Rosa Venturelli
Uno sguardo rompe il silenzio A gaze breaks the silence
A mia madre Raffaela e a mio padre Carlo
To my mother Raffaela and my father Carlo
Quello sguardo che rompe il silenzio
Isabella Pedicini
Nella confusione delle strade, nella frenesia di un passo celere - tra il ritardo a un appuntamento e la lista delle cose ancora da fare - lo sguardo verso gli altri è spesso veloce, fugace, epidermico. Per la via, ci viene incontro una fiumana indistinta di persone su cui poggiamo, per un attimo, i nostri occhi distratti che ritornano, subito dopo, al gorgo incessante del nostro pensare. Eppure intorno a noi scorrono storie, parole, esistenze davanti alle quali non riusciamo a fermarci nemmeno un istante: raramente abbiamo modo di contemplare il mondo che ci sfiora.
che nessuno vuole vedere per afferrarne la sofferenza e la forza d’animo. Rosa si è soffermata lungamente sulle vite dei propri soggetti, concentrandosi sui volti, fissandoli dritti negli occhi per riconoscere il loro stare al mondo e, insieme, indagare senza paura la dimensione complicata dell’altro.
Tuttavia, in Italia esiste una città in cui il tempo non è preda delle mode ansiogene della contemporaneità, un posto in cui l’impareggiabile sveltezza –di parola e di pensiero- dei suoi abitanti è nutrita di un’antica saggezza in equilibrio pacato con il trascorrere delle ore: Napoli. Rosa Venturelli, donna curiosa delle storie degli altri, ha percorso le strade di Napoli sin da bambina, con la macchina fotografica al collo, in cerca dei racconti delle persone, dei loro visi, del segno di uno stato d’animo sui loro volti. Si è fermata a guardare i passanti. Ma non solo. Tra le multiformi tipologie umane incontrate, ha preferito raccontare, attraverso la macchina fotografica, la storia delle persone agli angoli delle strade e ai margini della società. Ha guardato in faccia gli invisibili, ha osservato a lungo le persone
Fotografie in bianco e nero, ritratti di bambine e bambini, ragazzi, donne e uomini aggrappati al substrato urbano di una città ricca e complessa, narrativamente ineguagliabile per bellezza e amarezza. Immagini profonde, pezzi di una fotografia sociale che spiazzano per pathos e commozione e che colpiscono violentemente lo spettatore. Ecco gli emarginati, i rom, i senzatetto. Ecco Samuele, il ragazzo che morirà da lì a poco una sera d’inverno, nei pressi di via Roma, per il troppo freddo. Ecco un’umanità dolente ritratta senza spunti patetici o ridondanti, ma con un’aria distinta e tenace, rappresentata in tutta la sua forza e incredibile speranza.
“Lo sguardo rompe il silenzio” ripete, spesso, Rosa e la sua fotografia corrisponde a quello sguardo che unisce le persone da una parte e dall’altra dell’apparecchio fotografico, che diventa un ponte tra chi guarda e chi è guardato. Ma la sua fotografia è anche uno sguardo che squaderna un territorio di condivisione tra l’io e l’altro. Frantumato il silenzio, è il tempo per il dialogo, è il momento salvifico della parola.
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That gaze which breaks the silence
Isabella Pedicini
In the confusion of the streets with a frenetic gait – through the delay of an appointment and the to-do list - glancing at other people is often a quick, fleeting, epidermal act. We are overwhelmed by an indistinct flood of people on the street to whom we distractedly direct our glance for a moment before coming back to the whirlwind of our thoughts. There are so many stories, words, beings flowing in front of us that we can’t even stop and catch them: rarely do we have the chance to contemplate the world so close to us.
pain and their moral strength. Rosa focused for long on her subjects’ life concentrating on faces. She gazed into their eyes in order to recognize the way in which they got by in this world. With them she tried to explore another person’s complicated dimension.
In Italy though there is a city less affected by time, more immune to the trends of modernity, a place where the unique speed – of speaking and thinking – of its inhabitants is feed up by an ancient wisdom, in a placid equilibrium with the passing of time. This place is Naples. Rosa Venturelli, a woman interested in other people’s stories, has been walking around Naples with the camera around her neck since she was a child looking for stories, visages, and frames of mind. She stopped and gazed at the passers-by. And not only. Among the many-sided human typologies she met, she preferred to describe, through her camera, people at the corner of the streets and from the edges of the city. She observed the invisibles and people that nobody want to see in order to catch their
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Pictures in black and white, children’s portraits, kids, women and men holding on the urban substratum of a rich and complex city, incomparable for beauty and bitterness. Many of these were intense pictures, pieces of a social photography rather, that give way to pathos and emotion that violently hit the viewer. Here we have misfits, rom, homeless. Here we have Samuele, a kid who died just a few days after the picture was taken near Via Roma during a cold winter night. Here we have a painful and pathetic or redundant humanity but one that is attended to with a refined determination. Such photos of determination gave humanity strength and incredible hope. “A gaze breaks the silence” often says Rosa, and her photography corresponds to the gaze that joins people from both sides of the camera. This becomes a bridge between the looker and the looked. Her photography, however, is also a gaze that reveals a common field between the me and the other. Once having broken the silence, it is time to engage in a dialogue. It is the salvific moment of the word.
Quanta meraviglia sa cogliere un'anima quando si può fermare.
How many wonders can a soul catch when it stops?
Giovanna Giusso
Giovanna Giusso
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P”a via, quanti ccose che ‘a lassa’, ca succedono, ca se vedono, ca se sperano, quanti suonne ca s’avverano. Quanti suonne! P”a via, tu puo’ ‘ncuntra’, l’alleria, l’ipocrisia, ‘a pucundria, ‘a malatia, ‘a malincunia, ‘a gelusia. Addò tutto, ‘e vvote, te po’ pare’, accussì vicino, e ‘e vvote accussì luntano. Luntano comme ‘o cielo, ca maje ‘o puo’ tucca’, e abbraccia’. Ma ‘o puo’ senti’!
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Addò nu juorno, te siente comme na reggina, e po’, n’atu’ juorno, ‘o cuntrario ‘e na reggina. Nun è sempe ‘o stesso, p”a via, l’ogge nun è comme ajere, e ‘o dimane po’ chi sa. P”a via, puo’ pure nascere. Comme na pianta, ca nasce, sott’a nu marciapiede, pecchè ce ‘a vo’ fa’, e nun se ne ‘mporta, e chi le mette ‘e piede ‘ncapa. Resiste! S’ha da sta’! È nata llà!
Resiste e se difenne, cu dignità! Pe’ campa’, pe’ cammena’, pe’ prega’, p’ama”. Ma pe ce ‘a fa! P”a via, ‘a ricchezza nun songo, ‘e sorde, ‘o putere. Nun ‘e ttiene, nun t’appartenono. Ma ‘a vuluntà, è chesta ‘a ricchezza toja, l’umiltà, l’onestà, ‘a fede e ‘a pacienza, songo ancora nu valore.
Ca guardano ‘a vascio ‘ncoppa, e non ‘a coppo ‘a bbascio. Tutti chille, ca guardano int’a ll’uocchie, e è cu lloro, ca nun te siente sulo, e ca campano dint”o silenzio, comme ‘o silenzio d”e campusante, ca so’ cchine d’emozioni, fatte ‘e commozioni e ricorde. P”a via, tu puo’ pure accummincia’!
Strada facenno, staje sicuro! Ca nun ‘ncuntre maje nu rre, nu ministro, ma tutte chille comme tte!
Rosa Venturelli
Devo al maestro Mimmo Jodice un ringraziamento particolare per l’attenzione e l’interesse che ha mostrato fin dall’inizio al mio lavoro: senza il suo incoraggiamento non sarei mai arrivata alla pubblicazione di questo libro. Anche altre persone sono state fondamentali in quest’avventura, e voglio ringraziarle qui: Isabella Pedicini per la generosità e l’impegno che ha investito nella lettura e nel commento delle mie foto; Cristina Passaro, per aver tradotto la poesia in vernacolo; Giovanna Giusso, per aver colto con poche, sentite parole il senso della mia ricerca; Vera Maone per essermi stata accanto in tutte le fasi preparatorie di questa pubblicazione; Giuliana Pellegrini, che mi è affettuosamente amica; Anna Maria Napoli ed Emanuela Liccardi per avermi sostenuta sempre. Ai protagonisti di questa storia, ad ognuno dei loro sguardi, la mia riconoscenza profonda per avermi dato la possibilità di raccontarli. Un ultimo grazie per la loro disponibilità e gentilezza a Mariangela Crimaldi per le traduzioni, Antonello De Simone, Bruno La Mura, Luigi Solito e Luca Mercogliano della Iemme edizioni.
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Finito di stampare nel mese di novembre 2015 per conto di Iemme edizioni presso Aura Graph - Giugliano in Campania (NA)