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Palazzo Chigi Piazza Colonna 18ª GIORNATA FAI DI PRIMAVERA 27 E 28 MARZO 2010
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Palazzo Chigi, uno dei più nobili palazzi romani, ha avuto una sorte felice: a lungo palazzo della più alta aristocrazia, continua a vivere una funzione di altissimo prestigio come sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Fu in occasione delle celebrazioni del primo centenario dell’unità d’Italia nel 1961 che si decise il trasferimento dal palazzo del Viminale. In precedenza palazzo Chigi era stato sede del Ministero delle Colonie e poi del Ministero degli Esteri, cui fu destinata la sede attuale alla Farnesina. La sua storia architettonica è complessa, con una successione di progetti e continui adattamenti lunga oltre tre secoli. Il palazzo fu iniziato verso il 1580 per Pietro Aldobrandini, fratello del futuro papa Clemente VIII. Acquistato nel 1659 dai principi Mario e Agostino Chigi, fu ampliato e portato a termine nella seconda metà del Seicento. La famiglia vi si trasferì dal palazzo in piazza Santi Apostoli, ora Odescalchi. Il progetto di ristrutturazione venne affidato all’architetto Felice Della Greca. Dopo la sua morte i lavori continuarono sotto la supervisione di Giovanni Battista Costantini, che sopraelevò la fabbrica di un piano. Il prospetto principale del palazzo è quello su via del Corso, ma l’ingresso avviene dalla lunga facciata prospiciente piazza Colonna, arbitrariamente manomessa al pianoterra con la soppressione delle porte delle scuderie sostituite da finestre. Attraverso l’androne si passa nell’elegante cortile, circondato da un portico con fregio dorico decorato da stelle araldiche inserite in corone di quercia. Nel Settecento furono aggiunti i sarcofagi romani fra le arcate e la bellissima fontana sormontata
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dai monti e dalla stella dei Chigi. Lo scalone d’onore, disegnato da Felice Della Greca in sostituzione della modesta scala precedente, è il primo intervento curato dai Chigi dopo l’acquisto del palazzo. Vi si vedono ancora i lumi di bronzo originali e poche sculture antiche, quanto resta della raccolta di opere d’arte che non si potrà mai ricostituire e che faceva di questa residenza un vero e proprio museo degno di un palazzo reale. I Chigi furono infatti non solo grandi collezionisti, ma anche appassionati patroni di artisti contemporanei e formarono una stupenda quadreria barocca. Splendide porte di elaborato disegno danno accesso agli appartamenti di rappresentanza del piano nobile. Questo settore del palazzo corrisponde alla parte più antica costruita e abitata dalla famiglia Aldobrandini e poi ristrutturata e splendidamente abbellita dai Chigi. La ricchezza decorativa dei saloni che si succedono uno dopo l’altro lascia stupefatti e non è facile sintetizzarla in poche righe: cicli di affreschi, dipinti, arazzi, preziosa suppellettile come i due globi secenteschi che rappresentano la sfera celeste e la sfera terrestre, porte decorate da intagli dorati e da specchi… tutto riflette la magnificenza dei committenti. Il salone principale, dove una volta si svolgevano feste e banchetti, è oggi utilizzato per le riunioni del Consiglio dei Ministri. È un ambiente dalle proporzioni solenni, coperto da un imponente soffitto ligneo e decorato da un fregio realizzato dal pittore austriaco Giovanni Paolo Schor. I due bellissimi arazzi fiamminghi della manifattura di Bruxelles con storie di Alessandro Magno e splendide bordure, tessuti su cartoni eseguiti dalla scuola di Rubens, erano stati acquistati dai Chigi nel 1668. Le finestre affacciate su largo Chigi e le porte che mettono in comunicazione con le sale contigue, sormontate da busti, hanno mostre meravigliose intagliate in pietra o in marmi preziosi. L’esuberante decorazione ottocentesca del soffitto dell’anticamera del Consiglio dei Ministri, con raffigurazioni delle quattro stagioni e armi araldiche, è l’ultimo capitolo della committenza chigiana e fu realizzata in occasione delle nozze di Mario Chigi con la principessa Antonietta di Sayn Wittgenstein. Lo studio del Presidente del Consiglio è attiguo alla galleria secentesca del cardinale Deti, posta all’angolo tra il Corso e piazza Colonna 198
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in corrispondenza della famosa loggetta esterna ora sostituita da un balconcino. È uno dei gioielli del vecchio palazzo Aldobrandini. Prende nome dal suo ideatore, il cardinale Giovanni Battista Deti (che qui abitò tra il 1623 e il 1630) ed è decorata da uno sfolgorante soffitto a stucchi dorati e affreschi di soggetto biblico e figurazioni araldiche, opera di Francesco Allegrini. Oltre che per le opere d’arte palazzo Chigi era celebre per la sua biblioteca che raccoglieva il prezioso patrimonio librario del cardinale Flavio Chigi, nipote di papa Alessandro VII. L’antica “libraria” fu sistemata al terzo piano nel salone costruito da Giovanni Battista Contini, ancora arredato dagli stupendi scaffali eseguiti con estrema abilità artigianale dai falegnami dell’epoca e certamente disegnati da un grande architetto. La raccolta di manoscritti, incunaboli e oltre 26.000 opere a stampa di argomento storico, letterario ed ecclesiastico risalenti ai secoli XVII e XVIII, è stata trasferita nel 1922 alla biblioteca Vaticana. Oggi vi sono conservati gli atti legislativi del Governo italiano.
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Palazzo del Quirinale Piazza del Quirinale 19ª GIORNATA FAI DI PRIMAVERA 26 E 27 MARZO 2011
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In occasione delle celebrazioni dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto essere al fianco del FAI durante la Giornata di Primavera concedendo l’apertura al pubblico di una parte segreta del palazzo del Quirinale: le sale della palazzina Gregoriana escluse dal regolare itinerario di visita della domenica mattina. Il palazzo del Quirinale, che il presidente Ciampi amava chiamare “la casa degli Italiani”, è dal 1946 sede del Presidente della Repubblica, ma fu a lungo residenza pontificia e dopo il 20 settembre 1870 reggia del sovrano dell’Italia unita. Lo costruirono i papi a partire dalla fine del Cinqucento quando preferirono lasciare il Vaticano per un luogo più salubre. Gregorio XIII Boncompagni (1572-1585) si era fatto edificare sul Quirinale una villa per l’estate, disegnata e costruita dall’architetto bolognese Ottaviano Nonni detto il Mascarino. Ai suoi successori sembrò il luogo giusto dove trasferirsi. Nei decenni successivi diversi pontefici – in particolare Sisto V Peretti (1585-1590) e Paolo V Borghese (1605-1621) – si adoperano per ampliare la villa: con l’aggiunta di tre nuovi corpi di fabbrica articolati intorno al Cortile d’Onore, la palazzina Gregoriana venne trasformata in un’immensa dimora con la facciata principale sulla piazza del Quirinale e il lato opposto affacciato sui giardini. Tutto nel palazzo racconta la sua storia. La divisione degli ambienti, la loro decorazione, le straordinarie collezioni di arredi e suppellettili (strepitosi gli arazzi e la raccolta di orologi) rispecchiano la successione degli “inquilini” che lo abitarono e documentano le vicende storiche e politiche che vi ebbero luogo.
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In occasione della Giornata FAI di Primavera è stato possibile visitare il cosiddetto Appartamento Napoleonico. Si tratta di una serie di sale poste a ridosso dell’ambiente centrale e più ampio della palazzina di Gregorio XIII, la cosiddetta Sala del Bronzino utilizzata dal Presidente della Repubblica per l’incontro con i Capi di Stato ospiti e le loro delegazioni prima dei colloqui ufficiali. Il salone prende nome dagli arazzi che vi sono esposti, i più preziosi e antichi tra i molti presenti nelle collezioni del Quirinale: appartengono alla serie con le Storie di Giuseppe Ebreo, costituita in origine da venti panni tessuti a Firenze tra il 1546 e il 1553 su commissione di Cosimo I de’ Medici utilizzando cartoni realizzati da Agnolo di Cosimo detto il Bronzino. Dal Cortile d’Onore si sale al piano nobile percorrendo la splendida scala elicoidale progettata dal Mascarino per raccordare i piani dalle cantine al sottotetto; a pianta ellittica, affiancata da eleganti colonne binate di travertino di ordine tuscanico su cui la luce gioca effetti suggestivi, è uno dei gioielli dell’architettura tardo-rinascimentale. Borromini ne fu ispirato per la sua scala in palazzo Barberini. Attraversando la Loggia d’Onore detta “la Vetrata”, dalle finestre che ora chiudono le arcate in origine aperte verso il cortile, si raggiunge l’appartamento. Gli ambienti che lo compongono – noti come Sale delle Dame, della Vittoria, della Pace, della Musica, Biblioteca del Piffetti, Salottino Napoleonico, Sala degli Arazzi di Lille – subirono importanti interventi di riqualificazione all’inizio dell’Ottocento durante l’occupazione francese. Napoleone considerava Roma seconda solo a Parigi e aveva stabilito che la residenza dei papi, aggregata ai beni della corona, sarebbe diventata la sua seconda reggia. Raffaele Stern venne allora nominato “architetto dei palazzi imperiali” e fu incaricato di seguire la sistemazione del palazzo di Monte Cavallo. Dei tre progetti redatti per “laicizzare” e adeguare la severa residenza pontificia alle esigenze e al gusto di una regale famiglia francese fu scelto quello più economico e veloce. La visita a Roma era prevista per il 1812, ma non ebbe mai luogo a causa dell’epilogo disastroso della campagna di Russia. Tuttavia, quando l’insediamento di Napoleone, Maria Luisa 202
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e del piccolo Re di Roma sembrava ancora imminente, si diede avvio a tutte quelle opere indispensabili a rendere l’edificio abitabile in breve tempo, con restauri di piccola scala sull’involucro architettonico e una completa riorganizzazione degli ambienti interni secondo i canoni del gusto neoclassico. Furono chiamati a prestare la propria opera artisti e decoratori di altissimo livello, italiani e stranieri, scelti e coordinati da Antonio Canova e Vincenzo Camuccini. Il piemontese Felice Giani realizzò l’ariosa decorazione dei soffitti in cui dispiega un repertorio figurativo idealmente ispirato all’antico ma autonomamente reinterpretato; Carlo Albacini, romano, fu l’artefice degli elegantissimi camini scolpiti in marmi preziosi. Nella Sala delle Dame, Bertel Thorvaldsen modellò in stucco il magnifico fregio con il Trionfo di Alessandro Magno, uno dei più alti capolavori della scultura neoclassica e in assoluto l’opera più celebre dell’artista danese. Il programma iconografico che si snoda nelle stanze ruota intorno al tema della continuità tra l’impero romano e quello napoleonico, in una specie di assimilazione tra i grandi condottieri del passato e il nuovo Augusto: Giulio Cesare, Traiano, Alessandro sono lì ad ispirarlo e le divinità dell’antica Roma lo proteggono. La tela di Pelagio Palagi al centro del soffitto della stanza della Musica attribuisce le fattezze di Napoleone a Giulio Cesare che detta i commentari. Il balconcino su cui si apre la stanza sembra gettarsi nel vuoto verso la città ai piedi del colle; da qui Napoleone si sarebbe sentito il signore del mondo. All’interno degli ambienti ristrutturati in epoca napoleonica è incastonato il piccolo studiolo che faceva parte dell’appartamento poi abitato dalla Regina Margherita. Per desiderio del re Umberto I in questo piccolo vano fu rimontata la sontuosa biblioteca trasferita dalla villa della Regina a Torino: uno spettacolare lavoro di intarsio ligneo progettato e realizzato da Pietro Piffetti, uno dei maggiori ebanisti piemontesi al servizio della Casa Reale. La console sulla quale si simulano fogli sparsi, realizzati in avorio insieme a squadra compasso e temperino, è un pezzo di bravura e virtuosismo inarrivabile.
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Acquedotto Claudio-Felice Largo Volumnia, 2 20ª GIORNATA FAI DI PRIMAVERA 24 E 25 MARZO 2012
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Gli acquedotti sono l’opera d’ingegneria più spettacolare e tecnologicamente avanzata realizzata dai Romani. Fin dall’antichità scrittori, viaggiatori e artisti li hanno descritti con ammirazione cogliendone gli aspetti utilitaristici, ma anche l’intrinseca bellezza. Ancora oggi i lunghi filari di arcate monumentali che attraversano il paesaggio come «una successione di archi di trionfo» (Goethe) sono una delle caratteristiche più impressionanti della campagna romana. La costruzione di un acquedotto era un’impresa titanica che presupponeva profonde conoscenze d’ingegneria, straordinarie capacità tecniche ed enorme disponibilità di manodopera. Roma era dotata di undici acquedotti. Il più antico è l’Aqua Appia, un canale completamente sotterraneo condotto alla fine del IV secolo a.C. dal censore Appio Claudio Cieco; il più recente è l’Aqua Alexandrina, inaugurato dall’imperatore Alessandro Severo nel 226 d.C. Questi acquedotti assicuravano alla città un volume d’acqua impressionante che alimentava fontane pubbliche, terme e le case di quei privati cittadini in grado di sostenere i costi della fornitura. Si calcola che in epoca imperiale l’approvvigionamento idrico giornaliero garantisse mediamente mille litri d’acqua per ogni abitante, una quantità che supera anche le medie moderne. Nove degli undici acquedotti antichi captavano sorgenti poste a est di Roma. Le migliori erano quelle dell’acqua Marcia, situate al XXXVI miglio della via Valeria nell’alta valle dell’Aniene. Dalla stessa zona avevano inizio anche i due acquedotti che prendevano l’acqua direttamente dal fiume (l’Anio vetus e l’Anio Novus) e l’acquedotto Claudio, il più
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grandioso di tutti. Iniziato da Caligola nel 38 d.C. e terminato da Claudio quattordici anni dopo, aveva una lunghezza di quasi settanta chilometri, quindici dei quali sopraterra con arcate slanciate ma possenti che in alcuni punti raggiungono fino a 30 metri d’altezza. Il suo speco, cioè il condotto dove scorreva l’acqua, aveva un’altezza tale da permettere a un uomo di camminarvi comodamente. Fu costruito insieme all’Anio Novus il cui condotto da Gericomio (frazione del comune di San Gregorio di Sassola a sud di Tivoli) fino a Roma corre sulle stesse arcate del Claudio. Un lungo tratto dell’acqua Claudia si trova all’interno della proprietà della Banca d’Italia sulla via Tuscolana, tra largo Volumnia e via di Porta Furba. I grandi spazi verdi occupati dal Centro sportivo mettono meravigliosamente in risalto la grandiosità delle arcate, che formano un fondale di straordinario impatto visivo. Il lungo restauro iniziato nel 1993, a cura della Soprintendenza Archeologica del Comune di Roma e finanziato dalla Banca d’Italia, consente oggi una perfetta lettura del monumento in un percorso di grande suggestione. L’aspetto della struttura originaria, in opera quadrata di tufo e peperino, si coglie pienamente osservando dal parco il lato meridionale dell’acquedotto: una sequenza di archi della luce di 5,60 metri, poggiati su piloni alti più di 10 metri, al di sopra dei quali sono i due condotti idrici veri e propri, sovrapposti l’uno all’altro. Nello speco inferiore scorreva l’acqua Claudia, in quello superiore l’Anio Novus. Il tratto che ci interessa mostra vistose opere di consolidamento delle strutture più antiche, realizzate in epoche successive allo scopo di garantire la statica dell’acquedotto. Sporadici interventi si ebbero già in epoca flavia, ma i primi decisamente riconoscibili sono le doppie arcate in mattoni, di ottima fattura, costruite al tempo di Adriano (prima metà del II secolo d.C.) entro gli archi originari; fecero seguito, all’inizio del III secolo, le controfodere laterizie che tamponano del tutto la struttura originaria e le aggiunte adrianee. Esse connotano in modo assai marcato il lato settentrionale dell’acquedotto, che appare in lunghi settori come un’imponente cortina laterizia. Su questo stesso lato è 206
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stata scoperta in occasione dei restauri, per un tratto di circa 250 metri, una strada romana perfettamente conservata che aggiunge ulteriore suggestione a un percorso bellissimo. Altri interventi di consolidamento sono documentati per l’età tardoantica mentre non è stata rinvenuta traccia dei lavori promossi da papa Adriano I nel 776 e ricordati dalle fonti, che potrebbero suffragare l’ipotesi avanzata da più storici, secondo la quale l’acquedotto rimase in funzione, anche se con portata ridotta, fino all’VIII secolo per cadere definitivamente in disuso nel secolo successivo. Alla fine del Cinquecento papa Sisto V decise la costruzione di un nuovo acquedotto per soddisfare le esigenze di una città assetata e alimentare le tante fontane progettate per abbellire Roma. Per convogliare l’acqua in città dalle sorgenti di Pantano Borghese, presso Colonna, a circa 22 chilometri da Roma, l’architetto Giovanni Fontana (fratello del più celebre Domenico) costruì un impianto che sfrutta e manomette le arcate dell’acquedotto Claudio. Il nuovo speco fu inserito all’interno degli archi antichi, con la conseguente occlusione di molti di essi, e addirittura scavato attraverso i piloni. Fu così che Sisto V, al secolo Felice Peretti, legò il suo nome a quello dell’acquedotto che da quel momento in poi fu denominato Claudio-Felice. Nella proprietà della Banca si trovano anche una propaggine di villa Lais, dove soggiornò a lungo Luigi Einaudi, Governatore della Banca d’Italia e poi Presidente della Repubblica, e lo Stabilimento di fabbricazione delle carte valori, edificio di grandissimo interesse architettonico progettato da Pierluigi Nervi negli anni ’60. In questo stabilimento si stampano, su autorizzazione della Banca Centrale Europea, banconote nei tagli da 20, 50 e 100 euro e si distruggono gli esemplari ritirati dalla circolazione. La produzione utilizza macchinari e tecnologie altamente sofisticati per contrastare le contraffazioni e assicurare una qualità riconosciuta come una delle migliori al mondo.