La frontiera della sostenibilità

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LA FRONTIERA DELLA SOSTENIBILITA’ UN PERCORSO DI RICERCHE SUI TEMI DELL’ OCCUPAZIONE E DELLA FORMAZIONE di Rita Ammassari e Maria Teresa Palleschi

“…… la complessità ci richiede….. di ristabilire le articolazioni tra ciò che è disgiunto, di sforzarci di comprendere la multidimensionalità…… di non dimenticare mai le totalità integratrici” Edgar Morin

1. I vincoli europei come strategia di sviluppo La Commissione Europea nel riconoscere la priorità della crisi climatica e della lotta al global warming per la salvaguardia del pianeta e per perseguire uno sviluppo sostenibile in termini di “carrying capacity” ha fissato obiettivi vincolanti al 2020 nella riduzione delle emissioni del 20%, attraverso l’aumento dell’efficienza energetica (con risparmio del 20% dei consumi al 2020) e conseguimento della quota del 20 % delle fonti rinnovabili sul totale dei consumi al 2020. L’impegno a mantenere il riscaldamento del pianeta al di sotto dei 2°C costituisce una opportunità di cambiamento per definire nuove economie a basse emissioni di carbonio e indurre una nuova rivoluzione industriale in cui i vincoli imposti dalle preoccupazioni per la salvaguardia del pianeta possono rappresentare il motore di una nuova economia in grado di dare risposte all’attuale crisi soprattutto negli ambiti delle energie rinnovabili, dell’efficienza e del risparmio energetico, nei quali sempre più si giocherà, a livello planetario, la sfida dell’innovazione, della competitività, del lavoro e della capacità di futuro. Lo sviluppo delle rinnovabili e il miglioramento dell’efficienza energetica stanno, infatti, diventando nei paesi industrializzati (USA, Germania, Spagna, Danimarca) come 

Rita Ammassari e Maria Teresa Palleschi sono responsabili, presso l’Isfol, dell’Area di Ricerca denominata Progetto Ambiente-Ifolamb. Svolgono, da anni, indagini, ricerche e sperimentazioni sui temi dell’educazione, della formazione e dell’occupazione in campo ambientale; hanno realizzato IFOLAMB (Informazione Formazione Orientamento Lavoro AMBientale), un sistema informativo alimentato dai risultati delle attività realizzate dall’Area. Tra le loro attività, appaiono particolarmente significative le indagini censimentali sull’offerta formativa ambientale, le ricerche sulle tendenze del mercato del lavoro ambientale, le indagini sulla spendibilità nel mercato del lavoro di segmenti formativi significativi ambientali, le ricerche su figure professionali innovative per lo sviluppo sostenibile.

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in quelli emergenti (Cina, India e Brasile) o in via di sviluppo (Kenya e Angola) fattore propulsivo di economia reale, facendo dell’attuale crisi un’opportunità di cambiamento in direzione di un new deal verde che può rappresentare “la nuova rivoluzione industriale del XXI secolo”. I dati provenienti da diverse fonti disponibili, istituzionali e non, sui trend occupazionali a livello internazionale, comunitario e nazionale e le proiezioni al 2020, sebbene assai diversificati e non sempre confrontabili tra loro a causa delle diverse metodologie adottate, confermano una tendenza in atto incontrovertibile: la crescita di occupazione nei settori di nuova economia in grado di produrre un effetto non solo compensativo rispetto a lavori tradizionali a forte impatto ambientale, ma di aprire prospettive occupazionali incoraggianti per fronteggiare l’attuale crisi e rilanciare l’economia mondiale. L’UNEP (United Nations Environment Programme), Agenzia dell’ONU e il Worldwatch Institute1 registrano nel 2008, 11.000.000 di posti di lavoro verde in tutto il mondo. In merito alle energie rinnovabili, gli occupati nel 2006, raggiungono sempre a livello planetario, 2.300.000 unità di cui 300.000 nell’eolico, 170.000 nel fotovoltaico, 600.000 nel solare termico, 1.200.000 nei biocombustibili. A livello europeo, i dati del WWF2 attestano che nel 2008, l’occupazione verde raggiunge i 3.400.000 posti di lavoro, di cui 400.000 unità per le energie rinnovabili, 2.100.000 per la mobilità sostenibile e 900.000 per la produzione di beni e servizi per l’efficienza energetica, in particolare nel settore edilizio. Oltre 5.000.000 di posti di lavoro riguardano, inoltre, l’occupazione indiretta correlata con questi settori. Si configura, quindi, un’occupazione non di nicchia o di tipo congiunturale, ma in grado di offrire solide alternative per affrontare insieme la crisi economica e la crisi ambientale. La Tab.1, che dà conto dell’occupazione diretta e indiretta in riferimento alle energie rinnovabili in alcuni paesi europei, conferma il ruolo di paesi leader come la Germania e la Spagna grazie ai forti investimenti e al sistema degli incentivi promossi negli ultimi anni. L’Italia, partita in ritardo rispetto agli altri paesi europei, sta recuperando il gap iniziale e si attesta complessivamente intorno alle 19.700 unità tra occupazione diretta e indiretta.

1 2

UNEP-ILO-ITUC-IOE-Worldwatch Institute “Green jobs Report” 2008 WWF “Low carbon jobs for Europe “ giugno 2009

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Tab. 1 - Occupazione diretta e indiretta in alcuni stati europei nel settore delle energie rinnovabili nel 2008 Stati Germania Spagna Danimarca Italia *

Eolico 85.100 40.000 23.500* 15.000**

Solare Fotovoltaico 42.000 26.800

Solare Termico 17.400 9.142*

1.700

3.000

Biomasse 95.800 10.349*

Totale Stati 240.300 86.291 23.500 19.700

Solo occupazione diretta

**

Il dato è relativo all'anno 2007

Fonte: Rielaborazione ISFOL Progetto Ambiente - Ifolamb da Rapporto WWF "Low carbon jobs for Europe" - 2009

I dati elaborati dal Progetto Ambiente dell’Isfol sulle tendenze del mercato del lavoro ambientale3, attraverso il monitoraggio dei dati Istat dal 1993 al 2008, evidenziano una crescita dell’occupazione sulle energie rinnovabili da 5.300 occupati nel 2003 a 14.200 circa nel 2008. Le attività svolte, riferite prevalentemente alla realizzazione e manutenzione degli impianti, sono riconducibili a professioni di livello intermedio di tipo tecnico (19%) o di tipo operativo (81%). Secondo le stime di Nomisma Energia4, Il comparto eolico rappresenta oggi una realtà abbastanza affermata con oltre 10.000 addetti tra occupazione diretta e indiretta, mentre il fotovoltaico si configura come un comparto ancora poco sviluppato (circa 5.700 addetti secondo il Cnes5), ma con grandi potenzialità di crescita sia in termini di ricadute occupazionali che di valore aggiunto. Secondo le stime dell’Ises6, installando 7,5 GW nel 2020, si potrebbero avere in questo settore 87.000 posti di lavoro, destinati a definire una diversa distribuzione geografica degli occupati, che si collocherebbero soprattutto nelle regioni meridionali. Lo sviluppo delle energie rinnovabili e la transizione verso una economia più sostenibile, orientata dal pacchetto clima-energia, sembra quindi poter compensare gli effetti negativi della perdita di occupazione in settori legati alla produzione di energia da fonti tradizionali che, secondo un’indagine Cnel-Issi-Cles7, avrebbe un’incidenza modesta (pari all’8%) sulla crescita di occupazione grazie allo sviluppo dell’eolico e del fotovoltaico. D’altra parte, la contrazione dei posti di lavoro nelle industrie a forte impatto energetico sembra 3

La ricerca “Tendenze del mercato del lavoro ambientale”è scaricabile consultando il Sistema informativo Ifolamb sul sito dell’Isfol. 4 NOMISMA Energia “Fonti rinnovabili e green economy: lo stato dell’arte in Italia” maggio 2009 5 CNES (Commissione nazionale energia solare) “Rapporto preliminare sullo stato attuale del solare fotovoltaico nazionale” 2008 6 ISES ITALIA “Gli investimenti e le ricadute occupazionali da uno sviluppo sostenuto delle fonti rinnovabili in Italia” novembre 2008 7 CNEL-ISSI-CLES “Indagine sull’impatto delle politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici sul sistema produttivo e sull’occupazione in Italia” aprile 2009

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legata più all’introduzione di processi di automazione e alla delocalizzazione delle attività produttive che da processi lavorativi indotti dalle energie rinnovabili e dall’efficienza energetica. Uno studio della Bocconi, realizzato con GSE (Gestore Servizi Elettrici)8 delinea tre scenari a diversa intensità occupazionale: il primo prevede, con l’importazione di tecnologie rinnovabili dall’estero, un incremento di 100.000 posti di lavoro; il secondo, con lo sviluppo di tecnologie rinnovabili, porterebbe a 150.000 il numero degli occupati; il terzo scenario, in cui è prefigurato il massimo sfruttamento del potenziale tecnologico, prospetta una crescita occupazionale al 2020 di 250.000 unità (77.500 nell’eolico e 47.500 nel solare) (Fig 1).

Fig. 1 - Prospettive occupazionali da Fonti energetiche rinnovabili in Italia al 2020

27.500 11%

5.000 2%

BIOGAS

25.000 10% 5.000 2%

10.000 4%

GEOTERMIA

20.000 8%

SOLARE TERMOELETTRICO

BIOMASSE

IDROELETTRICO

EOLICO

77.500 31%

65.000 26%

RSU

SOLARE PV

15.000 6%

ALTRO

Fonte: GSE – IEFE Bocconi 2009

Le potenzialità occupazionali dell’eolico al 2020 sono confermate anche dall’ANEV (Associazione Nazionale Energia del Vento)9 che prevede 66.000 occupati tra occupazione diretta (19.000) e indiretta (47.000) concentrata soprattutto nelle regioni meridionali (Puglia, Campania, Sicilia e Sardegna). Per la percorribilità della crescita occupazionale, orientata dal pacchetto clima-energia, saranno determinanti oculate politiche di investimenti, un efficace sistema premiante rivolto a chi investe in fonti 8 9

Vedi GSE - Bocconi - IEFE già citato ANEV “Il potenziale eolico italiano e i suoi possibili risvolti occupazionali al 2020” dicembre 2008

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alternative, lo sviluppo di un’industria di settore e la capacità degli imprenditori di valorizzare la propria filiera produttiva, utilizzando le tecnologie rinnovabili. In Italia, nonostante una rilevante crescita delle energie rinnovabili (+ 20% tra eolico e soprattutto fotovoltaico nel 2007-2008) si continuano ad importare tecnologie dall’estero e le aziende tendono a collocarsi a valle della filiera e a presiedere le attività di distribuzione ed installazione degli impianti più che ad investire in ricerca e sviluppo di tecnologie pulite in grado di produrre innovazione sia di processo che di prodotto, e di determinare vantaggi anche dal punto di vista economico, in considerazione dell’accresciuta competitività delle aziende sui mercati nazionali e internazionali. Un ruolo non residuale rivestono anche gli aspetti informativi e culturali in grado di cambiare i comportamenti concreti quotidiani e di favorire, attraverso processi di partecipazione alle scelte, l’affermarsi di un nuovo modello di produzione e consumo energetico nei diversi settori: dai trasporti pubblici e dalla mobilità sostenibile, al miglioramento delle caratteristiche termiche degli edifici e delle apparecchiature per uso civile (elettrodomestici) e industriale. Oltre alle energie rinnovabili è necessario ridurre i consumi energetici attraverso l’innalzamento dell’efficienza energetica, come previsto dalla direttiva europea sui cambiamenti climatici, per produrre gli stessi beni e servizi con minor impatto ambientale e minori costi per le imprese e per il sistema Italia. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE)10 attribuisce agli interventi per l’efficienza energetica il ruolo principale nella riduzione di emissioni di gas serra nell’atmosfera. Uno studio realizzato nel 2007 dal Politecnico di Milano per Greenpeace11 stima che 60.000 nuovi posti di lavoro potranno essere creati entro il 2020 attraverso investimenti in efficienza energetica. Se lo sviluppo è sempre stato sostenuto dalla crescita dei consumi, nel XXI secolo si rende necessaria un’inversione di rotta che non può essere determinata solo dallo sviluppo sia pure fondamentale delle energie rinnovabili. E’ necessario dare impulso ad una strategia che operi sul doppio versante delle energie rinnovabili e della efficienza-risparmio energetico per poter contenere la concentrazione di CO2 nell’atmosfera. Tra i settori che maggiormente possono contribuire al perseguimento 10

Agenzia internazionale dell’Energia “Energy Technology perspectives. Scenari e strategie da oggi al 2050” OECD/IEA, 2008 11 Greenpeace - Politecnico di Milano (Dipartimento di energetica) “La rivoluzione dell’efficienza: il potenziale di efficienza energetica negli usi finali di energia elettrica in Italia al 2020 e I benefici connessi”, 2007

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degli obiettivi di compatibilità ambientale, economica e sociale si collocano quelli dell’edilizia, responsabile del 40% dei consumi energetici, dei trasporti e della mobilità sostenibile. Uno studio dell’Enea12 individua nello sviluppo di tecnologie per l’efficienza energetica la possibilità di una contrazione di CO2 nell’atmosfera con rilevanti ricadute occupazionali nel settore edile. Altre stime (WWF) confermano e rafforzano questo dato di tendenza in considerazione anche delle normative sulle prestazioni energetiche degli edifici che potrebbe generare tra i 280.000 e i 450.000 nuovi occupati entro il 2020 attraverso lo sviluppo di figure professioni riferite alla bioedilizia, alla certificazione energetica degli edifici, alla progettazione e produzione di materiali a basso impatto ambientale per l’isolamento termico, alla realizzazione di sistemi passivi per il riscaldamento ed il raffreddamento, oltre all’integrazione dei sistemi tradizionali per la fornitura di energia termica e/o elettrica con sistemi innovativi di generazione dell’energia e di tecnologie per una gestione ottimizzata dei servizi energetici. Sono, soprattutto, gli edifici pubblici che dovrebbero rappresentare un esempio di efficienza energetica, in considerazione anche del fatto che la bolletta energetica delle Pubbliche Amministrazioni pesa sul bilancio dello Stato per circa 4,5 miliardi di euro all’anno, come attesta Consip. Le ricadute in termini di benefici economici e ambientali sarebbero rilevanti sia come sostegno al sistema produttivo per la realizzazione di impianti e materiali ecocompatibili, sia come impatto occupazionale, oltre che per il miglioramento della qualità ambientale del posto di lavoro e della sicurezza degli edifici. Quanto al settore della mobilità sostenibile, l’Italia e la Francia si qualificano ai primi posti per la produzione di veicoli a basse emissioni di carbonio, ma l’efficienza energetica dei veicoli prodotti non compensa un’offerta di trasporto pubblico che rimane inadeguata. Una mobilità sostenibile dovrebbe creare un maggiore equilibrio tra le diverse modalità di trasporto e favorire lo sviluppo del trasporto pubblico, alimentato da elettricità verde, e ferroviario a discapito di una mobilità basata oggi prevalentemente su automobili e camion. Sono queste le condizioni per creare un sistema di trasporti integrato - che si avvalga di automobili efficienti cioè a basse emissioni di CO2, di veicoli ibridi-elettrici, di trasporto pubblico urbano, di car sharing, biciclette e ferrovie -

12

ENEA “Crisi economica e intervento pubblico” 26.2.2009

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a sostenibilità ambientale, economica e sociale in considerazione anche dei posti di lavoro che potrebbero ulteriormente aprirsi in questa direzione. 2. Lo sviluppo sostenibile come risorsa per l’occupazione Le ricerche sulle tendenze del mercato del lavoro ambientale13, realizzate dal Progetto Ambiente dell’Isfol attraverso l’elaborazione dei dati sulle forze di lavoro ISTAT nell’arco temporale 1993-2008, già richiamate in riferimento al settore delle energie rinnovabili, evidenziano anche su altri settori ambientali un trend di sviluppo positivo in termini occupazionali (+ 41%) e sollecitano riflessioni sulla qualità dell’occupazione ambientale. Nel panorama dei dati presi in considerazione appaiono particolarmente significativi alcuni aspetti. In particolare, la connotazione di genere del mercato del lavoro ambientale che evidenzia un aumento della componente femminile che passa da un peso percentuale del 12,7% nel 1993 al 25,5% nel 2008. Pertanto, sebbene l’occupazione ambientale si presenti sin dal 1993 connotata da una dominanza maschile (M 230.300; F 33.600), che assume nel tempo caratteristiche di stabilità, la stessa subisce una contrazione rispetto alla componente femminile, passando dall’87,3% nel 1993 al 74,5% nel 2008 (M 277.300; F 94.800). Il mercato del lavoro ambientale registra non solo un incremento notevole delle donne occupate, ma anche un loro posizionarsi nel mercato del lavoro a livelli più elevati rispetto alla componente maschile. Tale tendenza trova conferma nel fatto che più dell’87,2% delle donne impegnate in attività ambientali ha livelli di scolarità medio-alti, contro appena il 54,6% degli uomini. Pertanto, le donne sono più scolarizzate degli uomini e la loro collocazione nei diversi settori ambientali sembra facilitarne la valorizzazione come risorsa (Tab.2). La connotazione medio-alta delle professioni verdi, necessaria per affrontare adeguatamente la complessità delle tematiche ambientali, appare evidente dall’analisi dei dati che evidenzia uno spostamento verso l’alto dei titoli di studio e un incremento degli occupati in possesso di un diploma e di una laurea (dal 40% nel 1993 al 63% nel 2008). Infatti, se nel 1993 gli occupati ambientali con una licenza elementare o con nessun titolo di studio rappresentavano il 22,4% del totale degli occupati, nel tempo, il

13

Cfr nota 3

7


loro peso percentuale si è progressivamente contratto fino a rappresentare poco più dell’8%.

Tab. 2 - Occupati negli anni 1993-2008 per sesso, titolo di studio e settore ambientale 1993

1998

2003

2008

M

F

Totale

M

F

Totale

M

F

Totale

M

F

Totale

Nessuno/licenza elementare Licenza media Diploma Laurea/laurea breve

24,4 39,9 30,5 5,1

8,4 21,1 45,3 25,2

22,4 37,5 32,4 7,7

17,5 39,4 36,5 6,7

4,6 16,2 54,1 25,1

15,3 35,5 39,4 9,8

13,8 38,4 41,8 6,0

5,5 22,0 54,1 18,4

12,1 35,2 44,2 8,4

10,5 34,9 44,4 10,2

1,8 10,9 55,0 32,2

8,3 28,8 47,1 15,8

Rifiuti Energie rinnovabili e risparmio Difesa, controllo, disinquinamento Sicurezza e igiene Turismo ambientale Risorse agroforestali Urbanistica, Beni cult.ambientali Ricerca

33,9 2,3 2,8 4,3 2,5 51,8 2,3 0,2

17,6 0,9 3,6 17,3 16,7 38,9 4,2 0,9

31,8 2,2 2,9 6,0 4,3 50,2 2,5 0,3

32,8 2,4 2,5 5,4 3,2 50,7 2,5 0,4

13,5 0,4 1,7 14,3 19,8 47,8 2,1 0,4

29,6 2,1 2,3 6,9 6,0 50,2 2,5 0,5

34,2 1,8 3,9 3,2 3,2 50,9 2,5 0,4

18,8 1,5 2,3 6,0 20,3 47,1 2,8 1,3

31,2 1,7 3,6 3,7 6,5 50,2 2,5 0,5

29,0 4,8 8,7 8,6 7,5 39,3 1,9 0,2

10,0 0,8 7,4 21,1 34,6 25,7 0,1 0,2

24,2 3,8 8,4 11,7 14,5 35,8 1,4 0,2

Totale % Totale v.a.

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 230.300 33.600 263.900 238.100 47.500 285.600 250.200 61.200 311.400 277.300 94.800 372.100

Fonte: elaborazione Isfol Progetto Ambiente - Ifolamb su dati Istat

Interessante anche l’età degli occupati in settori ambientali, in relazione alla variabile sessuale; l’età media è più elevata per la componente maschile che risulta avere più di 45 anni nel 49% dei casi contro il 25% delle donne, affacciatesi da poco nel mondo dei servizi e delle tecnologie ambientali e decisamente più giovani (il 37% contro il 22% degli uomini ha meno di 34 anni). Tra il 2003 e il 2008 il mercato del lavoro ambientale si caratterizza complessivamente per una perdita di consistenza di lavori scarsamente qualificati; in aumento è l’occupazione legata a professioni intermedie di tipo tecnico. Quanto alla posizione professionale ricoperta dagli occupati, diminuiscono leggermente gli impiegati, mentre aumentano le posizioni direttive e i contratti di co.co.co. Forme di precarizzazione e di uso flessibile della forza lavoro riguardano, soprattutto, la componente femminile con il 7,3% contro l’1,7% degli uomini nel 2006, ma tale divario sembra meno consistente nel 2008 (M 1,7%; F 5,4%) (Tab. 3). Si evidenzia, comunque, una maggiore presenza femminile anche in posizioni professionali medio-alte di tipo impiegatizio (57,8% contro il 35,3% degli uomini). Negli ultimi anni, si assiste ad un incremento dei lavoratori autonomi, soprattutto tra le donne.

8


Tab. 3 - Occupati negli anni 1993-2008 per sesso, professione, posizione e tipo di contratto 1993

1998

2003

2008

M

F

Totale

M

F

Totale

M

F

Totale

M

F

Totale

2,7 40,1 49,0 0,4 2,2 4,2 0,6 0,8

10,6 51,5 20,8 0,2 4,7 6,4 0,8 5,0

3,7 41,6 45,4 0,4 2,5 4,5 0,6 1,3

3,8 43,0 44,5 0,4 2,3 4,5 0,9 0,7

7,2 56,4 19,3 0,2 7,3 5,4 2,2 2,0

4,3 45,2 40,4 0,4 3,1 4,7 1,1 0,9

4,5 42,0 46,0 0,7 2,0 3,4 0,8 0,6

5,1 57,4 24,9 0,4 2,9 5,5 1,4 2,4

4,6 45,0 41,9 0,7 2,1 3,8 0,9 1,0

5,6 35,3 46,5

6,9 57,8 16,7

5,9 41,0 38,9

3,0 7,1 0,1 0,5 1,7 0,1

2,5 9,8 0,4 5,4 0,6

2,9 7,8 0,1 0,5 2,7 0,2

Legisl., dirigenti, imprend. Prof. intell.scient. elev.spec. Prof. intermedie- tecnici Prof. relat. vendite di beni Artigiani, operai etc. Conduttori Impianti Personale non qualificato

2,8 12,5 36,8 8,5 5,0 34,4

19,7 24,6 33,5 2,7 0,9 18,6

4,9 14,1 36,4 7,8 4,4 32,4

3,7 13,7 35,6 9,1 4,8 33,1

15,7 22,8 44,5 2,9 0,4 13,7

5,7 15,2 37,1 8,1 4,1 29,9

1,4 15,7 34,3 10,4 5,4 32,9

7,0 27,6 41,5 3,0 1,8 19,1

2,5 18,0 35,7 8,9 4,7 30,2

0,1 0,9 32,2 21,5 9,3 7,0 29,0

0,1 1,8 61,7 22,6 1,9 0,5 11,3

0,1 1,1 39,7 21,8 7,4 5,4 24,5

Tempo indeterminato Apprendistato/CFL Tempo determinato Autonomo

87,0 0,9 3,9 8,2

73,4 4,0 5,5 17,1

85,3 1,3 4,1 9,3

81,6 1,5 8,1 8,7

68,3 3,9 10,7 17,1

79,4 1,9 8,5 10,1

81,7 2,2 8,6 7,5

71,3 4,4 11,7 12,6

79,7 2,6 9,2 8,5

76,2

65,6

73,5

11,1 12,6

15,8 18,7

12,4 14,1

Dirigente/direttivo Impiegato indeterminato Operaio/apprendrista Imprenditore Libero professionista Lavoro in proprio Socio di cooperativa Coadiuvante Co.co.co Prestazione professionale

Totale % Totale v.a.

100,0 230.300

100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 33.600 263.900 ###### 47.500 285.600 250.200 61.200 311.400 277.300 94.800 372.100

Fonte: elaborazione Isfol Progetto Ambiente - Ifolamb su dati Istat

Quanto alle caratteristiche del lavoro, perde peso, nel tempo, il lavoro a tempo indeterminato, che passa dall’85,3% nel 1993 al 79,7% nel 2003 e al 73,5% nel 2008. D’altra parte, si registra un incremento del lavoro a tempo determinato che, nell’arco dei quindici anni presi in esame, passa dal 4,1% al 12,4%. Il divario tra i due sessi a favore della componente maschile raggiunge la punta massima nel 2006 (M 77,6%; F 61,1%), ma le posizioni di privilegio appaiono leggermente ridimensionate nel 2008 (M 76,2%; F 65,6%). In estrema sintesi, l’occupazione aumenta, grazie al contributo delle donne che - con livelli di scolarità medio-alti e, comunque, superiori a quelli degli uomini - entrano nel mercato del lavoro ambientale, rivestono posizioni professionali più elevate della componente maschile, ma con contratti di lavoro più precari: tale precarietà sembrerebbe essere determinata dall’optare per una minore stabilità del lavoro, controbilanciata dall’esigenza di svolgere un lavoro più qualificato e rispondente alle proprie aspettative e al percorso formativo seguito. Le fasce più deboli del mercato del lavoro femminile sembrano, invece, risentire maggiormente gli effetti della attuale

9


divisione sociale del lavoro, che vede le donne impegnate in diversi ambiti di presenza non solo professionale. La pervasività dell’ambiente in termini occupazionali si evince anche da altre ricerche realizzate, negli anni, dall’Area Progetto Ambiente dell’Isfol relative alla spendibilità nel mercato del lavoro di segmenti formativi significativi. (Fig.2) Fig. 2 - Impatto della formazione ambientale sul mercato del lavoro

57,6 80,6

MASTER - 2006 41,9 46,2

IFTS - 2000

64,2 76,3

DIPLOMI UNIVERSITARI - 1999 34,4 44,8

FORMAZIONE REGIONALE - 1998

56,2 41,9

LAUREE QUINQUENNALI - 1998 0,0

10,0

20,0

OCCUPATI AMBIENTALI

30,0

40,0

50,0

60,0

70,0

80,0

OCCUPATI

Le ricerche realizzate testimoniano un buon inserimento e con tempi contratti nel mercato del lavoro di coloro che hanno conseguito un titolo di studio in campo ambientale. Il lavoro svolto è, inoltre, coerente con il percorso formativo, considerando che una quota consistente di chi risulta occupato svolge un lavoro in campo ambientale. Altro aspetto interessante è che anche tra chi non è riuscito a svolgere un lavoro verde, il tipo di occupazione conseguita non è mai scarsamente qualificata. Approfondendo i dati dell’ultima ricerca realizzata sui master ambientali 14 emerge che l’80,6% degli intervistati, ad un anno dal conseguimento del master risulta essere occupato. Sebbene il 42,4% svolgesse già un lavoro prima di iscriversi al master, ben il

14

Isfol – “I master ambientali. Qualità dei percorsi formativi e spendibilità nel mercato del lavoro”, Roma 2007

10

90,0


57,6% ha trovato un’occupazione dopo aver terminato il master e con tempi molto contratti; l’80% di chi ha trovato lavoro dopo il master non ha atteso più di sei mesi dalla conclusione del master. Sebbene il rapporto maschi/femmine sia a vantaggio degli uomini (83,9% contro il 77,2% delle donne) e tale rapporto si confermi anche in settori ambientali (M 61,1% F 53,8%), lo scarto M/F tende a ridursi se l’inserimento nel mercato del lavoro avviene entro i tre mesi (M 62,3% F 60,4%) e risulta leggermente a vantaggio della componente femminile nelle professioni di livello elevato (F 31,4% M 30,8%). Da una lettura al femminile dei dati forniti dalle ricerche Isfol sulle Tendenze del mercato del lavoro ambientale e sulla spendibilità in termini occupazionali dei master ambientali è possibile individuare segnali di un cambiamento in atto di valorizzazione della forza lavoro femminile come risorsa in contesti organizzativi innovativi orientati alla sostenibilità. Le donne, inoltre, si affacciano sul mercato del lavoro ambientale con titoli di studio più elevati di quelli degli uomini e quindi sembrano essere più congeniali a ricoprire quei ruoli lavorativi medio-alti riconducibili a figure professionali ambientali che richiedono un alto livello di specializzazione. Anche l’offerta formativa ambientale sembra evidenziare la tendenza verso un innalzamento dei livelli formativi attraverso l’aumento di corsi volti a sviluppare competenze sistemiche e qualifiche professionali medio-alte in campo ambientale, con un forte incremento nel settore del risparmio e dell’efficienza energetica, come testimoniano le indagini censimentali sull’offerta formativa ambientale condotte annualmente dall’Area Progetto Ambiente su tutta la formazione realizzata in Italia da soggetti pubblici e privati15. L’attenzione del sistema formativo rivolta a campi di nuova economia sembra assecondare e talora anticipare le potenzialità dello sviluppo sostenibile, ma al tempo stesso pone in primo piano l’esigenza di una qualità della formazione che assuma la sostenibilità come occasione di innovazione nei processi formativi.

3. Lo sviluppo sostenibile come occasione di innovazione nei processi formativi.

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I Rapporti di ricerca annuali sull’Offerta formativa Ambientale (OFA) dal 2001 al 2009 sono scaricabili consultando il Sistema informativo IFOLAMB sul sito dell’Isfol

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L’approccio integrato e sistemico nella costruzione dei processi cognitivi, indotto dal paradigma della complessità e i profondi mutamenti intervenuti sul versante epistemologico, hanno posto come centrale l’interrogativo rispetto a quale sviluppo debbano essere progettati percorsi formativi e educativi e quali figure professionali individuare e formare per rendere attuabile l’obiettivo di società sostenibili. A questi aspetti, le ricerche condotte dall’Area Progetto Ambiente dell’Isfol hanno dato un contributo sia individuando figure professionali innovative in riferimento ad aree di intervento strategiche per lo sviluppo sostenibile16, sia mettendo a punto modelli formativi innovativi che hanno affrontato il nodo di come progettare e realizzare percorsi formativi di qualità, in grado di mettere in rapporto la cultura ecosistemica e lo sviluppo di competenze specialistiche, di sollecitare processi di innovazione metodologica

e

didattica

che

coinvolgano

conoscenze,

esperienze,

valori,

comportamenti per rendere praticabile lo sviluppo di società sostenibili. Superare l’ottica di un sapere monospecialistico e stratificato, si rivela necessario nella formazione di figure professionali per l’ambiente la cui caratteristica peculiare è quella di presentare una fisionomia contraddistinta da uno spiccato carattere di sistemicità, flessibilità e integrazione di conoscenze e linguaggi diversi, anche quando rivestono un carattere specialistico. Altra loro caratteristica è quella di stabilire rapporti di integrazione a monte e a valle dei processi produttivi, agendo da interfaccia con altri contesti produttivi e organizzativi. Non si tratta di semplici relazioni di scambio che sono proprie di qualsiasi processo produttivo, ma della necessità di stabilire relazioni con interlocutori che condividono un impegno al conseguimento delle stesse finalità che sono quelle della sostenibilità o, comunque, di una riduzione degli impatti. Da qui l’esigenza di

stabilire una circolarità tra conoscenze, capacità, valori, atteggiamenti e

comportamenti. La compresenza di aspetti cognitivi e dimensione valoriale è essenziale anche quando vengono operate scelte di tipo tecnico, in quanto anche queste avvengono dietro 16

Sono state realizzate nove ricerche riferite ad altrettante aree di interesse strategico per lo sviluppo sostenibile (agricoltura biologica, acquacoltura ecocompatibile di qualità, biotecnologie sostenibili, difesa del suolo e utilizzazione delle acque, aree protette e turismo ambientale, energie rinnovabili, architettura a basso impatto ambientale, gestione integrata dei rifiuti solidi urbani, processi partecipativi e sviluppo sostenibile) e sono state individuate e analiticamente descritte in termini di profilo, compiti, competenze ed altri aspetti connotativi, 41 figure professionali. I risultati delle ricerche sono stati pubblicati sulle collane editoriali dell’Isfol e possono essere consultati anche attraverso il Sistema informativo IFOLAMB sul sito dell’Isfol.

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un’assunzione ed esplicitazione di valori. Ricomporre la dicotomia tra una formazione per le conoscenze e una formazione per i valori è la sfida ancora aperta di tutta la formazione ambientale, accanto a quella di una formazione progettata e realizzata in chiave rigorosamente sistemica. Perchè le figure ambientali possano dare un contributo e accelerare la fase di transizione verso la realizzazione di società sostenibili è necessario che siano dotate di competenze in grado di garantire una visione integrata e unitaria del territorio e dell’ambiente. Ciò in quanto è di fatto impossibile distinguere, concettualmente e operativamente, la politica ambientale da quella territoriale nelle sue diverse articolazioni, risultando strettamente integrate tra loro le politiche urbanistiche e territoriali con quelle energetiche, della difesa del suolo e delle risorse naturali, paesaggistiche, storiche e culturali, per citare le più importanti. Ciò comporta una visione di ampio respiro che superi logiche emergenziali e la parcellizzazione degli interventi a favore di un approccio globale che deve trovare la sua visibilità anche nella progettazione dei percorsi formativi. Da qui l’esigenza di una formazione progettata e realizzata in chiave rigorosamente sistemica volta a favorire la costruzione di un sapere in grado di confrontarsi con la complessità e di sviluppare competenze trasversali, necessarie per introdurre nell’approccio sistemico una dimensione operativa capace di far fronte a situazioni complesse e non strutturate. In tale contesto, la formazione ambientale dovrà essere volta a produrre innovazione, nella costruzione delle competenze, ed a

delineare figure

professionali che si configurino, innanzi tutto, come agenti di cambiamento per lo sviluppo di società sostenibili. In questo contesto la formazione deve misurarsi con la capacità di rispondere a fabbisogni non solo espressi dai sistemi territoriali, ma anche ai fabbisogni potenziali, conseguenti l’attuazione di politiche di sviluppo sostenibile e il miglioramento delle prestazioni ambientali dei sistemi produttivi. Pertanto in questa sua capacità di orientare i fabbisogni potenziali di un modello di sviluppo si giocherà la qualità della formazione ambientale in cui centrale è il nodo della definizione e della costruzione delle competenze professionali.

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