iFoodStyle TuttoFood 17

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Style

DAL WEB ALLA TAVOLA

SPECIALE IN COLLABORAZIONE CON


speciale in collaborazione con TUTTOFOOD

INDICE I migliori bartender italiani e internazionali e i loro cocktail più famosi

Snack: dolci o salati? pag. 22

pag. 04

Lo street food diventa gourmet

I migliori ristoranti dove fare brunch a Milano, Roma e New York

pag. 25

Tutto Seafood

pag. 06

pag. 26

Food photography, i trucchi e segreti per uno scatto perfetto

Cibi surgelati sì o no? pag. 29

pag. 08

Le startup innovative del settore food&beverage

Consumo di frutta e verdura in Italia e nel Mondo

pag. 30

pag. 15

I supermercati del futuro

Ristoranti: quelli più curiosi e le tendenze 2017

pag. 31

pag. 16

Le nuove abitudini alimentari degli italiani

I fattori determinanti che influenzano sempre di più la spesa in Italia e all’estero pag. 33

pag. 19

I vini italiani più apprezzati all’estero pag. 20

Progetto grafico e impaginazione Lina d’Ambrosio

www.spadellatissima.com

Cristina Panizzuti

www.paneacqua.ifood.it

Hanno collaborato Angelina Ti

www.angelinaincucina.com

Chiara Setti

www.lacucinadellostivale.ifood.it

Francesca Bettoni

www.beautyfoodblog.com

Foto copertina:

Federica Giuliani

Marzia Balza

www.traveltotaste.net

www.marziabalza.com

www.spadellatissima.com

www.lacassataceliaca.ifood.it

www.lapetitecasserole.com

www.vatineesuvimol.com

Lina d’Ambrosio

Margherita Romagnoli

Monica Giustina – www.onecakeinamillion.ifood.it

Sonia La Rosa

Vatinee Suvimol


Caro Lettore, Cara Lettrice se stai leggendo queste parole è molto probabile che Tu stia sfogliando la prima edizione cartacea di un esperimento di social publishing. iFood Style non è solo un inglesismo, è effettivamente uno stile. Lo stile del sito iFood.it e della community di food blogger che orgogliosamente ne fanno parte, lo animano e lo sostengono. Sono centinaia e tutte/tutti hanno un volto e un nome. Potremmo dire che “ci mettono la faccia e si sporcano il grembiule”. Fanno parte di un grande, non solo in senso numerico, collettivo virtuale di appassionate e appassionati che hanno in comune il senso della condivisione e del buon cibo, che per noi iFoodies sinonimi sono. Lo stile di iFood è espresso dall’eleganza delle sue ricette, dalla ricercatezza delle sue foto (tutte originali!) e dalla volontà di generare valore per gli appassionati, senza cedere alla tentazione del click facile. iFood è online su un sito, sui social network e negli eventi dal vivo. Ci piace aggregare persone, dare l’opportunità di coltivare una passione e magari qualcosa di più. iFood Style raccoglie il meglio di iFood.it e anche ricette inedite, ma va pure oltre il sito stesso, dando modo di elogiare una passione nata online con la lentezza e l’approccio cartaceo, restituendo alle parole e alle immagini uno scorrere più contemplativo e più slow. Non mi resta che augurarti buona lettura e... buon appetito! – Parla Andrea Pucci – CEO e fondatore di Netaddiction, media company proprietaria di iFood.it, nato nel 2015, oggi tra i primi siti di cucina in Italia.


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I migliori bartender italiani e internazionali e i loro cocktail più famosi Angelina Ti Miscelare alcolici e creare cocktail è un’arte che ormai in molti casi può essere paragonata all’alta gastronomia. Sono sempre di più, ad esempio, i ristoranti di alto livello che hanno deciso di aggiungere alla loro offerta anche una carta di long drinks e miscelati, per concludere la cena o per regalarsi un aperitivo d’autore. Insomma, l’abitudine del bere bene non si limita più alla scelta delle migliori etichette vinicole, ma si allarga anche alla proposta di superalcolici. È anche per questo che alcuni barman possono arrivare a guadagnare cifre da capogiro e aspirare a un successo internazionale. Essere barman richiede molta esperienza e impegno, ma soprattutto studio. Esistono infatti vere e proprie scuole per diventare bartender (o barman) e corsi dove vengono svelati tutti i trucchi per miscelare e shakerare alcolici (e non), per arrivare a creare il cocktail perfetto. Alcuni tra i barman più famosi del mondo sono italiani, però hanno lasciato il loro Paese d’origine per lavorare nei bar di tutto il mondo: Fabio Raffaelli, ad esempio, che attualmente vive e lavora a New York dove è Bar Director di Apicii, un nuovo gruppo in cui si riuniscono i più grandi e talentuosi barman disponibili nella Grande Mela. Oltre ad aver collaborato con nomi molto noti della ristorazione, come il Masterchef Joe Bastianich e il guru della gastronomia molecolare Ferran Adrià, Fabio ha ideato diverse creazioni o, come si chiamano in gergo, “signature cocktail”: miscelati da lui inventati utilizzando ingredienti e formule diverse a seconda del concetto e del luogo in cui si trova. Altro barman italiano famoso a livello mondiale è Salvatore Calabrese, nato a Maiori, sulla costiera Amalfitana, e soprannominato “Il Maestro”. Lasciata la scuola a sedici anni, Salvatore ha capito subito che il suo futuro sarebbe stato diventare un ottimo barman, passione che lo ha portato a lavorare prima in alberghi della sua città e poi al Dukes Hotel di Londra, dove ha cominciato a costruire la sua reputazione internazionale. Attualmente Salvatore lavora per la sua società di consulenza che opera in tutto il mondo, ed è anche proprietario di un bar al Cromwell Hotel di Las Vegas, il Bound by Salvatore, e del Salvatore at Maison 8 a Hong Kong. Ha servito cocktail a molte celebrità, inclusa Sua Maestà la Regina Elisabetta II in occasione di uno dei sui recenti compleanni. Uno dei suoi cocktail più famosi è certamente il “Legacy”, che nel 2012 è anche entrato a far parte del Guinnes dei Primati come cocktail più costoso del mondo: circa 6.000 euro a bicchiere! Non ci sono solo nomi italiani, ovviamente, tra i barman più famosi del mondo: lo svedese Dosa Ivanov, nominato dall’associazione internazionale dei bartender “Best bartender of the year 2015” con il suo cocktail “Grand Horizon”, lavora attualmente al Clarion Hotel Post di Gotheborg. Bartender da quasi trent’anni, ama preparare qualsiasi cocktail a base di frutta fresca e arancia, ma il suo preferito rimane un buon “Martini Dry” che, dice, “non va assolutamente shakerato”, al contrario di quanto abbiamo imparato tutti guardando i film di James Bond. Un altro barman degno di nota è certamente il giapponese Michito Kaneko, nominato bartender dell’anno nel 2015 durante una delle più importanti competizioni di genere, la “Diageo World Class”. Dopo quattro giorni di sfide a colpi di cocktail con altri partecipanti, ha dichiarato: “Anche se ho vinto, devo dar prova di modestia e rimanere fedele a me stesso e alla mia passione”. Ex operaio edile, ha deciso di mollare tutto e di dedicarsi anima e corpo a questa professione che gli sta regalando numerose opportunità di lavoro in tutto il mondo. Uno dei suoi cocktail più famosi? Il “Tiny Bouquet” (Disco): succo di limone, camomilla alla mela, spuma di ananas, acqua di fiori d’arancio e Tiny Ten, un cocktail che l’ha reso vincitore di uno dei massimi riconoscimenti in questo settore.


Foto: Chiara Piras

Il 2016 è invece stato l’anno delle quote rosa per la “Diageo World Class”, con la proclamazione di una giovane bartender, Jennifer Le Nechet, come vincitrice. La ventinovenne francese, che lavora nell’elegante Café Moderne di Parigi, ha trionfato su una rosa composta da 57 colleghi (di cui solo sei donne) provenienti da tutto il mondo, assicurandosi – prima donna nella storia della competizione – il titolo di Miglior Bartender del Mondo 2016. Un’altra prestigiosa classifica che ha di recente selezionato i migliori mondiali è la World’s 50 Best (www.worlds50bestbars.com/). La stessa selezione che ha incoronato, nel campo della ristorazione, Massimo Bottura come miglior chef 2016, ha infatti una sezione completamente riservata al mondo dei cocktail bar. A vincere la 50 Best, nel campo dei miscelati, è stato il raffinatissimo Dead Rabbit di New York (www.deadrabbitnyc.com), in una top ten che ha visto alternarsi esclusivamente nomi americani e inglesi. Unica eccezione, il cocktail bar di Atene The Clumsies (www.theclumsies.gr).


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I migliori ristoranti dove fare brunch a Milano, Roma e New York Lina d’Ambrosio Dev’essere stato qualcuno di davvero goloso a inventare un pasto intermedio fra la colazione e il pranzo. Ma, sotto sotto, golosi lo siamo un po’ tutti, ed è probabilmente questa la chiave del successo del brunch. Abitudine ormai celebre in tutto il mondo, momento conviviale divertente e rilassante, il brunch dilaga in tutti i locali più cool, in particolare durante il weekend. Una moda di derivazione statunitense, che si è ormai diffusa in tutto il mondo. Ma dove andare a fare un buon brunch? Ecco per voi una selezione di alcuni dei locali migliori di Milano, Roma e New York. Milano 1. Unico Milano – Via Achille Papa, 30 (Domenica dalle 12:00 alle 16:00) È un brunch chic quello di Unico, ristorante al ventesimo piano del grattacielo CMJ di Milano. Il prezzo è un po’ sopra la media cittadina (il costo è di 50 euro), ma avrete la possibilità di gustare un brunch diverso e sicuramente di alto livello. Con una meravigliosa vista sulla città, potrete godere di piatti a buffet e di ottime proposte alla carta, studiate con dovizia dagli chef del ristorante. 2. Deus cafè – Via Thaon di Revel, 3 (Sabato e Domenica dalle 12:00 alle 17:00) Al Deus il brunch viene servito sia di sabato che di domenica, ma non troverete il solito buffet: qui si ordina alla carta. I costi sono nella media milanese: si va dai 15 ai 25 euro in base all’ordine, che solitamente include un piatto principale al quale viene affiancato (compreso nel prezzo) dolce, caffè e succo/centrifugato. Il locale è particolare, tra arredi rétro, pezzi unici e elementi in stile bikers, ma la clientela è molto variegata. 3. 4Cento – Via Campazzino, 14 (Domenica e festivi dalle 12:00 alle 16:00) Al 4Cento il brunch è a misura di bambino, pensato soprattutto per le famiglie. La location ha un grande giardino dove vi sembrerà quasi di non essere a Milano, e la domenica oltre al brunch vengono organizzati laboratori per bambini seguendo il metodo di Bruno Munari. Troverete un grande buffet di piatti dolci e salati sia caldi che freddi, con un occhio di riguardo a pietanze pensate apposta per i più piccoli. Il costo è di 30 euro per gli adulti e 15 per i bambini. 4. Pavè – Via Felice Casati, 27 (Sabato e Domenica dalle 12:00 alle 15:00) Situato in zona Porta Venezia, Pavè offre un ottimo brunch che segue le stagioni: il menu infatti cambia spesso e le materie prime sono ottime. La proposta spazia sia sui dolci che sui salati, e i lievitati vengono preparati utilizzando lievito madre. I piatti sono realizzati al momento e il costo medio è attorno ai 15 euro. Potrete accompagnare il vostro brunch con centrifugati, spremute, succhi e caffè. 5. Dulcis in fundo – Via Gianfranco Zuretti, 55 (Sabato dalle 12:00 alle 15:00) In questo locale dall’atmosfera calda e accogliente troverete il tipico brunch americano con la genuinità delle cose fatte in casa. Tutto ciò che è presente nel buffet, sia dolce che salato, è homemade. Inoltre, potrete gustare tutti i piatti tradizionali del classico brunch, dalle uova strapazzate ai pancake con sciroppo d’acero, il tutto ad un costo di 23 euro. Roma 1. L’Uliveto - Rome Cavalieri, Waldorf Astoria Hotels & Resorts – Via Alberto Cadlolo, 101 (Domenica dalle 12:00 alle 15:00) Brunch a cinque stelle, certamente non per tutte le tasche. Il costo è di circa 80 euro, ma sicuramente possiamo definirla un’esperienza superlativa. La cornice è quella di un lussuoso Resort, dove durante la bella stagione potrete prendere posto all’esterno a bordo piscina. Il buffet è molto ricco: troverete ogni genere di pietanza, dalla mozzarella di bufala campana DOP al sushi, passando attraverso primi piatti preparati al momento e selezione di arrosti. Infinita la proposta dei dolci. Perfetto per soddisfare palati molto esigenti. 2. Grandma Bistrot – Via dei Corneli, 25 (Sabato e Domenica dalle 12:00 alle 16:00) Menu stagionale, piatti italiani, English breakfast e menu vegetariano formano la proposta di questo ristorante, dove potrete gustare il vostro brunch ordinando alla carta e spendendo una media di 10-15 euro. Il pane merita una particolare segnalazione, viso che viene preparato rigorosamente con lievitazione naturale e impiegando esclusivamente farine integrali italiane.


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3. The Perfect Bun – Largo del Teatro Valle, 4 (Domenica su turni alle 12:00, 13:00 e 14:00) Locale situato in pieno centro storico, tra il Pantheon e Piazza Navona: è proprio il caso di dire che sarà difficile non trovarlo affollato. Il brunch si svolge su tre turni della durata di un’ora che hanno inizio rispettivamente alle 12:00, alle 13:00 e alle 14:00. Il buffet è molto ricco e vario: troverete carne, verdure, sformati e molto altro. Uova e omelette vengono preparate al momento e l’offerta si completa come di consueto con succhi, spremute e caffè. Il costo del brunch è di 25 euro. 4. Bakery House – Corso Trieste, 157b/c (Sabato e Domenica dalle 10:30 alle 16:00) Tipico locale con brunch in stile americano, con una particolare passione per i dessert a stelle e strisce. Oltre ai piatti da ordinare alla carta proposti per il brunch, troverete infatti molte proposte di cheesecake e muffin, senza dimenticare i classici pancake. Il costo è abbastanza contenuto, potrete mangiare spendendo dai 6,5 euro in su in base a quello che ordinerete. 5. Lanificio Cucina – Via di Pietralata, 159 (Sabato e Domenica dalle 12:30 alle 14:30) Brunch si, ma all’italiana! Qui infatti si chiama “pranzetto” ed è dedicato alle classiche pietanze che popolano le tavole degli italiani nei giorni di festa. Timballi, paste al forno, paste ripiene, arrosti e tante altre leccornie vi aspetteranno in questo ristorante lungo il fiume. Nella stagione estiva potrete godere del bellissimo spazio all’aperto. Le bevande analcoliche sono incluse nel prezzo e il costo è di 25 euro. New York 1. Dizzy’s – Brooklyn – www.dizzys.com Ogni sabato e domenica, in questo locale di Brooklyn vi verranno servite delle leggendarie (e gigantesche) piramidi di pancakes, oltre a sendwich di ogni genere e tipo, omelette da realizzare mixando a piacere gli ingredienti, uova strapazzate e tanto altro. Con una ventina di dollari a testa, ne uscirete decisamente soddisfatti. 2. Norma’s – www.parkermeridien.com/eat/normas/ All’interno del complesso Le Parker Meridien, sulla Cinquantasettesima, c’è questo ristorante. Se all’apparenza può sembrarvi un po’ dispendioso, sappiate però che le porzioni che propone sono abbondantissime, tanto che tra le loro FAQ c’è “Will I still be hungry” (“Sarò ancora affamato?”) e la risposta è “You gotta be kidding” (“Non scherziamo”). Menu divertente (su tutti, la sezione più buffa è quella “Mom can’t make this”, ovvero “Mamma non è in grado di prepararlo”) e spesa sui 45 dollari.

Foto: Ros Rutigliano


8 - iFoodStyle 3. Baz Bagel – www.bazbagel.com/ I bagel sono un vero must dell’American brunch: ciambelle di origine polacca cotte al forno, utilizzate come panini e farcite con ogni ben di Dio. Provate quelle di Baz Bagel, sulla Grand Street di New York: dolci, salate, e perfino farcite e cotte come una vera pizza. I piatti costano da 12 fino a un massimo di 26 dollari per il bagel “Best”, con salmone scozzese. 4. ABC – www.abchome.com/eat/abc-kitchen/ Se cercate un brunch gustoso ma sano, con prodotti selezionati e tante verdure e legumi, ABC è il posto che fa per voi. Questo locale di Manhattan, Diciottesima strada, propone un menu davvero elegante e curato, con molte scelte interessanti e qualche concessione alla gola (insuperabile l’omelette di spinaci e formaggio di capra). Una trentina di dollari di spesa. 5. Cherry Point – www.cherrypointnyc.com/ Questo locale di Broooklin offre una proposta di brunch davvero assortita, che va dai piatti classici alle creazioni più elaborate (come il misto di pesce “Admiral’s”). Ad accompagnare il brunch, poi, c’è anche una carta di cocktail e soft drink, perché una colazione accompagnata da un “Bloody Mary” non può che avere una marcia in più! Un piatto più un cocktail non vi costerà più di venticinque dollari.

Food photography, i trucchi e segreti per uno scatto perfetto Angelina Ti C’è chi la chiama confidenzialmente “food porn” e chi – più correttamente – parla di “food photography”: è la mania dilagante di fotografare e mostrare al mondo intero tramite i social media quello che si sta mangiando o cucinando in un determinato momento. Navigando per il web è inevitabile imbattersi in bellissimi scatti di cibo, immagini che solo a guardarle mettono una fame da lupi. In realtà non si tratta solo di un trend estetico, ma in molti casi le foto postate sui social network costituiscono una componente molto importante delle professioni legate al mondo del food. Clienti e lettori vengono infatti attratti dalle belle foto di piatti o di alimenti, che hanno spesso lo scopo di invogliare ad acquistare un determinato prodotto o riproporre una determinata ricetta. Fotografare il cibo è un fenomeno in continua crescita, basti pensare che l’hashtag “food” su Instagram conta quasi 185 milioni di tag. Ogni giorno vengono pubblicate migliaia di foto di cibo, e molte di esse vengono scattate da gente comune, che nella maggior parte dei casi non possiede nemmeno una macchina fotografica. Per realizzare questo tipo di scatti, infatti, lo strumento più diffuso è ormai universalmente lo smartphone, che ha l’indubbio pregio di essere immediatamente collegabile ai social media, per una condivisione e uno scambio istantaneo. Grazie alle potenzialità della tecnologia, oggi non occorre neanche essere dei grandi esperti di fotografia per scattare belle foto. Non a caso

moltissimi blog indipendenti di cucina, gestiti da semplici appassionati, riescono a pubblicare scatti molto belli anche senza avvalersi di fotografi professionisti.


Foto: Agnese Gambini


Foto: Monica Giustina



12 - iFoodStyle L’utilizzo dei filtri, che tutti gli smartphone di ultima generazione possiedono, permette di ritoccare immediatamente le foto realizzate per ottenere un risultato migliore, anche se il trend che sempre più persone stanno seguendo al momento è quello del “cibo realistico”: scatti poco ritoccati e il più naturali possibile, per rimanere fedeli all’oggetto iniziale che si è fotografato ed offrire una visione reale del prodotto. Se si usa il telefono cellulare, esistono sul mercato innumerevoli app che permettono di modificare le foto e renderle assolutamente appetitose. Una delle più famose e utilizzate è Vsco. Con questa app, modificando qualche parametro e aggiungendo uno degli innumerevoli filtri, la più banale delle foto riesce a essere trasformata in uno scatto totalmente diverso e decisamente migliore. In linea generale, se davvero si vogliono scattare foto professionali o semi-professionali si devono seguire poche, e semplici, regole. Attrezzatura Se è vero, come accennato prima, che anche con il cellulare si riescono a ottenere foto dignitose, per scattare immagini di qualità bisogna necessariamente usare macchine fotografiche reflex e obiettivi appositi. Non si devono spendere per forza cifre esorbitanti, infatti anche una reflex e un obiettivo basico vi permettono di scattare foto già di discreta qualità. Luce Una buona luce è l’anima di un’immagine. Sia che si scatti con una reflex o con un cellulare, una luce naturale o artificiale, magari un po’ soffusa, è la componente essenziale per scattare una bella foto. Ovviamente ci sono delle variabili di cui tener conto per il risultato finale che vogliamo ottenere: se si vogliono produrre foto “high-key” (più chiare) si dovrà scattare con molta luce e i tempi di esposizione andranno regolati di conseguenza (l’uso del cavalletto è quasi essenziale, in questo caso); invece per foto “low-key” (più scure), che ne richiederanno in quantità inferiore, basterà una luce minore o differente. Composizione Che si scatti da cellulare oppure no, si seguono dettami abbastanza simili sulla composizione della fotografia, come la “regola aurea” o la “regola dei terzi”. Queste regole permettono alla fotografia finale di avere una composizione armoniosa per l’occhio di chi la osserverà.

Set Il piatto fotografato da solo a volte più bastare, ma per moltissime foto il lavoro per creare il set giusto può superare anche il tempo di preparazione della ricetta stessa. Sfondi, props, ingredienti, fiori, foglie, posate, tovaglioli e quant’altro servono a rendere la foto più attraente e per creare la giusta atmosfera File raw Raw in inglese significa “grezzo, non elaborato”. I file raw hanno preso il posto del vecchio rullino fotografico: se prima il rullino andava portato dal fotografo per essere sviluppato, ora il suo successore digitale, il raw, va sviluppato con appositi software, come “Camera Raw” o “Lightroom”. Questo formato permette di non perdere nessun dato della foto e di non sottoporla ad alcuna compressione: quest’ultima causa infatti la perdita di dati importanti a favore di una minor grandezza del file che si va a creare, e inibirebbe anche la successiva post produzione. Per i principianti, scattate in raw+JPG perché quest’ultimo può essere usato come prima guida per lo sviluppo del file raw. Quando il file raw viene modificato a seconda dei propri desideri, lo si può poi salvare in diversi formati, e sarà a quel punto compresso. Trucchi Spesso e volentieri durante gli shooting pubblicitari professionali vengono usati prodotti non necessariamente commestibili, proprio per rendere più “appetibile” lo scatto finale: olio da motore usato al posto di salse, schiuma da barba invece della panna, colla liquida come finto latte e così via.


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Foto: Laura Perri e Sara Cimica


Foto: Lina d’Ambrosio


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Consumo di frutta e verdura in Italia e nel Mondo Margherita Romagnoli Cinque porzioni e cinque colori (5 a day). Queste le due regole fondamentali per una corretta e sana alimentazione, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per la quale un giusto consumo di frutta e verdura cambierebbe completamente il panorama delle malattie cardiovascolari nel mondo. I ricercatori stimano che il consumo giornaliero ideale dovrebbe essere di 600 grammi di frutta e verdura al giorno, di cui 400 grammi rappresenta il minimo. In questo modo si riuscirebbe ad evitare circa 135 mila decessi, un terzo delle malattie coronariche e l’11% degli ictus. Fare un panorama del consumo di frutta e verdura nel mondo non è cosa semplice: molti sono difatti i fattori che influiscono nella dieta di persone, famiglie e interi Paesi, partendo dalle condizioni socio-economiche per arrivare a quelle culturali e climatiche. In molti Paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo, non esistono i dati necessari ai fini di una ricerca in merito al consumo di frutta e verdura. In generale, differenze significative di consumo insufficiente di frutta e verdura vengono riscontrate tra uomini e donne, e una prevalenza di basso consumo di frutta e verdura tende ad aumentare con l’età e con un reddito economico basso, o addirittura con uno scarso livello di educazione. Per quanto riguarda l’Europa, secondo un recente studio dell’Eufic (Consiglio Europeo dell’Informazione sul Cibo), la gran parte dei suoi cittadini è convinta di seguire una dieta sana e di mangiare frutta e verdura a sufficienza, ma i dati emersi dimostrano però una realtà diversa: la media europea di consumo di frutta e verdura è di soli 386 grammi al giorno, di cui 220 grammi di verdura (compresi legumi e frutta secca) e 166 grammi di frutta. In media, quindi, il cittadino europeo consuma al giorno una quantità al di sotto di quella consigliata dall’Oms. Com’è facilmente deducibile, vi sono notevoli differenze tra i Paesi, soprattutto tra quelli del Nord e quelli del Sud dell’Europa. I paesi scandinavi sono quelli con il consumo minore, mentre in quelli mediterranei la frutta e la verdura sono ospiti fissi in tavola. Per darvi due esempi significativi, in Islanda e Finlandia il consumo medio di verdure è inferiore ai 200 grammi a persona al giorno, mentre in Grecia raggiunge i 750 grammi; fra le cause principali di questo scostamento, costo elevato, scarsa istruzione e mancato esempio nelle famiglie. Per quanto riguarda il consumo di frutta e verdura in Italia, la situazione è complessivamente molto buona, ma non ancora “ideale”. I dati ci dicono che l’Italia, con un consumo medio di frutta e verdura di circa 452 gr, si colloca al quarto posto in Europa, preceduta dalla Polonia e seguita da Germania e Austria. Entrando un po’ più nello specifico dei dati che riguardano l’Italia, possiamo dire che circa 5 adulti su 10 consumano non più di 2 porzioni al giorno di frutta o verdura, meno di 4 su 10 ne consumano 3-4 porzioni, mentre solo 1 su 10 ne consuma la quantità raccomandata dalle linee guida per una corretta alimentazione, ovvero cinque porzioni al giorno. Nonostante il consumo di frutta e verdura sia ancora poco al di sotto della media di consumo raccomandata dall’Organizzazione mondiale della sanità, l’acquisto di frutta e verdura è diventata la prima voce del budget alimentare delle famiglie, sorpassando quello della carne, che storicamente è sempre stata al primo posto. Alla luce di questi ottimi risultati nasce la manifestazione Fruit&Veg Innovation, promossa e organizzata da TUTTOFOOD, in programma dall’8 all’11 maggio 2017. La manifestazione, oltre a voler stimolare ancor di più il consumo di frutta e verdura e quindi uno stile di vita più sano, cerca di cogliere le opportunità di crescita dell’intero settore ortofrutticolo, italiano ed estero. Fruit&Veg Innovation non è concepita in modo convenzionale come la classica fiera di settore, bensì come un luogo di relazione ed esperienza in cui i prodotti ortofrutticoli incontrano le ultime e più attuali tendenze nel settore food&beverage, e come occasione di educazione alimentare, in perfetta sintonia coi nuovi stili di vita nell’ambito del consumo domestico e in quello fuoricasa. All’interno della manifestazione è prevista, infatti, una serie di convegni e corsi, con l’intervento di nutrizionisti e dietisti in collaborazione con società medico-scientifiche.


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Ristoranti: quelli più curiosi e le tendenze 2017 Angelina Ti Essere innovativi in cucina e offrire spunti sempre nuovi sono ormai fattori con i quali i proprietari di ristoranti in generale, dall’osteria allo stellato, hanno a che fare praticamente tutti i giorni. Invogliare un cliente a provare un ristorante piuttosto che un altro è una sfida continua per i proprietari di queste attività, che cercano i modi più interessanti e curiosi per attirare clientela. Una delle tendenze che sembra spopolare in questo momento è quella di offrire ai commensali una cena quasi da ristorante stellato, corredata però da uno spettacolo vero e proprio. È il caso del Circus, un ristorante di Londra, zona Covent Garden, che mette a disposizione dei suoi clienti un certo numero di tavoli a lato di una vera e propria passerella, dove artisti circensi intrattengono gli ospiti per tutto il tempo della cena. Atmosfera da circo anche per il ristorante Drifter di Chicago, dove i cocktail vengono preparati a seconda dei tarocchi pescati da un mazzo di carte. Il cliente è così sempre coinvolto in tutte le fasi del suo ordine. Un altro tipo di intrattenimento offerto dai ristoranti per attirare clienti è il backyard cinema, dove vengono solitamente proiettati film che hanno fatto la storia come Star Wars, Grease, La febbre del sabato sera e molti altri. I ristoranti in questo caso hanno pensato in modo intelligente di combinare la cena con il “dopo cena”, offrendo uno dei servizi più quotati come intrattenimento post prandiale, il cinema appunto, uniformandolo direttamente all’interno dei ristoranti stessi. In questi posti si possono gustare i piatti del ristorante e poi, spostandosi di pochi metri, è possibile entrare in una delle carinissime sale, spesso piccole ed accoglienti, per gustarsi il proprio film preferito tra pochi intimi. Dopo le ormai famose “cene con delitto”, una delle idee piü carine l’ha avuta il ristorante cocktail bar londinese Evans and Peel detective agency, una vera e propria agenzia investigativa “di copertura” che nasconde al piano interrato uno splendido ristorante in stile anni ‘50. Per entrarvi, i clienti dovranno suonare il campanello della porta di un ufficio situata lungo una stradina piccola e buia, e dopo che una signorina con fare sospettoso aprirà, gli avventori saranno condotti nel piano interrato, dove verranno interrogati da due finti investigatori che, una volta risolto il “mistero”, gli consentiranno di passare nel ristorante vero e proprio per poter cenare. Geniale! Ad Amsterdam, invece, hanno pensato di coinvolgere i più piccoli nella gestione di un ristorante vero e proprio, il Kinderkookkafe, un luogo che affida la preparazione dei piatti ai bambini (ovviamente con l’aiuto degli adulti). I bimbi sono la vera “forza lavoro” del posto e si occupano proprio di tutto: dall’apparecchiare i tavoli alla cucina, dal decidere il menu al servire i commensali. Il ristorante è stato aperto di fianco ad una scuola per bimbi, quindi i clienti sono principalmente genitori e bambini.

Foto: Cristina Panizzuti



Foto: Francesca Palmieri


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Le nuove abitudini alimentari degli italiani Francesca Bettoni Tra politeismo alimentare, salutismo e fast food Le regole sono fatte per essere trasgredite, almeno una volta ogni tanto. Come reso noto dal Censis nel primo rapporto sulle abitudini alimentari degli italiani, oltre il 20% degli acquirenti abituali di prodotti equo-solidali e di frutta e verdura da agricoltura biologica si reca regolarmente presso i fast food per consumare un pasto più goloso e meno rigido rispetto alla dieta che segue regolarmente a casa. È proprio per questo motivo che si parla di politeismo alimentare, ovvero di una dottrina alimentare che spinge le persone a contaminare stili e ingredienti, mangiando un po’ di tutto senza porsi rigidi limiti sui luoghi di acquisto o sulle origini culturali o etiche dei prodotti. Niente regimi alimentari da rispettare con rigore, nessuna definizione rigida che definisca chi siamo o cosa mangiamo: il consumatore moderno ha imparato a uscire dagli schemi preimpostati e a costruire la propria dieta in maniera personale e indipendente. Una sola regola su tutte: cercare di portare avanti consumi consapevoli, prestando maggiore attenzione a quel che si sta mettendo nel piatto. Il consumatore del nuovo millennio è dunque un consumatore responsabile e attento: legge le etichette, si informa sui metodi di produzione e ha a cuore le materie prime del proprio territorio, conosciute e rassicuranti. Più verdure, meno carne Nel 2015, secondo i dati forniti dalla Coldiretti, la carne cede per la prima volta il suo primato ai prodotti ortofrutticoli, con una spesa delle famiglie italiane che scende a 97 euro al mese (-13% in 6 anni), rappresentando una rivoluzione epocale per quanto riguarda le abitudini alimentari nazionali. In parte, questa diminuzione dei consumi della carne è certamente frutto della crisi economica contemporanea. Ma esiste anche una componente legata alle nuove tendenze alimentari: è ormai largamente diffusa la convinzione che non sia corretto mangiare carne tutti i giorni (al contrario di quel che si diceva una manciata di anni fa), senza contare che i dati indicano che una fetta crescente della popolazione si dichiara vegetariana. Gli italiani ricercano inoltre prodotti naturali, biologici e privi di sostanze ritenute poco compatibili con uno stile di vita sano, e quindi si indirizzano verso prodotti privi di colesterolo, senza coloranti artificiali, senza glutine (anche se non si è intolleranti), senza zucchero raffinato e persino senza caffeina. Un’attenzione notevole all’alimentazione, quindi, che sarebbe anche maggiore se non comportasse uno sforzo economico per molti importante: un quarto degli intervistati, secondo quanto riporta lo studio del Censis, mangerebbe più frutta e più verdura se costassero un po’ meno. Eppure abbiamo detto di come i regimi alimentari siano oggi sempre meno rigorosi: ecco allora che a fronte di questa diffusa attenzione all’alimentazione compare una tendenza alla trasgressione dalla dieta quotidiana nel cibo di strada, nei fast food o nei ristoranti. Mangiare fuori casa non è quindi solo dettato dalle necessità legate al proprio lavoro, o dall’interesse a scoprire pietanze nuove e tradizioni diverse, oppure dalla voglia di condividere una serata fuori in amicizia: cenare fuori significa anche scegliere di mangiare per appagamento, per desiderio o per piacere puro, accantonando momentaneamente le scelte più legate alla salute. Interessante notare infatti che quasi due italiani su tre (ovvero il 65%) hanno consumato cibo di strada nei primi otto mesi del 2016. Più green e più etnico, più nutriente Qual è dunque, in definitiva, il profilo del consumatore alimentare italiano? Secondo il Rapporto Coop 2015, gli Italiani sono i più magri d’Europa, i più veg (il 10% è vegetariano ed il 2% vegano), mangiano biologico (+20% in un anno), etnico, light e senza glutine. Gli italiani dell’ultimo decennio sono quindi più attenti al valore nutrizionale, alla qualità dei prodotti e all’impatto eco-sociale dell’industria alimentare. Amano le verdure del produttore locale, ma acquistano per il 70% nei Gdo. Ricercano sicurezza e genuinità negli ingredienti, non rinuncerebbero mai a pasta e pane, ma come sempre, da buona tradizione, amano la convivialità (ai pasti fuori casa va circa un terzo della spesa alimentare complessiva) e non rifiutano un peccato di gola, soprattutto se lontano dalle mura domestiche.


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I vini italiani più apprezzati all’estero Margherita Romagnoli Gli esperti di vino, così come i suoi grandi estimatori, sostengono che la potenzialità della produzione vinicola si basa sulla sua stessa diversità. Uve differenti rendono vini differenti, ma, come i produttori vitivinicoli ben sanno, perfino le stesse uve coltivate a poche centinaia di metri di distanza producono risultati incredibilmente diversi. Il clima, l’esposizione al sole o ad altri agenti atmosferici, la qualità del suolo sono tutti elementi che influenzano molto la crescita delle viti e di conseguenza anche i vini che ne verranno prodotti, prima ancora della lavorazione dell’uva. È dunque anche la grande varietà, insieme alla qualità, a fare del vino italiano una vera e propria eccellenza riconosciuta e amata in tutto il mondo. Un’eccellenza che, secondo i dati sull’export vinicolo del 2015, regala all’Italia il primo posto fra i Paesi esportatori di vino al mondo. Rispetto ai “rivali” francesi, l’Italia esporta circa il 41% in più di vino, ma la Francia batte l’Italia sul fronte del valore del vino esportato, circa il 54% in più. Il divario netto è calcolato sul prezzo medio del vino: il vino francese è venduto a una media di 5,84 euro al litro, mentre quello italiano a soli 2,67 euro al litro. Nonostante l’evidente differenza tra Francia e Italia, questi dati sono comunque molto confortanti se paragonati per esempio a quelli del 2006, quando il valore del vino francese esportato era in sostanza il doppio di quello italiano (+96%). Secondo un’indagine di Mediobanca, il 2015 è stato l’anno con il trend di crescita più basso dal 2010, ma nonostante questo le vendite estere del vino sono comunque cresciute del 6,5% rispetto al 2014, contro il -2,6% dell’industria manifatturiera e il -0,8% di quella alimentare. Questo significa che il comparto vitivinicolo italiano, nonostante le inflessioni fisiologiche di un mercato globalmente in crisi in più di un settore, continua ad essere considerato una forte eccellenza del nostro Paese. Gli Stati Uniti, ancora una volta, si confermano i maggiori acquirenti di vino italiano (34% dell’export), seguiti da Inghilterra, Germania, Canada e Giappone. Il dato più significativo arriva però dal Sud America, dove nonostante le esportazioni di vino italiano rappresentino solo l’1,5% del totale, si rileva una crescita del 18,3%. Un mercato che quindi mostra delle interessanti potenzialità di sviluppo future, se questo trend verrà confermato nei mesi a venire. Come sempre, in testa alla classifica dei vini italiani più venduti ci sono i vini piemontesi e quelli toscani. Il podio fra i vini italiani più ricercati all’estero lo conquista il Barolo, seguito da Barbaresco, Chianti, Brunello di Montalcino e Amarone. Particolarmente apprezzato risulta essere anche il Pinot Grigio, in particolare negli Stati Uniti, a cui è riservata gran parte della sua produzione. La notizia che pero più sorprende è quella dello strabiliante successo del Prosecco, le cui vendite in Inghilterra hanno addirittura superato quelle dello Champagne. In un anno le vendite del Prosecco hanno infatti avuto un incremento del 72%, aggiudicandosi il primato di vino spumante più consumato al mondo. Una piccola, significativa vittoria delle bollicine italiane su quelle francesi, per un mercato che, nel complesso, anche quest’anno non manca di dare soddisfazioni.


Foto: Caterina Zellioli


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Snack: dolci o salati? Federica Giuliani Alimenti sempre più manipolati e problemi di salute in costante evoluzione sono il campanello d’allarme che dovrebbe far risvegliare il desiderio di una vita più sana. Ortaggi bio a chilometri zero, carni provenienti da allevamenti controllati e pesci non di allevamento sono la base del consumo consapevole e naturale, ma cosa succede nel campo degli snack che, volenti o nolenti, tutti consumiamo? Innanzitutto, è bene chiarire che l’abitudine dello spuntino ogni tre ore è una buona regola anche quando non si è a dieta. Gli specialisti assicurano che mangiare qualcosa ogni tre ore sia utile a contenere la fame, ma è fondamentale che lo snack sia sano, poco importa se dolce o salato. Come deve essere, quindi, lo spezza-fame? Genuinità è la parola d’ordine: in teoria sono da evitare grassi e proteine, più difficili da digerire, a favore dei carboidrati, che si trasformano subito in energia. Ma scegliere non è così semplice. Fondamentale è che ogni spuntino (per un massimo di due al giorno) non superi le 200 calorie (che rappresentano il 10% del fabbisogno giornaliero). Da evitare i prodotti confezionati a favore di quelli genuini, che magari ricordano quelli mangiati a casa della nonna: pane e marmellata, plumcake, yogurt naturale, ma anche frutta secca. Chi, invece, predilige i sapori salati, può scegliere una bruschetta con il pomodoro o del parmigiano a cubetti. Dolce o salato, però, non possono essere scelti solo in base ai gusti personali, ma soprattutto secondo le necessità di salute. Il sale alza la pressione e favorisce la ritenzione idrica; il dolce invece stimola la resistenza insulinica e influisce sui parametri relativi alla cosiddetta “sindrome metabolica”, oggi piuttosto diffusa. In generale, però, uno studio effettuato dal dipartimento di pediatria del Baylor College of Medicine di Houston ha evidenziato come gli snack salati siano da preferire a quelli dolci per il miglior bilanciamento tra grassi, proteine e carboidrati. Un cracker, ad esempio, contiene generalmente meno zucchero di una fetta di torta o di un biscotto, ma ha più grassi (buoni e cattivi) e una piccola parte di proteine in più: tutti nutrienti amici dell’ormone glucagone, antagonista dell’insulina, che viene secreto tra un pasto e l’altro. Però una fetta di torta è meglio di una caramella o dello zucchero nel caffè. Insomma: sono da prediligere gli snack salati

ben bilanciati, che garantiscano a lungo il senso di soddisfazione. Capito che dobbiamo nutrirci in maniera più sana, evitando tutto ciò che affatica la digestione e peggiora lo stato di salute, cosa offre il mercato per aiutarci? Le tendenze degli ultimi mesi, anche se con termini poco comprensibili, parlano chiaro: snackification, superfood, feed me e free from. Quello della snackification è forse il trend più votato a durare nel tempo. A causa dei ritmi frenetici a cui tutti siamo sottoposti, si è evidenziata la necessità di porzionare gli alimenti in modo da creare una maggiore scelta durante l’arco della giornata. Quindi per la pausa pranzo non si porta più una ricca insalatona, ma tanti contenitori che racchiudono gli ingredienti separati, pronti per essere consumati durante le ore lavorative: carote, pomodori, foglie verdi, e anche formaggio a cubetti e crostini. Secondo questo principio, qualsiasi cibo può diventare uno snack pronto all’uso. In natura ci sono cibi in grado di aiutare l’uomo a vivere meglio che, se correttamente integrati nella dieta, si rivelano utili al benessere del corpo. Questi alimenti sono noti come superfood: sono talmente ricchi di proprietà benefiche da essere definiti super alimenti. In generale si tratta di spezie, frutta, semi e bacche in grado di contrastare l’invecchiamento cellulare, prevenire malattie cardiovascolari e condizionare la pressione arteriosa. Qualche esempio? I mirtilli sono ricchi di flavonoidi, le bacche di goji contengono antiossidanti, il cacao riduce i rischio di malattie cardiache. E tutti sono ottimi snack! La crescita della popolazione mondiale richiederà presto un serio cambiamento nell’approccio al cibo, sia per quanto riguarda le tecniche di produzione, che per la riduzione degli sprechi. Questo necessariamente porterà sulle tavole anche nuove proteine e nuovi ingredienti come gli insetti, che nel sudest asiatico vengono comunemente offerti sulle bancarelle di molti mercati. Ma saremo davvero disposti a cambiare così tanto le nostre abitudini in nome del feed me? Il nutrimento per tutti potrà davvero passare solo attraverso gli insetti? Potrà dircelo solo il tempo.


Foto: Margherita Romagnoli

Infine, continua la crescita inarrestabile dei prodotti free from, ovvero quelli che non contengono glutine, lattosio o altri elementi allergizzanti. Bisogna ricordare, però, che non è salutare assumerli a meno che non si soffra davvero di qualche patologia: il glutine non è necessariamente dannoso. Nel prossimo futuro, i consumatori cercheranno sempre più conforto nei prodotti dai sapori tradizionali, con qualche rivisitazione in chiave moderna. Il passato sarà fonte affidabile di ispirazione e le ricette della nonna un esempio da seguire. Le diete semplici e naturali alimenteranno le tendenze vegetariane

e vegane, dando sempre più potere alle piante come ingredienti chiave. Infine, la frutta secca sarà ancora parte integrante della dieta degli italiani. Lo rivela un’indagine condotta da Mintel, concentrata sui prodotti vegetali: pare che sia dovuto anche alla crescita dei consumatori vegani, aumentati del 360% nell’ultimo decennio. E rifacendosi al passato, resta sempre ottimo il pensiero di Ippocrate, che diceva: “Fa’ che il cibo sia la tua medicina, e che la medicina sia il tuo cibo”.


Foto: Monica Giustina


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Lo street food diventa gourmet

La rivisitazione di piatti popolari da parte di chef stellati Marzia Balza Tranci di pizza, arancini e piadine: piacciono proprio tutti, e i motivi sono ovvi. Lo street food, cibo di strada, è pratico sia per chi lo cucina che per chi lo mangia, è economico e semplicemente delizioso. Lo dice anche un sondaggio della Coldiretti: nel 2016 quasi il 65% degli italiani ha consumato cibo di strada, e anche i turisti ne rimangono affascinati. Diventato quasi una vera e propria moda, lo street food vanta svariati festival organizzati in diverse città, nonché luoghi, o addirittura veicoli, che ormai sono diventati cult. Non mancano guide a lui dedicate – quella del Gambero Rosso, ad esempio – ed app come streeteat, per nominarne una. Ogni regione ha la sua specialità, e proprio così si riscoprono prodotti tipici e usanze con cui chef stellati e non si mettono alla prova per crearne una versione gourmet che non si limita all’Italia ma guarda anche oltre confine, proponendo spesso creazioni fusion. Un esempio lampante ne è APE ROMEO, la versione su ruote del ristorante Romeo Chef&Baker di Fabio Spada e Cristina Bowerman, che vanta una stella Michelin. L’APE ROMEO, nelle sue due varianti – Ape Romeo Brown e Ape Romeo White – porta in giro per Roma panini rigorosamente gourmet, preparati con ingredienti di altissima qualità come pizza bianca con mortadella al tartufo, ciabattina con coppa di testa al Morellino di Scansano oppure bottoncini al pastrami di lingua, ciauscolo, senape, cipolle marinate e germogli. Nell’avventura dei food truck si è lanciato anche lo chef Felice Lo Basso con il suo Rolling Star, un vecchio Citroen H rimesso a nuovo e trasformato per la sua nuova vita di portatore di cibo. I palati dei suoi clienti vengono deliziati con pulled pork, fish gazpacho, insalate vegetariane e vegane, smoothies e crêpes salate. Anche lo chef Oldani, in occasione dell’Expo di Milano, non si è lasciato sfuggire l’opportunità di avere un chiosco tutto suo per proporre un menu pop basato su piatti tipici rivisitati: il risotto alla milanese, ad esempio, è stato servito con un’infusione di zafferano e una base di riso bianco cotto con acqua, per renderlo più leggero. Le altre creazioni dello chef in versione cibo di strada sono state riso con briciole di panettone e gelato di riso e zafferano. Comunque, la scena street food di chef non stellati non si lascia intimorire, e punta tutto su combinazioni interessanti e sulla qualità degli ingredienti. EL CAMINANTE, a Milano, propone le arepas, dei panini tipici venezuelani preparati con farina di mais, in versione rigorosamente gourmet. Lo chef Mattia Chiesa prepara panini fusion combinando elementi italiani e venezuelani e puntando su ingredienti di alta qualità per creare combinazioni fresche, sane e a un ottimo prezzo. L’arepa “Nuoro”, ad esempio, è ripiena di elementi tipici sardi come la spalla di agnello cotta, il pecorino sardo e il mirto, mentre “Caracas” rispecchia la ricetta tipica venezuelana con pollo, avocado e limone. DON PIZZA FRITTA, a Roma, propone invece lo street food tipicamente napoletano, realizzato con un’antica ricetta di famiglia che prevede una lievitazione tra le 12 e le 24 ore. Il ripieno classico è fatto di ricotta fresca, cicoli e una spolverata di pepe, anche se esistono numerose combinazioni alternative con “friarielli”, provola, pomodoro e basilico, scarola e olive, funghi, salsicce. Gli ingredienti utilizzati da DON sono tutti DOP, con materie prime d’eccellenza.


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Tutto Seafood Vatinee Suvimol Se si dice “sano come un pesce”, un motivo ci sarà sicuramente. La saggezza popolare, infatti, non mente mai: il pesce è davvero un alimento sano, in grado di fornire al nostro organismo una grande quantità di sostanze benefiche e importanti. Per questo, secondo gli esperti della nutrizione, il pesce dovrebbe essere consumato almeno 2-3 volte alla settimana. Infatti si tratta di un alimento ricco di sostanze componenti fondamentali per il nostro organismo, come il fosforo, le vitamine e gli acidi grassi essenziali, in grado di ridurre i livelli di trigliceridi. Non a caso, secondo una recente ricerca, se tutti mangiassero pesce almeno due volte alla settimana il numero di infarti si ridurrebbe addirittura del 25%. Mangiare pesce, dunque, fa bene alla salute. Non solo per l’apporto di fonti proteiche o di vitamine, ma anche perché contiene l’EPA e il DHA, acidi grassi a catena lunga che servono per lo sviluppo neurologico (per questo motivo il pesce è consigliato alle donne in gravidanza, a quelle in allattamento e nella prima infanzia). Alcuni pesci (ad esempio il cosiddetto “pesce azzurro”, o i pesci che vivono in acque fredde, come trote e salmoni), sono inoltre ricchi di grassi insaturi Omega 3, che hanno il potere di abbassare i trigliceridi rendendo il sangue più fluido e riducendo così il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari e aritmie. I grassi insaturi Omega 3 – che il nostro organismo non è in grado di sintetizzare autonomamente e che quindi è necessario assumere attraverso gli alimenti – migliorano l’attività cerebrale, la mobilità delle articolazioni e il sistema immunitario. Per questo motivo viene raccomandato il consumo di pesce anche agli anziani: secondo una ricerca condotta presso il Rush University Medical Center e l’Università di Wageningen in Olanda, mangiare prodotti ittici almeno una volta a settimana in quella fascia d’età rallenta il declino cognitivo e della velocità di ragionamento. Mercurio: meglio i pesci piccoli Appurato che mangiare pesce fa bene, quali sono i consigli per un corretto consumo? Sussiste ancora, ad esempio, il rischio legato al mercurio? Secondo gli esperti il problema del mercurio è sempre presente, ma è arginabile con qualche accortezza. Le contaminazioni, infatti, riguardano per lo più i pesci di grossa taglia, ovvero i predatori che vivono in mare e si nutrono di altri pesci: sono loro che tendono ad accumulare molto più mercurio nei tessuti di quanto facciano le loro prede. Si consiglia quindi, per limitare i rischi, di prediligere pesci di piccole dimensioni, possibilmente non carnivori. Tutti gli studiosi, infatti, sono concordi nell’affermare che è bene consumare al massimo una porzione a settimana di pesci predatori (come palombo, squalo, marlin, verdesca, luccio) e alternare il loro consumo con specie più sicure, quali sardine, sogliole, salmone, orate, branzini, trote e crostacei. Pesce di mare o pesce di allevamento? Secondo alcuni andrebbero prediletti i pesci di allevamento, perché considerati più sicuri di quelli pescati nei mari, dove le concentrazioni di mercurio e di altri agenti inquinanti sono superiori. Secondo altri, invece, anche gli allevamenti producono un inquinamento che poi si ripercuote su tutto l’ecosistema ittico. In realtà, oggi esistono i c.d. codici zona FAO, cioè dei codici volti ad individuare le specifiche zone di provenienza del pesce che stiamo comprando, così da avere garanzie sull’ambiente degli allevamenti da una parte, e dall’altra sulla sostenibilità della fauna (ed evitare l’estinzione di specie marine). Per avere maggiori informazioni sul pesce, dunque, è importante, controllare il codice e l’allevamento di provenienza. Conoscere la filiera, infatti, è il miglior modo per avere certezze sulla qualità dei prodotti ittici che compriamo, e sempre più aziende e pescherie vengono incontro a questa esigenza di trasparenza del consumatore, mettendo in atto procedure ed etichettature volte a garantire provenienza e tracciabilità. La tracciabilità è effettivamente il principale strumento di garanzia e, al contempo, espressione di trasparenza nei confronti del consumatore, sempre più attento alla qualità dei prodotti che porta a tavola. In conclusione, per poter beneficiare di tutte le proprietà positive del pesce, senza rischi di contaminazioni da agenti inquinanti, è sufficiente fare un po’ di attenzione al momento dell’acquisto e seguire qualche semplice indicazione: • consumare pesce almeno due volte la settimana; • limitare il consumo di pesci di grossa taglia; • evitare il consumo di specie in estinzione; • prediligere, ove possibile, pesce di provenienza certa.


Foto: Vatinee Suvimol


Foto: Monica Giustina


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Cibi surgelati sì o no? Sonia La Rosa Se tutti i nostri frigoriferi hanno un congelatore è perché tutti noi (ebbene sì, anche i più salutisti) utilizziamo più o meno spesso i cibi surgelati. Una tendenza che conferma come dagli anni Settanta in poi, ma specialmente dagli anni Novanta ad oggi, con la maggiore diffusione della grande distribuzione, la spesa alimentare sia notevolmente cambiata. Single, donne lavoratrici, anziani, e anche casalinghe, fanno larghissimo uso degli alimenti surgelati. Indubbiamente questo tipo di prodotto presenta diversi vantaggi per il consumatore: è pratico e permette di creare delle scorte alimentari, evitando così di recarsi a fare la spesa quasi quotidianamente; consente di evitare gli sprechi che inevitabilmente un cibo fresco, se non consumato in tempi brevi, agevola; infine permette il consumo di cibi (o preparazioni) non di facile accessibilità sia per stagionalità che per dislocazione geografica (pensiamo, ad esempio, alla frutta e verdura fuori stagione o ai cibi etnici, che negli ultimi anni si sono imposti come un vero must nel mercato dei surgelati). Un business in continua crescita, quello dei surgelati, con dati che non mostrano alcun accenno di inflessione negativa nel mercato degli ultimi dieci anni, e che anzi mettono in evidenza una tendenza al progresso, nonostante l’alimentazione sana e locale viva un momento di grande popolarità. Un mercato che vale complessivamente oltre 35 miliardi di euro di fatturato, divisi tra consumo privato e quello legato al settore della ristorazione. Considerando la distribuzione geografica, Europa e Nord America sono certamente i mercati dove il consumo dei surgelati, negli ultimi dieci anni, ha avuto il maggiore sviluppo, mentre è la regione Asia-Pacifico quella dove si prevede di far registrare la crescita più rapida nei prossimi anni. Solo in Italia, il valore di mercato è intorno ai 4,5 miliardi di euro. La facile reperibilità, i prezzi più convenienti, la sicurezza maggiore nella conservazione e nella genuinità dei prodotti ha infatti portato il 69,9% degli italiani a consumare regolarmente cibi surgelati. Anche perché, è bene ricordarlo, il prodotto surgelato non è necessariamente sintomo di qualità inferiore. Il surgelamento è un processo che consiste nell’abbattere la temperatura molto velocemente al valore di -80°, per poi assestarsi non sopra i -18°. Questo procedimento fa si che si creino dei cristalli di ghiaccio molto piccoli che, una volta scongelati, non deteriorano il cibo, lasciandolo al contrario in perfetto stato di conservazione e mantenendo gran parte delle sue sostanze nutritive come proteine, vitamine e sali minerali. I cibi surgelati sono dunque molto sicuri, a patto di rispettare alcune accortezze, come la cosiddetta “catena del freddo”, che impedisce ad eventuali batteri di proliferare. Famiglie con due redditi, lavoratori in trasferta, single, anche anziani single, acquistano regolarmente (sia nella Gdo che con la formula della consegna porta a porta) cibi surgelati quali pasti pronti da scaldare, cibi semilavorati (ad esempio la pizza precotta da condire e infornare), verdure, gelati e pesce (al naturale o preparati a base di pesce), che garantiscono una grande velocità di preparazione e la sicurezza di avere qualcosa da mettere a tavola all’ultimo minuto in caso di ospiti inattesi o rientri tardivi dal lavoro. L’utilizzo di una cucina casalinga più pratica e veloce è indubbiamente il sintomo di un mondo in continua e frenetica evoluzione: oggi si passa meno tempo in cucina e si preferisce destinare più tempo ad attività di altra natura, come l’educazione dei figli, la cura della persona, il lavoro o la coltivazione di qualche hobby. Le ore impiegate nella preparazione dei due pasti principali della giornata e quelle destinate a fare la spesa giornaliera vengono decisamente dimezzate grazie ad una attenta pianificazione e alle scorte di cibi surgelati, che permettono altresì di variare notevolmente la tipologia di alimenti che è possibile consumare. La consapevolezza alimentare degli italiani relativamente al cibo che consumano (lettura delle etichette alimentari, apporto calorico, genuinità, sostenibilità) o la necessità di regimi alimentari o diete particolari (senza glutine, senza lattosio etc..) non intaccano l’acquisto dei cibi surgelati, al più stimolano la maggiore informazione sulla catena di produzione e l’impiego di prodotti di provenienza sicura e garantita. Siamo dunque di fronte a un mercato alimentare che certamente risponde alle esigenze di rapidità dei consumatori, fornendo loro sempre più prodotti facili da preparare. Questo, spesso, significa ricorrere al surgelamento. Oggi sono sempre di più le aziende che si specializzano nell’offrire prodotti di questa natura: dalla francese Picard allo storico marchio tedesco Bofrost, fondato già nel 1966, che alla praticità dell’alimentazione surgelata ha unito la comodità della consegna a domicilio.


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Le startup innovative del settore food&beverage Chiara Setti Startup e food sono due ambiti sempre piu interconnessi. Tra e-commerce, restaurant app, servizi di food delivery e piattaforme di social eating, il mercato del food-tech sta crescendo in misura esponenziale. Siamo sempre più tecnologici e sempre più esigenti, e se prima per acquistare frutta e verdura fresca e di stagione ci recavamo tutti i giorni al mercato, oggi basta un clic sul cellulare e una carta di credito per vederci recapitare a casa una bella cassa di frutta a km0 appena raccolta. Il consumatore di oggi predilige uno stile di vita green, zero sprechi e molta tecnologia, per dirla in poche parole. Orientate alla facilità di impiego ed alla sostenibilità ambientale, le startup del food&beverage sono solitamente frutto del lavoro di team di giovani ingegneri, esperti di nutrizione, marketing specialist, ma non solo, che hanno saputo coniugare le potenzialità delle moderne tecnologie con le esigenze dei consumatori. E l’Italia sembra essere un grande incubatore di startup. Nel 2016, infatti, nel nostro Paese si sono registrate circa 6.400 startup (fonte: Ministero dello Sviluppo Economico), con una crescita annua del +152%

rispetto al 2014. Una crescita possibile anche grazie alle piattaforme di crowdfunding che mobilitano persone e risorse dal basso, permettendo di raccogliere in poco tempo fondi che vanno poi a finanziare i progetti delle startup. Obiettivo delle startup nel settore del food è quello di promuovere il buon cibo e le realtà sociali, culinarie ed imprenditoriali locali, in un’ottica di Sharing Economy. La vita frenetica a cui oggi siamo abituati ci fa tralasciare tantissime cose. Tra queste c’è anche cucinare. Ed è forse questo uno dei motivi per cui alcune startup del settore stanno riscontrando grande successo. Home restaurant, social eating e food delivery sono tutti esempi di risposte ai bisogni dei consumatori, che sempre più spesso preferiscono ordinare cibo piuttosto che cucinarlo. Il cibo a domicilio sta praticamente spopolando in molte delle maggiori città d’Italia. Nel nostro Paese, infatti, secondo i dati più recenti, il food delivery ha un giro d’affari pari a 400 milioni di euro, e le startup nate nel settore lo confermano: Just Eat, Foodora, Moovenda, Foodinho, solo per citarne alcune.


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Che si tratti dunque di food delivery, social eating o e-commerce, oggi le startup del settore food&beverage sono tantissime e molto variegate. Le più originali? Eccole nel dettaglio: Oreegano È una piattaforma in grado di riconoscere all’istante tutti i valori nutrizionali di un piatto, permettendo agli utenti di scegliere tra tantissime ricette quelle più adatte alle diverse esigenze alimentari, vegane, vegetariane o onnivore che siano. Oreegano è una vera e propria community di amanti della cucina sana che ad oggi ha raggiunto i 20 mila utenti che, a loro volta, hanno condiviso oltre 4 mila ricette. Tra loro, chef stellati, food blogger ed importanti aziende di settore molto attente all’alimentazione sana, come Amadori e Noberasco, che in questo modo hanno la possibilità di suggerire ricette con i loro prodotti, oltre a trasmettere informazioni nutrizionali dettagliate. My Cooking box È una scatola contenente tutti gli ingredienti, nelle giuste dosi, per realizzare un ottimo piatto italiano a spreco zero. Gli ingredienti sono eccellenze alimentari regionali (DOP, IGP, STG), che valorizzano il gusto del prodotto ma anche la zona di provenienza: praticamente una scatola magica che ti fa cucinare come un vero chef. La startup ha concluso alla fine di novembre una campagna di equity crowdfunding, raccogliendo 200 mila euro e superando di gran lunga la richiesta iniziale di 60 mila. Tra i box, quelli per cucinare le busiate alla siciliana in grano biologico, o la polenta bergamasca con funghi porcini, o ancora i mezzi paccheri di Gragnano con la ventresca di tonno e il pomodoro sardo. Icestini.it È il primo servizio di consegna della cena davvero espresso: i piatti vengono infatti recapitati in stazione appena si scende dal treno. Una vera e propria piattaforma food per pendolari che, mentre sono sul treno, possono ordinare la loro cena e ritirarla direttamente in stazione prima di rientrare a casa. Il contenuto è chiaramente di alta qualità, e la cena così è assicurata anche per chi rientra tardi dal lavoro. Al momento il servizio è attivo solo in alcune stazioni nei pressi di Milano. Winelivery È un servizio di food delivery, in questo caso di consegna di vino, birra e distillati di qualità. Una sorta di enoteca 2.0, da divano, per evitare di trovarsi in casa e non avere una buona bottiglia di vino o di grappa da offrire agli ospiti. Quella

del vino è una nicchia molto redditizia nel nostro Paese, grazie alla forte tradizione che frutta quasi 2 miliardi di euro. Il vantaggio di Winelivery, rispetto ad altri player del settore, è la consegna in tempi brevi: 30 minuti senza costi aggiuntivi, e all’ottimale temperatura di consumo. Last minute sotto casa È un’app che permette ai negozianti di mettere in vendita la merce in scadenza, ma comunque in buono stato, agli iscritti, che vengono informati delle offerte via mail e che possono così acquistare a prezzi più convenienti prodotti che altrimenti rischierebbero di essere buttati. In questo modo si crea una vera e propria rete contro lo spreco, che valorizza l’elemento territoriale e fa nascere nuove relazioni tra attori operanti nella stessa zona.

I supermercati del futuro Sonia La Rosa Il 95% dei consumatori consapevoli fa ricerche sul web prima di perfezionare i propri acquisti. Il consumatore di oggi è informatizzato e informato, sa cosa vuole e sceglie consapevolmente. Tablet e smartphone offrono la possibilità di impadronirsi prima di informazioni utili su ogni aspetto del prodotto che si sta cercando, per poi perfezionare l’acquisto nel punto vendita, cosa che permette di toccare con mano ciò che si sta comprando. Come offrire ai consumatori la stessa esperienza a 360°, ma direttamente nel punto vendita? La Coop, tanto per citare un brand nostrano, si è posta la domanda nel 2009, quando di concerto con Microsoft, Cisco e il Mit ha deciso di accettare la sfida e di immaginare il supermercato 2.0. Il risultato di questo sodalizio, frutto di un investimento pari a circa 15 milioni di euro, è stato presentato all’Expo 2015 di Milano. Coop Italia ha aperto le porte di un supermercato di nuova concezione, del tutto diverso dal punto vendita a corsie a cui si è abituati. Un open space con un’offerta che comprende oltre 6.000 prodotti, dei quali è possibile conoscere ogni singolo dettaglio consultando dei pannelli digitali dotati di sensori e telecamere, che si attivano con il movimento della mano che afferra il prodotto e che affigge a display ogni singola informazione utile. Luogo di produzione, di raccolta, di allevamento, modo di impiego, valori nutrizionali, origine di ogni singolo ingrediente utilizzato, smaltimento dei rifiuti,


32 - iFoodStyle oltre naturalmente al prezzo, sono immediatamente fruibili per il consumatore: la stessa tecnologia che siamo abituati a usare nelle nostre auto o nei nostri tablet messa a disposizione di chiunque voglia acquistare anche solo una baguette. Negli ultimi anni si era già precisato il tipo di strada che avrebbe imboccato la GDO con l’uso di carrelli dotati di lettore a barre che permetteva di velocizzare il pagamento e snellire la fila alle casse, con le app gratuite che indicavano i vari reparti dove poter trovare ciò che si cercava, con gli “imbustatori automatici” della spesa, con le etichette digitali che non solo mostravano il prezzo e il prezzo scontato, ma anche quello proposto dalla concorrenza: il passaggio ad una digitalizzazione completa era cronaca annunciata. Chiaramente un punto vendita del genere è destinato a chi ha sia il tempo che la curiosità di godere di tutti i vantaggi offerti, ma se invece non li ha? Se invece la necessità, più che di informare, fosse di sveltire? Se la file alle casse, la noia del riporre la spesa nei sacchetti, la perdita di tempo data dal pagamento cash o con carta fossero i “bug” da rimuovere? A questo ci ha pensato Amazon con il suo Amazon Go, in stile” prendi e vai”. Largamente pubblicizzato e vanto della multinazionale, vedrà la luce nel 2017 con l’apertura di un primo punto vendita a Seattle. Una app gratuita da installare sul proprio smatphone e collegata ad un account Amazon permetterà di accedere al punto vendita; dopo aver attivato la app all’ingresso, sarà possibile prelevare ciò che si desidera acquistare e uscire senza fare fila alle casse né perdere tempo a pagare. Il pagamento verrà effettuato tramite il proprio account e poi verrà recapitata la ricevuta di acquisto. Facile, veloce e indolore. Anche se questa tipologia di punto vendita non dovesse prendere piede come previsto, di sicuro rivoluzionerà il modo di concepire il “fare la spesa”. Sarà una gara a chi offrirà il gadget più trendy o l’esperienza sensoriale più accattivante, e tutto a beneficio dell’utente finale. Già alla Coop è possibile richiedere l’intervento di un elettricista o di un idraulico tra un giro e l’altro, grazie ai totem presenti, mentre da Carrefour market – sempre a Milano – si può acquistare un biglietto per il teatro mentre si attende che le patatine finiscano di friggere nell’area ristoro. Per Amazon uno dei prossimi step sarà la vendita di auto nei potenziali 2.000 punti vendita che intende aprire negli Stati Uniti, insieme ad ogni altro oggetto o cibo che intende commercializzare.

Un’attenzione particolare meritano anche alcune startup come MyFoody, Moovenda o Supermercato24. Myfoody è una startup milanese che ha avuto l’idea di combattere lo spreco alimentare e fornire ai punti vendita la possibilità di smaltire in modo ottimale i prodotti a breve scadenza. I negozianti si iscrivono alla piattaforma e l’app informa tutti gli utenti sui punti vendita della zona in cui è possibile acquistare i prodotti a breve scadenza. Inoltre MyFoody suggerisce molte ricette create ad hoc per il riutilizzo degli avanzi in cucina. Supermercato 24 è di fatto la risposta a chiunque non abbia il tempo necessario per dedicarsi alla spesa. Si fa tutto online e la spesa viene recapitata a casa “ senza stress, senza traffico, senza code, senza borse della spesa pesanti”. Si può selezionare il supermercato di fiducia, si scelgono i brand preferiti e qualcuno farà la spesa per noi, consegnandola a casa nell’ora che preferiamo, anche nel giro di soli sessanta minuti. Di fatto è una piattaforma che “delega” altri a fare la nostra spesa dove vogliamo, comprando ciò che desideriamo e tutto con costi decisamente abbordabili. Per ora presente nel centro e nel nord Italia, conta di espandersi all’estero. Milano, Torino, Bologna, Padova e ora anche Napoli godono del servizio di food delivery di Moovenda, una giovane startup che ha fatto del #desiderioadomicilio il proprio motto. Scegli ciò che vuoi mangiare da un qualunque ristorante, panineria, pizzeria o altro locale, e questo ti verrà recapitato a casa grazie ad una rete capillare di giovani deliverer. Un sito molto intuitivo aiuta nella navigazione e nella scelta del cibo, che sia una semplice pizza o un sano panino vegano. Questo solo per citare alcune app. In effetti, il mondo del food a 360° ha attirato una molteplicità di investitori e ha ispirato tante menti ideatrici di app e di siti di shop online, a dimostrazione che si sceglie di utilizzare il proprio tempo in modo più fruttuoso, affidando alla tecnologia le mansioni più noiose o complicate da gestire.


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I fattori determinanti che influenzano sempre di più la spesa in Italia e all’estero Marzia Balza La spesa è una selezione complessa tra i prodotti proposti dalla distribuzione piccola, media o grande, e non è quasi mai una scelta costituita solamente da necessità di consumo. Quando il consumatore sceglie cosa mettere nel suo carrello, infatti, entrano in gioco numerosi fattori, di cui le aziende non possono non tenere conto quando immaginano la loro offerta. Aspetti emozionali, componenti sociali, mode e tendenze alimentari: tutti questi elementi contribuiscono a orientare in larghissima parte gli acquisti del consumatore medio. Dal fanatico del fitness all’hipster, dal vegan al flexitarian, gli innumerevoli stili di vita della società di oggi hanno un grande impatto sul comportamento dei consumatori quando si tratta di fare la spesa. Ormai è risaputo che l’acquisto di beni alimentari è dettato da stimoli ed esigenze diverse da quelle che muovevano i nostri nonni o i nostri genitori quando eravamo bambini. Le variabili sono moltissime, tante quante le diverse opinioni dei consumatori, ma nonostante ciò sembra chiaro che si possono individuare con certezza alcuni fattori comuni a livello mondiale che influenzano il modo di fare la spesa del consumatore contemporaneo. Un recente studio della Nielsen, ad esempio, ha messo in luce i quattro aspetti principali che sembrano avere un’influenza maggiormente significativa sulla propensione alla spesa e – di conseguenza – un più alto impatto sulle scelte dei consumatori. I cosiddetti “top four” evidenziati da questo studio statistico sono la situazione economica, la salute e il wellness – ovvero il benessere generale – la reperibilità dei prodotti e, infine, i servizi offerti dai negozi. Per quanto riguarda il primo fattore, la situazione economica, è abbastanza facile intuire come i prezzi dei prodotti siano una variabile importante nelle scelte legate alla spesa alimentare, soprattutto in un periodo di crisi economica internazionale. I prezzi che continuano ad aumentare, si sa, sono un problema comune che porta certi prodotti ad essere prediletti piuttosto che altri, ma non solo. Anche il prezzo della benzina può costituire un elemento significativo nelle scelte di consumo. I supermercati stanno gradualmente sostituendo i negozietti di paese e di città, allargando la scala ma anche le distanze tra le zone abitate e i luoghi in cui poter fare la spesa. La necessità di prendere l’automobile per raggiungere i supermercati – scelta che sempre più spesso sostituisce l’abitudine ad acquistare gli alimenti nel piccolo negozio sotto casa – fa sì che i prezzi della benzina diventino indirettamente responsabili per le nuove abitudini dei consumatori. Dal punto di vista della salute, ovvero il secondo fattore individuato dalla ricerca Nielsen, è chiaro come disturbi quali diabete, pressione alta o allergie possano modificare le abitudini e le scelte alimentari dei consumatori. In particolare, la quotidianità ci mostra come siano in grande aumento le intolleranze alimentari come la celiachia – che un tempo veniva diagnosticata in misura molto minore – che inevitabilmente hanno portato a un adeguamento dell’offerta, soprattutto della grande distribuzione, con una moltiplicazione dei prodotti senza glutine. Ci sono poi scelte salutiste che si stanno diffondendo sempre di più, come la grande tendenza a optare per una dieta vegetariana o vegana. La maggiore diffusione delle intolleranze e delle allergie, o di scelte alimentari molto specifiche, si traduce in una maggiore attenzione a leggere le etichette e a informarsi bene sugli ingredienti dei prodotti acquistati, nonché nella tendenza a prediligere alimenti o ingredienti dall’alto valore nutrizionale. Fattore questo che si collega alla reperibilità dei prodotti, il terzo degli elementi individuati da Nielsen come i principali fra quelli che influenzano le scelte di consumo. La reperibilità dei prodotti è una variabile che entra in gioco in particolare quando parliamo di alimenti più specifici (ad esempio glutenfree o bio), che spesso non sono disponibili in tutti i punti vendita, e la cui richiesta però continua ad aumentare. Infine, l’ultimo dei “top four” che influenzano le scelte di consumo sono i servizi offerti direttamente nei negozi, che sembrano avere un certo valore agli occhi del consumatore. Questo ultimo elemento include tutta la serie di servizi a beneficio dell’acquirente che il punto vendita può offrire, dalla maggiore facilità di parcheggio alla presenza di banchi specializzati, ad esempio in carne o pesce, fino alla costruzione di programmi fedeltà e raccolte punti o alla proposta di momenti di animazione per le famiglie con bambini.


Foto: Monica Giustina



Fin dalla nascita di TUTTOFOOD, l’obiettivo che ci siamo posti è di connotare la manifestazione a livello internazionale e favorire le relazioni di business tra tutte le aziende partecipanti: la food community, anno dopo anno, ha accolto il nostro invito e ci ha permesso – in sole 5 edizioni – di raggiungere la terza posizione nella graduatoria delle fiere professionali agroalimentari in Europa. TUTTOFOOD, edizione dopo edizione, è divenuto un palcoscenico ideale per presentare i propri prodotti al mercato nazionale ed internazionale e per capire e conoscere le tendenze di mercato. I risultati raggiunti negli anni sono frutto di solide relazioni con le principali associazioni di imprenditori (Aidepi, Assica, Assobirra, Confcooperative , Mineracqua, Unaprol, Unas,Unionalimentari...) e del nostro network internazionale. Oggi siamo alle 6° edizione e ci siamo impegnati intensamente per rendere l’edizione 2017 la migliore di sempre. Abbiamo: 1. lavorato per diventare ancor più internazionali; 2. ampliato l’offerta inserendo nuovi settori (Fruit&Veg Innovation, Spazio Nutrizione, Seeds&Chips); 3. ideato nuove aree speciali (Area Gourmet, Wine Discovery by Vinitaly, Area WEEK&FOOD); 4. dedicato un progetto ai retailer italiani ed esteri (Retail Academy); 5. migliorato i servizi più importanti per il business. Buona visita!

Foto: Caterina Zellioli


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