore dai dati, con il mondo analitico che deve essere parte integrante della piattaforma computazionale. Non è necessario, infatti, accedere sempre al data base centrale per cercare i dati, e alcuni esempi di alternative già esistono, come il Caching, Hadoop, SQLServer Columnstore o Oracle Column-oriented data storage. L’approccio poliglotta che si applica all’ambito analytics parte da applicazioni monolitiche per andare fino ai microservizi,
I dati alimentano la corsa verso l’innovazione, ma è necessaria la giusta architettura IT e una corretta data strategy per stare al passo con le crescenti esigenze del mercato. Se non si vuole deragliare
La confusione dei dati risolta dai message broker
La potenza è nulla senza controllo
Ultimo aspetto, ma tra i più importanti della piattaforma Quantyca, nella gestione del cambiamento veloce, è la Data Governance: «Bruciati i vantaggi competitivi tradizionali, l’unico vero punto di forza
Andrea Gioia -: Enterprise Service Bus (ESB), che è centralizzata ed è tipica delle architetture SOA; e le architetture a microservizi, che rinuncia alla centralizzazione comunicando tra loro tramite BUS, facendo passare i dati da un servizio all’altro. Queste possono coesistere, in architetture ibride, in maniera del tutto trasparente per il consumatore, il quale potrà accedervi tramite API Gateway».
L’IT che cresce con il crescere delle esigenze
Un ulteriore aspetto fondamentale che viene richiesto a una Data Platform che segua le evoluzioni dettate dal cambiamento è, ovviamente, la scalabilità. «Le infrastrutture devono essere in grado di adattarsi ai volumi crescenti di dati - conferma Pietro La Torre, innovation engineer di Quantyca -, con una
rimane la capacità di gestire il cambiamento - dichiara Guido Pelizza, partner Quantyca -. Si devono prendere decisioni velocemente e con le nuove tecnologie oggi è possibile. Ma il cambiamento deve essere governato, altrimenti si rischia di andare fuori controllo. E in questo il GDPR ha dato un certo contributo, chiedendo di mappare, dare una categorizzazione ai dati, gestire i processi e definire categorie di recipienti di dati». Dal canto suo, il vendor ha affidato a Blindata, una società del gruppo, lo sviluppo di una Data Platform che beneficia delle funzionalità della piattaforma di data governance di Quantyca, o di terzi, per governare la compliance al GDPR, potendo intercettare dove i dati sono registrati e capire quali trattamenti sono stati fatti sui dati stessi, mediante una registrazione dei consensi.
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I rischi derivanti dall’utilizzo di una architettura poliglotta sono intuibili. Con l’aumento della eterogeneità tecnologica, cresce la possibilità di fare confusione e di creare “incomprensioni” tra le varie componenti. Per evitare il caos, le componenti non devono comunicare punto-punto, ma attraverso messaggi, gestiti mediante un message broker che metta ordine e che non abbia complessità al suo interno, il quale quindi deve avere poca potenza applicativa per non complicare e rallentare il processo. «Esistono due diverse tipologie di broker - segnala
scalabilità che deve essere innanzitutto infrastrutturale, per reagire a picchi improvvisi e rispondere in modo adeguato nel caso che la mole dei dati raddoppi; che sia economica e temporale, con una definizione del livello di automazione (e dei costi) utile per il tempo che viene utilizzata per test e sviluppo. E, infine, deve avere una dimensione cognitiva, per una scalabilita cognitiva utile in caso addestramento di modelli di machine learning». Una scalabilità che ha come effetto l’acquisizione di una maggiore agilità di business, oltre che infrastrutturale.
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con il vantaggio di non “violentare” una tecnologia ma usarne tante specializzate ognuno per il proprio compito».
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Maria Teresa Della Mura
La blockchain c’è, ed è il momento di farla partire Secondo un’indagine di PWC, gli effetti della blockchain riducono non solo gli intermediari, ma hanno risvolti benefici sui costi, velocità, tracciabilità e trasparenza dei processi di business 600 executive di 15 Paesi diversi, Italia inclusa, rappresentata da 46 rispondenti. È questo il panel sul quale PWC ha condotto una propria indagine 2018 sulla blockchain che si è posta l’obiettivo non solo di valutare la numerosità dei progetti in corso o nascenti, ma di comprendere quali strategie si stanno sviluppando in relazione a un fenomeno dal quale, al momento, nessuno vuole chiamarsi fuori. Il motivo, per PWC, è chiaro: una blockchain ben progettata si legge - non si limita a ridurre gli intermediari, ma consente di ridurre i costi, aumentare la velocità, migliorare la trasparenza e la tracciabilità di molti processi di business. Ed è probabilmente anche sulla scorta di queste considerazioni che Gartner arriva a sostenere che entro i prossimi dodici anni intorno alla blockchain si genererà un valore annuo di 3.000 miliardi di dollari, mentre è la stessa PWC che ipotizza che entro il medesimo lasso di tempo tra il 10 e il 20 per cento delle infrastrutture economiche globali gireranno su sistemi basati su blockchain.
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I numeri della ricerca PWC
Partiamo comunque dai numeri. Dall’analisi di PWC emerge che l’84 per cento dei rispondenti è in qualche misura coinvolto sul tema: il 20 per cento ancora a livello di ricerca, il 32 per cento in fase di sviluppo, il 10 per cento coinvolto in progetti pilota, il 15 per cento su progetti live e il 7 per cento in progetti avviati ma per qualche ragione poi bloccati. Solo il 14 per cento, è la sintesi, non ha al momento alcun coinvolgimento, piano o impegno sulla blockchain. Interessante la risposta data alla domanda sui set-
tori sui quali la blockchain è destinata ad avere il maggiore impatto: il 46 per cento dei rispondenti parla del mondo finance, seguito tuttavia dal manufacturing e dal mondo energy, entrambi con il 12 per cento di risposte, e dal mondo healthcare, appena al di sotto con un 11 per cento di segnalazioni. Il Government, uno dei settori sui quali l’attenzione sembra essere piuttosto marcata, raccoglie l’8 per
I segnali di un cambiamento epocale ci sono e PWC li riassume in quattro topic chiave. In primo luogo la tokenizzazione, vale a dire la rappresentazione di asset reali e virtuali su una blockchain: è un fenomeno in costante diffusione e, soprattutto, estensione ad ambiti sempre più diversi, dalle materie primi a prodotti finiti, arrivando anche alla gestione dei diritti di iscrizione a gruppi o associazioni. Il secondo topic sul quale PWC accende l’attenzione è quello delle ICO, le Initial Coin Offering, con le quali le aziende vendono al pubblico un determinato numero di token digitali come forme di finanziamento. Nei primi cinque mesi dell’anno in corso le ICO hanno raccolto qualcosa come 13,7 miliardi di dollari: le più importanti sono state quella di EOS, focalizzata su una infrastruttura blockchain, Huobi Token, per la costituzione di un crypto exchange nella Corea del Sud, e Hdac, vale a dire una piattaforma per l’Internet of Things. Un terzo fenomeno sul quale PWC pone l’attenzione è quello dell’integrazione tra ERP e blockchain, con l’obiettivo di snellire i processi, facilitare la condivisione di dati, garantire l’integrità dei dati. Non è un caso
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Le maggiori barriere all’adozione della blockchain 1st
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Total
Regulatory uncertainty
41%
Lack of the trust among user Ability to bring network togheter Separate blockchain not working toghetr
45%
Inability to scale
29%
Intellectual property concerns
30%
Audit/compliance concerns
20%
44% 41%
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I quattro segnali di cambiamento
che nella partita siano entrati player come Microsoft, Oracle, Sap e Salesforce: in futuro i processi di business core gireranno su sistemi basati su blockchain. Infine, il quarto segnale di cambiamento viene da quanto già accennato: non sono più le sole realtà del finance a vedere nella blockchain nuove opportunità, ma vi si aggiungono nuovi player, attivi in differenti mercati. E quando si parla di differenti mercati si fa riferimento anche alla diversità geografica. Se oggi sono ancora gli Stati Uniti a guidare il trend, da qui ai
Note: Base 600
prossimi cinque anni la leadership potrebbe passare in capo alla Cina.
Cosa frena la crescita della Blockchain?
È chiaro, in ogni caso, che siamo in presenza di un mercato in divenire. Cosa è che ancora ne frena la crescita? Sinteticamente, PWC evidenzia come gli interpellati citino la mancanza di un quadro regolatorio chiaro, la mancanza di fiducia tra gli utenti, la mancanza di capacità di lavorare insieme o di far lavorare diverse blockchain, l’incapacità di scalare, le preoccupazioni in termini di tutela della proprietà intellettuale e di compliance.
Un esempio per individuare le difficoltà
Tuttavia, al di là delle numeriche, la società propone una riflessione interessante e riguarda la complessità nella realizzazione di una blockchain alla quale prendano parte soggetti diversi e cita un esempio concreto. Prendiamo il caso di una multinazionale che voglia gestire un processo intercompany come
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cento di indicazioni e via a seguire con il retail (4 per cento) e il settore dell’entertainment, con un decisamente più modesto 1 per cento.
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la gestione della tesoreria attraverso la blockchain. Una soluzione sensata, che le consentirebbe di evitare complessi passaggi tra diversi sistemi ERP, diversi sistemi di gestione dei dati, diverse tipologie di dati, utilizzando un ledger distribuito, che dunque non necessita di riconciliazione. In questo caso, si potrebbe pensare all’utilizzo di token digitali per rappresentare i flussi di cassa, con l’obiettivo di semplificare il trasferimento tra diverse business
Industrie che saranno presto leader nella blockchain Financial Service Industrial products and manufacturing Energy and utilities Healthcare
Trust: il nodo da sciogliere 12% 12% 11% 4% 8% 1%
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Government Retail and consumer Entertaiment and media
sfide imposte da regole che essa stessa stabilirà, esattamente come oggi accade con gli ERP. La vera complessità emerge quando la blockchain viene utilizzata come piattaforma condivisa tra attori che partecipano a un medesimo ecosistema o alla medesima filiera, vale a dire proprio nei contesti nei quali la blockchain “dà il meglio di sé”, ovvero più chiaramente mostra il proprio vantaggio e i propri benefici. Le regole non possono, comunque, essere scritte o definite da un solo soggetto ed è proprio qui, dalla necessità di regolare, normare, armonizzare, che emerge la complessità. Alla luce di questo esempio, va da sé, assumono meno astrattezza anche le preoccupazioni sopra citate.
46% unit, evitando complessi e costosi trasferimenti bancari, conversioni, tassi di cambio. Se un’azienda limita queste attività al proprio interno, necessariamente dovrà affrontare delle sfide, ma saranno
Soprattutto emerge chiaro un punto: il tema del trust, della fiducia, è tutt’altro che marginale. La questione va analizzata sotto due aspetti differenti. Il primo è fondamentalmente culturale: come ogni nuova tecnologia, anche la blockchain porta con sé inevitabili e comprensibili domande su affidabilità, sicurezza, scalabilità, applicabilità. Esattamente le stesse che abbiamo sentito e alle quale abbiamo cercato di dare risposte a ogni nuova wave tecnologica, forse con qualche difficoltà in più legata alla necessità di svincolare il tema blockchain da quello dei bitcoin e in fondo anche alla sua complessità tecnologica. Il secondo aspetto riguarda la capacità di creare fiducia nella rete, in assenza di un impianto normativo definito. Sembra quasi paradossale, e in fondo è forse questo il paradosso della blockchain, che un sistema nato con l’idea di decentralizzare, in una logica distribuita, trovi oggi il proprio maggiore ostacolo nella difficoltà di scrivere e riconoscere regole e norme. Ma è sicuramente lo snodo, superato il quale la blockchain non potrà che trovare nuovi e ulteriori consensi.
A che punto sono le aziende con la blockchain?
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Blockchain in cloud, argomento di business per i partner Oracle
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Nel processo di certificazione delle filiere, tipica della blockchain, il ruolo del canale risulta essere indispensabile. System integrator con propensione al tema sono infatti sotto la lente di Oracle, intenzionata a fare leva sulle competenze specifiche che i partner possono avere sui mercati verticali e sui business model dei singoli clienti, da coniugare con le attività di consulenza e di skill tecnologici. Per le aziende e per i partner che le seguono, Ora-
buito tra diverse entità e in maniera non disputabile e immutabile - ci spiega Filippo Cutillo, Specialista Oracle EMEA di Blockchain e tecnologie transazionali -. Chiunque, anche in modo privato e anonimo, aziende, soggetti della PA o entità pubbliche che siano, può entrare all’interno della blockchain. Soggetti che per definizione sono “untrusted”, ossia il cui rapporto non si basa sulla fiducia ma che sono in qualche modo legati tra loro da motivi di business, attraverso contratti, fatture, ecc. Eventi, che riguardano le diverse parti interessate, che si intendono registrare nello stesso momento e che non siano discutibili da alcuno: dal trasferimento dei bitcoin, dei titoli, fatture, documenti di compliance per trasporto, o anche solo ricevute degli stessi. Attività che quotidianamente avvengono, ma i cui passaggi vengono solitamente registrati da ognuno con un proprio metodo e all’interno dei propri sistemi informativi, con gestioni autonome e non verificabili da altri».
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Il vendor affronta il tema blockchain con una piattaforma as a service basata su Hyperledger Fabric. Focus su mercati verticali dove gli skill del canale diventano indispensabili
Come Oracle interpreta il concetto di blockchain Filippo Cutillo, Specialista Oracle EMEA di Blockchain e tecnologie transazionali
cle mette infatti a disposizione Oracle Autonomous Blockchain Cloud Service (OABCS), una piattaforma in cloud, pronta all’uso basata su modello Permissioned Fabric ma interoperabile con gli ambienti opensource, che prende in carico la gestione dei vari aspetti di salvataggio, backup, duplicazione, crescita, attraverso il proprio PaaS.
Univocità nella registrazione degli eventi
«Con blockchain si indica quell’insieme di tecnologie che consentono di registrare eventi in modo distri-
Proprio al fine di semplificare la creazione e gestione delle blockchain, Oracle ha realizzato il succitato OABCS, un servizio di blockchain di tipo PaaS, basato su cloud, con l’intento di sollevare l’utente da incombenze gestionali e di provisioning, attraverso un’attivazione semplice della propria blockchain e delle istanze con un solo click. All’amministratore del processo viene chiesto solo di immettere le varie istanze sia interne al cloud Oracle, sia esterne. Come tecnologia di riferimento per la blockchain, Oracle ha scelto Hyperledger Fabric, pur consentendo interoperabilità tra diverse tecnologie e apertura ver-
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so l’ambiente opensource. Una scelta che il vendor interpreta come miglior modo di adattarsi alle esigenze di scalabilità tipiche dell’ambiente enterprise, specifiche per ogni ambito, dove sono necessari responsi di validazione in tempi brevi, senza dover sopportare latenze. «L’orientamento verso Fabric è giustificato dalle sue caratteristiche, basate su potenzialità non banali, che coinvolgono alte capacità di CPU e di memoria - prosegue Cutillo -. Il che ci distingue dall’offerta open source, che difficilmente può garantire standard e livelli alti di servizio, non avendo al suo interno funzionalità di gestione, sviluppo e monitoraggio. Ma questo non esclude il fatto che OABCS, che invece integra tutte queste funzionalità, sia completamente interoperabile con l’ambiente open source. Oracle ha fatto così una
scelta di blockchain Open Fabric, che ci rende molto diversi dall’open source, pur garantendone l’interoperabilità delle varie API, con un servizio che viene fornito con componenti “first class”, una sorta di backbone sulla quale altri soggetti possono interagire e collaborare».
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La percezione in Italia
Nel nostro Paese Oracle ha già avviato progetti basati su blockchain, uno di questi realizzato nell’ambito del Food, un ambito su cui il vendor sta spingendo molto, che ha coinvolto Certified Origins, società che si è specializzata nel tracciamento della filiera di produzione dell’olio extra vergine d’oliva. «Un interesse generale che in Italia ha visto una crescita soprattutto negli ultimi sei mesi - osserva Cutillo -, passando rapidamente da una fase di initial learning e di curiosità a una di concreta sperimentazione da parte dei clienti, in svariati settori: dalla supply chain,
agli ambiti finanziari o al Government, quest’ultimo con grandi potenziali proprio per il suo ruolo di regolatore dei vari settori, che avrebbe così la possibilità di seguire direttamente le tracce delle entità regolate e in trasparenza per tutti i partecipanti. Il primo ambito che prevedo arriverà a utilizzare tali tecnologie è quello della supply chain, che ha un approccio molto “laico” al tema e percepisce il cloud e l’IT come commodity per fare business. Diversa cosa sono le banche, che probabilmente intraprenderanno un percorso a sé per arrivare alla blockchain, visti i temi delicati della disintermediazione che tale tecnologia andrebbe a toccare, mettendo a rischio posti di lavoro ed equilibri sindacali da preservare».
A System Integrator e alle Digital Company le maggiori opportunità
Nel processo d’acquisto della blockchain, la scelta e le modalità di partecipazione sono libere. Il proponente può basarsi su Oracle Fabric, e i partecipanti possono scegliere di acquistare un servizio a valore aggiunto dal proponente oppure comprare indipendentemente i programmi da condividere poi con il proponente stesso. «In definitiva, si apre un mercato con grandissime opportunità, soprattutto per due tipologie di soggetti: le digital company nate come spinoff da progetti blockchain interni alle aziende, che possono proporre modelli già attivati ad altri soggetti del settore, oppure i system integrator e i partner IT più strutturati» osserva Cutillo, secondo il quale «i partner IT, in particolare, sono quelli che possono trarre importanti opportunità dalla blockchain. Questi infatti lavorano sui verticali, sulle applicazioni, sugli ERP dei propri clienti e sono quelli che possono inquadrare e impadronirsi dell’aspetto blockchain meglio di chiunque altro. Ovviamente con il nostro supporto. Dopodichè, per farne un business proprio, devono essere in grado di sganciarsi dalla visione del singolo progetto verticale e per la singola azienda e guardare orizzontalmente le diverse concatenazioni che legano i diversi partecipanti a un ecosistema». Si tratta di partner IT anche tradizionali, ma comunque di fascia alta, in grado di percepire le opportunità derivanti dalle emerging technologies come blockchain ma anche IoT, AI, ecc. L’approccio deve per forza di cose essere consulenziale, e il system integrator che conosce il mercato di riferimento e il business model del cliente può capire e consigliare se e dove inserire una blockchain, vendendo, di fatto, il proprio, fondamentale, valore aggiunto sulla conoscenza del processo.
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IoT, un mercato che si nutre grazie all’interazione con le altre tecnologie
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Giovanni Miragliotta, direttore dell’Osservatorio IoT del Politecnico di Milano
Giovanni Miragliotta, direttore dell’Osservatorio IoT del Politecnico di Milano, racconta come l’Internet of Things da anni stia viaggiando a tassi di crescita del +30%. Un’opportunità per tutti gli operatori dell’ecosistema digitale A che punto siamo con l’IoT? La sensazione è che il mondo dell’Internet delle cose abbia ormai definitivamente superato la sua fase teorica e sperimentale, anche se ovviamente c’è ancora moltissimo spazio di crescita per una sua ulteriore diffusione nel prossimo futuro. Ne è convinto Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio Italiano sullo Smart Manufacturing, sull’Internet of Things e sul NFC & Mobile Payment della School of Management del Politecnico di Milano, che aiuta anche a capire di che cosa stiamo esattamente parlando: «Nella nostra School of Management definiamo l’Internet delle cose come un percorso evolutivo delle tecnologie, in base al quale ogni oggetto può acquisire un’identità digitale e connettersi alla rete Internet. Secondo un’altra versione, più limitata e circoscritta, deve essere inteso come la possibilità di predisporre e distribuire dei dispositivi che consentono di acquisire informazioni dal mondo fisico e portarle verso uno strato applicativo. In ogni caso, è chiaro che gli ambiti di applicazione sono sostanzialmente sterminati, dal momento che è ormai difficile pensare a un oggetto che oggi non
possa essere connesso alla rete». In Italia, complessivamente, secondo i dati del nostro Osservatorio, il mondo dell’IoT genera un fatturato annuale di circa 3,7 miliardi di euro. Di questi circa un miliardo è stato appannaggio dello smart metering gas, un dato che è però stato influenzato dalla massiccia campagna di installazione di questi dispositivi nel 2017. Ci sono però tantissimi altri macro ambiti pronti a fare definitivamente il salto di qualità: tra questi c’è il mondo delle smart car, lo smart building e la smart home, l’Industria 4.0, la logistica ecc. Tanto che le prospettive per il futuro sono estremamente positive: «Il nostro Osservatorio non fa delle stime per il futuro, ma il trend che osserviamo è quello di un settore che cresce con un +30% stabile da alcuni anni. Alcuni macro comparti dell’IoT crescono più o meno degli altri ma, in ogni caso, stiamo parlando di valori di crescita assolutamente sconosciuti al resto del mercato ICT, al di là del fenomeno cloud ». L’Internet of things, proprio per le sue peculiari caratteristiche, non è però una tecnologia che possa vivere di vita propria, ma deve per forza interagire con tutte le altre alla base del mondo digitale, come spiega Miragliotta: «L’IoT, in buona sostanza, è una sorta di “strato” dedicato a colmare il gap esistente tra mondo fisico e digitale, acquisendo i dati che arrivano dalla realtà. Ma, una volta effettuata questa operazione, il compito dell’IoT finisce. Cosa fare di questi dati è demandato ai software e programmi che si occupano della attività di analisi. C’è poi una seconda tecnologia con cui l’IoT va sempre più a braccetto, ossia il cloud, anche perché oggi per l’IoT si realizzano sempre più soluzioni multivendor, dove i dati raccolti sono virtualizzati e gestiti da piattaforme che risiedono sulla nuvola. Un terzo protagonista da citare è l’Intelligenza artificiale: la mole di dati che
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Guardando invece al segmento delle aziende medio-grandi, già oggi quasi la metà di loro ha fatto qualcosa in tal senso, lavorando per l’introduzione di tecnologie specifiche dell’Industria 4.0, grazie anche agli incentivi del Piano nazionale. Certo, c’è una coda lunga di piccole imprese che, come ha avuto difficoltà a interpretare la rivoluzione di Internet, deve ancora fare la tara con l’Internet delle cose e la quarta rivoluzione industriale». Perché l’Industry 4.0 diventi realtà è necessario che i dati eterogenei generati dai dispositivi industriali siano raccolti e inviati secondo protocolli omogenei e standardizzati. «Nell’IoT si sono fatti moltissimi passi in avanti sul tema dell’interoperabilità e degli standard comuni, grazie anche al lavoro di alcuni consorzi. Quello che abbiamo notato in una nostra indagine del 2017 è che per le funzionalità base ormai esistono standard capaci di coprire tutte le necessità». Il punto debole dell’IoT è forse ancora rappresentato dall’aspetto sicurezza: «Spesso le problematiche di sicurezza sono proprio indotte dall’avvento stesso dell’IoT. Basti pensare alla fabbrica, che prima era un sistema sostanzialmente chiuso e che ora invece, con la connessione a Internet, lascia delle porte a disposizione dei potenziali aggressori. Non è poi facile accorgersi di quello che sta succedendo all’interno di un frigorifero o di un router, non è proprio come proteggere un classico endpoint. Nell’IoT, insomma, ci sarà bisogno di grande attenzione al tema della sicurezza», conclude Miragliotta.
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viene prodotta dall’Internet delle cose è straordinariamente grande e meno adatta al trattamento con metodi manuali e può essere risolta soltanto con i sistemi di apprendimento automatici tipici della AI. La quarta tecnologia, con una diffusione in realtà ancora piuttosto debole, è la Blockchain, in quanto alcune applicazioni IoT potrebbero beneficiare dell’esistenza di un sistema capace di certificare in maniera incontrovertibile la provenienza dei dati». Proprio questa preziosa contaminazione con le altre tecnologie spiega perché quasi tutti i protagonisti dell’ecosistema digitale stiano affrontando la partita dell’IoT: «In questa fase sta particolarmente crescendo il peso della parte piattaforma, perché grazie anche agli sviluppi tecnologici, è sempre più possibile appoggiarsi a dei servizi di piattaforma, per facilitare, rendere veloce e performante lo sviluppo dei software che si nutrono dei dati prodotti dai dispositivi IoT. Sebbene si tratti ancora di un mercato tutto sommato piccolo rispetto al complessivo del mercato cloud, c’è già molta battaglia tra gli operatori rispetto alle piattaforme dedicate all’Internet delle cose». Sotto i riflettori, naturalmente è anche da tempo l’Industria 4.0, ovvero l’applicazione dell’Internet of Things all’interno delle realtà industriali. Una rivoluzione che, secondo Miragliotta, ha già preso decisamente piede in Italia: «È evidente che le micro e piccole imprese difficilmente potranno avere la capacità manageriale, le risorse e le competenze per affrontare un fenomeno come l’Industria 4.0.
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IoT à la carte. Le soluzioni che Tech Data confeziona per l’Internet of Things Il distributore sta mappando il canale per cercare competenze e specializzazioni per la creazione di ecosistemi di fornitori IoT da includere in pacchetti semplificati di soluzioni. Enfasi sulla formazione
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Loris Frezzato
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Giovanni Besozzi, IoT business unit manager di Tech Data Italia.
Vincenzo Bocchi, One Software and next generation technologies director di Tech Data Italia
È già da oltre un anno che Tech Data è strutturata per gestire e sviluppare l’offerta afferente all’Internet of Things, un tema al quale il distributore mette a disposizione le diverse tecnologie interessate presenti nel proprio listino e le competenze e il supporto di un apposito team, capitanato da Giovanni Besozzi, IoT business unit manager di Tech Data Italia. Un investimento che ora sta iniziando a portare risultati concreti di attenzione da parte dei system integrator. «IoT per Tech Data significa andare oltre al marketplace e al ruolo di aggregatore - spiega Vincenzo Bocchi, One Software and next generation technologies director di Tech Data Italia -. Il nostro compito è di fare da ponte tra due mondi completamente disgiunti, che è quello degli impiantisti meccanici ed elettrici, che gestiscono sensoristica per questioni di linea, energia, licenza e tutto quanto afferisce al mondo dell’Operational Technology, che deve iniziare a comunicare con la parte IT e le soluzioni avanzate e innovative che può mettere sul piatto. Un lavoro che necessita di una mappatura attenta delle competenze disponibili sul mercato,
a volte riscontrabili anche in soggetti insospettabili per il comparto IT tradizionale. Aziende fino a ieri clienti finali che oggi iniziano a sviluppare internamente soluzioni di IoT o di Industry 4.0 proprie che possono poi essere immesse sul mercato verticale di appartenenza. Un mondo non solo per grandi, ma che vede la partecipazione anche di piccole startup, con idee e soluzioni innovative che nascono già fortemente specializzate, con grandi competenze di nicchia e che si basano unicamente sui servizi. E il nostro lavoro oggi è proprio di censire queste realtà». Per Tech Data, l’approccio al mondo IoT risulta essere un’iniziativa strategica, che esula dal modello classico della distribuzione e che la orienta verso il futuro, precorrendo quella trasformazione del ruolo del distributore che da più parti viene paventata e richiesta. Arrivando anche ad attivare partnership con vendor che hanno riferimenti su altri operatori, nuovi per l’IT, cercando di capire qual è il modello giusto per affrontare questo mercato fatto di competenze diverse. «Il processo di mappatura che stiamo facendo, ci ha portato a stare molto tempo a diretto contatto con il mercato - commenta Besozzi -, e ci ha portato a ritarare e rimodulare il processo di approccio che avevamo adottato inizialmente per affrontare il tema IoT e gli operatori che pensavamo adatti. Una mappatura che è stata fatta soprattutto su brand non noti, cercando quelle realtà nuove e specializzate che possono contribuire a un progetto IoT. Uno sforzo che stiamo facendo per costruire una riconoscibilità dell’impegno di Tech Data su questo mercato, al pari di quello che abbiamo già per
E in questo nuovo ecosistema a cui si punta, bisogna capire come aiutare sia gli operatori provenienti dall’OT, che quelli tradizionali storicamente IT, magari iniziando a fare leva sui vendor con cui si hanno già rapporti, in modo da abilitare il nuovo ecosistema portando consulenti, formatori che possono aiutare la distribuzione. Una cernita di nomi per dare al canale la possibilità di interagire con Tech Data e di crescere nel mondo dell’IoT a seconda del proprio livello di maturità e di posizionamento. «Stiamo lavorando su alcuni punti chiave - riprende Besozzi -. Innanzitutto la qualificazione del canale: abbiamo visitato un centinaio di system integrator e abbiamo capito che c’è molto da fare. Sono, infatti, ancora pochi quelli che hanno deciso di partire in maniera sistematica sul percorso dell’IoT. A oggi ne abbiamo selezionati una quindicina, che sono quelli che secondo alcuni parametri che abbiamo identificato sembrano essere i più interessati a passare da un approccio accidentale all’IoT a uno più sistematico». Un ulteriore aspetto rilevante identificato da Tech Data è la formazione di canale e clienti sui temi IoT. Non tanto sulla tecnologia: di quella già ce n’è abbastanza. Il problema pare essere nell’identificazione di modelli di business con un ROI che sia facilmente comprensibile a chi deve decidere. Per questo motivo Tech Data ha varato all’interno della propria Academy, una serie di corsi indirizzati all’IoT, vendor independent, con attività formative per portare cultura IoT ai partner e ai suoi nuovi interlocutori, sempre meno IT e sempre più strateghi del business. I titoli presenti nell’Academy Tech Data sono espliciti: IoT Startup; Security in ambito IoT; Formazione IoT in ambito Manufacturing e Formazione IoT in ambito Smart Products. Tech Data vuole così dare un proprio contributo all’approccio dell’IoT, personale e non legato a particolari brand, con un’identità propria basata sulle sue competenze in materia e una singolare modalità di offerta che vuole proporre ai system integrator interessati. Soluzioni che potranno avere sia brand tradiziona-
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L’IoT di Tech Data è “à la carte”
Da qui la creazione di una serie di starter kit per mercati verticali , con soluzioni end to end, che il distributore ha chiamato “IoT à la carte”. Le soluzioni contemplate dal “menù” del distributore riguardano lo smart product per il manifatturiero per la gestione del post vendita, come installazione e manutenzione; la gestione della processo produttivo; smart product per la creazione di progetti di connettività e controllo in cloud; Smart Agriculture & food processing per la gestione a garanzia della freschezza dei prodotti; waste management con sensori applicati ai cassonetti della spazzatura o di tank level monitoring per produttori e gestori di carburanti. «Veri e propri pacchetti di soluzioni per agevolare la proposizione ai nostri partner e consentirgli di essere competitivo - conclude Bocchi -. A supporto di ciò, stiamo inoltre organizzando sdei laboratori di hands on, in cui il partner potrà mostrare qualche soluzione in base ai vertical su cui è ferrato, senza teoria, ma facendo toccare con mano a clienti e system integrator, la soluzione e i concreti vantaggi che può portare».
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Un nuovo ecosistema, eterogeneo e fatto di nuovi skill
li, sia vendor nuovi. Attingendo a un ecosistema di vendor partner che parte dal sensore, all’applicazione, con tutto quello che sta in mezzo, con Tech Data che risulta determinante nell’orchestrazione delle varie componenti. In tal modo al cliente si va a parlare in termini di soluzione, e non di prodotto singolo, mentre per il system integrator si offre un modello semplificato d’offerta, in modo da poterlo rendere appetibile dalle aziende di medio-grandi dimensioni ma anche alle realtà più piccole e meno strutturate.
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il mondo IT. E, in secondo luogo, per farci un’idea di come affrontare questo ambito, cercando di capire e razionalizzare gli sforzi da intraprendere e in che direzione puntare per essere maggiormente efficaci. Con il coraggio di fare delle scelte, tenendo sempre presente l’obiettivo della focalizzazione scelta».
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L’Internet of Things di Cisco connette persone, cose e partner specializzati
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Se la rete intelligente è alla base delle tecnologie messe a disposizione del vendor per la costruzione di progetti di IoT, indispensabile rimane la condivisione di competenze realizzabile con ecosistemi eterogenei di partner
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Enrico Mercadante, Responsabile per l’Innovazione, le Architetture e la Digital Transformation di Cisco Italia
L’Internet of Things è ormai un’onda partita che si prospetta essere inarrestabile. Si parla ormai di decine di miliardi di oggetti connessi nel giro di pochi anni, numeri difficilmente misurabili oggi, ma segnale di una tendenza che sta coinvolgendo tutte le tipologie di aziende, in ogni comparto, dal retailer grande o piccolo che sia, all’industria, ospedale, stadio, sistemi di trasporto, stanno iniziando a disegnare una strategia full digital basata sui dati. E se gli oggetti sono connessi, la quantità di dati a disposizione aumenta, a favore di competitività, efficienza e riduzione dei rischi, oltre alla possibilità di organizzare modelli di business fino a oggi inediti. Alcuni mercati sono più dinamici di altri, ma i benefici del modello data driven abilitato dall’IoT sono, per tutti, innegabili, portando a obiettivi di un aumento del revenue, una maggiore conoscenza dei clienti e dei loro comportamenti, sia digitali, sia fisici, rilevati da sensoristica specifica. «Ma l’IoT in ambito business ha finalità positive anche nel risparmio e nell’ottimizzazione nelle operation che, rese più flessibili, consentono di riconfigurare linee industriali in minor tempo, fare maintenance predittiva o proattiva, gestire la logistica, ecc, tutto basato sui dati generati
e trasmessi dalla sensoristica IoT» commenta Enrico Mercadante, responsabile per l’Innovazione, le architetture e la digital transformation di Cisco Italia. Che prosegue: «Un ulteriore beneficio derivante dall’IoT è poi sul fronte della sicurezza, quella fisica sul posto di lavoro e delle infrastrutture, a cui si aggiungono i rischi della sicurezza cyber. Per aprirsi poi a concetti di servitizzazione, a cui molti produttori italiani di macchinari si stanno orientando, magari per mettere (vendere) i dati raccolti in IoT a disposizione di operatori del settore di riferimento». Infine, anche se non ancora attuale ma a tendere a breve, le applicazioni IoT collegate all’Intelligenza Artificiale la quale, se non è una novità dal punto di vista della programmazione, può oggi avvantaggiarsi proprio dalla grandissima mole di dati di cui può disporre per le sue elaborazioni, grazie alle nuove infrastrutture e le alte capacità computazionali consentite. Moli di dati che servono ad alimentare ed educare gli algoritmi elaborativi e che potranno portare un vantaggio competitivo alle aziende che saranno in grado di gestire i dati delle infrastrutture e del business dei propri clienti, in modo da automatizzarne i processi. E per quanto riguarda l’Italia, i progetti sono sempre più numerosi, segno che le aziende stanno percependo i vantaggi dell’adozione dell’IoT all’interno dei loro processi di gestione e di produzione. Un mercato particolarmente sensibile è quello delle Utilities, attento a temi quali smart grid, monitoring per gas, energia o rete idrica, dove importanti sono gli aspetti della sicurezza sul lavoro e della manutenzione predittiva o ottimizzata. Anche la manifattura, che traina l’Industry 4.0, contribuisce al comparto, spinta anche dagli sgravi fiscali, interpretando il tema con progetti di connessione delle macchine per averne informazione in real time per una maggiore sicurezza e manutenzione o per gestione magazzini
Ecosistema di partner essenziale per lo sviluppo dei verticali IoT
Uno scenario nel quale ben si cala la strategia e l’offering di Cisco, tradizionalmente focalizzata nel connettere persone e cose in sicurezza. «L’IoT è il nostro ambiente naturale - afferma Mercadante -, andando a collegare e ad attivare lo scambio e l’utilizzo di dati tra applicazioni, oggetti e persone, promuovendo una piattaforma sicura per il business. La connettività non deve, quindi, avere problemi, andando a fare un uso intelligente delle reti preesistenti in azienda, migliorandole e rendendole maggiormente gestibili e in grado di riconoscere l’oggetto, metterlo in sicurezza e di controllarne l’aggiornamento di firmware. E perché sia possibile la rete deve essere automatizzata e intelligente, capace di gestire le connessioni al cloud ma anche all’edge». Tutta l’offerta strategica di Cisco è ormai pervasa dalle tematiche che coinvolgono la rete intelligente e le connessioni estese, lasciando spazio alle declinazioni necessarie alle infinite verticalizzazioni, un’offerta supportata da una intensa attività di ricerca e sviluppo e di risorse di vendita dedicate, sulla quale si sta via via venendo a creare un vero e proprio ecosistema di partner e di alleanze tecnologiche, fondamentale e critico proprio per l’IoT dove, a differenza di altri ambiti IT, si vanno a coinvolgere competenze verticali suidiversi mercati.
Tutte le piattaforme messe a disposizione dal vendor devono poi essere verticalizzate per i singoli mercati, un’attività che Cisco delega al proprio ecosistema dei partner, il quale comprende i partner IT classici, tra i più rilevanti «che devono lavorare a stretto contatto con i partner di operation technology, che sanno entrare in una fabbrica, che sanno come installare uno switch in ambienti industriali - assicura Mercadante -. Un mix dove si lavora insieme pur mantenendo ognuno il proprio ruolo. A questi si possono poi aggiungere i fornitori di servizi cloud e anche le software house, ISV, startup, ossia chi sviluppa applicazioni molto specifiche. Le dinamiche sono nuove: non è più il grande system integrator che si assicura la commessa e coinvolge altri in subappalto. Il nuovo modello di canale è orientato a più attori, piccoli o grandi che siano, ognuno con le sue specificità ma ognuno con la stessa dignità per contribuire alla soluzione al cliente. In questo scenario anche il distributore può avere un ruolo importante. Magari creando dei pacchetti perconfigurati con il software, l’hardware, il server, il cloud di fornitori diversi, costruendo soluzioni per specifici mercati, utili ai partner per velocizzare la proposizione con soluzioni per la digitalizzazione ready to go».
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L’interpretazione dell’IoT di Cisco
Le tecnologie di Cisco che patecipano ai progetti di IoT si basano prevalentemente sull’infrastruttura di rete, costruita con criteri adatti al trasporto intelligente dei dati. Un’ulteriore linea di prodotti reclutati riguarda il sock che permette di portare i dati in maniera sicura ed esporli alle varie applicazioni anche nei vari cloud, evitando così la struttura a silos. Una piattaforma IoT di connettività e di brokering di dati che si chiama Kinetic, in grado di inviare il dato a vari cloud o al core IT in caso di elaborazioni in real time. Infine, Jasper, una connectivity management platform, proveniente da un’acquisizione di circa 2 anni fa, che gestisce SIM IoT realizzate in partnership con i maggiori provider di servizi mobili.
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Le tecnologie Cisco messe a disposizione
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e logistica. Poi, ancora, i trasporti. Sia per i luoghi, come aeroporti, stazioni, porti, per gestione tracking, sicurezza e logistica, sia per le infrastrutture, con ferrovie, navi, sempre più complesse e sempre più ricche di sensori. Quindi il retail, con uno spettro di adozione ampissimo, dove si trovano realtà che hanno raggiunto alti picchi di digitalizzazione, per la gestione del mall e del personale di vendita in maniera ottimizzata, in contrasto con altre che invece non se ne curano affatto. Infine, il tema delle smart city, nell’accezione dei servizi digitali a favore dei cittadini. A queste si aggiungono l’education, per la remotizzazione dell’esperienza, mentre per l’healthcare si punterà verso le diagnosi da remoto. Ma nel prossimo futuro.
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Osservatorio Cloud: per il canale un’opportunità per investire in innovazione L’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano include anche una survey su 356 operatori di canale per capire l’impatto sul loro business, sulle loro filiere, sulle loro relazioni
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Maria Teresa Della Mura
Cresce e cresce ancora a due cifre il mercato cloud in Italia. Secondo il rapporto Cloud Transformation dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, rispetto al 2017 si parla di una crescita complessiva del 19 per cento, che ha portato il comparto a superare la soglia psicologica dei 2 miliardi di euro (2,336 per la precisione), con un incremento ancora più significativo per la componente Public e Hybrid, che cresce a sua volta del 28 per cento, fino a 1,24 miliardi di euro. Il cloud, emerge dalla ricerca, ha un livello di penetrazione sempre più profondo nelle imprese italiane e viene sempre più frequentemente visto come abilitatore di nuovi modelli di business, di nuovi modelli relazionali, di nuovi modelli di ricavo. Un impatto che coinvolge evidente-
mente anche le filiere del mondo digitale e che la ricerca ha voluto indagare, interpellando 356 operatori del canale, abbastanza equamente ripartite a livello dimensionale. In primo luogo, si è voluta esaminare la composizione dell’offerta cloud degli operatori di canale, sia in termini di proposizione attuale, sia in termini di prossima introduzione. Sottolinea Andrea Gaschi, Senior Advisor dell’Osservatorio Cloud Transformation: «Per gli operatori del canale ancora i servizi PaaS rappresentano l’ambito nel quale vedono opportunità di crescita di creazione di valore. Il Cloud viene considerato un abilitatore chiave per ambiti come Big Data Analytics, Collaboration, Artificial Intelligence, Cognitive Computing, Internet of Things».
Offerta di servizi Public Cloud del canale italiano Gestione della sicurezza
Sviluppo e monitoraggio applicazioni e integrazioni
Saas
SW per processi di supporto
SW per processi IT
Serverless computing Computing & Networking
xxxs
DBMS DB & Business Continuity
15%
Paas
SW per processi core
App Server
Storage
35%
Offerta attuale in Public Cloud
Campione: ??? Non leggo!!! Fonte: Osservatori.net ????
Introduzione futura
Edge computing
5%
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15%
Componenti di servizio
Ma come si “attrezzano” gli operatori per essere pronti a gestire i cambiamenti? Secondo l’Osservatorio, “Appare chiaro che la grande sfida per i player del canale che vogliono posizionarsi all’interno dei mercati relativi ai trend emergenti è lo sviluppo delle competenze necessarie per la creazione dei nuovi servizi e la gestione del loro go-to-market”. La logica di ecosistema comincia a farsi strada: perché se è vero che nel 69 per cento dei casi esiste una forte attenzione alla crescita delle competenze e dell’offerta
I trend evolutivi dell’offerta Cloud
AR & VR
Sjyfjgkjgk kgkjhjk hgkujg khgkhkh htfkyf ,gkugkgh nhdhtg j,gu kg kjgkjg kgkg
All & Cognitive
Big Data Analytics
IoT & Edge
Industra 4.0 Collaboration Security & Cyberintelligence
5%
40%
Impatto strategico attuale
del 44% delle aziende. Big Data Analytics e la Collaboration sono presenti nel portafoglio di offerta del 38% e del 37% degli operatori. E sulla Collaboration intende investire nei prossimi anni il 35 per cento degli interpellati. La componente di offerta IaaS è al momento ben presente nel portafoglio di offerta degli operatori, in particolare per quanto riguarda la componente Storage. In prospettiva, l’8% degli interpellati considera prioritaria la disponibilità di sviluppare una propria offerta di Edge Computing. E di nuovo Internet of Things ed Edge Computing sono ambiti tecnologici e di business destinati ad avere un impatto importante per il 36 per cento dei partecipanti alla ricerca, mentre Cognitive Computing e Intelligenza Artificiale condizioneranno, positivamente, le strategie future del 44 per cento dei rispondenti.
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50%
Blockchain
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Focus sugli ecosistemi
A livello più generale, dall’analisi dell’Osservatorio emerge che il canale mantiene elevato il proprio interesse sui servizi PaaS, dove percepiscono le maggiori opportunità di crescita e di creazione di valore aggiunto, in particolare nelle soluzioni di Analytics, Data Governance e Data Quality, Artificial Intelligence, che fanno già parte dell’offerta
Campione: 356 operatori di canale Fonte: Osservatori.net ????
Interessante, nella disamina proposta da Gaschi, la visione degli operatori di canale sull’offerta cloud: se al momento l’attenzione si concentra su aspetti più “noti”, come la collaboration, i Big Data e gli analytics, la sicurezza o ancora le wave legate a Industry 4.0, IoT ed Edge Computing, nel futuro saranno Big Data, IoT, Intelligenza Artificiale a guidare una modifica non semplicemente dell’offerta, ma anche e soprattutto delle competenze interne. Nell’orizzonte di alcuni partner comincia a comparire anche la Blockchain: potrebbe avere un forte impatto strategico, ma ancora per una percentuale minoritaria di operatori.
Qualche numero in più
Impatto previsto per il futuro
Dalla collaboration ai servizi cognitive: dove guarda il canale?
specifica, sia integrando nuove risorse in azienda, c’è comunque un 68 per cento di operatori che pensa alle partnership in una logica di contiguità e di arricchimento con la propria offerta di base. Un quarto degli interpellati, e anche questo è un segnale di cui tener conto, prende in esame anche ipotesi di fusioni e acquisizioni, per portarsi in casa quei tasselli che al momento mancano.
20%
Ma non si tratta di sole numeriche e di percentuali. Lo studio si è posto anche l’obiettivo di indagare quale sia l’impatto del Cloud sul modello operativo, sia in termini di customer relationship, di project delivery, di gestione operativa. La prima evidenza che emerge, e che i partner riconoscono, è che il SaaS sia la piattaforma che consente di sperimentare nuovi servizi velocemente e a costi contenuti. Non solo. Per questa tipologia di progetti, cambiano ownership e referenti, tanto che quando si parla di cloud, le line of business sono gli interlocutori degli operatori di canale. Nell’ambito della project delivery, gli operatori di canale interpellati evidenziano una serie di benefici evidenti: provisioning più veloce di ambienti di sviluppo, test e produzione (72% dei rispondenti), semplificazione delle fasi di progettazione, realizzazione e testing (66%), maggiore produttività (62%), possibilità di gestire progetti IT in modalità agile (53%). Infine, quando si parla di operation management, il cloud viene visto come opportunità di semplificazione sia nelle fasi gestionali, sia in quelle di misurazione e reporting.
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L’impatto del cloud sul modello operativo interna, sia attraverso iniziative di formazione
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2018
SLAB
TECHCO
MPANIE
CLOUD
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Maria Teresa Della Mura
Cloud e Canale, un rapporto che ha bisogno di crescere Da un survey IBM un interessante scenario del rapporto tra operatori di canale e il cloud. Esistono ancora barriere, soprattutto culturali, da abbattere, prima che il modello “everything as a service” prenda effettivamente piede Da una dozzina d’anni ormai ci si è interrogati su come e quanto il cloud avrebbe rappresentato per gli operatori del canale una minaccia, una sfida, oppure un’opportunità. Oggi che il cloud è una realtà concreta, entrata a pieno titolo nelle strategie del 90 per cento delle imprese italiane, e che dal cloud di piattaforma, nelle diverse declinazioni di PaaS, IaaS e SaaS, si sta sempre più decisamente passando a un modello “Everything as a Service”, con logiche multicloud, quale è il rapporto tra il cloud e i player del canale? Quali sono le leve strategiche, quali sono gli ostacoli e quali le opportunità che si stanno effettivamente cogliendo? Sono queste le
domande alla base di una survey condotta dal Network Digital360 in collaborazione con IBM e sviluppata nla scorsa estate su un campione di 240 operatori italiani, system integrator, il 49 per cento dei quali con un giro di affari compreso tra 1 e 10 milioni di euro, il 36 per cento dai 10 ai 25 milioni e il 10 per cento con un fatturato annuo ancora superiore.
L’adozione del modello as a service
A questi player è stato chiesto, in una fase inziale, se il cloud rappresenta già una delle modalità con le quali erogano servizi e applicazioni ai loro clienti. Se è vero che oltre la metà degli interpellati risponde positivamente alla domanda, resta un 30 per cento di aziende con un commitment molto meno marcato e, cosa ancor più rilevante, un buon 18 per cento di aziende che decisamente non hanno intrapreso alcun passo in questa direzione. Questo significa un 48 per cento di realtà per le quali il cloud non rappresenta un’opportunità o un nuovo modello di business. Una percentuale importante, che ha richiesto un ulteriore approfondimento sui motivi che tengono gli operatori del canale lontani dal cloud. Quel che ne emerge è un problema culturale non irrilevante: quasi il 40 per cento degli interpellati in qualche modo “scarica” la responsabilità sui loro clienti, poco interessati al tema e al cambiamento, il 18 per cento attribuisce la “colpa” a una scarsa conoscenza del modello o ancora alla poca chiarezza normativa, soprattutto in tema di sicurezza e privacy. Sono dati interessanti, soprattutto se comparati a quanto emerge dal Rapporto dell’Osservatorio Cloud Transformation della School of Management del Politecnico di Milano (di cui parliamo più diffusamente alle pagine 40 e 41 - ndr), dal quale emerge un mercato più maturo e probabilmente “cloud ready” di quanto
più oggettivi sono invece gli altri ostacoli indicati dai rispondenti: la consapevolezza di avere scarsa conoscenza delle soluzioni presenti sul mercato, che dunque dovrebbe tradursi in uno stimolo ad ampliare i propri orizzonti, e i timori legati all’integrazione con le soluzioni già esistenti nelle imprese.
Dove investe chi investe?
Francesco Casa, Director Global Business Partner Italy di IBM, si dichiara positivamente colpito dai dati che emergono dalla survey. «In IBM, la componente di revenue legata agli strategic imperative, come il cloud, si attesta sul 46 per cento e in Italia non supera il 40%. Avere dunque oltre il 50% di operatori di canale già attivi sul cloud è sorprendente in modo positivo, anche se è vero che molti ancora si focalizzano sulla mera rivendita». Secondo Casa, dai dati della ricerca emerge la paura del canale sulla possibilità di mettere in crisi un modello con il quale è fino ad oggi cresciuto. «Adottare il cloud pone il canale di fronte a un dilemma: da un lato i clienti, le aziende, chiedono modelli as a service, dall’altro loro stessi non sono ancora pronti a mettere in discussione un modello finanziario sul quale le loro aziende sono costruite. Si focalizzano ancora sugli aspetti meramente tecnologici, probabilmente senza realizzare appieno che il tema è di business». Casa sottolinea come stia cambiando anche il sales model: non si lavora più “one shot”, si lavora sulla fidelizzazione. «Si lavora sulla costruzione dell’abito su misura e sull’upselling sul già venduto», spiega ancora Casa. È comunque un processo irreversibile, sul quale IBM sta lavorando attivamente. «Stiamo guardando a tre tipi di fenomeni. In primis la trasformazione di alcuni partner esistenti, che mostrano già lungimiranza verso l’innovazione. In secondo luogo, guardiamo a nuovi operatori e partner che ancora non sono nella nostra galassia, ma che abbiano adeguata capacità finanziaria e di reach. Infine, ci interessano i system integrator che vendono proprie soluzioni costruite con asset presi dal mercato». In questo caso, IBM mette a disposizione asset che è possibile utilizzare a consumo. Il system integrator, a sua volta, prende ciò che gli interessa e lo usa per costruire altro. «Il system integrator consuma i miei asset, con una modalità contrattuale nuova - spiega ancora Casa -. È qui che entra in gioco la servitization e in casa IBM lo stiamo facendo sotto l’ombrello Watson. Gli elementi di Watson sono parte di un catalogo di prodotti/servizi che il partner può usare a consumo per costruire le sue soluzioni».
Quali ostacoli all’orizzonte
Così, alla domanda sugli ostacoli che il canale vede allo sviluppo di soluzioni cloud presso i clienti, oltre il 50% dei rispondenti evidenza le proprie preoccupazioni sulla sicurezza dei dati, sull’effettiva compliance in materia di privacy, sulla performance e sull’affidabilità. Sono temi tutto sommato non nuovi e che ci si aspetterebbe essere ormai superati. È per questo che la sensazione è che gli ostacoli siano più probabilmente blocchi che i partner si autoimpongono, per timore di sovvertire troppo radicalmente il proprio business tradizionale. Meno psicologici e
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La visione di IBM
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È questo un punto cruciale, che interessa anche quel 52% di operatori del canale che nel cloud dichiara di aver iniziato a investire. In effetti, l’indagine promossa da IBM e Network Digital 360 ha voluto analizzare anche quale direzione abbiano preso o stiano prendendo gli investimenti degli operatori del canale. In questo caso se è vero che le attività di pura rivendita interessano ancora un buon 48 per cento di realtà, c’è comunque un ben più significativo 61% di operatori (la domanda consentiva risposte multiple) che sul cloud sviluppa servizi propri e che utilizza le tecnologie dei vendor di cui sono partner come base sulla quale costruire una propria offerta, unica dunque sia in termini di proposition, sia in termini di valore, sia in termini di differenziazione rispetto ai loro competitor. Non siamo comunque ancora arrivati a un totale convincimento. Se quasi metà dei rispondenti si dice convinta che lo spostamento verso il business “as a service” possa rappresentare un’opportunità di attrarre nuovi clienti e quasi il 30 per cento lo consideri un’occasione per migliorare la relazione con i clienti esistenti, le maggiori opportunità nello sviluppo di un business “as a service” vengono identificate nelle applicazioni più tradizionali: storage e backup, CRM, ERP, Security. Quella che ancora manca è una visione più convinta verso ambiti nuovi, come IoT, Industry 4.0, Artificial Intelligence, che trovano nel cloud il vero abilitatore e per i quali probabilmente gli operatori di canale non ritengono di avere adeguate competenze e risorse.
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non siano gli operatori di canale italiani. Di primo acchito sembra probabilmente più sincero quell’11 per cento di rispondenti che ammette il proprio timore di veder cannibalizzato il proprio business tradizionale. Scarsa conoscenza, dunque, e il più classico dei timori, quello del cambiamento, rischiano di tenere gli operatori del canale lontani da questa tecnologia.
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System Integrator italiani, un viaggio senza fine verso la specializzazione Una categoria di operatori in espansione e in evoluzione, che dopo l’onda del cloud sta iniziando ad affrontare un futuro di verticalizzazioni sulle new tech digitali
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Loris Frezzato
Non più rivenditori, non reseller o dealer, e poco anche VAR. Con l’affrancarsi di un modello di mercato che minimizza i margini derivabili dalla transizione a volume di prodotti, qualsiasi riferimento alla pura vendita pare essere scomparso nella descrizione di quelle realtà che forniscono di tecnologia ICT le aziende, e il termine System Integrator ormai sembra essere quello nel quale la maggior parte delle terze parti ICT, a torto o ragione, si riconosce. Ma prima di “autocertificarsi”, cerchiamo di capire cosa si intende per System Integrator.
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Siamo tutti un po’ system integrator
Da glossario, System Integrator è un integratore di sistemi. Facile da tradurre. Nasce come integratore, appunto, di differenti tecnologie all’interno di un progetto complesso, che per sua natura è impossibile da realizzare con un unico prodotto o con soluzioni di un unico brand. A discolpa del “sedicenti” System Integrator attuali, sta comunque il fatto che il numero di apparati, tecnologie e relative competenze specialistiche all’interno di un progetto, oggi è notevolmente aumentato, mettendo in azione talmente tanti ingredienti che il rivenditore di un tempo, fortemente focalizzato sull’hardware, o software, che aveva a scaffale, farebbe davvero fatica a comprenderne le possibili interazioni in un contesto eterogeneo e multibrand. Ma quelli erano i tempi del legacy, tanto cari ai vendor di allora, che per anni si erano fidelizzati canale e clienti, plasmando, di conseguenza, una rete di partner
a proprio uso e consumo, la cui principale funzione fosse di fornire e manutenere i propri prodotti. E solo quelli. Se un tempo i System Integrator identificavano prevalentemente la grande azienda partner con presenza internazionale, oggi la possibilità di fregiarsi di tale titolo esula dalle dimensioni aziendali. L’evoluzione del mercato e dei rapporti tra i vari attori che compongono il canale, ha portato ad eccedere alla qualifica di System Integrator anche piccole realtà, che si stanno proponendo sul mercato grazie alle loro specializzazioni su aree particolari. Dato ormai per assodato che non esiste più da parecchi anni il “on stop shop” nel canale ICT e nemmeno nel panorama dei vendor, si è venuto a creare una rete di operatori, piccoli, medi o grandi che siano, in grado di interagire e cooperare tra di loro, facendo sinergia delle loro competenze specifiche su alcuni temi. I clienti hanno tagliato il cordone ombelicale con i brand che tempo fa li teneva ancorati con le proprie soluzioni blindate, consapevoli di poter trovare dei best in class in ogni ambito ed esigendo di avere il meglio delle diverse tecnologie all’interno dei loro progetti, senza vincoli o ricatti. Un melting pot tecnologico che deve avere come unico obiettivo l’ottenimento di risultati di business. Indipendentemente dal marchio che ha.
Più consulenti di business che fornitori
Da qui la crescente responsabilità richiesta al System Integrator, o in generale ai fornitori di
Nasce, quindi, nelle aziende la necessità di avere interlocutori che conoscano, certamente il proprio ambito di mercato verticale, ma che abbiano competenze specifiche su determinate aree tecnologiche. O, nel caso di lacune, che siano in grado di organizzare un team di aziende con competenze complementari per risolvere i vari aspetti richiesti dal progetto di innovazione digitale. Il compito del System Integrator si estende, così, da quello di integratore di tecnologie differenti e di vari brand a quello più ampio di “Skill Integrator”, capoprogetto che, se non le possiede già al proprio interno, identifica e aggrega competenze e specializzazioni in modo da portare in casa del cliente le migliori soluzioni atte a ottenere i risultati prefissati. Si tratta di un modello di interpretazione della fornitura tecnologica che negli ultimi anni ha pagato. Nel giro degli ultimi 3 anni, secondo i dati
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System Integrator anche un po’ Skill Integrator
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tecnologie, da parte del cliente, il quale diventa, o potrebbe diventare, unico interlocutore tecnologico se in grado di mostrare competenze consulenziali e agnostiche da ogni brand. Con il mutare del ruolo tradizionale dei CIO e l’estendersi della consapevolezza digitale all’interno delle aziende, cambiano i pesi decisionali per gli acquisti di tecnologia, che oggi non riguardano più solo i prodotti, ma indicano progetti atti a risolvere problematiche o esigenze spesso sollevate dal board aziendale o da figure manageriali fino a qualche tempo fa molto lontane dalla tecnologia. Va da sé che la fiducia nel System Integrator e sulla sua capacità di calarsi nel business del cliente stesso, diventa fondamentale per le aziende, che si fidelizzano presso un vero e proprio partner, più che fornitore, ingaggiato per ottenere, insieme, l’obiettivo prefissato: l’aumento e l’ottimizzazione del proprio business come elemento competitivo sul loro specifico mercato.
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di Partners4Innovation, dei 10.861 operatori ICT italiani con fatturato oltre i 500.000 euro, la categoria dei partner a valore, ossia system integrator e ISV, ha aumentato il proprio EBITDA margin dell’1%, mentre i classici reseller hanno perso l’1%, stessa perdita anche per quei partner definiti ibridi: un po’ volume e un po’ valore. Una crescita basata soprattutto su 3 pilastri: Cloud Computing, Dati e Security.
A ognuno la sua specializzazione
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Se fino a qualche tempo fa il termine System Integrator poteva evocare ampie competenze sufficienti a soddisfare qualsiasi esigenza tec-
L’ecosistema che porta innovazione nologica di un’azienda, con l’evoluzione delle tecnologie nei diversi ambiti si è venuta a creare una serie di specializzazioni di tema anche tra i system integrator. Infrastruttura, sicurezza, applicativi sono state le prime diramazioni su cui questi operatori hanno convogliato le proprie attività e conoscenze, diventando specialisti nel loro ambito e “ingranaggi” fondamentali in progetti complessi che vedano sinergia e complementarietà di soluzioni e certificazioni diverse.
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Un nuovo mondo aperto dal Cloud Computing
Tutto questo già prima dell’avvento del Cloud Computing, che se in primis poteva generare timori di disintermediazione dei fornitori di tecnologia ai clienti, successivamente si è invece rivelato trampolino per nuove opportunità di business basate su nuovi parametri e improntate sui servizi e su nuovi modi di intendere e sfruttare l’infrastruttura. Una volta compreso il nuovo ruolo ricavabile dall’evoluzione scatenata dal cloud, i System Integrator (e i distributori stessi) hanno quindi iniziato il loro processo di adattamento, sfruttandone appieno le potenzialità, ponendosi come creatori ed erogatori di servizi a consumo o anche come tramite commerciale per la vendita di servizi altrui.
System Integrator e Service Provider, due linee evolutive della specie Reseller
Da qualche anno, quindi, i servizi sono entrati a pieno diritto nell’offerta dei System Integrator, che in base all’impegno in tale ambito, possono quindi fregiarsi del nuovo appellativo di Service Provider, ossia operatori che ai servizi erogati attraverso infrastrutture cloud devono ormai gran parte delle proprie entrate. Servizi che hanno, dicevamo, come infrastruttura abilitante il Cloud, e che si contraddistinguono per evitare ai clienti l’investimento in infrastrutture “fisiche” proprie e sfruttare invece la flessibilità tipica di un’offerta as-a-service, ossia che consente ai clienti di fruire solo di quel che serve e di pagare, di conseguenza, solo quel che si utilizza.
Il cloud e la rivoluzione delle forze vendite Il cloud, una volta “digerito” come nuovo paradigma di approccio ai clienti, ha di fatto aperto un nuovo ricchissimo mercato fatto di servizi, al quale molti system integrator italiani si sono affidati per affrontare nuovi business, per i quali hanno dovuto rivedere modalità di gestione del licensing, dei tempi di TCO e di remunerazione, abituando, di fatto, la propria forza vendita ad abbracciare un modello estremamente diverso dal precedente, che punta alla fidelizzazione nel tempo del cliente su entrate distribuite nel tempo, piuttosto che a commesse sostanziose e a cassa immediata. Le offerte di servizi as-you-go, infatti, si pagano e si vendono col tempo, con canoni periodici o in base al loro utilizzo. Ma sono tante le declinazioni dei servizi consentiti, che vanno dalla fruizione di applicazioni, all’utilizzo di infrastrutture di terzi, all’uso come piattaforma per lo sviluppo stesso delle applicazioni e altre modalità si stanno prospettando. Date le premesse, sono ormai molti i system integrator che in Italia si sono votati a un’evoluzione volta alle specializzazioni. Dimostrano già competenze di varia natura ma oggi ancor più sono destinati a ulteriori specificità negli skill, mossi dal crescere dell’interesse verso le new tech digitali, Big Data, Blockchain, IoT, Industry 4.0, Intelligenza Artificiale, e altre ancora, oltre alle loro, sempre più numerose, declinazioni, alle quali i System Integrator saranno chiamati dai propri clienti a dare risposte e declinazioni per ottimizzare i propri business.
D i g i tal 4 Tr ade per OV H
Per fare funzionare il Partner Program a OVH servono anche partner selezionati La rete di Partner qualificati organizzata grazie al partner Program riveste un’importanza fondamentale nella strategia di vendita di OVH
Servono Partner selezionati
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Ecco perché, aggiunge Faccenda «Attualmente sul mercato non c’è molta distanza tra quello che offre OVH e quello che si aspetta il cliente finale ma registriamo una forte mancanza di competenze che, talvolta, mettono a rischio anche l’adozione del cloud. Avere un programma dedicato a colmare questa distanza e una rete di partner in grado di chiudere il gap rappresenta un importante valore aggiunto per la soddisfazione dei nostri clienti».
«L’efficacia di un programma sta nella competenza dei partner che vengono selezionati; laddove i clienti non trovano la preparazione idonea a risolvere determinate problematiche è possibile che possa entrare in atto un processo di disaffezione. Non è però il nostro caso. Come detto, OVH conta sul territorio circa 600 eccellenze altamente preparate capaci di supportare al meglio i clienti nell’implementazione delle nostre soluzioni di ultima generazione» spiega Faccenda. Trattando una tematica così importante come quella del cloud, i partner OVH chiedono di essere continuamente aggiornati e informati sulle ultime novità. Per questo motivo la società transalpina ha in programma sessioni di formazione costanti, così da permettere ai reseller di offrire clienti finali un servizio puntuale e a valore aggiunto. L’impegno da parte di OVH, d’altro canto, non manca di certo: come emerso nel recente OVH Summit di Parigi, per proseguire nei propri obiettivi di crescita il gruppo mette in campo un piano di investimenti importanti, che prevedono 300 milioni di euro nel 2018, per continuare sulla strada che vede la presenza dell’azienda nei quattro continenti con 28 data center e 356mila server. L’obiettivo finale del vendor è dare vita a un’alleanza europea del digitale che sia in grado di dare vita a un ecosistema nuovo fondato sui valori europei, che sia in grado vincere la sfida con i giganti d’oltreoceano.
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Dionigi Faccenda, Sales Manager Italy, Spain, NA e LatAm di OVH
Il cloud è stato per lungo tempo visto come un pericolo per il canale: il timore diffuso era che comportasse l’avvio di un pericoloso processo di disintermediazione. La storia, poi, ha messo in luce quanto questa tesi fosse semplicistica, tanto che uno degli attori protagonisti del cloud europeo, alla luce del nuovo posizionamento annunciato al recente Summit come “World Wide European Alternative Cloud provider”, la francese OVH, punta forte sul suo canale, con un Partner Program che resta insostituibile per gestire la relazione, come spiega Dionigi Faccenda, Sales Manager Italy, Spain, NA e LatAm di OVH. «OVH offre un portfolio di servizi e soluzioni molto ampio, lasciando a chi li utilizza la piena autonomia della loro gestione. Grazie al Partner Program mettiamo a disposizione dei clienti - siano essi aziende o utenti privati - dei Managed Service Provider in grado di supportarli nell’implementazione e nella gestione dei propri progetti IT e dell’infrastruttura. Per questa ragione i nostri partner sono presenti su tutto il territorio nazionale e assume un’importanza fondamentale nella nostra strategia di vendita. Il nostro Partner Program oggi conta circa 6.000 aziende clienti a livello globale, 600 delle quali italiane. Aziende selezionate con cura tra quelle con eccellenti competenze tecniche, formandole in modo che siano in grado di offrire soluzioni puntuali ed efficaci, qualsiasi sia il loro settore di interesse». OVH, d’altra parte, innesta la relazione con i propri partner secondo un modello chiaro: la società mette a disposizione un hardware per la gestione diretta dell’utente, proprio per evitare qualsiasi tipo di competizione con i partner.
D i g i tal 4 Tr ade per Ver i tas
Da Veritas una Business Continuity che mette al riparo da qualsiasi rischio
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Le soluzioni del vendor, distribuito da Computer Gross, vanno dai sistemi di backup all’archiviazione dei dati, strutturati e non, in cloud o on premise La crescita del volume dei dati digitali è sotto gli occhi di tutti, per effetto soprattutto del rapido incremento dei dati non strutturati, come ad esempio quelli generati dai video e dai social media, che viaggiano a un ritmo di crescita del 4080% annuo. Oltre agli aspetti tecnologici, ci sono altri fattori che influiscono sullo sviluppo dei volumi: come la necessità, sempre più richiesta dalle normative, di conservare i dati nel lungo termine (long term retention - LTR), per rendere possibile il backup e l’archiviazione. Oltre alla compliance, esistono altre ragioni che spingono alla conservazione dei dati nel tempo: molte aziende manifatturiere, per esempio, specie quelle impegnate nella produzione di beni durevoli, hanno bisogno di conservare tutte le informazioni relative al prodotto per la sua intera durata di vita, che può essere anche di decenni. Esigenze di questo tipo sono avvertite anche da aziende che si occupano di tutt’altro, come quelle impegnate nella videosorveglianza, per non parlare di quelle del mondo sanitario. A prescindere dalla provenienza, è indubbio che le aziende di tutti i settori debbano conservare sempre più dati non strutturati nel lungo termine: un obbligo che non è certo semplice da attuare e che, anzi, pone più di un problema alle organizzazioni, innanzitutto da un punto di vista dei costi (in un periodo in cui i budget aziendali dedicati all’IT sono costantemente sotto esame). In linea di massima la gestione nel tempo, in maniera sicura ed efficiente dei dati non strutturati, passa per tre diversi punti: • La riduzione del tempo necessario per recuperare i dati sulla base di accordi di servizio più stringenti, così come di obiettivi di recovery più ambiziosi • La gestione dei rischi associati ai dati che, come detto, devono essere conservati per ragioni di sicurezza, governance e compliance. • Il miglioramento degli economics, ovvero la
possibilità di estrarre insight da questi dati per necessità di analytics, customer experience e quant’altro, in modo da aumentare le opportunità di business. Da un punto di vista tecnologico, la strada giusta per rendere possibile il raggiungimento di questi 3 punti risiede in un approccio ibrido, che renda possibile alle aziende ottenere flessibilità, effi-
cienza di costo e semplicità di gestione. La tentazione delle aziende potrebbe essere quella di spostare tutti questi dati sul cloud pubblico, scelta che però si scontra con la perdita di controllo (e i rischi connessi) che il cloud di per sè comporta.
Veritas Access gestisce il backup dei dati non strutturati Una strada alternativa possibile c’è ed è quella proposta da Veritas con Access, una soluzione che offre alle organizzazioni un metodo semplice, software defined e scalabile per lo storage
D i g i tal 4 Tr ade per Ver i tas
soluzioni basate su cloud e virtualizzazione, che vanno ben oltre quanto possono garantire i sistemi tradizionali di backup. La soluzione Veritas si caratterizza per alcune caratteristiche fondamentali. Innanzitutto la completezza, proponendosi come unica soluzione per la protezione dell’intero data asset, supportando la virtualizzazione di qualsiasi server, sistemi di storage, hypervisor, database, applicazioni e piattaforme cloud usati nei moderni ambienti enterprise. In secondo luogo, la scalabilità, che la rendono in grado di adattarsi alle esigenze di crescita delle aziende in forte sviluppo grazie alte performance, intelligent automation e gestione centralizzata basata su un’architettura flessibile e multitier. Infine, la capacità di integrazione, che consente a NetBackup di inserirsi in qualsiasi punto dell’architettura per migliorarne l’affidabilità e le performance. Una delle caratteristiche che contraddistinguono gli ambienti IT moderni è, infatti, l’eterogeneità di piattaforme, applicazioni e infrastrutture, destinate a crescere con la crescita dell’azienda stessa. NetBackup si integra con un gran numero di versioni dei sistemi operativi per server, come anche per i sistemi virtualizzati, potendo interoperare sia con ambienti VMware vSphere sia Microsoft Hyper-V. Anche a livello di database relazionali, la soluzione si adatta alle diverse piattaforme, e lo stesso vale per i diversi sistemi di storage di brand noti, da Dell EMC a HP, Hitachi, IBM o NetApp.
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nel lungo termine. Veritas Access è infatti una soluzione Software Defined Storage (SDS) che virtualizza l’infrastruttura Storage sottostante indipendentemente dall’hardware vendor (compatibile con tutti i modelli X86), dal modello di storage in uso e dalla location, offrendo così un accesso multi-protocollo, permettendo al contempo un’allocazione e una rilocazione del dato sulla base di policy definite dall’utente e garantendo nel tempo un elevato Quality of Service (QoS). Si tratta, tra l’altro, di una soluzione strettamente integrata e integrabile con Veritas NetBackup e Veritas Enterprise Vault, in modo da assicurare ai clienti una gestione del dato non strutturato veramente end to end. Oltre alla soluzione software, Veritas ha reso disponibile anche una appliance, ribattezzata Veritas Access 3340 Appliance, che affianca delle risorse hardware, guardando soprattutto a quei clienti
che hanno elevate necessità di gestione dei dati a lungo termine. Anche in questo caso è assicurata un’integrazione con Veritas NetBackup ed Enterprise Vault, con un modello estremamente scalabile e adattabile alle necessità aziendali: si parte da 700 TB di capacità, che possono crescere sino a 2,8 PB.
Veritas NetBackup 8, protegge i dati distribuiti in ambienti eterogenei Con la versione 8 di NetBackup, Veritas migliora notevolmente le funzionalità per lo sviluppo di
Sono tantissime le aziende che basano tutta la propria strategia di governance delle informazioni sul sistema di archiviazione di Veritas. La precisione nella ricerca e individuazione delle informazioni di Enterprise Vault Suite è dovuta a un sistema di machine learning e di classificazione, mentre la ricerca ottimizzata accelera e semplifica le query interne. Gli agenti di archiviazione inclusi nella suite coprono Microsoft Exchange Server, IBM Domino, Windows, NetApp, Isilon. Sono compresi anche i file Microsoft Sharepoint, Skype for Business, i diversi contenuti generati da stampanti o fax che supportano lo standard SMTP e le immagini OCR.
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Veritas Enterprise Vault Suite, una licenza unica per un ampio portfolio
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Prodotti di qualità e un partner su cui fare affidamento: la chiave del successo nel mercato del VoIP Supporto al cliente e affidabilità dei servizi sono alla base dell’offering del vendor, che anche sul proprio hardware è in grado di offrire una garanzia estesa a tre anni, a beneficio dell’operatività continua dei clienti e di maggiori opportunità per i propri partner
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A fronte della progressiva migrazione alle tecnologie IP per erogare servizi di connettività Internet e telefonia, agli operatori telefonici tradizionali si stanno progressivamente affiancando nuovi attori esperti di infrastrutture di rete e privi del classico retaggio “telco”, che propongono con successo linee e servizi VoIP via cloud o in modalità hosted, con le formule più disparate. Queste aziende contribuiscono alla vitalità di un mercato, quello del VoIP in Italia, che attualmente risulta tra i più promettenti e remunerativi grazie all’instaurarsi di quella sana concorrenza che rende la telefonia di nuova generazione più appetibile e fruibile per qualsiasi tipologia di utenza. Fabio Albanini
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Head of Sales South Europe & UK e General Manager di Snom Technology Italia
«Nonostante la consumerizzazione della connettività a banda larga e la conseguente evoluzione delle infrastrutture e dei servizi per le telecomunicazioni degli scorsi due o tre anni in Italia, ancora circa il 70% delle aziende deve migrare al VoIP di nuova generazione. Un bacino di utenza potenziale enorme, particolarmente allettante per gli operatori telefonici e di canale che desiderano cogliere con successo la sfida di un mercato in pieno fermento» conferma Fabio Albanini, Head of Sales South Europe & UK e General Manager di Snom Technology Italia. «Un successo conseguibile e durevole a patto che essi siano sufficientemente competenti, che puntino su tecnologie e servizi dal vero valore aggiunto per differenziarsi, e che possano contare su un vendor che li supporti al 100%» specifica Albanini. Un punto di vista, quello del pioniere del VoIP, che da sempre fa del servizio al canale combinato ad un’ampia gamma di terminali IP da tavolo o da audioconferenza, cordless o cablati, di comprovata qualità la chiave del proprio successo sul territorio. «La solidità dei nostri terminali e la nostra carica innovativa, che sfocia nel costante miglioramento dei telefoni, unita alla proattività del nostro team locale, hanno convinto nel tempo oltre 400 tra aziende di canale, operatori VoIP e telco, oggi partner attivi Snom. Essere presenti sul territorio per noi non significa solo generare fatturato ma anche assistere concretamente chi ci ha dato fiducia. Quando si tratta di offrire servizi critici come la telefonia e di garantire la continuità di tali servizi, si rivela vitale potersi avvalere delle competenze dei tecnici Snom in loco», spiega Albanini. Un servizio su cui i partner Snom possono contare sin dal lancio del programma di canale creato su misura per l’Italia circa nove anni fa, insieme ai corsi di formazione e certificazione, per aiutare i partner a imporsi sul mercato
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glare onerosi contratti di manutenzione ad hoc. Dall’altro consente ai rivenditori o agli operatori VoIP di vincolare la propria clientela per periodi tra i due e i tre anni. In questo caso fa comodo non dover investire di tasca propria per eventuali riparazioni o sostituzioni dei telefoni allo scadere dell’altrimenti canonico anno di garanzia», afferma Albanini. L’ultima novità del vendor per i suoi partner Italiani è un ulteriore aiuto nel business quotidiano. L’armonizzazione del partner program italiano esistente a quello globale annunciato lo scorso marzo comporta per i rivenditori e gli operatori benefici economici aggiuntivi sotto forma di bonus post-vendita erogati su base trimestrale direttamente dalla casa madre. I partner Snom non perdono la certificazione e lo status conseguito negli scorsi anni con l’adesione al partner program precedente. Al contrario, in base ad esso possono fruire già da subito dei bonus post-vendita previsti per i partner Silver e Gold, oltre naturalmente alla scontistica applicata sul valore d’acquisto per la certificazione raggiunta. «Un doppio bonus appannaggio esclusivo dei partner italiani, cui dobbiamo una crescita a due cifre estremamente rilevante negli scorsi quattro anni» conferma Albanini, che conclude: «siamo lieti di riscontrare che la maggior parte dei rivenditori giri l’intero bonus post-vendita al cliente, risultando così più competitivi rispetto a terminali IP di altre marche, pur proponendo i telefoni Snom più costosi».
Da sinistra, i modelli Snom VoIp Desktop Phone D735 e D785
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attraverso la propria competenza. Due caratteristiche distintive, il servizio in loco e la costante formazione, di cui - ad oggi - non tutti i produttori di terminali IP possono fregiarsi. Le aziende di canale e i carrier italiani che hanno scelto Snom a corredo del proprio portafoglio di servizi UCC vogliono essere sicuri di offrire alla propria clientela telefoni di nota qualità e conformi alle più severe normative europee in termini di sicurezza hardware e software. Terminali IP sinonimo di affidabilità e fruibilità di una pletora di servizi aggiuntivi inimmaginabili pochi anni fa, oggi integrati nelle nuove piattaforme per la telefonia, grazie all’uso di una sola infrastruttura per il trasporto dei dati e della voce. “Una versatilità e flessibilità d’uso in modalità ‘plug & play´ frutto della focalizzazione di Snom sull’interoperabilità dei propri terminali IP con i più noti fornitori di linee telefoniche SIP o produttori di soluzioni avanzate per le Unified Communications” conferma Albanini. Lato affidabilità dei prodotti, con un tasso di guasti dello 0,02% su scala globale, i telefoni Snom sono talmente solidi da consentire al vendor di offrire ai propri clienti una garanzia di fabbrica di 3 anni su tutte le linee di prodotto, contro la media di settore di un anno. Una garanzia tanto lunga permette ai partner di implementare nuove formule commerciali, come l’erogazione di servizi o la fornitura di piattaforme per la telefonia corredate da telefoni premium a noleggio. «Si tratta di una tipologia di offerta che incontriamo sempre più frequentemente. Da un lato le aziende utenti riducono il costo dell’infrastruttura per le telecomunicazioni a un canone mensile inclusivo di apparecchi e assistenza, non devono quindi acquistare e di conseguenza ammortizzare gli eventuali terminali o il centralino né si-
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Strumenti informativi, supporto alla vendita e deal registration. Tante le iniziative previste dal Partner Program del vendor, che punta allo sviluppo delle competenze dei propri partner
Se la sicurezza informatica è un settore in forte espansione e al centro delle strategie aziendali, come confermano i recenti dati pubblicati da Gartner (+12% a livello globale con un fatturato previsto per il 2018 di 114 miliardi di dollari), questo è il momento di spingere sull’acceleratore. Ne è convinta Panda Security, che con lo slogan “insieme possiamo fare la differenza”, ha infatti deciso di mettere i partner al centro del proprio piano com-
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Panda Security insieme ai partner per fare la differenza
merciale, non solo rafforzando il rapporto con i tradizionali reseller, ma anche puntando a costruire un canale di partner specializzati che possano evolversi verso una logica da service provider. Le opportunità sono interessanti anche nel mercato italiano che, in linea con i trend internazionali, quest’anno crescerà del 10% stando alle stime Plimsoll, a patto che si riesca a proporre ai clienti non solo prodotti da rivendere, ma anche e soprattutto la possibilità di offrire servizi a valore aggiunto. È su questo elemento che Panda Security intende distinguersi sul mercato, attraverso una struttura di canale in crescita. Il vendor spagnolo annuncia
infatti l’arrivo di Laura Omodeo Zorini in qualità di Distribution Manager, ruolo che già ricopriva in Symantec, che si occuperà di supportare la distribuzione con particolare attenzione al segmento SMB, portando quindi a cinque il numero di persone completamente dedicate al canale. Più in dettaglio, il partner program di Panda Security è pensato per supportare gli operatori intenzionati a seguire i nuovi trend di mercato, fornendo il meglio della tecnologia cloud security e offrendo una gestione dei processi semplice e orientata al business grazie, ad esempio, all’apprezzata console unica per la gestione delle licenze e della protezione dei clienti finali (Partner Center). L’azienda ha pensato a più criteri per dare valore alla partnership. Il Partner Program infatti tiene in considerazione tre aspetti fondamentali: la tipologia di partnership, il volume di fatturato generato e le certificazioni tecnico-commerciali. Questi criteri sono definiti da livelli pensati e studiati nel rispetto delle capacità di ogni tipologia di partner e i benefici dedicati aumentano in funzione del fatturato e delle risorse specializzate. L’elemento centrale della strategia della multinazionale rimane però legato a un concetto chiaro e trasparente: il successo si costruisce “insieme”. È per questa ragione che ai partner vengono offerti un portale dedicato, risorse di marketing, supporto pre e post vendita, un supporto commerciale dedicato, procedure di deal registration e molti altri benefici. Tra questi riveste un elemento centrale la formazione: grazie a un percorso formativo specifico e gratuito, online e in aula, Panda Security non solo vuole aiutare i partner ad accrescere le competenze nel campo delle soluzioni cloud aziendali, ma vuole anche condividere con i rivenditori la propria visione del mercato per il futuro. L’impegno dell’azienda in questo senso è continuo e crescente, tanto che per l’anno 2019 è previsto il rilascio di un nuovo programma di canale che avrà sempre maggiore focus sui benefici dedicati ai partner certificati.
La TeraStation™ 512010RH, è NAS 12 bays in formato rack 2U ideale per tutte quelle aziende che desiderano una soluzione in grado di offrire evolute funzionalità RAID, eccellenti doti di scalabilità, connettività 10 GbE nonché le prestazioni e l’affidabilità richieste per le applicazioni business-critical. Equipaggiata con performanti processori quad-core, 8 GB di RAM DDR3 e 12 hard disk, per una capacità di archiviazione fino a 120Tb, la TeraStation 512010RH offre prestazioni ai massimi livelli della categoria ed è in grado di eseguire più compiti con-
temporaneamente senza ricadute sulle prestazioni generali. Grazie all’esecuzione in background delle attività di replica e backup, la velocità di trasferimento dei dati si mantiene sempre ai valori massimi anche quando molti utenti sono collegati contemporaneamente. In grado di sfruttare le funzionalità di servizi cloud come Dropbox, Amazon S3 ed effettuare la sincronizzazione con Azure BLOB, la TeraStation 512010RH è disponibile anche in versione parzialmente popolata con 4 dischi da 4Tb, 8TB o 10Tb, che lascia libero l’utente di popolare liberamente gli alloggiamenti disponibili. La scelta di una TeraStation, oltre a qualità, affidabilità ed elevate
prestazioni, significa anche poter contare sul Servizio VIP per TeraStation, una speciale formula di garanzia che, oltre a coprire per 3 anni (la TS51210RH 5 anni) le unità, prevede anche la sostituzione gratuita a domicilio degli hard disk eventualmente guasti entro 24 ore. Grazie a questo servizio, nel caso di guasto di un disco rigido, basta contattare il supporto tecnico Buffalo per ricevere un disco sostitutivo al proprio domicilio. Se la chiamata viene effettuata prima di mezzogiorno, Buffalo organizzerà la sua consegna all’interno della UE entro il giorno successivo. Nel raro caso in cui si dovesse verificare un problema su una TeraStation, non imputabile alle unità disco, il Servizio VIP di Buffalo prevede addirittura la sostituzione anticipata della TeraStation, consentendo così alle imprese di ripristinare i servizi offerti dal NAS nel più breve tempo possibile. Ideali per essere abbinati ai NAS della famiglia TeraStation e per creare rapidamente infrastrutture di rete solide e performanti sono poi le due nuove serie di Web Smart Switch recentemente presentate da Buffalo. Disponibili nelle versioni a 8, 16 e 24 porte, i nuovi switch Buffalo sono gestibili anche da remoto tramite interfaccia Web e non richiedono l’installazione di software dedicato. Particolarmente indicati in tutte quelle situazioni in cui vi siano difficoltà a portare o reperire prese elettriche in prossimità delle terminazioni di rete, o anche solo per semplificare i cablaggi grazie a una sensibile riduzione del numero di cavi, gli switch Gigabit Multi-Port della serie BS-GSP mettono a disposizione i vantaggi della tecnologia PoE, che permette di alimentare diverse tipologie di dispositivi tramite il cavo di rete ethernet, rendendo superfluo l’utilizzo di alimentatori. La serie Web Smart Switch BS-GS, che condivide con la precedente tutte le principali caratteristiche, fatta eccezione per la tecnologie PoE, offre funzionalità di aggregazione trunk/port link, il DHCP snooping, il supporto STP, QoS 802.1p e tecnologie per il risparmio energetico, che permettono di mantenere sotto controllo i costi della bolletta energetica.
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La gamma di soluzioni professionali per l’archiviazione firmata Buffalo è particolarmente completa e riesce a soddisfare al meglio ogni tipo di necessità, da quelle dei piccoli studi professionali a quelle delle realtà più grandi e complesse
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Dallo storage Buffalo soluzioni per aziende di qualsiasi dimensione
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Prossimità, tempestività e servizio al canale. È la strategia di 3CX Il vendor coinvolge la propria rete di partner fin dalla fase di sviluppo delle nuove soluzioni, saggiandone la percezione per andare sul mercato con strumento utili a rispondere alle esigenze dei clienti e a sollevare opportunità al trade
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L’ottimizzazione del processo decisionale delle aziende attraverso una piattaforma per le telecomunicazioni intelligente e versatile, che integra nativamente software per la gestione della clientela e altre applicazioni aziendali è oggi una delle componenti essenziali della trasformazione digitale delle imprese. Questa l’opinione di 3CX, vendor europeo di soluzioni UCC noto per la corrispondenza delle proprie piattaforme alle esigenze del mer-
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Loris Saretta, Sales Manager Italy & Malta di 3CX
cato. Il produttore rende infatti da sempre partner e utenti artefici della crescita del proprio prodotto, coinvolgendoli, attraverso un apposito forum, nella condivisione e valutazione diretta di proposte su nuove funzionalità, tramutate dal vendor in nuove caratteristiche della soluzione in tempi strettissimi. «Questa nostra totale prossimità verso il mercato, combinata alla nostra incessante attività di ricerca e sviluppo, assicura agli operatori di canale e alle Telco strumenti concreti attraverso cui mantenere da un lato un contatto costante con i propri clienti e dall’altro offrire servizi a valore», afferma Loris Saretta, Sales Manager Italy & Malta di 3CX, che non manca di menzionare come la
rapida messa in opera delle nuove funzionalità da parte di 3CX faccia ormai parte del modello di business dei numerosi partner del vendor. Azienda focalizzata sul servizio al canale al 100%, 3CX basa il proprio successo su quello dei propri partner, a supporto dei quali, oltre a dar vita a soluzioni che rispondono tangibilmente alle esigenze della clientela, eroga corsi di formazione, certificazione e aggiornamento spesso essenziali per avere successo in un mercato altamente competitivo. «I webinar gratuiti e i corsi di aggiornamento sono molto frequentati dai partner che hanno colto l’importanza della competenza come fattore di vendita», conferma Saretta. Ma non solo, grazie al monitoraggio mensile dell’indice di gradimento dei partner, espresso dalle aziende finali, il vendor ha modo di concertare con i rivenditori strategie di vendita e di aggiornamento ad hoc, per favorire al meglio il loro business quotidiano. Un approccio che ha fruttato a 3CX un incremento del numero di partner certificati che va di pari passo con l’aumento del fatturato su scala annuale, cresciuto costantemente a due cifre negli scorsi 5 anni. Oltre ai grandi VAR, System Integrator e Operatori Telefonici, 3CX offre anche alle PMI gli stessi vantaggi previsti dal programma di canale e uno strumento, il PBX-Express, che consente loro di installare e configurare la piattaforma UC allo stato dell’arte di 3CX con il minimo dispendio di (proprie) risorse e quindi a prezzi estremamente competitivi, fattore rilevante presso micro e piccole imprese particolarmente attente ad abbattere quanto più possibile l’investimento IT. «Trascurare questa categoria di operatori significa ignorare volutamente il ruolo essenziale che svolgono presso decine di uffici, studi notarili e contabili, gabinetti medici o altre tipologie di piccole aziende del terziario che di norma hanno fidelizzato negli anni con serietà e competenza», conclude Saretta.
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Epson, il futuro delle stampanti da ufficio è nell’inkjet
ratore leader del settore come Epson, che da tempo ha deciso di puntare sull’inkjet, all’insegna dello slogan “New economics of print”: alla base c’è l’idea che questa tecnologia possa assicurare alle aziende una serie di benefici, tra cui minori costi di stampa, ridotti tempi e costi di manutenzione, maggiore efficienza e riduzione dell’impatto ambientale. Quest’ultimo è un fattore a cui le aziende prestano sempre maggiore attenzione e che l’inkjet sembra capace di abilitare: la stima dell’organismo di certificazione TÜV Rheinland è che, passando alla tecnologia inkjet di Epson, le aziende europee eviterebbero l’emissione di 333.000 tonnellate di CO2. La maggiore sostenibilità è direttamente collegata alle caratteristiche di questa tecnologia, intrinsecamente fredda, al con-
trario dei laser che sviluppano calore, consentendo così un forte risparmio dei consumi elettrici. «Siamo convinti che la tecnologia inkjet sia l’unica alternativa per il futuro della stampa in ufficio - spiega Riccardo Scalambra, Corporate Sales Manager di Epson Italia -. Rispetto alle soluzioni laser, le nostre stampanti inkjet per l’ufficio permettono di risparmiare il 50% sul costo per pagina, di ridurre fino al 98% il tempo per la manutenzione, di diminuire fino al 95% il consumo energetico e fino al 94% i rifiuti». Al momento, comunque, sono soprattutto le ragioni economiche a pesare sulle scelte d’acquisto aziendali, come testimoniato da una ricerca condotta da Digital360 su 100 aziende italiane di media-grande dimensione. Innanzitutto, tra i principali risultati emersi c’è lo scarso utilizzo di macchine di proprietà, impiegate appena dal 16% del campione. La maggioranza delle aziende utilizza invece il noleggio operativo o i servizi di stampa gestita (Managed Print Services) forniti dai rivenditori o dai produttori. A guidare le decisioni delle aziende è ancora il fattore economico: il basso costo di gestione è indicato dal 54% del campione, seguito (48%) dall’affidabilità e dalla minimizzazione dei fermi macchina. Per rispondere a queste esigenze Epson ha lanciato recentemente sul mercato due nuovi prodotti che vanno ad arricchire la sua famiglia di stampanti e multifunzione: si tratta di Workforce WF-C579R e WF-C529R. Questi dispositivi rappresentano un’evoluzione della fortunata gamma RIPS (Replaceable Ink Pack System), caratterizzata dalla presenza di sacche d’inchiostro ad altissime capacità che consentono di stampare migliaia di pagine senza sostituire i consumabili. Le nuove stampanti Epson, grazie alla reingegnerizzazione degli spazi e dei meccanismi di alimentazione, presentano ingombri notevolmente ridotti, poiché le sacche sono posizionate direttamente all’interno del corpo macchina. Rendendo così possibile un ulteriore aumento delle copie stampate e una cospicua riduzione dei tempi di inattività delle macchine.
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Il mondo della stampa è tutt’altro che in crisi, ma è senza dubbio in forte evoluzione: basti pensare che ogni anno, in Europa, si stampano ben 982 miliardi di pagine, di cui 134 da stampanti inkjet e laser. Ma mentre i dispositivi laser segnalano una certa tendenza alla flessione, le inkjet dimostrano sorprendenti segnali di vitalità: già oggi valgono circa il 30% del mercato office, una percentuale che è destinata a salire al 41% nel 2021. A dimostrazione che nelle aziende continentali è in atto un trend di sostituzione del parco installato, con una predilezione verso i modelli inkjet. Una tendenza che è chiara a un ope-
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Le vendite di stampanti inkjet sono in costante aumento, spiega il vendor, grazie ai minori costi di stampa e alla maggiore efficienza energetica. Caratteristiche che le aziende richiedono a gran voce
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G DATA: il programma di canale è morto, viva il programma di canale!
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Con la rimodulazione del business che numerosi operatori di canale desiderano affrontare utilizzando il cloud come piattaforma per erogare servizi risulta imperativo rivisitare l’intero modello commerciale se si desidera partecipare al cambiamento di pelle dei propri rivenditori invece che esserne spettatore passivo
Paola Carnevale
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Channel & Sales Director di G DATA Italia
Questo è quanto riscontra G DATA, noto produttore di soluzioni per la sicurezza informatica, da sempre attento ai trend che muovono il mercato. «L’adozione del cloud come strumento per la fornitura di applicazioni e infrastrutture “as a Service” è uno dei paradigmi che si sta facendo sempre più largo tra gli operatori di canale» afferma Paola Carnevale, Channel & Sales Director di G DATA Italia. Lo scorso ottobre il vendor ha scommesso sul potenziale delle proprie soluzioni per MSSP a canone mensile e il riscontro ottenuto in un solo anno in Italia testimonia quanto gli operatori di canale desiderassero rimodulare il proprio modello di business a fronte dell’esigenza della clientela di ridurre l’impatto economico e la complessità della sicurezza IT senza scendere a compromessi in termini di protezione. Numerosissimi i partner che hanno esteso il proprio portafoglio servizi integrando G DATA Managed Endpoint Security nella versione platformindependent come nella declinazione “powered by Azure” e quelli che hanno scelto G DATA ex novo proprio per l’accesso che il vendor garantisce a opportunità di business a valore di cui finora beneficiava solo una specifica categoria di operatori di canale. «La “delivery as a Service” apre la strada a un nuovo modo di proporre la sicurezza IT che finalmente si affranca dalla mera vendita di licenze a “un tanto al chilo” per trasformarsi in un servizio a valore, dove la consulenza al cliente e il monitoraggio costante dell’effettivo livello di protezione delle aziende hanno la meglio sulla logica del cerotto, che ha spogliato per anni il mercato della security di contenuti e di valore», conferma Carnevale. «Ora tocca a noi vendor cambiare paradigma, allontanandoci dal partner program tradizionale sempre più inadatto a sostenere concretamente lo sviluppo di queste nuove realtà». Pur continuando ad assicurare agli operatori che
commercializzano le soluzioni business G DATA tradizionali i benefit e le scontistiche loro riservate secondo il partner program premiante che G DATA ha consolidato nel tempo, il vendor ha annunciato a SMAU una nuova formula specifica per MSSP, valida a partire dal 2019. Lasciando inalterata la strategia di canale a due livelli adottata da G DATA anche per servire chi eroga servizi gestiti attraverso propri datacenter o tramite cloud, il pioniere della sicurezza intende instaurare con questo tipo di operatori di canale una relazione vendor/rivenditore difficile da imbrigliare in qualsivoglia modello canonico di programma di canale.
Il partner program è morto Se da un lato G DATA Italia si rapporta da sempre con il canale in maniera del tutto consulenziale, conducendo numerose attività di evangelizzazione degli operatori e del mercato e investendo in proposte commerciali innovative attraverso cui i partner possano approfittare delle opportunità di un mercato in crescita, dall’altro riscontra che il classico partner program, con le tipiche scontistiche legate al livello di certificazione e gli eventuali bonus post vendita al raggiungimento di un fatturato X non è in grado di motivare la nuova generazione di aziende del canale, poiché non eleva la relazione vendor/rivenditore oltre i volumi di vendita, né contribuisce concretamente alla crescita del rivenditore. «Diciamolo chiaramente: l’epoca d’oro dell’IT, in cui le aziende prosperavano esclusivamente con i margini sui prodotti venduti, è finita da tempo. I margini a disposizione del canale, specie se si ragiona ancora in ottica di mero prodotto, sono poco più che spiccioli e in quanto tali non vengono reinvestiti dalle aziende di canale in attività intese all’acquisizione delle competenze necessarie ad ampliare il proprio portafoglio servizi e
miate e flessibili come G DATA Managed Endpoint Security per erogare con successo i propri servizi, ma si trovano in difficoltà quando si tratta di pubblicizzare i propri servizi in maniera continuativa o anche semplicemente di effettuare il recall di eventuali aziende interessate a posteriori di un evento o segnalate direttamente dal vendor.
raggiungimento di obiettivi tra cui il fatturato, il numero di rinnovi, i progetti segnalati. Tali punti dovranno essere “spesi” dal partner entro il trimestre successivo. Essi corrispondono infatti a “pacchetti” di attività commerciali e promozionali condotte dal vendor a proprie spese a nome e per conto del rivenditore, che potrà selezionare tra le diverse attività quella che ritiene più opportuna in quello specifico momento. «Il valore di un partner affidabile, in questo caso il nostro, si riconosce dalla sua abilità di aiutare la controparte a crescere. Il nostro investimento nei nostri partner supererà di gran lunga l’erogazione di qualsiasi sconto o bonus legato ai meri volumi di vendita, ma vederli prosperare grazie ad una comunicazione continuativa e ad attività commerciali ben congeniate ne vale la pena» conclude Carnevale.
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nico criterio di accesso ai benefit per MSSP è la certificazione, unica e valida per tutti i fornitori di servizi di sicurezza gestita partner di G DATA, di cui il vendor monitora il progresso commerciale in tempo reale grazie alla fatturazione mensile delle licenze effettivamente attivate presso la clientela. Peraltro, anche il prezzo della licenza G DATA Managed Endpoint Security è uguale per tutti, non essendo esso rilevante ai fini della conclusione positiva di una trattativa, bensì la competenza e il valore aggiunto dello stesso rivenditore e dei servizi proposti. G DATA assegna trimestralmente al singolo MSSP un massimo di tre punti al
Viva il partner program! Per consuetudine, qualsiasi misura introdotta dai vendor a vantaggio del canale viene qualificata come “partner program”, quindi - per quanto concetto obsoleto - viva il partner program! Nel caso di G DATA comunque non conta il contenitore ma il contenuto, ovvero una proposta che trasforma la, purtroppo necessaria, valutazione quantitativa dei volumi di vendita in attività concrete. L’u-
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quindi accrescere il proprio fatturato. Gli stessi fondi coop messi a disposizione del canale sono impiegati solo di rado per identificare concretamente nuove opportunità di business o per favorire il cross-selling sulla clientela esistente», spiega Carnevale, che rincara, «il fatto che la sicurezza delle aziende non sia un prodotto ma un processo deve trovare riscontro in benefit realmente utili allo sviluppo dei partner, soprattutto se sono focalizzati sull’erogazione di servizi». Una tipologia di aziende, gli MSSP, in costante aumento e relativamente giovani. Aziende prettamente orientate alla consulenza tecnica, che scelgono soluzioni di sicurezza business pluripre-
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Prime Time Da un lato richieste di impegno di investimenti in tempo, skill, denaro e persone, dall’altro proposte di supporto totale per agevolare il business e sollevare opportunità . Come cambiano i Partner Program?
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Partner Program, ecco perchè hanno ancora senso
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Una ricerca di Canalys evidenzia come la percentuale di operatori di canale che valutano importante lo strumento dei Partner Program sia in netta discesa rispetto al passato. Come rispondono i vendor?
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di Gianluigi Torchiani
Gli operatori del canale IT, quasi quotidianamente, sono abituati a leggere notizie che raccontano del nuovo programma di canale lanciato da un determinato vendor o delle migliorie apportate su certi aspetti annunciate da un altro. Interventi, quasi sempre, volti a rendere più facile la profittabilità per i partner e a semplificare i meccanismi di relazione. Ma quanto è apprezzata dal mondo del canale IT questa estrema attenzione? Secondo una ricerca appena rilasciata da Canalys (condotta a luglio e agosto su 263 partner di canale provenienti da 51 paesi), meno di quanto si potrebbe pensare, tanto che l’importanza attribuita ai Partner Program da parte degli stessi partner è diminuita rispetto al 2016.
Un warning per i vendor
In effetti, soltanto il 77% degli intervistati nell’agosto 2018 ha ritenuto i programmi di canale come importanti nelle relazioni esistenti con i propri vendor. Si tratta di una percentuale in netta diminuzione rispetto a un’analoga indagine effettuata dalla stessa Canalys nel 2016. C’è addirittura un 9% del campione che li reputa “per nulla importanti”, mentre quasi un quarto li ha giudicati poco significativi (attribuendo un giudizio da 6 a 2 nella scala di classificazione di Canalys). Una caduta tale da spingere Canalys a parlare di “warning” per i vendor, che pure stanno faticosamente cercando di mantenere le relazioni con un canale IT interessato dall’irrompere del fenomeno cloud e, più in generale, della trasformazione digitale.
Come rendere utili i programmi
Insomma, i vendor si trovano nella difficile condizione di dover continuare a sviluppare i propri
Partner Program per cercare di rimanere in linea con l’evoluzione dei loro partner, riducendo però al contempo le interruzioni e le frustrazioni che i cambiamenti spesso creano. Ad ogni modo, Canalys ritiene che i Partner Program continueranno ad essere vitali per i partner in quanto rimangono fondamentali per la relazione vendor-canale. Piuttosto, i primi dovrebbero coinvolgere maggiormente i partner nella pianificazione nelle discussioni strategiche per garantire che i programmi siano effettivamente preziosi.
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Il punto, come ha messo in evidenza la stessa società di analisi, è che rivenditori e system integrator sembrano avere il coltello dalla parte del manico, avendo a disposizione più leve rispetto al passato: per cogliere specifiche opportunità di business i partner possono creare nuovi servizi in proprio oppure sviluppare nuove partnership con nuovi vendor. I vendor, d’altro canto, spesso modificano i propri Partner Program per cercare di intercettare i cambiamenti nei modelli di business dei partner e per stimolare la loro lealtà, ma queste modifiche possono avere la conseguenza non intenzionale di aumentare la complessità, generando frustrazione nella controparte. Non a caso la mancanza di coerenza dei programmi – proprio a causa dei cambiamenti introdotti – è il tema che più indispone gli operatori di canale, tanto da essere indicato come un problema dal 16% degli intervistati. A seguire c’è la complessità nel raggiungere certificazioni e specializzazioni, che è indicata da un altro 15%.
Un supporto personalizzato
Insomma, nel mondo ideale i programmi di canale dovrebbero essere estremamente semplici, sebbene il settore IT stia abbracciando sempre di più nuove e complesse tecnologie. In quest’ottica i vendor devono agire tempestivamente, ad esempio investendo in strumenti digitali più potenti, tra cui l’automazione integrata e funzionalità di AI, per contribuire a ridurre il lavoro di amministrazione manuale dei partner. Inoltre, i brand manager che si interfacciano con gli operatori di canale devono essere maggiormente responsabilizzati e offrire un supporto personalizzato per le esigenze dei singoli partner.
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I difetti dei partner Program
Da Zucchetti un Partner Program per spingere le competenze La Software House italiana punta su formazione tecnica e commerciale per spingere i partner verso un Modello 4.0. E incoraggia le partnership
Paolo Susani, Direttore Commercial di Zucchetti www.digital4trade.it
L’entusiasmo dei partner di canale nei confronti di uno strumento cardine della relazione vendor-reseller come il Partner Program sembra essere in deciso calo, come ha messo in evidenza la recente indagine globale di Canalys. Ma come vanno le cose sul mercato italiano? Secondo quanto racconta a Digital4Trade Paolo Susani, Direttore Commercial di Zucchetti, lo strumento conserva una sua validità: «Il Partner Program per Zucchetti è fondamentale nella relazione con i nostri Partner. Si è evoluto in questi anni, perché si è evoluta l’offerta della Zucchetti, e si è andato sempre di più perfezionando, anche in risposta alle nuove esigenze del mercato. Abbiamo partner che sono in Zucchetti da oltre 30 anni e sono riusciti a mantenersi sulla cresta dell’onda e a vivere da pro-
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tagonisti tutti i cambiamenti che sono avvenuti nel mondo IT. Anzi, forse siamo un po’ in controtendenza, nel senso che andiamo a rafforzare le relazioni con i Partner cercando di migliorare costantemente il nostro Partner Program affinché queste aziende diventino dei veri e propri competence center sul territorio. Dal momento che le
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Bitdefender: nessuna disaffezione nei confronti del Partner Program Anche per un player impegnato sul fronte della sicurezza come Bitdefender il Partner Program costituisce uno strumento fondamentale per costruire la relazione con i propri partner, come racconta Joe Sykora VP Channel WorldWide: «Il nostro modello 100% canale avvantaggia noi, il partner e l’utente finale. L’approvvigionamento tramite i nostri partner di canale ci aiuta anche a offrire il miglior valore e supporto per tutte le nostre soluzioni Gravityzone. In particolare il nostro programma di canale, ribattezzato Partner Advantage Network, è stato messo a punto per rendere disponibile una piattaforma che potesse fornire una piena visibilità di ogni transazione, registrazione e rinnovo. Ma anche per rendere possibile un processo che permetta di passare dall’individuazione delle opportunità all’ordine in un solo click». Altro caposaldo del Partner Program di Bitdefender è la comunicazione: innanzitutto qualsiasi opportunità commerciale può essere aggiornata in tempo reale, inoltre Bitdefender consente di implementare, provare demo Web e garantisce il supporto necessario in qualsiasi momento della durata della licenza del cliente. Tramite Partner Advantage è poi sempre possibile avere un accesso diretto alle Joe Sykora, VP Channel WorldWide schede tecniche, ai white paper, alle demo, nonché a eventuali upgrade. Questo consente ai partner di essere indipendenti e di ottenere ciò di cui hanno bisogno nel modo più efficiente possibile. Ovviamente il Partner Program offre delle certificazioni di natura tecnica e commerciale, in modo da preparare al meglio il canale. Sykora non ha percezione di quanto riscontrato dalla ricerca di Canalys, ossia di una tendenza alla disaffezione nei confronti dello strumento Partner Program, tanto che Bitdefender lavora già a dei possibili miglioramenti: «C’è sempre spazio per il miglioramento e tutti i feedback vengono presi in considerazione e applicati al programma, soprattutto se in grado di aiutare i nostri partner. Il prossimo anno, in particolare, cercheremo di lavorare per enfatizzare l’aspetto della fidelizzazione aziendale e su come migliorare l’esperienza per il partner e il cliente».
soluzioni Zucchetti spaziano dall’IoT all’HR sino ai mondi dei professionisti, ovviamente cerchiamo di avere sempre di più dei partner che siano specializzati e, in questo senso, il partner program gioca un ruolo estremante rilevante». Nel caso di Zucchetti, il Partner Program si compone di un aspetto formativo e tecnico che resta determinante, così da permettere alla base partner di conoscere le soluzioni Zucchetti e riuscire quindi a creare valore aggiunto nei confronti dei clienti finali. A tutto questo si aggiunge una vera e propria formazione commerciale, perché nell’attuale contesto di mercato ogni partner deve sapere cosa e come vendere al meglio le diverse soluzioni. In questo senso le certificazioni giocano un ruolo importante per Zucchetti, in particolare quando si tratta di operare con clienti di una certa fascia: essere certificati consente ai partner di ottenere visibilità, ma anche di usufruire di quelle competenze che possono servire a incrementare le collaborazioni con la Zucchetti stessa, ma anche tra gli stessi partner. Non a caso, specie quando si tratta di progetti che richiedono diversi tipi di competenze, il Partner Program Zucchetti favorisce il network tra i vari partner. Più in generale, con l’ultima versione del programma che è stata annunciata nel corso del meeting annuale Zucchetti dello scorso aprile, si spingono reseller e system integrator a cavalcare l’attuale fase di trasformazione digitale, in una parola a essere 4.0: «Non tutti i partner sono allo stesso livello e hanno la medesima opinione sul percorso evolutivo, ci sono però non pochi partner che vogliono davvero fare la differenza sul mercato, si sono strutturati e hanno investito in tal senso». E tutti gli altri, quelli che magari sono più piccoli e faticano a cavalcare l’onda della trasformazione digitale? «Sicuramente in questa fase fanno un po’ più fatica, però per loro stiamo facendo delle attività per poterli prendere per mano, perché magari hanno caratteristiche che possono adeguatamente essere valorizzate, magari attraverso una collaborazione con quelli più evoluti. Non tutti i piccoli rivenditori potranno diventare partner 4.0, però possono ritrovare in Zucchetti un’offerta che consenta loro di giocare un ruolo importante sul mercato». Ma quali sono le richieste che arrivano dal canale
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per migliorare il Partner Program e in che modo Zucchetti intende agire nel prossimo futuro? «Sicuramente c’è la richiesta di avere ancora più formazione, maggiore supporto nella comunicazione digitale, nonchè una configurazione di offerta il più semplice possibile per trasmetterla al mercato. Più in generale, la madre di tutte le richieste
è arrivare ad avere potenziali nuovi sul mercato da poter aggredire. Chiaramente si tratta di una roadmap continua, credo che l’evoluzione vera del Partner Program non stia in quello che c’è scritto oggi, ma in quello che si sta pensando di poter scrivere domani e dopodomani», conclude il manager Zucchetti.
Secondo Vittorio Bitteleri il Partner Program deve però essere necessariamente e quotidianamente integrato con la relazione locale sia commerciale che tecnica Vittorio Bitteleri, Country Manager Italy di Commvault
notato disaffezione del nostro canale nei confronti del Partner Program grazie alla capacità di stabilire un forte legame sia di business che tecnico con i nostri partner e questo ha dato un grande valore al programma in sé». Tutto questo non toglie che un miglioramento del partner Program sia sempre possibile per Commvault: nell’ottica di rispondere alla richiesta dei partner di poter lavorare in modo sempre più autonomo e rispondere alle esigenze dei clienti, Commvault ha ridisegnato il licensing e conseguentemente il Partner Program per consentire ai partner di proporre una soluzione tecnologicamente riconosciuta e adatta a tutti i segmenti di mercato. Sono stati introdotti inoltre strumenti di incentivazione e di supporto sia tecnico, sia commerciale per guidare il partner nella gestione del business Commvault», conclude Bitteleri.
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Impossibile pensare di rinunciare al Partner Program: può essere riassunto così il pensiero di Vittorio Bitteleri, Country Manager Italy di Commvault, società italiana attiva nel Data Management. «Il Partner Program è uno strumento fondamentale, perché definisce la relazione con i nostri partner, indicando benefit e requisiti utili per lo sviluppo del business con Commvault. Il Partner Program definisce inoltre le regole di ingaggio per la gestione delle opportunità generate dai partner. Non a caso il programma di canale di Commvault si basa su un meccanismo di incentivazione volto a premiare economicamente il contributo offerto dai partner». Altri punti cardine del programma sono la semplicità di fare business con Commvault, unitamente alla riduzione drastica degli investimenti richiesti ai reseller grazie a una completa revisione del packaging e licensing della soluzione Commvault. Inoltre il programma è concepito per favorire una automazione dei processi dei business, nonché lo sviluppo di una strategia comune di business e l’affiancamento costante nelle opportunità, con adeguati incentivi di natura economica. Riguardo alla possibilità di disaffezione dei partner segnalata dalla ricerca Canalys, la risposta del country manager è articolata: «Il Partner Program deve essere interpretato come una linea guida sia da Commvault sia dai reseller; va sicuramente considerato come un aspetto importante della relazione ma non sufficiente per un incremento di business costante nel tempo. Esso deve essere necessariamente e quotidianamente integrato con la relazione locale sia commerciale che tecnica, questo per avere comuni e approcci condivisi al business, ai clienti ed ai progetti. Sinceramente non abbiamo
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Il Partner Program Commvault è cruciale per la gestione della relazione
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Nutanix rinnova il Partner Program per centrare le esigenze del mercato
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Il programma di canale del vendor va oltre il semplice obiettivo del fatturato, stimolando quei partner che investono in innovazione Se i partner di canale non apprezzano più come un tempo i programmi di canale c’è qualche responsabilità anche degli stessi vendor, che hanno impostato programmi troppo simili e poco calibrati per le esigenze di ogni specifico mercato. Parola di vendor, anzi di Nutanix, realtà di successo nel mondo ICT, grazie anche a una strategia di vendita completamente indiretta. Come racconta Matteo Uva, Sales manager per il business commercial di Nutanix Italia, a parte le collaborazioni OEM in essere con alcuni hardware vendor, il modello commerciale di Nutanix è quello classico 2 tier, con tre distributori autorizzati in Italia (Exclusive Networks, Systematika e, re-
centemente, Computer Gross), che assistono un canale di rivendita certificato e segmentato in tre diversi livelli, composto da circa 200 partner. Per il futuro la strategia dell’azienda non è quella di aumentare il numero dei rivenditori ma, piuttosto, di trovare quelli giusti. «L’obiettivo è trovare e motivare i partner in funzione delle competenze e dalla loro disponibilità a sfidare un po’ lo status quo. Nutanix, nel suo approccio Software-defined, è rivoluzionario per l’infrastruttura e i partner che stiamo cercando sono quelli che vogliono davvero fare innovazione».
Partner program troppo standard
Come si accennava in precedenza, a proposito della ricerca Canalys che segnalava un calo della fiducia dei partner di canale, l’opinione del manager Nutanix è che esista realmente un certo pericolo di disaffezione del canale nei confronti dello strumento del Partner Program: «Negli anni i programmi di canale tradizionali sono stati un po’
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Rebate dal primo dollaro: HPE cambia le regole d’incentivazione al canale Next generation infrastructure e soluzioni e prodotti ad alto volume sono parte dell’offerta HPE che sta avendo maggiori crescite di mercato e per le quali il vendor ha deciso di adeguare il proprio Partner Ready Program di incentivi al canale. Il programma, che sarà attivo dal nuovo anno fiscale di HPE, ossia dall’1 Novembre, vuole infatti supportare in particolar modo i partner dediti a quest’offerta a valore, semplificando il rapporto con il vendor e agevolando di conseguenza il canale nel dare risposte adeguate alle richieste da parte dei clienti. Si tratta di un ricco portfolio che si compone delle infrastrutture iperconvergenti Simplivity,
Hewlett Packard Enterprise semplifica e potenzia il Partner Ready Program indirizzato al canale che tratta le proprie soluzioni e servizi ad alto valore aggiunto, svincolando i rebate dal target della composaable infrastructure Synergy, HPE Nimble e lo storage 3PAR, oltre al software Openview e Opensphere, oltre alle proprie offerte basate sui servizi, quali Greenlake e HPE Datacenter Care.
HPE Partner Ready Program: nuove regole per il rebate Una delle novità più rilevanti riguarda la struttura di calcolo per i rebate destinati ai partner, con enfasi particolare proprio a quelle aree di prodotto e soluzioni che stanno avendo una maggiore crescita. In passato gli incentivi si basavano su target, con percentuali di rebate fino a una certa soglia, superata la quale le percentuali salivano. Ora HPE intende offrire la stessa cifra indipendentemente dal target raggiunto, che sia un dollaro o milioni. Il vendor inizierà offrendo rebate di una, tre o cinque volte il normale rebate per la vendita di soluzioni ad alta crescita e ad alto valore.
Formazione cruciale
Altra componente importante è il livello di competenza: vendendo solo attraverso il canale, i partner rappresentano Nutanix in tutto e per tutto, dunque il vendor deve essere in grado di porre una particolare attenzione alle loro capacità. Per questo motivo la formazione si prende cura di tutti gli aspetti, con programmi per le figure di vendita, commerciali, tecnica e postvendita. I corsi sono disponibili sia online, attraverso il portale, quasi tutti gratuiti. In alternativa, anche i distributori Nutanix sono in
HPE Partner Ready Program: premiato chi vende prodotti ad alta crescita e valore Per esempio, vendendo un server, il rebate del partner sarà normale. Ma se la vendita sarà associata a software HPE, il partner otterrà un rebate fino a 5 volte il rebate normale, in base al tipo di software venduto. Più alto sarà il valore del software e maggiori saranno i livelli di rebate raggiungibili dal partner. Per esempio: indicativamente, per accedere al livello Silver, un partner deve vendere prodotti per 800.000 dollari. Ora invece, se vende 300.000 dollari di storage “giusto”, ossia ad alto valore e crescita, potrà ottenere il triplo del rebate e accedere direttamente al livello Silver.
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grado di erogare lo stesso livello di corsi in aula, con un maggiore livello di approfondimento per sezioni specifiche. «Nella fase di registrazione chiediamo ai partner di comunicarci le loro competenze trasversali, legate a soluzioni applicative, specifiche di infrastrutture (ad esempio sicurezza, networking). Questo è un beneficio trasversale, spesso in questo modo si costituiscono opportunità di business tra partner con capacità e skill diverse, che noi cerchiamo naturalmente di favorire».
Non meno importante è il tema dei rebate: l’obiettivo è quello di introdurre elementi differenzianti che vadano a premiare quei partner che magari si sono impegnati in termini di formazione ma soprattutto di sviluppo delle opportunità di business. Altro punto cardine del nuovo programma di canale Nutanix è il Velocity Program: si tratta di un programma commerciale che tende a fornire un catalogo di sistemi e configura-
incentivi sui servizi Ma la semplificazione del programma riguarda anche altri aspetti. Anche i rebate sui servizi sono stati semplificati, con solo tre differenti classi di rebate, al posto di avere diversi rebate per ogni tipo di servizio. L’obiettivo di HPE è di rendere più chiari e identificabili gli obiettivi da raggiungere e il modo per ottenerli, in modo da consentire ai partner di crearsi un piano di investimenti e di conseguenti ritorni di un anno e di pianificare spese e rebate da investire. Il programma ha validità in tutte le country, consentendo ai partner che hanno forza internazionale di creare progetti e sviluppare sof-
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Partner più veloci per il mercato SMB
tware in un continente per poi implementarlo in qualsiasi altra parte del mondo, e ovunque potranno godere delle stesse agevolazioni. Una Tech Academy per community di skill specifici Per aiutare ulteriormente il canale, HPE ha inoltre semplificato il proprio programma di abilitazione tecnica, integrandolo con nuove competenze in grado di creare contenuti tecnici e di condividerli con gli altri partner attraverso la creazione di diverse community intorno alle specifiche competenze. Il programma si basa su uno già attivo in Asia e che al momento si chiama TechPro Academy.
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tutti simili, presentavano vantaggi ma mancavano di un livello di personalizzazione dello stesso; tipicamente arrivavano dalle multinazionali, quindi venivano definiti a livello corporate e poi venivano calati in tutte le Country senza tener conto delle peculiarità, delle difficoltà e dei punti di forza di ogni singolo Paese e, di conseguenza, dell’ecosistema di partner. Con quest’idea Nutanix ha lanciato Power to the Partner, i cui punti più importanti vanno proprio in questa direzione: il programma è personalizzato in base alle peculiari caratteristiche dei singoli Paesi, ognuno dei quali presenta un’economia differente, nonchè una peculiare tipologia di clienti. Cerchiamo di uscire perciò dalla logica del fatturato per entrare in quella del valore, che presuppone progetti realizzati non soltanto con i nostri prodotti standard (Acropolis è quello più noto) ma con particolare occhio alle soluzioni che Nutanix ha lanciato nel tempo, in modo da stimolare i partner a proporre l’evoluzione della nostra offerta».
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zioni predefinite. Occorre infatti premettere che l’approccio tipico di Nutanix è quello di definire con il cliente la configurazione infrastrutturale necessaria per il suo caso, una sorta di “abito fatto su misura”. Tuttavia, a volte il canale ha bisogno di “abiti preconfezionati”, che li possa rendere più agili: qui giunge in soccorso il Velocity Program, che mette a disposizione una serie
di configurazioni predefinite che vengono dalle esperienze di Nutanix, utili in particolare per intercettare le esigenze del mondo SMB. Queste e altre caratteristiche del nuovo Partner program, è convinto Uva, dovrebbero consentire di supportare la continua crescita di Nutanix, che in questi anni è stata piuttosto sostenuta anche sul territorio nazionale.
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Rubrik: incentivi e formazione per premiare i partner L’obiettivo fondamentale del Partner Program introdotto a settembre dalla società specializzata nel Cloud Data Management è di capitalizzare tutte le opportunità di business A fine settembre Rubrik, azienda specializzata nel Cloud Data Management, ha presentato Rubrik Velocity Partner Program, il suo primo programma globale dedicato ai Reseller. Una scelta non casuale, dal momento che dall’indiretta deriva il 100% del fatturato del gruppo. L’obiettivo è offrire una serie di opportunità ai Partner di canale di Rubrik, per permettere loro di capitalizzare il momento favorevole dell’azienda e sfruttare al meglio le opportunità esistenti nel mercato del data management, stimato in 48 miliardi di dollari. Strutturato su più livelli, il programma offre ai Partner un framework per differenziarsi, un’abilitazione commerciale e tecnica per creare e riconoscere l’esperienza, nonchè nuovi incentivi a supporto degli investimenti.
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Un programma su tre livelli
Tra le novità del programma di canale c’è una nuova struttura, articolata su tre livelli (Authorized, Select ed Elite), sulla base di competenze e risultati. I requisiti varieranno a seconda del paese e delle dimensioni del Partner, in modo che ogni reseller
possa accedere ai diversi livelli, con un percorso di crescita chiaro e ben definito. Il programma introduce anche nuove specializzazioni a riconoscimento di specifiche competenze.
La Rubrik Academy
Sul fronte della formazione è stata presentata Rubrik Academy, un vero e proprio programma
«La crescita senza precedenti di Rubrik deriva in larga parte dal nostro eccezionale ecosistema di Partner e dal nostro go-to-market, focalizzato al 100% sul canale - spiega Bertrand Yansouni, VP of Worldwide Channel di Rubrik -. Il nuovo Velocity Partner Program estende ulteriormente il nostro impegno verso il canale, consentendo ai Partner di puntare su Rubrik per le loro principali iniziative di business, quali la crescita delle attività cloud e l’offerta di servizi più avanzati. Crediamo che questo programma possa davvero accelerare il successo dei nostri Partner». Il nuovo programma verrà presentato ufficialmente nel corso della EMEA Partner Conference di Rubrik, entrando in vigore a partire dal prossimo 1 febbraio 2019.
Divisione del Gruppo Softwork dedicata alla progettazione e realizzazione di sistemi Bluetooth Low Energy (hardware e firmware), BluEpyc racchiude nel suo DNA il concetto di alleanza con i partner di canale: l”Alliance Program prevede infatti diversi gradi di partnership, cui corrispondono diversi profili (Reseller, Solution Partner e Distribution Partner), puntando sul supporto customizzato (inevitabile, considerando il tipo di tecnologia progettuale) e sul concetto di premio (ulteriori agevolazioni sia economiche che operative in base al profilo dei partner). Il programma è frutto in parte dell’ascolto del pubblico di riferimento, facendo tesoro dell’esperienza del gruppo come distributore di sistemi RFID attraverso la Divisione RFID Global e dando quindi una risposta ai bisogni di assistenza dei Channel Partner, in parte delle peculiarità tecniche e prestazionali della tecnologia BLE, come testimonia il carnet di Engineering Services messo in pista per fare del BLE un tool di successo per l’identificazione, la tracciabilità e la localizzazione di persone o asset nelle attuali infrastrutture IoT. La relazione con i partner di canale mira dunque a far emergere il know-how di ciascun attore coinvolto nel processo d’implementazione della tecnologia, valorizzandolo e condividendolo a favore di un talento globale: la logica è che più forte è la relazione tra BluEpyc ed i suoi Partner, migliore è il risultato finale (per tutti) e la soddisfazione, che a sua volta rafforza sempre più i rapporti, in un benefico e salutare effetto domino.
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Partner Program in vigore da Febbraio
BluEpyc: focus sul concetto di reciproco valore
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di enablement per l’intero ecosistema di Partner, che comprende formazione e accreditamento per vendita, prevendita e post-vendita. Per quanto riguarda invece gli incentivi, il Velocity Partner Program introduce rebate per i partner Elite, condivisione dei lead e delle opportunità, fondi marketing e incentivi per figure commerciali e tecniche presso i Partner. Di particolare importanza, infine è l’introduzione di un nuovo Partner Technical Advisory Board globale.
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Story Tellers Cosa succede sul mercato: le strategie dei vendor e dei distributori a favore degli operatori del canale ICT. Dai prodotti ai servizi, l’offering si estende e si semplifica per facilitare il rapporto col trade e attivare nuove lead
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Ca TeChnologies mira ad ampliare la CoperTura del midmarkeT Con un Canale a valore
Integrazione, servizi e focus su sicurezza, API e management automation. Queste le principali aree di un’offerta ampia su cui il vendor punta ad avere partner con elevati skill, definiti dall’Advantage Partner Program
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Antonio Altamura,
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Sr Director Italy, Named&Growth Italian Sales
Il mercato delle medie aziende italiane si affronta con il canale dei partner. Per questo motivo Ca Technologies sta promuovendo una serie di azioni a supporto dei propri partner in modo da coprire in maniera adeguata il mercato locale con un’offerta estremamente ampia, per la quale è necessario proporsi con le adeguate competenze. Un compito che il vendor assolve attraverso il proprio Advanced Partner Program, lanciato lo scorso anno «con l’obiettivo di fare evolvere il rapporto di collaborazione con il nostro canale e creare un ecosistema di partner fidelizzati e dotati di forti competenze, soprattutto negli ambiti API, Sicurezza e Management Automation, senza trascurare l’area Mainframe» spiega Antonio Altamura, Sr Director Italy, Named&Growth Italian Sales, che prosegue: «Ca Technologies da sempre collabora con i system integrator sulle principali aree della propria offerta. In particolar modo su API, security e automazione, abbiamo varato Incubation Partner, un’iniziativa volta a promuovere il canale su tali aree, fornendolo del supporto per facilitare l’approccio verso il target delle medie aziende, che deleghiamo interamente ai nostri partner, con il supporto dei distributori Computer Gross e V-Valley. Uno sforzo che tende ad aumentare le competenze dei system integrator su questi temi in modo da potersi proporre ai clienti con servizi a valore». Si tratta di tre aree d’offerta sulle quali il vendor intende aumentare la prossimità al mercato e che si sviluppano a loro volta in tantissime declinazioni, dal trattamento e gestione dati, al continuous delivery, all’agile con la parte di
governance. Sull’onda di questo rilancio sul canale a valore, solo nello scorso anno il vendor ha aggiunto al proprio ecosistema una quindicina di nuovi partner, portando la numerica complessiva a 40 aziende certificate, focalizzate, dicevamo, sulla fascia midsize del mercato. Sopra di questa, Ca pone la fascia Enterprise, una trentina di grandi aziende che segue direttamente nella fase di accounting, per poi coinvolgere alcuni partner nella gestione del deal.
I punti fondamentali del programma Advantage Partner che si sono rivelati parte attiva anche nell’ideazione dell’Advantage Partner Program, che si basa principalmente su quattro pilastri: la semplificazione, la protezione, la profittabilità e la differenziazione. «Si vuole, infatti, rendere più semplice il rapporto di collaborazione tra noi e il canale - dettaglia Altamura -, definendo un business plan congiuntamente ed essere ben chiari sulle relative marginalità e vantaggi. Garantendo poi una protezione degli investimenti effettuati dai partner, sia in termini di formazione sia di tutela della deal registration». Ogni soluzione, poi, può comportare incentivi differenti, anche accumulabili e, vista la vastità del nostro portafoglio prodotti, raggiungere quote tali da essere utilizzati per aumentare la profittabilità o per attività di demand generation. Diversi i livelli di certificazione previsti, a partire dal Member, che è il livello che richiede minor sforzo da parte del partner, passando all’Advanced, Premier e Focus, che connotano partner locali, fino al livello Global, che riguarda invece le partnership siglate a livello corporate. Livelli che sono legati al grado crescente di certificazione, gli obiettivi di vendita e gli investimenti in business plan congiunti, come crescente è il grado di supporto.
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Tra EdgE E In-MEMory, pEr HpE la sfIda è unIrE TEcnologIa E busInEss
Paolo Delgrosso, Channel, Alliance, OEM & SP Sales Director Manager
ERRATA CORRIGE: si chiama HPE Reimagine! Nel numero 18 della rivista, a pagina 60, nell’articolo l’evento organizzato da HPE a Milano è stato erroneamente citato come HPE Reinvent, anziché il corretto HPE Reimagine. Ce ne scusiamo con i lettori e con i diretti interessati.
«Abbiamo tolto il superfluo per concentrarci sull’innovazione di cui c’è bisogno. E oggi il nostro obiettivo è fare in modo che i nostri clienti affrontino la trasformazione verso il nuovo sapendo di avere un partner solido come HPE al loro fianco». Quasi un manifesto programmatico in queste parole di Stefano Venturi, presidente e amministratore delegato di HPE Italy, assolutamente convinto che sia arrivato il momento di innestare una nuova marcia verso l’innovazione. «Vogliamo inventare nuove categorie di prodotto, per affrontare in modo diverso la gestione dell’enorme quantità di dati, in modo sostenibile: non vogliamo depauperare il mondo per la sola elaborazione». I progetti sono quelli in cui HPE è impegnata da tempo, da The Machine all’In-Memory Computing, passando per Hybrid IT, HPC, multicloud. Ma non è questo l’unico ambito nel quale HPE sta indirizzando il proprio impegno. Sull’altro fronte si gioca infatti la grande partita dell’Intelligent Edge, che va di pari passo con tutto quanto ha a che vedere con il mondo dell’Internet of Things, nelle sue molteplici declinazioni. «Dobbiamo tener presente che solo il 25 per cento delle informazioni raccolte dai sensori viene elaborata al centro. Tutto il resto viene elaborato ai bordi della galassia, nell’Intelligent Edge, con microcomputer HPC, con capacità memory driven: questo significa per noi gestire l’elaborazione di grandi quantità di dati in modo economicamente sostenibile». Non è una partita da poco per HPE, che proprio sull’Intelligent Edge ha annunciato in-
vestimenti per 4 miliardi di dollari. Spiega a sua volta Paolo Delgrosso, Channel, Alliance, OEM & SP Sales Director Manager: «Per inglobare tutti i protocolli industriali, abbiamo lavorato con chi questi protocolli li ha stabiliti, grazie alle grandi alleanze con realtà come ABB, Parametric Technologies. Quando affrontiamo in maniera fattiva e fattuale il tema delle tecnologie di fabbrica, le abbiamo sempre trovate disponibili». È un percorso avviato, sul quale HPE si muove con decisione. «Negli Stati Uniti – racconta Venturi – abbiamo dato vita a un incubatore di idee, al quale partecipano anche sviluppatori di software e startup. L’obiettivo è affrontare il mondo del memory driven computing in tutti i suoi aspetti. È un lavoro importantissimo, perché apre un nuovo mondo su come si scrive il software, superando vecchi schemi». Ma non basta. Non si tratta solo di tecnologia e su questo Venturi pone chiaro l’accento. L’interesse è per una innovazione tecnologica che abiliti l’innovazione di business. Ed è per questo che HPE, anche nel nostro Paese, ha avviato numerosi programmi in collaborazione con università come la Bocconi o Tor Vergata. Su questa scia si inseriscono anche gli InnoLab, arrivati ormai a quota 21 su tutto il territorio nazionale. «Con la fine del 2018 sul progetto degli InnoLab – spiega ancora Delgrosso – avremo investito una ventina di milioni di euro e ancora continueremo a investire, perché si parla di un costante rinnovo delle macchine e delle dotazioni tecnologiche. Con i prossimi mesi proseguiremo non solo con le aperture, ma anche con l’assessment degli InnoLab operativi, per portarli verso uno standard di qualità e formazione. Perché se si abbandonano a loro stessi tornano ad essere solo dei demo center. E non è quello che vogliamo».
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Maria Teresa Della Mura
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Logica di ecosistema per HPE, che spinge verso nuovi mercati e nuove applicazioni grazie alle partnership con i grandi player del mondo industriale e con il suo ecosistema di partner
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Cloud: il triangolo perfetto tra teCnologia, infrastruttura
Marco Argenti
Vice President Technology di AWS
e system integrator
Un ciclo di incontri promossi da Aruba e VMware per analizzare, insieme ai system integrator, le opportunità del cloud nell’era data driven
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Maria Teresa Della Mura
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L’interno del Data Center Aruba
Un ciclo di incontri, tre per la precisione, ad Avellino, Ancona e Ponte San Pietro. Un obiettivo: presentare Aruba come partner ideale per la community dei system integrator che stanno accompagnando le medie aziende italiane nei loro percorsi di trasformazione in cloud. Tutto parte da qui, da una considerazione molto semplice: «Noi non siamo un system integrator - spiega Daniele Migliorini, Senior It Architect in Aruba -. Noi non rivendiamo licenze,
siamo, piuttosto, il partner ideale dei system integrator, che possono concentrarsi sul loro business, senza preoccuparsi dell’infrastruttura e della sua gestione». È una triangolazione perfetta, quella prospettata da Migliorini, tra fornitore tecnologico, system integrator, fornitore della soluzione infrastrutturale, fondamentale in un momento in cui le aziende sempre più convintamente si stanno spostando verso l’adozione di nuovi modelli in cloud per poter sostenere i nuovi requisiti di velocità e capacità della cosiddetta data driven economy, l’economia basata sui dati e sulla loro analisi. «Due sono le parole chiave per le aziende di oggi – spiega Migliorini -: analytics e velocità. Poter ave-
re informazioni in tempo reale cambia il business dell’impresa». A queste esigenze, Aruba risponde con la propria infrastruttura, con il proprio network di datacenter in tutta Europa e con un ventaglio di certificazioni e accreditamenti che rappresentano la garanzia che i dati in piena ottemperanza a quanto richiesto in termini di sicurezza, compliance al GDPR e continuità di servizio.
Lo scenario attuale
Del resto, i numeri presentati dall’Osservatorio Cloud Transformation della School of Management del Politenico di Milano (di cui parliamo più diffusamente alle pagine 40 e -41, con uno spaccato dedicato proprio al cloud come opportunità per gli operatori di canale) non lasciano adito a dubbi. Si parla di una adozione del cloud sempre più matura e consapevole da parte di aziende che spingono sui progetti di migrazione sulla spinta di mantenere competitività e crescita. Il 75 per cento delle imprese considera il cloud un elemento chiave per introdurre innovazioni, altrimenti troppo onerose da realizzare internamente, in termini di tempi, costi e competenze. Tutto questo vale non solo per le aziende di più grandi dimensioni, ma anche e soprattutto per le piccole e medie imprese: il 74 per cento delle PMI italiane, infatti, non solo definisce il cloud una tecnologia abilitante nei percorsi di innovazione, ma ne individua i benefici nella possibilità di appoggiarsi alle competenze specialistiche del fornitore, di variabilizzare i costi, di attivare nuovi progetti demandandone la gestione tecnico-operativa la partner, così da potersi focalizzare sulle attività core.
La visione di Aruba
«Per molte aziende - racconta Migliorini - la mi-
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cliente oggi non vuole più hardware in casa. Non vuole spendere per acquistarlo, né vuole curarlo, preoccupandosi, ad esempio, che le condizioni ambientali siano quelle ottimali. Nel contempo, il system integrator non può permettersi che le applicazioni business critical del suo cliente si fermino o che la gestione dei dati non avvenga in piena compliance con tutte le normative vigenti, da partire al GDPR». Il tutto senza lock in e dunque mantenendo la piena libertà di spostare i propri dati da un cloud provider a un altro, sulla scorta di quanto previsto da OCF, Open Cloud Foundation, l’associazione che ha elaborato un framework che assicura l’apertura del cloud e di cui Aruba fa parte.
L’opinione dei system integrator
Tutti e tre gli incontri si sono chiusi con un momento di confronto con i system integrator su questi stessi temi. Da questo confronto abbiamo estrapolato una nota positiva e una negativa che li unisce tutti, in un ideale fil rouge che attraversa il Paese. Disporre di determinate infrastrutture in house è insostenibile per le realtà di più piccole dimensioni;
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grazione verso il cloud consente di abilitare nuove funzionalità e nuove capacità impensabili su infrastrutture legacy». Migliorini porta un esempio concreto: «Pensiamo alle real time analytics, sempre più richieste in particolare in tutti i progetti correlati all’Internet of Things o all’Industria 4.0. Impossibile farle girare su sistemi di vecchia generazione. Impossibile, se non si hanno risorse adeguate, pensare a un rinnovo della propria infrastruttura on premise. Il cloud può sciogliere l’impasse, abilitando a nuovi modelli di business basati sui dati anche realtà di più piccole dimensioni». Il riferimento immediato è alle infrastrutture SAP in cloud e in particolare a SAP Hana, nato per il mondo enterprise ma oggi aperto a ogni tipologia di impresa. «I clienti ce lo chiedevano - spiega ancora Migliorini - ma c’era uno scoglio non da poco da superare: la certificazione delle appliance. Hana richiede infatti appliance hardware certificate e dunque comporterebbe investimenti molto significativi sia dal punto di vista infrastrutturale, sia dal punto di vista delle licenze. Tutto ciò renderebbe difficoltoso alle piccole aziende l’accesso alla tecnologia, se non ci fossero cloud e virtualizzazione».
Il triangolo perfetto: Aruba, VMware, system integrator
in media sono utilizzate per il 15 per cento delle loro capacità e comportano un costo per dipendente eccessivo. Il cloud consente di ridurre questi costi, di minimizzare l’errore umano, consentono al system integrator di fungere dai main contractor, utilizzando in parte le proprie infrastrutture e in parte quelle di Aruba, per l’erogazione dei diversi servizi. La nota negativa, invece, riporta al vulnus strutturale del nostro Paese: il digital divide. La mancanza di infrastrutture di rete adeguate penalizza le piccole e medie imprese del manifatturiero. Basta uscire dalle grandi aree metropolitane che le criticità diventano sempre più evidenti. «Le soluzioni per supportare la crescita delle nostre imprese attraverso la digitalizzazione ci sono, ma la carenza di infrastrutture rischia di vanificare tutto questo lavoro».
Un momento dell’incontro con i system integrator tenutosi presso il Data Center Aruba di Ponte San Pietro (BG)
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In questo caso, ecco uno dei lati del triangolo perfetto di cui abbiamo fatto cenno prima, entra in gioco un player come VMware, che ha ottenuto la certificazione SAP per poter erogare virtual machine certificate HANA, con tutte le funzionalità indispensabili in ambienti software defined: fault tolerance, continuità operativa, provisioning automatico. SAP Hana viene eseguito vSphere, garantendo migliori livelli di servizio, grazie alla possibilità di migrare su più host senza downtime e all’alta disponibilità, un’accelerazione del time to value, grazie al provisioning automatico, e una riduzione del TCO, grazie a un maggiore utilizzo dell’infrastruttura e delle risorse. Dal canto suo Aruba, secondo lato del triangolo, ha messo a punto uno IaaS per il mondo SAP Hana, multi tenant, ad alta affidabilità, in grado di supportare grandi carichi di lavoro e big data, flessibile e scalabile in termini di configurabilità, sul quale è dunque possibile installare ambienti HANA in modalità BYOL (Bring Your Own License). «Aruba si occupa di tutto, dall’hardware al monitoraggio, consentendo al cliente di focalizzarsi sul proprio business», precisa ancora Migliorini. E il terzo lato del triangolo, il system integrator? «Il system integrator si rivolge a noi perché il suo
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Mappatura dei dati: lo struMento panda security in aiuto ai dpo Panda Data Control è lo strumento di Panda Security che consente la mappatura dei dati e di risalire allo storico dei data breach. Elementi fondamentali per clienti, canale e DPO in ottica di compliance GDPR
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Loris Frezzato
Matteo Colombo,
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CEO di Labor Project e Presidente di AssoDPO
Gianluca Busco Arrè, Country Manager di Panda Security Italia
Già un po’ di tempo è passato dall’entrata in vigore del GDPR e la frenesia dei mesi che hanno preceduto il fatidico 25 maggio 2018, termine di scadenza per l’adeguamento, si è placata immediatamente dopo la data. Segno che tutto è sistemato? Non proprio, come spiega Matteo Colombo, CEO di Labor Project e Presidente di AssoDPO, l’associazione che riunisce 800 DPO (Data Protection Officer) in tutta Italia. «Sono molte le aziende che hanno iniziato l’adeguamento alla norma, ma sono talmente tanti ancora i punti aperti da definire, che le attività si protrarranno probabilmente per anni - spiega il presidente -. Si tratta di un processo di compliance che ha continui miglioramenti, con alcuni temi più chiari e altri meno, e il lavoro quindi non si è certo concluso con il 25 maggio. A oggi più della metà delle aziende italiane ha iniziato seriamente un percorso di compliance al tema della privacy. Con diversi gradi. Le Pubbliche Amministrazioni hanno nominato il DPO, ma sono ancora carenti sulla parte documentale, anche a causa di mancanza di fondi. Le aziende, viceversa, hanno pronta la parte documentale di pianificazione ma faticano a stare al passo del DPO per l’alto impegno richiesto». L’interesse sulla norma continua quindi anche fuori dai clamori del pre-scadenza, e rimane alto, pur diluendo i tempi per la corretta compliance, con le aziende sommerse dall’ordinaria amministrazione. «Il feedback che stiamo raccogliendo dai clienti e dai nostri partner, molti dei quali sono DPO, è di grande interesse - interviene Gianluca Busco Arrè, country manager di Panda Security per l’Italia -. Ora tutti, dalla piccola alla grande azienda, stanno cercando di capire quali accorgimenti tecnologici mettere in atto. Molte di queste si sono, infatti, accorte di avere molte più informazioni soggette al GDPR di quanto pensavano,
il che sta portando gradualmente il DPO a lavorare a stretto contatto con l’IT aziendale, per fare un data assessment, in grado di fornire un quadro preciso di quanti e quali informazioni sono in possesso». Un ruolo, quello del DPO, per il quale si devono coniugare competenze legali con quelle IT, professionisti che hanno curriculum e provenienze diverse, dall’area legale o da auditor o, ancora, professionisti della sicurezza IT, mentre internamente all’azienda le figure eleggibili a DPO sono il compliance manager, oppure il referente privacy. O, ancora, il ruolo del DPO viene assolto da alcuni partner IT tecnologici, che si sono strutturati per offrire servizi di data privacy ai propri clienti. Per un totale di circa 41.000 DPO comunicati all’Autorità Garante a fine settembre 2018, sia interni alle aziende, sia esterni. DPO e team interni che si trovano a doversi confrontare su un tema fondamentale per il GDPR: ossia quello del data mapping, per poter conoscere dove e se il dato richiesto è presente. E come recuperarlo. Al di là dell’approccio legalistico, quindi, bisogna ricorrere alla tecnologia. Su questo fronte, Panda Security fornisce uno strumento per la mappatura dei dati. «Il modulo Panda Data Control, che è basato sulla tecnologia Adaptive Defense, è pensato per l’uso da parte sia degli utenti finali, sia dei DPO - informa Busco Arrè -. Si tratta di una tecnologia in continua evoluzione che riesce a identificare le informazioni soggette a GDPR, come queste vengono utilizzate, spostate, arrivando addirittura a valutarne il rischio dai vari utilizzi. Inoltre, Panda Data Control riesce, in caso di data breach, a tornare indietro nel tempo di parecchi mesi e ricostruire cosa è successo, fino ad arrivare alla sorgente del problema. Un’opzione fondamentale, dal momento che molti utenti scoprono di essere stati attaccati solo dopo molti mesi».
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In SolutIon up l’IntegrazIone del cloud dI computer groSS
Paolo Castellacci, Presidente di Computer Gross
Tutto il cloud in un unico punto d’accesso. Computer Gross ha lanciato Solution Up, un nuovo portale Web all’interno del quale ha fatto convergere tutta l’offerta cloud contenuta nel proprio marketplace insieme ai servizi di data center afferenti ad Arcipelago. Un’operazione che conferma la strategicità del cloud in casa del distributore, che già due anni fa aveva pionieristicamente e coraggiosamente abbracciato la logica dell’as a service con il varo del proprio marketplace cloud. «Un percorso iniziato in anticipo che ci ha consentito di accreditarci come leader nella distribuzione di soluzioni cloud - dichiara Gianluca Guasti, marketing manager di Computer Gross -, accelerato in questi ultimi tempi con la sigla di nuove partnership e il potenziamento della struttura a supporto. Per questo abbiamo ritenuto utile ottimizzare l’offerta ormai ricca di soluzioni cloud concentrando il portafoglio di servizi in un unico punto di accesso». Solution Up è un marketplace che si basa su tre principali aree: innanzitutto come distribuzione delle soluzioni cloud di circa 30 vendor che fanno parte del portfolio del distributore. A questo si aggiunge l’offerta Arcipelago, il data center proprietario di Computer Gross, che pur mantenendo la sua identità diventa ora parte integrante dell’offerta cloud, con la possibilità di progetti congiunti e trasversali. Completano il quadro l’offerta di competenze per la creazione di servizi e soluzioni, in grado di disegnare progetti secondo le esigenze dei clienti, e che prevede supporto consulenziale e progettuale, formazione e training on the job. «Un tempo la proposizione di soluzioni partiva dall’hardware per includere successivamente software e servizi - interviene Paolo
Castellacci, presidente di Computer Gross -. Oggi il processo è inverso, e il nostro fatturato software e servizi è passato in questo anni dal 20 al 40%, diventando un punto di riferimento per tutta Computer Gross. Una considerazione che ci ha spinto ad affrontare l’offerta cloud in maniera diversa rispetto al passato, facendo convergere le competenze con i prodotti, consentendo la scelta degli strumenti più utili per la soluzione». Si tratta di servizi che già da tempo facevano parte dell’offering di Computer Gross, ma che ora sono stati riuniti per facilitare e ottimizzarne la proposizione, rendendola più integrata e ampliando le opzioni d’offerta. «L’evoluzione del nostro marketplace punta oggi all’integrazione dei singoli prodotti con i servizi e le competenze, un’integrazione che ci porta a offrire ai nostri partner soluzioni per lo sviluppo del loro business basato su cloud - conferma David Baldinotti, General Manager Business Unit Software di Computer Gross -. Diversi ingredienti cloud messi a disposizione per orientare i system integrator nella creazione di una soluzione in linea con le esigenze dei clienti, dove spicca, oltre la componente tecnologica, il nostro contributo in competenze a valore». Sono 9 le categorie di soluzioni cloud con cui Computer Gross ha organizzato la propria offerta: Backup, Collaboration, SaaS, IaaS, Data Management, End Point, Monitoring, Iperconfergenza e Cybersecurity. Per ognuna di queste categorie il distributore mette a disposizione più soluzioni e percorsi integrati tra di loro. Sempre su queste, il personale certificato interviene con formazione rivolta ai partner o in affiancamento al supporto sul cliente, attività consulenziali pre e post-sales, mettendo a disposizione competenze di system integration a completamento delle eventuali lacune del partner stesso. Competenze di cui il distributore ha delega diretta di formazione e certificazione cloud per alcuni vendor.
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Loris Frezzato
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Il distributore convoglia in un unico sito l’offerta del marketplace cloud dei vendor distribuiti e i servizi di Arcipelago. Nell’ottica di un’integrazione tra le offerte cloud con soluzioni e servizi basati sulle competenze
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ExclusivE NEtworks:
uN distributorE chE si comporta “da vENdor” La focalizzazione sulle tecnologie e la mission di scouting di nuovi brand caratterizzano il VAD, che in Italia cambia il timoniere e punta a risultati d’eccezione con cybersecurity e Datacenter Cloud
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Loris Frezzato
Luca Marinelli,
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managing director di Exclusive Networks per Italia, Grecia, Cipro e Malta
Luca Marinelli ha preso posizione nella sala comandi di Exclusive Networks Italia. Questa la notizia, già anticipata all’inizio estate, del passaggio del manager sul fronte della distribuzione, dopo anni di militanza su quello dei vendor, da Cisco, Microsoft, Citrix, con ruoli nazionali e internazionali, che ora potrà mettere a frutto le esperienze passate nei rapporti con il canale a valore, target elettivo del distributore. «Un approccio al mercato da un nuovo punto di vista, certamente, ma con il vantaggio che Exclusive Networks è un distributore che sembra… un vendor» esordisce Marinelli, il cui job title è managing director per l’Italia di Exclusive Networks, oltre ad avere responsabilità per i mercati di Grecia, Cipro e Malta. E spiega: «Nel senso che proprio per la sua natura di scouting di nuove tecnologie e di brand, Exclusive Networks ha al suo interno altissime competenze tecnologiche sulle soluzioni che propone, proprio per il fatto che nei Paesi dove rappresenta questi vendor, spesso deve, oltre a svilupparne i mercati locali, occuparsi della divulgazione e supporto delle tecnologie, anche per vece dei vendor stessi qualora non siano strutturati per farlo». In effetti l’esclusività nella rappresentanza dei vendor in Italia e in generale nei 26 Paesi che copre (con 56 uffici e 1.700 persone, di cui 80 in Italia - ndr) è parte del DNA del distributore, oltre che nel nome stesso, già dalla sua nascita, ormai 15 anni fa, e ancora oggi, la cui maggioranza è stata recentemente acquisita dal fondo di investimenti Per-
mira. Una strategia che gli ha fatto chiudere il 2017 con 1,8 miliardi di dollari, un fatturato che in giro di pochi anni intende far crescere sino a quota 10 miliardi. Due sono le principali aree di specializzazione di Exclusive Networks, Cybersecurity e Datacenter Cloud Transformation, e tali resteranno anche nei piani di sviluppo futuri, organizzati su diverse divisioni specializzate in altrettante attività: Exclusive Networks, dedita alla distribuzione dei brand di cybersecurity; BigTec che invece si occupa della distribuzione delle tecnologie e dei marchi afferenti al datacenter e alla cloud transformation; Exclusive Capital, che rappresenta la componente finanziaria e PassPort, la divisione focalizzata sui servizi professionali, training e supporto. «La nostra strategia consiste nel lavorare con brand e tecnologie innovative - spiega Marinelli -, un modello di cui abbiamo sperimentato il successo con brand come Fortinet, Palo Alto, Exabeam, tanto per fare qualche esempio. Brand che non erano presenti sul mercato italiano e che hanno ora raggiunto maturità. In parallelo lavoriamo poi sull’espansione e promozione dei brand che sono già consolidati, in un equilibrio di Exploration/Explotation del mercato, facendo attenzione a evitare sovrapposizioni nell’offerta». Forte, dicevamo, la vocazione tecnologica del distributore, con ingegneri che per molti brand a listino si sostituiscono a quelli del vendor stesso. Un bagaglio di competenze che Exclusive Networks mette a disposizione dei reseller (1.800 quelli attivi nel 2017 - ndr) e dei loro clienti, con l’inaugurazione (il 2 di ottobre) del Power Lab, all’interno del quale si potranno toccare con mano le diverse tecnologie. Skill riconosciuti anche da molti marchi distribuiti da Exclusive Networks, per una decina dei quali, sui 28 a listino, è training center autorizzato.
in opportunità per il trAde
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ModeM libero: AVM lo trAduce La liberalizzazione dell’uso dei modem apre al canale di AVM nuovi business, potendosi proporre alle aziende con le tecnologie più adatte alle loro esigenze associate a un bouquet di servizi personalizzati
Gianni Garita, country manager di AVM Italia
I servizi al centro con la delibera sul Modem Libero La delibera AGCOM può, quindi, risultare vantaggiosa soprattutto per gli operatori che si rivolgono al mercato B2B, dove il canale può intervenire con prodotti adatti a offrire servizi aggiuntivi, che AVM copre con la gamma Free, la quale comprende componenti per centralini, apparati per la telefonia, segreteria, multi-numeri e voice to mail. Tra gli effetti, anche indiretti, della delibera AGCOM, si prevede uno stimolo ulteriore alla diversificazione e alle performance del mercato IP, già in ottima salute in generale e in particolar modo per AVM, che si è posizionata come leader europeo per il mercato TCP a valore, e per la quale l’Italia rappresenta il secondo mercato europeo dopo la Germania, confermandosi essere un Paese con altissime potenzialità, che il vendor trasferisce totalmente ai partner. Partner che sono diversificati rispetto ai differenti canali attraverso i quali vengono veicolati i prodotti AVM, con partnership attive sia con il canale delle Telco, sia con quello più classico della distribuzione. I distributori AVM autorizzati sono Esprinet, Ingram Micro, Allnet.Italia e Brevi, attraverso i quali il vendor raggiunge i rivenditori e system integrator italiani. «Negli ultimi anni ci siamo particolarmente focalizzati sul canale dei rivenditori e dei system integrator e abbiamo aumentato la nostra presenza sui cash&carry, coinvolgendo le catene Esprivillage, Brevi e Cometa, importanti per il contatto diretto che ci consente di avere con i rivenditori, che incontriamo in occasione di appuntamenti periodici dove facciamo training face to face. Partner a cui forniamo tutto il supporto necessario ad agevolare il loro business, ora anche con servizi in lingua italiana, sia online, sia tramite email o via social, sia telefonicamente» dichiara il country manager.
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Il mercato dei modem e, in generale, delle connessioni alla rete dati, è notevolmente cambiato nel corso degli ultimi anni. Un’evoluzione nell’offerta, sia da parte dei vendor di dispositivi di connessione o di networking sia dal lato dei servizi proposti dai provider telefonici, fortemente stimolata dalle nuove tecnologie. Offerta che ora si prevede subirà un’ulteriore diversificazione, a seguito della delibera sul Modem Libero del 2 agosto di AGCOM, l’Autorità per la Garanzia nelle Comunicazioni, che sancisce, a partire dal 31 ottobre 2018, la possibilità per i consumatori di svincolarsi dai modem imposti dai pacchetti di abbonamento dei provider TLC e di poter scegliere il brand e la tecnologia che preferiscono. Una notizia colta ovviamente con favore da AVM, che immediatamente ha intravisto le potenzialità che da tale decisione possono emergere per il proprio canale dei partner. «La liberalizzazione della scelta del modem segna un traguardo nella tutela dei consumatori e rappresenta una grande opportunità per i partner di canale, soprattutto quelli che si rivolgono a un’utenza aziendale - commenta Gianni Garita, country manager di AVM Italia -, oltre a liberare nuove tecnologie innovative, in grado di abilitare nuovi servizi ai clienti. Per questo motivo stiamo sensibilizzando i nostri system integrator e rivenditori, affinché si preparino a essere propositivi sui clienti, con un’offerta tecnologica all’avanguardia e promotrice di servizi personalizzati, altrimenti difficilmente attivabili dai pacchetti standard disponibili fino a oggi. Gli utenti e i partner che li seguono possono ora scegliere liberamente di quali dispositivi e servizi fruire e su quali tipologie di rete, DSL, LTE o fibra ottica. Senza costi aggiuntivi e anche nel caso di abbonamenti già in essere».
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Infrastrutture dI cablaggIo dI alta qualItà: rosenberger osI vuole espandersI In ItalIa (tramIte partner)
Marco Argenti
Vice President Technology di AWS
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Rosenberger OSI è un produttore europeo di infrastrutture innovative di cablaggio in fibra ottica (l’acronimo OSI sta per Optical Solutions & Infrastructure), una realtà che intende espandersi in Italia puntando a servire aziende e provider che hanno un Data Center che deve rispondere ad esigenze di affidabilità e sicurezza Nicoletta Boldrini
Rosenberger OSI non è un nome nuovo nel panorama dell’IT ma forse non tutti conoscono a fondo questa realtà che sviluppa infrastrutture di cablaggio in fibra ottica e in rame e soluzioni di servizio per Datacom, Telecom e Industrial fin dal 1991. Parliamo di una realtà che impiega circa 600 persone in Europa e fa parte del gruppo Rosenberger (attivo a livello mondiale dal 1998), oggi riconosciuto uno dei leader di soluzioni di connessione ad alta frequenza, alta tensione e fibra ottica con sede in Germania.
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Il go-to-market (indiretto) di Rosenberger OSI
Rosenberger OSI arriva al cliente esclusivamente tramite distribuzione: «In Italia ci sono due distributori, la Coel a Milano e la BB Tech Group di Bergamo. La distribuzione avviene su tutto il territorio nazionale», è quanto ci dice Paolo Parabelli, Sales Manager Italia di Rosenberger OSI che, in Italia, ha il compito di fare scouting e ingaggio sulle aziende clienti (anche se poi, come accennato, il modello di go-to-market è totalmente indiretto e passa attraverso i canali di distribuzione). La distribuzione, dunque, ha un ruolo determinante per far arrivare le soluzioni alle aziende ma, ci tiene a sottolineare Parabelli, «la rete di distributori si sta modellando sulla base di specifiche esigenze: serve
la massima capillarità verso la filiera che ha poi il campito di “scaricare a terra” il valore di soluzione come lo nostre, vale a dire system integrator e aziende che lavorano nel campo elettrico/elettronico come installatori, progettisti, impiantisti». «Parlare di infrastrutture di cablaggio può sembrare “old style” ma oggi più
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specificati”. Un messaggio che non può passare inosservato per i partner e per chi intende certificarsi per poter offrire servizi e assistenza ad infrastrutture di cablaggio di alta qualità come quelle che rappresentano la punta di diamante della proposta Rosenberger OSI.
Il più grande nodo Internet italiano sceglie Rosenberger OSI
Recentissimo infine l’annuncio con il quale si rende noto che Milan Internet Exchange (MIX) ha scelto di affidarsi alle tecnologie targate Rosenberger OSI. MIX è il più importante Internet Exchange in Italia e tra i leader europei in termini di traffico dati; è il punto di interconnessione in cui gli operatori Internet (ISP, operatori, provider di contenuti e hosting) si connettono per un efficiente scambio di traffico di dati.
A conferma della strategia di posizionamento dell’azienda è arrivato poche settimane fa l’annuncio di PreCONNECT, l’ultima soluzione della famiglia PURE grazie alla quale si hanno prestazioni elevate nella velocità di trasmissione grazie ad interfacce di accoppiamento preassemblate. PreCONNECT PURE si colloca all’interno dell’offerta di infrastrutture per i cablaggi IT di fascia alta e, fa sapere l’azienda, rappresenta una svolta nell’ambito dei cablaggi perché elimina due critici fattori di incertezza che solitamente hanno un impatto critico sulle prestazioni complessive: 1) la contaminazione delle fibre ottiche; 2) il budget di attenuazione reale. Secondo alcuni studi interni di Rosenberger OSI, circa il 50% di tutti gli errori di rete provengono da problemi di cablaggio. Contaminazioni dei connettori ottici, procedure errate di installazione o addirittura danni durante il patching sono i principali responsabili. Il connettore MTP risponde in modo molto sensibile all’inserimento e garantisce una bassa attenuazione agli errori grazie alla sua geometria frontale e all’assenza di contaminazioni sulle ferule delle fibre, fa sapere l’azienda che però aggiunge (e avverte): “le nuove soluzioni possono essere installate e manutenute solo da personale addestrato e certificato da Rosenberger OSI per garantire l’alta qualità dei valori
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Rosenberger OSI punta alla qualità del cablaggio nei Data Center
“MIX garantisce sicurezza e ridondanza ai dispositivi degli operatori ospitati nei suoi data center. Una struttura con questo scopo deve mantenere la massima qualità e una tecnologia all’avanguardia e deve disporre dei provider più affidabili in termini di velocità di installazione, manutenzione e assistenza”, si legge nella nota aziendale. «In Italia il tema delle infrastrutture di cablaggio deve ancora superare molti scogli culturali che vanno dall’effettivo riconoscimento del valore di certe soluzioni di qualità al prezzo per poterle avere», è il commento finale di Parabelli. «Casi come quello di MIX rappresentano non solo un’ottima referenza commerciale ma anche un modello di riferimento culturale: per poter affrontare adeguatamente le sfide imposte dalle future tendenze tecnologiche e dai nuovi business model incentrati sul digitale, servono soluzioni adeguate in termini di sicurezza, affidabilità, qualità».
Paolo Parabelli
Sales Manager Italia di Rosenberger OSI
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che mai l’attenzione a queste soluzioni dev’essere massima per le aziende», è la riflessione che invita a fare Parabelli. «Un’infrastruttura di rete oggi deve essere in grado di tenere il passo con il ritmo delle nuove tecnologie e la crescita del traffico e delle interconnessioni. Non guasta poi se assicura anche una sostanziale riduzione dei costi operativi grazie all’ottimizzazione degli spazi». Cloud computing e 5G stanno decisamente accelerando l’evoluzione e l’espansione dei data center, soprattutto quelli delle aziende del mondo Telco e dei Service Provider ma, se rimaniamo all’interno dei Data Center aziendali, sono tecnologie come IoT, Big Data e Intelligenza Artificiale, nonché fenomeni evolutivi come quelli dell’Industry 4.0, a “mettere sotto pressione” il traffico dei dati che transita nel Data Center. Ed è come risposta a queste criticità che Rosenberger OSI intende rafforzare il proprio posizionamento in Italia.
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Dai partner SophoS l’offenSiva al cybercrime con Soluzioni integrate e competenze
La responsabile di canale del vendor invita i partner a proporsi come advisor della sicurezza per i propri clienti, e sfruttare le nuove tecnologie messe a loro disposizione acquisendo competenze specifiche
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Loris Frezzato
Kendra Krause,
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Vice president of global channels di Sophos
Tecnologie e conoscenza. Questi gli elementi che Sophos ritiene essere fondamentali per contrastare le ininterrotte ondate di attacchi cyber, sempre più complessi, sofisticati, silenti e dannosi, dove ransomware e phishing continuano a farla da padroni. Un panorama poco confortante e che non tende a cambiare, come osserva Kendra Krause, Vice president of global channels di Sophos: «Le aziende oggi si stanno muovendo in un ambiente caratterizzato da minacce sempre più complesse e sofisticate e l’aumento degli attacchi mirati rende imprescindibile sviluppare tecnologie sempre più avanzate e a impegnarsi nella formazione del canale e degli utenti stessi, con l’obiettivo unico di proteggere il loro business. Gli attacchi “zero day”, infatti, hanno reso inutili le tradizionali soluzioni antivirus e i criminali informatici ormai utilizzano diverse tecniche per sferrare attacchi sempre più mirati». Le modalità di attacco sono ben diverse che in passato, e si sta sempre più assistendo a una “industrializzazione” degli attacchi, con una consumerizzazione che tende a semplificarne l’utilizzo. Il Cybercrime è, infatti, un grande business ben finanziato, e i criminali oggi non hanno bisogno di essere esperti informatici per avere successo. I Toolkit comprensivi di supporto possono essere acquistati sul Dark Web e anche “gli hacker a noleggio” sono in grado di lanciare un attacco. «Praticamente ogni partner con cui collaboriamo ha clienti costretti ad affrontare queste sfide - riprende la vice president -, alle quali è possibile rispondere grazie alle soluzioni Sophos di Firewall ed Endpoint, frutto della nostra costante ricerca volta a sviluppare un portafoglio di prodotti in grado di affrontare, prevenire e gestire questa nuova tipologia di minacce». E proprio per abilitare il proprio canale, Sophos
offre ai partner strumenti di formazione e vendita per trasformarli in consulenti di fiducia per i propri clienti, rendendoli in grado di trasferire il messaggio della necessità di contrastare gli attacchi mediante un approccio integrato. Si tratta di un ruolo chiave per i partner per il quale si rende necessario un ulteriore livello di competenza in materia di sicurezza. «Abbiamo raggiunto un punto di svolta in cui i metodi di sicurezza tradizionali non sono più sufficienti e, al fine di offrire le migliori difese ai clienti, i partner devono allinearsi con i fornitori di sicurezza, costantemente focalizzati nell’innovazione contro il cybercrime. Sophos è impegnata nella formazione dei partner su tutte le nuove tecnologie e le minacce per renderli consulenti affidabili per i loro clienti» sottolinea la responsabile del canale. Partner che si possono avvalere di tecnologie per la difesa che il vendor sta sviluppando tenendo presente il prezioso contributo all’IT security derivante dall’Intelligenza Artificiale. Il Deep Learning, in particolare, sfrutta i modelli di rete neurale consentendo di ottenere una maggiore precisione di rilevamento, utilizzando una metodologia di AI all’avanguardia e la conformità ai big data per garantire una migliore scalabilità del panorama delle minacce in evoluzione e ottenendo migliori tassi di rilevamento, minori falsi positivi e ingombri notevolmente inferiori. «Questa tecnologia “predittiva” è già presente in Intercept X, Sophos Sandstorm Sandboxing, nel nostro next-gen firewall XG e alla base dell’attività di ricerca dei SophosLabs - informa Krause -. Sophos sta infatti cercando di essere sempre un passo avanti rispetto ai potenziali attacchi, comprendendo le tecniche dei cyber criminali e introducendo la tecnologia di protezione predittiva» conclude la manager.