Roberto Colantonio
Art Sponsor La sponsorizzazione dell’arte contemporanea
Roberto Colantonio
Art Sponsor ISBN 9788897776871 Š iemme Edizioni 2016 Iemme Edizioni Via Costantinopoli, 53 | 80138 Napoli tel. +39 081 451358 | info@iemmedizioni.it | www.iemmedizioni.it Progetto grafico: Luca Mercogliano | luca@manifatturedigitali.it I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo (compresi microfilm e copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.
Ai genitori. Tutti i genitori. I nostri primi sponsor. Pure al principio v’era una visione chiara, un alto e urgente proposito nella mia anima E. L. Masters, Antologia di Spoon River, 1915
Indice
Prefazione di Ernesto Esposito Prefazione di Alessandro Formisano
1. La sponsorizzazione dell’Arte da parte dei privati L’idea alla base: la condivisione Onerosità e corrispettività Vantaggi L’Iva e l’Arte Sponsorizzazione versus crowdfunding L’eredità di un’azienda Studi professionali “in cerca di autore”
2. Art Sponsor Art Sponsor non è mecenatismo Art Sponsor non è mecenatismo d’impresa Art Sponsor non è una sponsorizzazione culturale Art Sponsor non è patrocinio Allora cos’è Art Sponsor?
pag. 8 10
pag. 13 13 14 15 15 15 17 19
pag. 22 22 23 25 28 28
I contratti di sponsorizzazione I contratti d’opera I contratti di endorsement
4. Arte “deducibile” L’art. 108 TUIR e le imposte dirette L’Iva delle opere d’arte Le spese di rappresentanza Le spese di sponsorizzazione e il Decreto Semplificazione Fiscale Le opere d’arte e i lavoratori autonomi Le società di professionisti Gli Ordini professionali e la pubblicità Il contenzioso tributario Prospetto riepilogativo: Spese di sponsorizzazione
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INDICE
3. I contratti di Art Sponsor
“Tra pochi anni ci capiterà una cosa ovvia, eppure estremamente spiacevole: diventeremo uomini del secolo scorso”. Paolo Mauri, l’Opera imminente. Einaudi, 1998
La sponsorizzazione è un modo di condivisione. La Sharing Economy applicata all’arte. Gli Art Sponsor(s), imprese e studi professionali, sono a tutti gli effetti Art Sharer(s).1
L’idea alla base: la condivisione Il minimo comune denominatore è la condivisione. “Oggi, molte cose, positive o negative, sono in condivisione, quasi tutto. Auto, lavori, know-how, news. Ma gli scambi nell’arte contemporanea sembrano conoscere solo la forma della compravendita. Come in un mercato azionario. Paradossale per un settore che dovrebbe per antonomasia essere all’avanguardia. Vendere non è l’unico modo che ha un Artista per trarre visibilità e guadagno dalle proprie Opere, né per il Collezionista di stabilire una relazione privilegiata con l’Opera d’arte”.2
La sponsorizzazione dell’Arte da parte dei privati
sponsorizzazione dell’Arte da parte dei privati
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1. La
1 D’ora in avanti si utilizzerà la convenzione di non aggiungere la “s” finale alle parole inglesi plurali utilizzate in un testo italiano. Per Art Sponsor si intenderanno sia i soggetti che il fenomeno della sponsorizzazione. 2 Cfr. Roberto Colantonio, “L’Arte Condivisa – Art Sharing. Un nuovo rispetto per l’Artista. Una nuova fruizione dell’Arte”, Iemme Edizioni, 2012, pag. 10.
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Proprietà e possesso3 portano all’esclusività, all’estromissione degli altri, di tutto ciò che è “altro”, allontanandosi e allontanandoci dal concetto di Condivisione.4 Sulle opere d’arte, poi, i vincoli di proprietà e possesso riescono facilmente a diventare più intensi, per la natura infungibile, unica, di questi beni. Eppure l’opera d’arte non si “consuma”. Non è un cibo, non serve a far camminare un automobile, ha “amanti” che non dovrebbero essere gelosi gli uni degli altri, perché non sottrae tempo e attenzioni ad alcuno di loro. Sotto quest’aspetto l’arte è un bene rinnovabile, all’infinito. Quando due persone guardano un’opera d’arte non stanno vedendo la stessa cosa.5
Onerosità e corrispettività Molte cose importanti sono gratis o non hanno prezzo. Ma una sponsorizzazione gratuita o liberale non farebbe molta strada. I contratti di Art Sponsor, come tutti i contratti di Arte Condivisa, sono onerosi6 e a prestazioni corrispettive. Lo Sponsor si attende un ritorno dal suo sacrificio economico. Un ritorno in immagine e
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Intendendosi per tali le nozioni civilistiche, rispettivamente, di diritto di godere disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo (art. 832 c.c.) e di potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale (art. 1140 c.c.). Situazione giuridica e situazione di fatto.
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Diverso è il concetto di Bene Comune e di patrimonio culturale, che appartengono a tutti, al di fuori dei confini nazionali, per riguardare l’intera umanità. Il rammarico suscitato dalla distruzione in corso di opere d’arte e siti archeologici in Siria e Iraq, nell’ambito di una guerra del terrore che ha assunto connotati iconoclastici, è universale. Al di fuori di un ambito museale e persino storico-culturale, incommerciabile, vi sono tuttavia molte opere d’arte di inestimabile pregio nella disponibilità di privati e che private rimarranno. L’Art Sharer, però, è tendenzialmente rivolto ad opere d’arte contemporanea. Vedi infra.
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Il poeta Pessoa ha scritto: “Non basta aprire la finestra / per vedere la campagna e il fiume. / Non basta non essere ciechi / per vedere gli alberi e i fiori. / Bisogna anche non aver nessuna filosofia. / Con la filosofia non vi sono alberi: / vi sono solo idee. / Vi è soltanto ognuno di noi, / simile ad una spelonca. / C’è solo una finestra chiusa / e tutto il mondo fuori; / e un sogno di ciò che potrebbe esser visto / se la finestra si aprisse, / che mai è quello che si vede / quando la finestra si apre”. Cfr. “Poemi di Alberto Caeiro” a cura di Pierluigi Raule, edizioni La vita felice, 1999.
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I concetti di onerosità e gratuità hanno un diverso rilievo ai fini fiscali. Si rimanda all’ultimo capitolo, sull’Arte deducibile.
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I vantaggi per le parti sono di natura non patrimoniale, immagine e prestigio, economici, incremento delle vendite e del volume d’affari e fiscali, con le detrazioni previste dal TUIR, in termini di imposte dirette e Iva.
L’Iva e l’Arte La sponsorizzazione non deve per forza essere pubblica. Né riguardare solo musei, monumenti, centri storici e istituzioni come biblioteche, teatri, etc. Sono molti i falsi miti da sfatare. C’è confusione in tema di sponsorizzazione. Non è mecenatismo. Non è beneficienza. Quando parliamo di sponsorizzazione privata dell’arte è ai soggetti commerciali che pensiamo in primo luogo. L’Arte ha una dimensione economica, persino finanziaria e l’economia gira con le partite Iva. Finora le partite Iva hanno giocato questa partita dell’arte in panchina. Un po’ perché non hanno riconosciuto la loro vocazione, un po’ perché – se dobbiamo dirla tutta – sono state “intimorite”. Dallo Stato, che in tempi lontani dalla spending review, ha fatto loro capire a chiare lettere che non era “affar” loro, secondo una malintesa concezione del bene comune. Dall’opinione pubblica, che ha visto donazioni e finanziamenti privati come un tentativo dell’impresa di “comprare” l’arte.
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Vantaggi
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prestigio e-o un ritorno economico. I benefici sono reciproci. L’Artista deve guadagnarci. La visibilità e la sua mancanza sono un obiettivo e un problema comuni dello Sponsor e dello “sponsorizzato”.
Sponsorizzazione versus crowdfunding È più facile convincere una persona a darti diecimila euro o diecimila un euro ciascuna? Se la risposta giusta fosse data dalla via che appare più semplice, vedremo i lavavetri che ieri erano ai semafori girare oggi in Mercedes.
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Il fenomeno del micro - finanziamento sembra già essere rientrato nelle dimensioni che gli appartengono. Una forma, socialmente importante, ma economicamente marginale, di partecipazione popolare,7 di appartenenza. Poco più di un Like su Facebook. I numeri saliranno ancora, non c’è dubbio, ci sono gli spazi per crescere, e il crowdfunding avrà modo di stupire ancora ma non si può chiedere al crowdfunding quello che il crowdfunding non può dare. Non sostituirà le banche. Né gli shark tanks. Non toglierà la pubblicità dalla televisione o dai cartelloni nelle strade. 7
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“L’idea di promuovere o sostenere una nuova iniziativa, non necessariamente imprenditoriale, raccogliendo i mezzi economici necessari tramite il web — quale virtuale punto di incontro tra domanda e offerta — è la manifestazione di un fenomeno di carattere innanzitutto sociale che trova le proprie origini nell’esigenza di individuare fonti alternative al ricorso al credito e nel conseguire speditezza nella raccolta delle stesse. È in effetti emblematico che tale forma di raccolta di risorse finanziarie si sia manifestata, inizialmente, presso comunità locali, le cui autorità hanno lanciato raccolte di fondi per la costruzione di infrastrutture da destinare all’utilizzo dei propri abitanti. Se tale è l’origine, il fenomeno trova invece la propria giustificazione economica nella possibilità di raccogliere risorse da una platea molto ampia di piccoli investitori, disposti a impegnare modeste somme di denaro — limitando pertanto la propria esposizione al rischio — per il finanziamento di un determinato progetto; il che spiega come esso si fondi su una logica opposta rispetto a quella che caratterizza il c.d. micro-credito, consistente nell’erogazione, da parte di un’istituzione finanziaria, di piccole somme di denaro a un numero significativo di imprenditori. È questa, in sintesi, l’essenza del crowdfunding, termine con il quale si indica la raccolta, via internet, di fondi (funding), da parte di una “folla” (crowd) indeterminata e indefinita di investitori; fenomeno, questo, che sta emergendo lentamente, ma con continuità, anche sulla spinta della crisi finanziaria mondiale e della progressiva difficoltà di reperire sostegno finanziario per progetti imprenditoriali tramite il ricorso ai canali “tradizionali” (credito, venture capital, business angels). Come anche rilevato dalla dottrina americana che per prima lo ha analizzato, lungi dal rappresentare un fenomeno monolitico, il crowdfunding si differenzia secondo varie declinazioni e diversi modelli, principalmente in ragione delle finalità della raccolta e del trattamento dell’investitore. Si suole, infatti, distinguere il c.d. donation-model, finalizzato a finanziare iniziative senza scopo di lucro e rispetto al quale i donatori non hanno ovviamente diritto ad alcun rimborso; il c.d. reward-model, in cui l’investitore riceve un premio simbolico a fronte del proprio impegno finanziario; il c.d. pre-purchase model, in particolare utilizzato negli Stati Uniti da società di nuova costituzione e che prevede che al finanziatore sia accordato un trattamento di favore per usufruire dei servizi erogati dalla società o acquistare i suoi prodotti ma pur sempre a condizione che l’iniziativa abbia successo; la quarta ed ultima tipologia, nota con il termine di equity-model, comporta, a fronte dell’investimento, l’attribuzione di una partecipazione nel capitale della società e la conseguente attribuzione della qualifica di socio”. Cfr. Matteo L. Vitali, Equity crowdfunding: la nuova frontiera della raccolta del capitale di rischio, in Rivista delle Società, fasc.02-03, 2014, pag. 371.
L’eredità di un’azienda Le aziende sono potenzialmente immortali, è un concetto su cui il capitalismo non ha avuto il tempo di soffermarsi, forse perché in un certo senso fa paura.8 Le imprese sopravvivono al loro fondatore, ai passaggi di proprietà e quote e, nel caso di fallimenti o altre procedure concorsuali, si staccano dal loro amministratore e provano a cavarsela da sole.9 È frequente vedere insegne che ci ricordano l’apertura di negozi e società di oltre cent’anni fa e alcuni istituti di credito vantano una fondazione che risale al Rinascimento. Una continuità imprenditoriale è una componente importante della notorietà del marchio e dei prodotti correlati. Questo è vero, in certi casi, anche per gli studi professionali, che continuano il nome di avvocati e commercialisti che non ci sono più. L’impresa ha un interesse diretto e contrario a quello dei suoi proprietari: la divisione degli utili tra i soci impoverisce la società che deve trovare mezzi di finanziamento e di espansione altrove. Un’azienda “muore” per incapienza, per decisione della proprietà o per aver raggiunto il suo scopo sociale.10 L’azienda è potenzialmente immortale, si diceva. Non deve preoccuparsi di eredi perché, come Amleto, non ne ha. È stato studiato in sociologia che ogni organismo, non solo umano o animale, tende naturalmente a perpetuarsi. Ovvio che anche un’azienda abbia una volontà, sottesa al rapporto di rappresentanza organica con gli amministratori, di sopravvivere e prosperare. Vita per un’azienda presuppone profitto, successo commerciale. 8
Il cinema ne ha colto i timori in vari film.
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Non tutte le procedure di fallimento si chiudono con il fallimento!
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Il suo miglior alleato, la community web, si farà portare presto dalla sua curiosità a seguire qualche altra novità. I piccoli numeri possono contare di più con la sponsorizzazione. Investimenti ridotti e però mirati possono avere la capacità di incidere, di fare la differenza.
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10 O per impossibilità sopravvenuta di raggiungerlo.
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Promozione e pubblicità portano all’uno e all’altro, secondo il vecchio detto la “pubblicità è l’anima del commercio”. Ma una pubblicità non prescinde dal prodotto. Il primo prodotto che un’azienda offre è se stessa. L’azienda ha il suo nome, la sua immagine e la sua reputazione professionale. Una delle critiche mosse alle multinazionali è quello di oscurare il nome dei proprietari; spesso si tratta di partecipazioni incrociate e quello che riusciamo a vedere dall’esterno, quello che è evidente, è l’impresa, non altro. L’impresa si è dotata di una reputazione etica. Ha studiato filosofia e morale e ne è rimasta affascinata. Come la creatura di Frankenstein, vi ha trovato una coscienza. Eco-sostenibile, political correct, non discriminante né sessista. Rispettosa di bambini e animali. Nazionalista, regionalista o cosmopolita. All’impresa, insomma, è stata data una sensibilità. Ed ecco che l’impresa ha cominciato a guardarsi allo specchio e cosa ci ha visto? Sarebbe forse più importante dire cosa non ci ha visto. Non si è accorta, per cominciare che esistono varie immagini. E che l’immagine che un’azienda vorrebbe dare di sé può non coincidere con l’immagine che l’azienda ha di sé. A sua volta l’immagine proiettata all’esterno, in un gioco di ombre cinesi, è ancora un’altra. Come non bastasse, a complicare il tutto c’è che sono immagini in continuo movimento. È sufficiente una dichiarazione, una parola fuori posto, un’omissione, per vanificare il lavoro di anni e perdere interi mercati.11 Uno dei problemi ostativi più semplici quanto irriducibili che ha bloccato le aziende da grossi investimenti in arte sta nel fatto che le opere continuano ad essere viste come beni personali, da rinchiudere gelosamente da qualche parte, un salotto o un caveau. L’azienda non ha questo interesse. Non ama le immobilizzazioni improduttive, il capitale senza interessi. Ugualmente, i professionisti di uno studio associato che si scioglie non potranno, come nella sto11 “Le aziende hanno la tendenza, nell’affermare a forza di principi la loro dimensione etica, dopo decenni di quello che potremmo chiamare ‘indifferentismo capitalista’, a dimostrare involontariamente la tesi dell’esperimento del ‘gorilla invisibile’”. Cfr. R. Colantonio/ F. Monaco, L’azienda virtuosa, pag. 105 in Expo.eat, il cibo ai tempi dell’Expo, Colantonio/ Corbino/Di Bon Pellicciolli/Monaco/Quintiliani E./Quintiliani M., Iemme Edizioni, 2015.
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Studi professionali “in cerca di autore” “Sono quasi 1,5 milioni i professionisti, iscritti a un Ordine o Collegio professionale, che esercitano la libera professione”.13 Davvero tanti, anche a voler escludere una stima generosa sulle false partite iva.14 Le vere partite iva hanno come obiettivo quello di differenziarsi, distinguersi. Sì, ma come? I professionisti non hanno marchi, registrati o di fatto, o altri segni distintivi di impresa a cui aggrapparsi per generare valore. La fidelizzazione del cliente è liquida, come liquida è la società impersonale moderna.
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ria delle due madri davanti a Salomone, dividere in tanti pezzi per quanti sono una tela fino ad allora appesa nella sala riunioni per il prestigio di tutto lo studio. Mentre i soci di un’impresa o di uno studio professionale associato magari non hanno interesse personale a sponsorizzare un evento culturale, nella specie artistico, l’impresa e lo studio complessivamente considerati ne trarrebbero un importante utilità, potendo contare pure su risorse maggiori da destinarvi. Perché fermarsi a un evento? L’Art Sponsor può considerare di intervenire a monte, sovvenzionando un Artista per le sue opere future. Non per procurarsi un testimonial a basso prezzo, operazione che l’opinione pubblica potrebbe non gradire,12 ma per stabilire una relazione con l’attività e i prodotti. Se un prodotto deve davvero comunicarci un’emozione e non si tratta di mera affabulazione da marketing, l’emozione potrà trovarla andando alla fonte. All’opera d’arte e alla sua ispirazione.
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12 “Sono 13,5 milioni ovvero il 27% della popolazione gli italiani interessati all’arte in generale e 4,5 milioni all’arte contemporanea …“ Cfr. Alessia Zorloni, L’economia dell’arte contemporanea. Mercati, strategie e star system. Franco De Angeli Editore, 2011, pagg. 157-158. 13 Cfr. Giuseppe Guttaduro, La pensione dei liberi professionisti. Quale futuro?, Iemme Edizioni, 2015, pag. 11. 14 Cfr. Roberto Colantonio, Lavorare in nero, Iemme Edizioni, 2014, pag. 83 “i lavoratori al nero con partita iva”.
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I servizi che rendono non sono tangibili, nel senso comune del termine e tendono ad essere valutati per il risultato, pur rimanendo obbligazioni di mezzi.15 I professionisti “vanno” sul web perché “internet è il futuro” e restano delusi dal non trovarci clientela. Legati come sono a vecchi schemi, dai biglietti da visita troppo grandi per i nuovi tipi di portafoglio in commercio, alla segretaria che fa da muro a chi voglia mettersi in contatto con i titolari, fosse anche il Sultano del Brunei. Nessuno che pensi ad offrire un voucher parcheggio pur avendo l’ufficio in una zona a traffico limitato o a ricevere dopo le 18 quando i loro clienti finiscono di lavorare. È dura convincere i professionisti. Far loro crollare la granitica fiducia nel passaparola e nell’economia relazionale. Nei “contatti”. Si suppone che uno studio professionale che vada bene da tempo continui così, per sempre, motu proprio. Sono caduti imperi e religioni, si sono staccati continenti e iceberg che si trovavano là dove si supponeva non ve ne fossero, hanno affondato transatlantici, ma il loro studio no, è al di là di ogni rischio. Per non dire delle realtà piccole, piccolissime, di professionisti la cui scelta era di lavorare per altri a poche centinaia di euro senza prospettive di carriera. In effetti, una “non scelta”. Contano il centesimo e sperano nel futuro, qualcosa di buono prima o poi accadrà. Parlano con colleghi coetanei nelle loro condizioni di aprire un “grande studio”, con la mente non vanno oltre la condivisione delle spese. Un cliente che non conosce il professionista, non che non lo stimi, ma che proprio non sia consapevole della sua esistenza, non potrà mai sceglierlo, a meno che letteralmente non gli piova addosso dal cielo. Il professionista “arrivato” commetterà il medesimo, identico, errore di tanti che l’hanno preceduto. Ingrandirà la sua struttura, quantitativamente. Più collaboratori, più spazio, più postazioni, un ufficio più grande e in una zona migliore. Forse continuerà ad andargli bene. Per quello stesso caso che l’ha portato lì. 15 Per gli avvocati, ad es., la responsabilità resta ancorata all’adempimento di un’obbligazione di mezzi ma i loro compensi possono ora essere agganciati a un risultato utile, come la vittoria della causa o la riduzione delle avverse pretese.
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La sponsorizzazione dell’Arte da parte dei privati
L’Arte non rappresenta unicamente un mezzo per arrivare allo scopo. Non è mai stato solo questo. La distinzione che porta la sponsorizzazione privata dell’arte è qualcosa che gli studi professionali non hanno sperimentato,16 una “banda larga delle cose”.
16 Ci sono studi, è vero, con opere d’arte ma non funzionali alla loro attività. Non li influenza, né influenzano i loro clienti più di quanto lo farebbe una scrivania di design o una libreria di legno antico. Sono fuori contesto come la scrivania di cocobolo in “Better Call Saul”, serie tv, 2015.
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PIANO B
1. Roberto Colantonio “Il sole a Lugano” 2. Bruna Putzulu “Un lavoro da favola” 3. Roberto Colantonio “L’arte condivisa” 4. Roberto Colantonio “Lavorare in nero” 5. Bruna Putzulu “Le fate sono finite” 6. Giuseppe Guttadauro “La pensione dei liberi professionisti. Quale futuro?” 7. Aa Vv. “Expo.eat, il cibo ai tempi dell’Expo” dello stesso autore: “Locazione di Opere d’arte in Svizzera”, iemme edizioni, (e-book, 2014) in preparazione: Roberto Colantonio “Guida fiscale del collezionista”
Nel solco della tradizione degli economici paperbacks, saggi brevi che propongono una lettura dinamica dei nostri tempi con una prospettiva laterale, divergente, prescindendo da quella che, a prima vista, appare l'unica strada percorribile.
finito di stampare per conto di Iemme edizioni nel mese di giugno 2016 presso Eurograf - Napoli