VINCENZO GAMBARDELLA
Scricchiolii
A Molly e Giovanna, le prime lettrici di questi racconti
Libreria Zadig Due colpi sparati a freddo, senza la minima incertezza, quando senti che l’arma forma un tutt’uno col braccio, e sembra che il proiettile parta proprio da lì, dalla tua spalla, e che corra dentro i tuoi muscoli, attraverso il grande rotondo, il tricipite, il flessore delle dita, fino all’indice che preme sul grilletto, una volta, due; la canna della pistola non è altro che un’appendice di un’estremità, oltre il braccio la distanza dal bersaglio - cinque o sei metri -, intorno lo spazio è completamente desonorizzato. Ho appena il tempo di scorgere mio fratello di schiena, riconosco la sua testa bruna, squadrata, ma nonostante l’abbia colpito non vedo il sangue e nemmeno il tracollo; infatti lui, imperturbabile, scompare verso il basso, portato giù da una scala mobile. Fin qui il sogno. Lo chiamerò il sogno dell’uccisione di mio fratello. Ne ricavo una sensazione totale, piena. Nei gesti che compio al risveglio c’è quasi un richiamo alla corporeità di Saverio, o la ricerca di una traccia, di un’impronta, capace almeno di rivelarmi il fantasma attuale dei suoi pensieri, lo stato interno. 7
S’indaga un viso, ecco… la foto della persona cara, e questa si concede allo sguardo dell’osservatore rinnovata: l’occhio sinistro è indifeso, esprime un piccolo cedimento lungo la piega che solca la pelle e unisce il chiaro allo scuro (la chiarezza del volto illuminato dalla luce e l’ombra che disegna lo zigomo, la mascella); le labbra semiaperte arrestano il flusso delle parole, che ora si muovono inarticolate sullo sfondo, in forma di minuscoli calligrammi. La mia fantasia li fa vibrare, ed essi si agitano, tremando, in un moto continuo, sussultorio, a cui io attribuisco la valenza forte e significativa di un mio conflitto insanabile. Nella foto mio fratello guarda l’obiettivo, i capelli sulla fronte sono già radi e le sopracciglia descrivono due piccoli accenti. Tutto il busto recede all’indietro, come se fosse trascinato da una corrente, da una spinta contraria che mette in bilico la figura, ne sfuma i contorni. Mi dico: quella corrente è il passato. Saverio è nella fiumana, dentro la rapida che lo porta via, ogni cosa che viene da lui è passato, equivale ad un passato che ritorna, si materializza, riacquista i sensi per parlare, per sentire. Allora ascoltami Saverio, come quando eravamo ragazzi e io venivo da te a confidarmi, perché mi rammaricavo di essere rimasto in casa, vincolato, con mamma da accudire, i quattro soldi della pensione, un padre mai visto, mai conosciuto; ricordi?, volevo trovarlo, facevo delle indagini, riempivo quaderni e quaderni di dati, supposizioni, indi8
zi. Vivevo solo per colmare il vuoto della sua assenza, pagine bianche che numeravo una ad una, ed ogni numero un passo falso, una direzione priva d’uscita. Dlin, mamma chiamava, dlin dlin, tirava lo spago alla cui estremità era appesa una campanella; uscivo dalla mia stanza e percorrevo il corridoio angusto, dove ristagnava l’odore di muffa dei parati; c’era l’ora dell’iniezione, l’ora della pasticca da triturare, l’ora degli impacchi di malva, o di una semplice compagnia mentre lei prendeva sonno, e aveva paura del trapasso, in quella strana luce soffusa, che dall’esterno dell’abitazione e con lo schermo delle tende, assumeva una colorazione rossastra, tenue, adeguata a ciò che si consumava irreparabilmente all’interno. Io vegliavo e disponevo le varie città del Brasile, sopra una grossa macchia d’umido impressa sul soffitto, venavo di fiumi la superficie scrostata, la circondavo di terra e mare. Sapevo che tu ti eri trasferito lì, oltreoceano, me l’aveva detto Manuele, ma lo tenni segreto, come d’accordo, la tua attività politica non piaceva ai nostri governanti e così eri partito, anche tu, anche tu senza lasciare traccia. Il fatto è che da qualche tempo ho imparato a guardare con occhi più attenti il mondo, e lo vedo un po’ sghembo, e più storto che dritto, più declinante, nel senso del volgersi verso il basso. Del resto è la posizione che sono costretto ad assumere anche ora, mentre cammino, per via della tua borsa piena di libri usati da vendere, che mi costringe a 9
stare piegato e obliquo, in modo tale da contrappormi al peso. I manici di tela mi segnano le dita che, con il freddo, si deformano e diventano insensibili, percorse da un formicolio incessante. La borsa è arrivata ieri sera, all’improvviso; una borsa comune, come ce ne sono in giro, un sacco largo e floscio, su cui campeggia una scritta pubblicitaria appena distinguibile, consumata dagli anni, gialla sul fondo nero. Mi chiedi di non aprirla, ma semplicemente di recapitarla allo smercio della libreria Zadig, là mi faranno un buon prezzo, fra libri, opuscoli, manuali e quant’altro. Scommetto che ci hai messo dentro quelle vecchie edizioni tascabili degli anni Sessanta, forse erano le prime in commercio, fatto sta che ci voleva poco a perdere qualche pagina o degli interi capitoli, bastava sfogliarle e i fogli venivano via. Fiesta, Le notti di Chicago, Signorina Cuorinfranti, Tristessa, le portammo a rilegare da un tizio enorme il quale ingoiava delle grosse lumache vive per curarsi l’ulcera. Diceva che l’odio gli aveva bucato lo stomaco, non c’era altra soluzione, se non la bava di quelle bestie viscide, che passavano sulle sue lesioni, ricordandogli quanto fosse attivo il male, e quanta energia producesse, dirompendo dai luoghi più riposti del corpo, fino a far evacuare sangue, rimettere liquido nero, ingenerare tremori, provocare spasmi, emorragie mortali. Vedo la ferita, è rossa, di un rosso tenue, si espande nella luce soffusa di un interno e riverbera nel calore veemente 10
dei luoghi chiusi, maleodoranti. Guardandola, fissandola proprio nel centro, individuo un piccolo segno scuro, ovale, e avverto una sorta di erosione, di degradazione, di frana o non so cosa. Dlin, nella mia testa continua a suonare debolmente la campanella tirata dallo spago, dovrei andare, invece resto fermo, acquattato in un groviglio guasto di lucida, efferata demenza; poi subentra il frastuono o una specie di distrazione uditiva che regolarizza tutto, assolve la coscienza anestetizzandola e rendendola quindi incolpevole, si tratta solo di fare i conti con un sottile deliquio, intensissimo, qualcosa scorre e conduce lontano, lontano da se stessi, in fuga dalla propria anima, liberi da ciò che si è imposto ad altri con la morte. È così, un gesto, un gesto divenuto semplice, quotidiano, paragonabile a quello che compiamo nello spegnere una lampadina premendo un interruttore. Si va avanti e non si sa fino a quando, c’è come la sensazione di essere al di là di un punto contrassegnato, che indicava la conclusione, il margine, il traguardo. E ancora, oltre, cedono le sbarre che stabilivano il confine, scattano gli allarmi, lampeggiano ma sono lenti, ritardano sempre più il segnale; dovrei muovermi e invece resto fermo, guardo la campanella da giorni e giorni immota, silenziosa. Mi riscuoto solo per sapere che ora è e quanto tempo è trascorso, è strano questo bisogno di fissare la durata di un evento così lacerante, quasi che misurandolo lo si possa padroneggiare meglio, distogliendo la vista dall’abisso. 11
Mi passo le mani sulla faccia, fra i capelli, la mia mente ha uno scarto improvviso, simultaneo allo scossone del filobus che ora gira nella piazza facendo sì che la parte anteriore del mezzo svolti, ruotando la piattaforma fra le due vetture. I miei occhi guardano altrove, l’impulso visivo sembra assente, dislocato in un punto fuori della mia persona, come se un altro guardasse al posto mio e mi suggerisse le azioni da compiere. I passeggeri in piedi barcollano, appesantiti dalle loro borse di fibra, finta pelle o tela, rette da manici e maniglie, strette da cinghie che avvolgono, tengono assieme. Visto così potrei essere chiunque, che so… un venditore ambulante, uno studente, un disoccupato, uno straniero, ecco, ci sono… un profugo, no, meglio un clandestino, la cui identità risulta vaga poiché ha strappato oltre frontiera i suoi documenti, e in quello strappo ha tagliato i ponti con il passato, si trova ad essere contro e in bilico, contro la legge e in bilico su una corda stesa nel vuoto. Sono al capolinea. Dappertutto martelli pneumatici e scavatrici bucano il suolo, penetrano l’asfalto; la città ha lo spessore di una calotta mostruosa, di uno sviluppo idrocefalo. Anche il cielo, basso e plumbeo, contribuisce a rendere asfittico lo scenario, con le fiammelle che tremano sull’asfalto e segnano un percorso che si perde nella nebbia. Mi trovo nei pressi di un’aiuola, davanti alla buca scavata da una ruspa; in mezzo ai curiosi che fanno ressa qual12
cuno tende il collo dalle posizioni retrostanti. Mi sporgo oltre le transenne ostentando un interesse infantile, quasi rapito da quella piccola profondità, di cui non riesco a vedere il fondo. Salgo su uno scalino, un piede appoggiato e l’altro no, la borsa mi fa da contrappeso. I denti della pala meccanica affondano nella terra e la disgregano con movimenti sospesi e goffi, dalle zolle si alzano fumi che subito si disperdono. Resisto un po’ su una gamba sola, mi metto a saltellare come il lanciatore di pesi dopo aver gettato l’attrezzo. Lo farei volentieri, nella più totale insensatezza!, mi protenderei in avanti, levando il braccio in alto e scaglierei la borsa dentro quella fossa!, ce la tirerei davvero dentro se non mi apparisse in lontananza, attraverso la foschia, l’insegna della libreria Zadig. Avviandomi verso lo smercio di libri mi balla ancora nel cuore e nelle orecchie il gesto trattenuto di quel tiro rabbioso, estremo, che avrebbe messo un punto a questa ridicola consegna, all’ennesimo favore da rendere, per una riconoscenza servile che mi ripugna. E poi perché, per chi, per cosa! Tutta la vita mi sono sentito espropriato, mangiato dagli altri, divorato dalle loro assenze, che sottraevano le mie energie e le riducevano a tenere in piedi un residuo di famiglia; mi sono consumato dietro questo amore e l’ho sciupato, l’ho sciupato interamente, ho fatto sì che si estinguesse. Entro nella libreria passando da uno spiraglio della porta accostata, il negozio è affollato di studenti che si 13
preparano alla dimostrazione di protesta di domani. Dalla saletta attigua risuonano le parole di un conferenziere, sopra di lui spicca il manifesto di un bambino colombiano di fronte alla polizia militare schierata in assetto di guerra; i loro volti sono indistinguibili, celati dagli elmetti e dai sottogola, il bambino ha i capelli rasati e una mantellina legata al collo, la sua espressione trattiene il pianto, è corrucciata ma decisa, sicura; nella mano stringe una pietra. Sento tutta la sua ostilità, la sua tensione che sta per scaricarsi contro quel manipolo di uomini armati, di adulti barbaramente implacabili. Voltandomi, vedo un giovane commesso che si avvicina alla borsa dei libri, è un tipo albino, con gli occhiali; raggiungo il bancone, faccio appena in tempo a dirgli che si tratta di volumi usati, poi avverto lo zac della cerniera lampo tirata, e di colpo uno schianto!, uno squarcio terribile che si amplifica ed esplode nel chiuso del locale; partono schegge violentissime insieme a un secondo spaventoso boato che smembra i muri, dissesta l’impiantito, ammassa corpi e corpi fra le macerie. Io sono finito qui sotto, con l’immagine di Saverio impressa indelebilmente sulla retina, una scheggia mortale piantata negli occhi; ascolto il mio cuore che batte all’impazzata, è un martello nelle mie orecchie, un motore spinto al massimo che corre, corre, non conosce ostacoli, sfonda le pareti, recide gli ultimi appigli, squassa, frantuma, riduce ogni cosa ad una 14
immensa spianata; ecco, arrivo al viale che percorrevo da giovane, ma è più vasto, più vasto, mi sembra non finisca mai, che non finisca mai…
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indice Libreria Zadig pag. 7 15 Cagliari 130 settimane 16 Schegge per Domenico 29 Voce su nastro 41 Grembo 49 Sopra una corda 56 CherĂšbo 64 Etogrammi 71 Grafologia 77 Episodi vertiginosi 83 Locorotondo 88 Quadro + lettera 95 Un decimo di secondo 105 Scricchiolii 117
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nella stessa collana PANTONE
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ALBERTO CORBINO
Poesía de la Reína 7476
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L’accordatore di destini 7683
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Questo è un bel libro 877
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Spartito Doppio
finito di stampare per conto di Iemme edizioni nel mese di marzo 2017 presso GFC Stampa Srl - Volla (Na)