“Il cielo addosso” / Sergio Saggese

Page 1

SERGIO SAGGESE

Il cielo addosso



a Pietro Adamo


Portiamo questo cielo addosso come fanno le vocali con l’accento. S. S.

Ho un debito di riconoscenza nei confronti dello scrittore Giovanni Nurcato per alcuni suggerimenti specifici e fondamentali. Gli sono profondamente grato per la premura e l’acutezza con cui mi ha affiancato nel lavoro di editing e per avermi aiutato molto piÚ di quanto richiedesse il suo dovere di amico.


premessa

Parlo di quelli che brancolano nella luce. Per essi la follia è un punto di vista. Sono dei sognatori e mi raccontano che il cuore è una legge nel petto. Lo sentono contuso dai battiti. Credono che il verbo possa ingravidare le tenebre. Ma chiacchierano poco. Le smurano dal silenzio, le loro parole. Sono usati dalla Poesia come sillabe per i suoi versi. Si ritrovano a raschiare il firmamento come fosse il fondo. La loro tenacia recrimina parentela coi sogni. Camminano curvi. Vivono per l’attimo, abitano la malinconia e si nutrono di contraddizioni. Parlo di quelli ai quali pesa il cielo addosso. Reclamo il diritto di dividere con loro alloggio, vitto e destino.

S.S.

7



una notte

Si svegliò di colpo perché sentì un gemito ch’era peggio di un urlo. Aveva nove anni e abitava al secondo piano di una palazzina color zafferano. Aveva le gambe allargate da un divaricatore, le anche buffamente ingessate ad arco per una displasia. Andava matto per i western. Si sentiva ridicolo perché gli avevano detto che sembrava un cowboy cui avevano fregato il cavallo. Ci aveva pianto. Poteva muoversi a malapena. S’era pisciato addosso nel sonno. Era notte. Non riusciva ad alzarsi. Rimase in silenzio, tra la paura e il desiderio di sapere cos’era il misterioso lamento che l’aveva svegliato. Lo risentì. Veniva dalla camera da letto di sua madre. Era un mugolio di piacere. Poi sentì la voce di un uomo che non era suo padre e capì. Papà se n’era andato. E prima di andarsene gli aveva detto: “Adesso sei tu l’uomo di casa. Promettimi che penserai tu a proteggere mamma!”. Stava s’una sedia a rotelle con la scritta Chirurgia sullo schienale. Aveva grosse occhiaie viola e affannava parlando. Lui fissò il suo sorriso calvo e gli fece sì con la testa. Papà gli scarruffò i capelli e lo baciò s’una guancia. Gli pizzicò il naso e lui dalle sue mani sentì odore di medicine. Al suo funerale osservò per tutto il tempo le smorfie di quelli che lo portavano in spalla, fiero che pesasse. Lo salutò da dietro le lacrime immaginando quanto stesse scomodo in quella bara. 9


il cielo addosso

Ma non aveva tutte le sfortune. Possedeva la più bella collezione di biglie del quartiere e una bici ancora imballata che dicevano fosse la fine del mondo. Aveva una scatola dei segreti. Ci teneva una cinquecentolire d’argento di suo nonno, il tappo della sua prima Coca Cola e uno spezzone della corda con cui avevano impiccato il famoso bandito Black Jack che gli portò papà dall’America, sigillato in una busta con la scritta finding original. Volle vedere che succedeva. Fece leva sulle braccia per sollevarsi fino alla spalliera. Era ancora buio, ma non sentì i soliti rumori notturni. Certe volte, più che silenziosa, la città sembra che per premura tenga tirato il fiato. Riuscì finalmente a sedersi. Si portò sulla sponda del letto per scivolare. Scivolò. Tenne stretta la coperta per ammortizzare la caduta. Cadde, atterrando in un tonfo sordo sul tappeto di fianco al letto, urtò col tallone e sentì un dolore freddo vibrargli nelle ossa. La meta era sua madre. Pensò a come fare per arrivarci. Doveva per forza strusciare. Attraversò il corridoio come una lumaca lasciando in terra una bava di urina. Quando arrivò sulla soglia della sua camera, trovò mamma seduta al centro del letto che ansimava e s’agitava di piacere cavalcando un’ombra. Disse: “Ma’, ho sentito un lamento!…” Mamma si girò di scatto, lo vide, urlò e balzò dal letto. Gli venne incontro nuda. Andò verso di lui che le ballonzolavano le tette. L’afferrò, lo tirò su e lo riportò immediatamente in camera. Lui guardò da sopra le sue spalle, mentre lei lo portava via, l’ombra rimasta immobile sul letto. 10


sergio saggese

In camera sua s’accorse, guardandola da vicino, che mamma aveva la faccia arrossata. “Oddio!…” fece lei imbarazzata “Oddio, aspetta qui!...” E andò via velocissima, correndo in punta di piedi su tacchi invisibili. Restò di nuovo solo. Accese la luce sul comodino. Si guardò attorno mentre aspettava. Sentì del trambusto provenire dalla camera di mamma, poi un mormorio, infine di nuovo la voce di uomo che stavolta imprecava. Sentì mamma scusarsi, dire alla voce di non aver immaginato che si svegliasse. Sentì dei passi e la porta d’ingresso aprirsi. Sentì tintinnare i campanellini del gufo scacciaguai appeso al lucchetto. Infine sgattaiolare l’ombra che l’aveva posseduta. Rivide mamma fare capolino nella sua camera. Era agitata. Andava avanti e indietro spostando vento profumato. Era impacciata. Andò via, ritornò. Non sapeva che fare. Infine fece una piroetta passandogli per l’ennesima volta davanti. Lui tradì con un mezzo sorriso il suo cruccio e lei si rianimò, cominciò a danzare, danzò per lui mentre la guardava. Era bellissima. Faceva passi buffi apposta, talmente buffi da riuscire a farlo scoppiare dal ridere. Continuò il suo balletto fino a che allargò in una posa plateale le lunghe braccia e lui, istintivamente, applaudì. Applaudendo provò la sensazione di planare. Gli batteva forte il cuore. È pazza, pensò, decisamente pazza, ma di una pazzia che traduce l’invisibile. L’aveva sentita godere di un amore estraneo. Era triste mentre lei la trovò strafelice che canticchiava. Faceva male. La odiava per questo. La fissò. Mamma cominciava a mettere in ordine, come sempre, ma a spostare tutto 11


il cielo addosso

spasmodicamente stavolta, per abitudine unita all’imbarazzo. Spostava tutto, compreso il libro accanto alla lampada, quello che leggeva la sera finché non pigliava sonno. Soffriva d’insonnia. Soltanto ascoltandola gli riusciva di appisolarsi un poco, in una specie di armistizio, provando un senso di rassicurazione. La rassicurazione che avrebbe fatto lei la guardia alla sua vita, dandogli il tempo di morire un poco senza perderla. Mamma gli cambiò il pigiama bagnato, lo lavò, lo baciò, lo mise a letto e gli si coricò accanto. Dopo un po’ lui cascò nel sonno. Riaprì gli occhi che mamma già non c’era. Ma la sentiva armeggiare in cucina. Sentì profumo di dolce e la tivvù accesa sui cartoni. Quando si misero a tavola per la colazione le teneva ancora un mezzo broncio e lei si girò verso il lavello, e pianse. Lui immaginò che le sue lacrime finissero nell’acqua dei piatti a rendere i cibi tristi. Mamma s’asciugò le mani risoluta, a un certo punto, e gli si accostò. S’abbassò. Gli si mise faccia a faccia, sospirò e gli sussurrò che gli voleva bene. “Mamma…” accennò lui. Avrebbe voluto dirle tante cose, ma lei lo interruppe per supplicargli di perdonarla. “Cerca di capire” aggiunse. “Ma tu sei di papà!” le disse lui. “Non siamo di nessuno” fece lei. “E invece sì!” ribatté lui “Tu sei di papà!” “Non più, scricciolo mio. Non più”. 12


sergio saggese

“Ma perché?!” “Perché papà è morto!” “Nossignore. È soltanto volato via!” “È morto!” insistette lei “E noi abbiamo il diritto di continuare a vivere!”. Lo urlò quasi, piangendo di rabbia. Lui abbassò lo sguardo per non vederla piangere. Si ricordò del sorriso di papà. Non doveva dimenticarlo. E nemmeno lei. Si ricordò delle sue battute, dei suoi sguardi, delle volte in cui lo portava a vedere gli aerei all’aeroporto, dell’odore delle sue mani, dei suoi occhi tristi, dei suoi silenzi, dei suoi regali a sorpresa, della sua sagoma curva sullo scrittoio a montare i pezzi della pistola di Billy the Kid col calcio di madreperla. S’era perso nei pensieri. Mamma gli pigliò il mento e gli sollevò la testa. “Guardami” gli intimò “Io ti amo da morire. E tu?” Si ama morendo, pensò lui. L’amore è un trauma gentile che fa precedere la gentilezza al trauma. Distrugge tutto ciò che ama perché è di ciò che ama che si nutre. Mamma lo incalzò: “Guardami” ridisse “. Io ti amo da morire. E tu?” Lui annuì, come fece quella volta con papà quando gli chiese di proteggerla. Era tutto quello che gli restava da fare, adesso, e così l’abbracciò. “Che ne dici se usciamo?” fece lei accarezzandolo, e lui rispose di sì. Era stata una notte dura. Una volta in strada, s’aggrappò a mamma come a un albero maestro. 13


il cielo addosso

Tirava un vento che sapeva di fiori. Quando lei si fermò a chiacchierare con le vicine, si liberò del suo peso calandolo come un’àncora. Erano legati da una catena di ricordi, tanti, troppi, e si sentì affondato e conficcato negli abissi del grande mare di voci che talvolta è il mondo.

14


zézette

Ormai ci passava ogni sera per pulirla. “Casa di mamma è più linda – pensò Zézette – Mamma stessa è più serena e quel suo cane bavoso finalmente un po’ più docile”. Zézette lo sapeva. Prima o poi l’avrebbe trovata stecchita col suo plaid sdrucito sui ginocchi, con quel demone pulcioso acciambellato ai piedi che chissà come avrebbe fatto poi a staccarglielo. Era il solito orario. Si avvicinava alla catapecchia di sua madre quando le andò incontro un puzzo inconsueto. Giunta alla soglia, incrociò la vecchia che usciva trafelata. Questa si arrestò un attimo, traballante, la fissò, poi seguitò per il gabinetto esterno, dov’era chiaramente diretta, senza spiccicar parola. “Manco un cesso decente” ­– pensò rammaricata Zézette – Manco quello ho potuto garantirle. Potrei portarmela a casa, certo, ma come farei poi coi clienti?”. Sua madre era in vestaglia. Con una manica scorciata portava un secchio colmo di merdume. Zézette, per discrezione, rimase piantata sulla soglia seguendola soltanto con lo sguardo. Zézette la Parigina. Ma mica era il suo vero nome, questo. Gliel’aveva affibbiato un cliente del Vomero, un certo Addati. Lei lo chiamava per cognome come si fa a scuola. Era un professore di liceo patito di letteratura. 15


il cielo addosso

Stavano a “farlo” in una lurida pensione di periferia, una volta, quando lui le chiese: «Hai presente Sartre? C’è un personaggio in un suo libro che m’è sempre piaciuto, si chiama Zézette… Posso chiamarti Zézette?» «Come vuoi» aveva risposto lei. Chissà perché tutto questo le tornava in mente proprio ora. Sua madre rientrò più spedita per essersi alleggerita del carico lasciato nella latrina. Zézette la fissò. La vecchia procedette chinandosi come per passare sotto un arco. «Ma’!…» la redarguì lei. «Non è come pensi, Ninù!» l’anticipò sua madre. L’unica a chiamarla col suo vero nome. «Penso giusto» fece la ragazza «Ma le vedi le conseguenze? La devi smettere di mangiare questa porcheria!» indicando la montagna di scatolette vuote di cibo per cani sul piano del lavello. «E perché? – replicò lei – Se le mangia lui, posso mangiarle anch’io!» «No! Tu no! Perché tu non sei un cazzo di cane!» urlò Zézette. «E che ne sai tu? E poi lui è tuo padre!» «Oddiosanto! – esplose Zézette – Ancora con questa storia?! Ma tu davvero credi che papà si sia reincarnato in questo sacco di merda peloso?!» Il cane ringhiò. «Ma tu davvero fai, ma’!?» «È lui, ti dico!» «Tu sei pazza!» «È lui!» «Papà non m’avrebbe mai morso!» 16


sergio saggese

«E tu per questo adesso fai la zoccola!... Fosse stato per me, altro che morsi…» «Fosse stato per te, saremmo morte di fame!» «Ci sono le scatolette!» «Ma vaffanculo ma’!» «Peccatrice!» «Vaffanculo!». Era in momenti come questo, pensò Zézette che l’avrebbe lasciata schiattare nella sua indolenza. Era circondata da indolenti. Indolente era pure Addati, pensò. Si era quasi innamorata di quell’uomo, ma erano settimane che non si faceva vedere. Non sapeva decidersi, quell’idiota. Non aveva avuto il coraggio di dirglielo direttamente. Le aveva scritto di essersi innamorato pure lui ma di essere impalato sotto la china di quel loro amore. Di essere incapace di risalirla. Zézette la rileggeva spesso quella lettera, ma aveva già da tempo rinunciato a capirla. La teneva in una cassetta di acero lucidato insieme a una serie di cimeli, alle chiavi della macchina di suo padre e al braccialetto che le aveva regalato suo fratello, che chissà in quale parte del mondo era finito. Non la capiva quella lettera, ma le piaceva leggerla perché trovava fosse piena di frasi dal suono buono. Si rammaricava di non riuscire a comprenderle e pativa la sua ignoranza come una sorta d’ingiustizia. «Dài che t’aiuto a pulirti!» disse rivolta a sua madre. «Mi sono già pulita!» ribatté la vecchia. «Sei sicura?» 17


il cielo addosso

«Non cominciare!» «Non comincio, voglio solo aiutarti!» «Stasera no». «Perché? Sei stanca? Embe’ vorrei sapere che fai per essere stanca!» «Ho settant’anni di stanchezza!» «E che vorresti dire, che sono tanti settant’anni?» «Nooooo… per carità!» ironizzò la vecchia. «Non fare la spiritosa! – disse Zézette – Esci un poco, piuttosto. Le gambe le hai ancora buone, usale! Non buttarti via! Trovati un’amica, degli interessi! Cristo, io li odio gli indolenti come te! Li odio! Siete vigliacchi! Per evitare i rischi evitate la vita stessa! Poi ve ne venite coi vostri sermoni, le facce pietose, e… – pensando al suo uomo – con delle lettere bellissime, ma che non si capisce un cazzo! Vi odio! Vi odio tutti!...» La vecchia le afferrò di colpo la testa fra le mani e se la portò sul seno. «Ssst…» le fece scompigliandole i capelli. Zézette piangeva ormai a dirotto. «C’è qui mamma tua, Ninù… – le sussurrò – La tua mamma che oggi è… uscita». La ragazza levò di scatto la testa per guardarla negli occhi. «Dici davvero?» «Certo! Sono uscita e ti ho preso anche delle mimose!» La vecchia le prese e gliele porse. Zézette le odorò socchiudendo gli occhi. Erano i suoi fiori preferiti. «Ti è passato?» domandò sua madre. 18


sergio saggese

Lei sorrise e annuì. «Bene! – disse candida la vecchia – Adesso la vuoi una bella scatoletta?»

19


indice

premessa una notte zézette l’apneista l’amore zitto la punizione quel giorno l’altra faccia di ogni cosa sangue luce storia di un colpo di tosse rubik hotel il cielo addosso le carte segrete mio nonno endre il mare che dice mio padre

pag. 7 9 15 20 27 35 39 43 49 54 58 66 74 79 83 88


norme per l’accordatura delle nuvole due verità pesanti così in terra l’inferno delle donne la roba dei morti bibbie sotto l’ombra delle spade fosfeni il peggio della felicità il caro estinto dalla finestra il gluckista una catastrofe luminosa l’istante controtempo nel basso dei cieli un amore superiore

pag. 91 95 98 104 114 121 126 132 135 143 148 159 165 170 175 179 181


PANTONE

NEON 808

FRANCESCO COSTA

Napoli appesa a un filo NEON 814

DE GIOVANNI / OSSORIO / PELLEGRINO / VITALI

Non sarà il canto delle sirene NEON 1797

FRANCESCO MARI

Gli amori interrotti


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.