Teatro Match Il teatro come non l’avete mai letto a cura di Roberto D’Avascio e Gianmarco Cesario
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presentazioni Teatro Match, un’esperienza ludica e teatrale
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gianmarco cesario
Il teatro tra censura, crisi e arringa roberto d’avascio
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le arringhe per il teatro ESCHILO fabio rocco oliva pag. 19 PLAUTO mirko di martino 23 JOHN FORD roberto d’avascio 27 MOLIÈRE giulio baffi 35 CARLO GOLDONI dario migliardi 39 JOHAN AUGUST STRINDBERG fabio pisano 43 HENRIK IBSEN mariarosaria mazzone 47 ANTON CECHOV milena cozzolino 51 FEDERICO GARCÍA LORCA leda conti 57 BERTOLT BRECHT francesco de cristofaro 61 RAFFAELE VIVIANI paolo sommaiolo 67 EDUARDO DE FILIPPO giuseppe giorgio 71 TENNESSEE WILLIAMS e. canzaniello e p. di gennaro 77 EUGÈNE IONESCO lucia stefanelli cervelli 81 PIER PAOLO PASOLINI claudio finelli 85 GIUSEPPE PATRONI GRIFFI mariano d’amora 91 ANNIBALE RUCCELLO giovanna pignieri 99 HAROLD PINTER angela di maso 103
l’esperienza degli attori Recitare per Teatro Match nel racconto degli attori
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raffaele ausiello, francesca borriero, roberto capasso, antonello cossia e raffaele di florio, sergio del prete, riccardo de luca, cristina donadio, tina femiano, paolo gentile, stefano jotti, titti nuzzolese, riccardo polizzy carbonelli, patrizio rispo, margherita romeo, luca saccoia, diego sommaripa,
conclusioni L’importanza di chiamarsi William simonetta de filippis
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arduino speranza, salvatore veneruso, imma villa
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Teatro Match, un’esperienza ludica e teatrale
Qualcosa di ludico. Questa la risposta che viene data in una calda mattina di luglio, alla mia domanda, fatta quasi per caso: “Se volessi organizzare degli incontri sulla drammaturgia qui da voi?”. Siamo allo Spazio Nea, un’elegante galleria d’arte nel cuore del centro di Napoli, in uno storico palazzo che oggi ospita la biblioteca dell’Università “Federico II”. Qualcosa di ludico. Rimugino su questa risposta, per me è diventata una vera e propria sfida e, passeggiando per via Port’Alba, tra le bancarelle dei libri venduti a poco prezzo, che mescolano premi Nobel ed intrattenitori televisivi, poesie e barzellette, mi domando come rendere giocoso parlare di quegli autori su cui si è basata la mia formazione culturale teatrale, senza offenderne la dignità. Rifletto sul fatto che, dopotutto, il teatro occidentale nasce ufficialmente con le Dionisie, con gli agoni tra autori che si fronteggiano con le loro opere. E se provassimo a far gareggiare, in una sorta di agone contemporaneo, i padri della letteratura teatrale? Sembra un’idea folle, forse blasfema, ma mettere a confronto due tragici, uno greco ed uno elisabettiano, due autori del ‘900 ideologicamente vicini, ma stilisticamente agli opposti, due padri del teatro a cavallo tra XIX e XX secolo, oppure i due più celebrati drammaturghi napoletani, da sempre considerati rivali da pubblico ed artisti, mi sembra un modo interessante per far conoscere, e anche far apprezzare, la drammaturgia. Ogni lunedì, allo Spazio Nea, due autori, un’opera a testa, con le letture di alcuni stralci interpretati da bravi attori, e due esperti quali “avvocati difensori” dell’uno e dell’altro autore, ed il pubblico chiamato ad esprimere la sua preferenza. Ne parlo con qualche col-
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lega giornalista, e con amici attori, e la risposta mi sembra entusiastica: “Io voglio difendere Molière”, “A me piacerebbe interpretare Natale in casa Cupiello”. E così il progetto prende forma. Un cast straordinario di attori che, di settimana in settimana, con un impegno insperato, si alternano nel leggere grandi testi di autori che ritrovano una nuova linfa vitale, uscendo dagli schemi delle rappresentazioni, con un pubblico composto da giovani e meno giovani che si appassionano alle arringhe di docenti e critici teatrali che ne tessono le lodi, spiegandoli con calorosa partecipazione, chi con seriosità accademica, chi con ironica creatività. Un torneo in cui si gioca con la cultura teatrale, senza mancarle di rispetto, ma semplicemente portandola ad una popolarità che, purtroppo, negli ultimi decenni sembra aver perso. Grazie quindi a tutti: attori, difensori, allo staff dello Spazio Nea, a Roberto D’Avascio, che ha avuto l’idea di realizzare questo libro, al mio amico e collega Antonio Mocciola che mi ha affiancato come direttore di gara insieme ad Alberto Amato ed Antonio Gargiulo, a Fabio Pisano che, nella seconda edizione, ha operato le scelte drammaturgiche, ed al Nuovo Teatro Sancarluccio di Napoli che ha ospitato la finale della seconda stagione. E poi, soprattutto grazie a loro, i tanti che ogni lunedì hanno affollato e, spero, affolleranno ancora la sala espositiva dello Spazio Nea, con rispetto e accorato interesse: sarà una goccia nell’oceano, ma l’idea che, grazie a Teatro Match, siamo riusciti ad avvicinare qualcuno al teatro non può che emozionarmi e riempirmi d’orgoglio.
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In una tragedia poco nota del drammaturgo John Ford, Il cuore spezzato, un certo Bassano - uomo benestante che la bella e dolce Pentea è stata costretta a sposare per volere del crudele fratello Itocle - afferma di vedere il pericolo dell’incesto tra fratello e sorella perché è stato esplicitamente escluso da un loro incontro privato. L’occhio di Bassano rappresenta chiaramente nel dramma la prospettiva del puritanesimo inglese seicentesco, ossessionato dall’orrore di una visione che nasce nella sua mente e che cerca di proiettare sulla realtà esterna. Bassano cerca, infatti, di spiare la stanza dove i fratelli sono rinchiusi a discutere e, non riuscendo a percepire alcun rumore, si fida assolutamente della sua visione, penetrando nella stanza per accusare i fratelli di indegno e bestiale incesto. Bassano, dunque, afferma di vedere un incesto, assente nel dramma, ma che rappresenta una prefigurazione di quello che accadrà poi nella più famosa e successiva tragedia di Ford, Peccato che sia una puttana. Già prima di sollevare un polverone scenico con queste sue illazioni, Bassano aveva tuttavia dimostrato di volersi difendere dal potere di seduzione del corpo femminile, che agisce innanzitutto attraverso la vista, proponendosi di murare la moglie nella sua stanza. Murare la finestra, da cui Pentea potrebbe affacciarsi, significa occludere la visione, negare all’occhio il potere di esercitare la sua lussuria, interrompere il collegamento tra corpo e vista. L’atto di murare la finestra della stanza abitata da Pentea potrebbe considerarsi come una lampante metafora della chiusura dei teatri da parte dei Puritani al potere in Inghilterra, a partire dal 1642, probabilmente considerati dal puritano Bassano come luoghi di corruzione e malaffare: vedere è infatti contaminarsi.
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Salviano, discepolo di Sant’Agostino, ha scritto che mentre in generale il peccato insozza chi lo compie, il teatro invece contamina anche coloro che vi partecipano da semplici spettatori attraverso l’udito e la vista: chi infatti assiste ad un omicidio può disapprovarlo, mentre chi va a vedere spettacoli teatrali condivide la stessa oscenità e la stessa colpa degli attori.1 Alle stesse conclusioni estetiche e morali perviene il movimento puritano in Inghilterra alla fine del Cinquecento, quando vengono costruiti i primi teatri pubblici permanenti, vengono formate le prime compagnie di attori professionisti e la gestione dell’attività teatrale passa sotto il controllo e la protezione della corona inglese. L’iconoclastia puritana ha ripreso molte delle sue obiezioni contro il teatro dal bagaglio teologico dei Padri della Chiesa. L’attacco puritano al teatro si è espresso dalla fine del Cinquecento fino alla chiusura dei teatri in Ighilterra attraverso una serie di violentissimi pamphlet, che hanno indirizzato la loro polemica contro l’idolatria, contro la debolezza dell’occhio davanti allo scandalo della visione teatrale, contro la corruzione prodotta nell’uomo dalla natura diabolica delle immagini: John Northbrooke ha accusato il teatro di essere fonte di peccaminosa prodigalità di tempo e di danaro, fino a far svuotare le chiese a vantaggio di playhouses piene di gente; Thomas White ha raffigurato l’azione del teatro come il contagio della peste; Stephen Gosson ha accusato l’incolta mimesis popolare del teatro di non poeticità, definendola come il luogo della prostituzione e dell’idolatria nei confronti del diavolo; Philip Stubbes ha identificato il teatro come il luogo corrotto di tutti vizi sociali, mentre John Field ha, infine, elaborato una equazione tra teatro e Satana.2 In Inghilterra la polemica antiteatrale si inasprisce ulteriormente negli anni ’30 del Seicento perché, in un momento di grave frizione politica tra la monarchia e il Parlamento, si completa 1
Cfr. Salviano Marsilensis, Il Governo di Dio, Roma, Città Nuova, 1994.
2 Cfr. John Northbrooke, Spiritus est Vicarius Christ in Terra (1577), Thomas White, A Sermon Preched at Pawles Cross on Sunday the thirde of November 1577 in the Time of the Plague (1577), Stephen Gosson, The School of Abuse (1579) e Plays confuted in Five Actions (1582), Philip Stubbes, The Anatonie of Abuses (1583), John Field, A Godly Exhortation, by the Occasion of the late Judgement of God, shewed at Paris-garden, the thirteenth day of Ianuarie (1583).
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il percorso di assimilazione del teatro alla politica culturale della corona. I puritani, nemici di Carlo I, vedono nel teatro non solo una ramificazione ideologica dell’assolutismo politico del re, ma un agente pericoloso perché socialmente disgregatore e moralmente produttore di caos. I puritani in quanto tali non erano contrari alla istituzione monarchica, tanto meno avevano sempre rifiutato la funzione pedagogica del teatro, che avevano utilizzato per la propria propaganda religiosa fino alla metà del Cinquecento. Tuttavia gli anni ’30 del Seicento sono un momento di cesura storica, che riguarda anche la storia del teatro inglese e che vede il proprio punto culminante nella pubblicazione di Histriomastix nel 1633 e nel processo e nella violenta condanna a carico del suo autore, l’avvocato William Prynne. Il volume di oltre mille pagine, al quale Prynne aveva dedicato nove anni di ricerca, aveva avuto la sua ispirazione nel traumatico ricordo di quattro pessimi drammi, ai quali aveva assistito da giovane “per il perverso allettamento di alcuni compagni. Poiché di teatro non aveva visto o letto altro, probabilmente fu la contorta angoscia di questo trascorso giovanile” che lo aveva spinto a “raccogliere, a partire dal 1624, e da ogni possibile fonte, tutti i passi che concordassero con la sua personale repulsione per gli spettacoli teatrali”.3 Prynne elabora la sua invettiva puritana contro la mimesis teatrale in una macchinosa struttura argomentativa divisa in due tragedie, tredici atti ed un centinaio di scene, cercando di allineare il suo pensiero radicale con la tradizione classica e cristiana, chiamando a raccolta contro la diabolica immagine teatrale tutti i Padri della Chiesa come anche autori classici quali Ovidio. Nel suo catalogo degli orrori gli spettatori teatrali costituiscono un ingresso nel regnum diaboli dominato dall’anarchia della seduzione e degli istinti sessuali. In quanto manifestazione sensibile del maligno, l’arte teatrale è naturalmente falsa e ipocrita, è travestimento, trasformazione e alterazione ingannevole dell’identità umana, per cui recitare è im3
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Pietro Spinucci, Teatro Elisabettiano Teatro di Stato: La Polemica dei Puritani Inglesi contro il Teatro nei secc. XVI e XVII, Firenze, Leo S. Olschki, 1973, p. 236.
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brogliare il prossimo e l’attore diffonde in questo modo una peste sociale. Nella battaglia politica che si combatteva attorno all’esistenza del teatro attraverso spettacoli, sermoni e pamphlet, coloro che vedevano una soluzione moralizzatrice nella soppressione degli spettacoli - la classe borghese e mercantile della City londinese furono entusiasti del furibondo attacco lanciato da Prynne, ma la risposta della fazione avversa - la monarchia, la corte, la nobiltà - non si fece attendere: l’audace autore dell’Histriomastix fu infatti presto processato e condannato sicché la sua guancia fu marchiata a fuoco dalle lettere S. L.4 e “dovette pagare una multa enorme, fu espulso dalla professione, privato del suo grado accademico, gli vennero mozzate le orecchie e fu condannato all’ergastolo”.5 Tutto questo non per avere attaccato il teatro, ma per avere accennato ad attrici francesi come “puttane”, che si erano esibite al Blackfriars, sotto la protezione della regina Enrichetta Maria, in uno spettacolo giudicato come ignominia della nazione inglese. L’Inghilterra degli anni ’30 sembra un grande campo di battaglia in cui si gioca la vita e la morte del teatro. L’insistenza della parola “puttana” nelle violente accuse di Prynne sembra gettare la donna, la monarchia e il teatro in un unico calderone diabolico, soprattutto se tutto ciò si incrocia con la speculare insistenza che Ford dà a quella stessa parola, inserendola nel titolo del suo lavoro più popolare. Il 1633 sembra, per l’Europa teatrale, un crocevia temporale di impulsi culturali diversi che tendono a convergere e a scontrarsi: se per il microcosmo culturale inglese è l’anno in cui la pubblicazione di tre tragedie fordiane, tra cui Peccato che sia una puttana, ha il suo contrappunto nella pubblicazione dell’Histriomastix di Prynne, è per il macrocosmo europeo l’anno in cui il rafforza4 Cfr. Colin Rice, Ungodly Delights, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1997, p. 148. L’autore riferisce che per la legge inglese che lo aveva condannato le lettere incise sul suo viso, S. L., significavano “Seditious Libeller”, mentre per i puritani che lo avevano sostenuto quelle iniziali indicavano “Sion’s Lawyer”; Prynne invece avrebbe interpretato quelle lettere come “Stigmata Laudis” poiché era stato, con i suoi trattati teologici, uno dei più fieri avversari del compromesso anglicano e dell’arminianesimo di William Laud. 5 Claudio Vicentini, Introduzione, in Oscar G. Brockett, Storia del Teatro, Venezia, Marsilio, 1987, p. XI.
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mento dell’anglicanesimo britannico ha il su contrappunto religioso nella dura repressione controriformista sul continente, per cui la nomina di William Laud in qualità di arcivescovo di Canterbury fa da controscena all’abiura di Galileo Galilei davanti al Sant’Uffizio. L’anno 1633 presenta la particolarità misteriosa di accostare da una parte con estrema violenza l’arte del teatro alla pratica della prostituzione, facendo rimbalzare ripetutamente la parola “puttana” tra palcoscenici carolini e sermoni puritani nemici del teatro; dall’altra facendo dialogare il telescopio che Galilei punta verso il cielo per vedere e conoscere la verità (come nell’opera di Bertolt Brecht del 1938 dedicata al grande scienziato) con una scena teatrale inglese carica di orrore perché piena di incesti.6 Nel 1933, esattamente trecento anni dopo, Antonin Artaud pubblica Il teatro e il suo doppio, una meravigliosa “arringa” a favore del teatro, esercitando una fortissima influenza sulla migliore ricerca teatrale del Novecento. L’insistenza di Artaud sul fatto che l’azione teatrale sia una terapia vitalistica che agisce innanzitutto sui sensi si specchia in parte nell’analisi estetica fatta dai Padri della Chiesa e dai puritani inglesi. Non a caso Artaud cita proprio Sant’Agostino, che ne La Città di Dio aveva paragonato l’azione mortifera della peste, che uccide senza distruggere organi, all’azione psicologica e sociale del teatro che “senza uccidere, provoca le alterazioni più misteriose non soltanto nello spirito di un individuo, ma in quello di un’intera collettività”.7 Il pericolo che la teologia cristiana ha storicamente rilevato nella mimesis teatrale era proprio quella stregoneria diabolica che lo spettacolo metteva in atto influenzando la sensibilità del pubblico; Artaud segue l’analisi estetica elaborata dai teorici dall’iconoclastia teatrale cristiana per ribaltarla a vantaggio dello stesso teatro: il teatro è certamente una pestilenza, una febbre, un delirio, un contagio pericoloso che si trasforma in incantesimo scenico. 6
Lois E. Bueler, The Structural Uses of Incest in English Renaissance Drama, cit., pp. 117-118. L’autrice ha notato come nel triennio 1632-1634 siano ben cinque i drammi che mettono in scena relazioni incestuose, di cui tre nel solo 1633.
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Antonin Artaud, Il teatro e la peste, in Antonin Artaud, op. cit., p. 144.
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Artaud si rivolge proprio alla drammaturgia di Ford perché la sua storia di morte, sangue ed incesto rappresenta una peste che mostra “un disastro sociale così completo” e “un tale disordine organico” capaci di indicare “la presenza di uno stato che è anche una forza assoluta, e dove si ritrovano al vivo tutte le potenze della natura”.8 Peccato che sia una puttana è un dramma che si spinge fino all’estremo, che libera i conflitti che covano nella società e che restituisce al pubblico attraverso “incredibili immagini che danno diritto di cittadinanza e di esistenza ad atti per loro natura ostili alla vita delle società”.9 Le immagini emblematiche di Ford, segni puri come i geroglifici, rappresentano quindi la visione eroica e difficile dell’invisibile, il significante che eccede la significazione, la violenta affermazione di una tremenda ed ineluttabile necessità. Questo dovrebbe essere il teatro: eccitazione e pericolo, desiderio e paura. Sara Kane, autrice inglese che sconvolge la scena britannica alla fine degli anni ’90 e che morirà suicida nel 1999, diceva che si dovrebbe andare a teatro come si va allo stadio per vedere un incontro di football, con la stessa carica di adrenalina. Questo perché la scena doveva rappresentare un luogo di conflitto, di scontro durissimo dal quale l’essere umano poteva uscire migliore. In un periodo storico nel quale i finanziamenti al teatro sono stati drasticamente ridotti, in cui si produce davvero poca innovazione nell’ambito della drammaturgia e in cui il mondo del teatro sembra sbandato, spesso addirittura alla ricerca di una casa in cui esistere, sembra giusto ricordare le difficoltà storiche legate al mondo della scena e degli attori, soprattutto per sottolineare ancora una volta il suo aspetto ludico e il ruolo fondamentale che deve svolgere nella società. Quindi non più sermoni contro la scena, ma arringhe per il teatro.
8 Ibidem, pp. 145-146. 9 Ibidem, p. 146.
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