Progetto di saggio
Ilaria Iacoviello matricola 749638 Design della Comunicazione Semiotica del Progetto AA 2009/2010
Progetto di Saggio - Parallelismi tra Munari e la Semiotica
Indice
01. INTRODUZIONE 1.1 Chi è Bruno Munari 1.2 Fantasia 1.3 Da cosa nasce cosa
05. QUARTO PARALLELISMO
02. PRIMO PARALLELISMO
06. QUINTO PARALLELISMO
2.1 Fantasia, creatività, invenzione, immaginazione secondo Munari 2.2 I tipi di inferenze 2.3 Punti di contatto 2.4 Creatività: un termine sbagliato? Sì, no, forse
5.1 Il gioco secondo Munari 5.2 Il gioco in semiotica 5.3 Riflessioni
6.1 Metodologia progettuale secondo Bruno Munari 6.2 Metodologia progettuale secondo Michela Deni 6.3 Riflessioni: l’importanza del metodo, il modello e le scelte
03. SECONDO PARALLELISMO
07. SESTO PARALLELISMO
3.1 Come funziona la fantasia secondo Bruno Munari 3.2 I tipi di abduzione 3.3 Punti di contatto
7.1 Munari e i settori in cui deve operare il design 7.2 Munari e gli oggetti 7.3 Il designer, il semiotico e gli oggetti
04. TERZO PARALLELISMO
08. CONCLUSIONI
4.1 L’invenzione secondo Munari 4.2 L’invenzione e la semiotica 4.3 Punti di contatto
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8.1 La presenza della semiotica nella progettazione 8.2 Perché è meglio rendere costante la presenza della semiotica nella progettazione 8.3 Conclusioni circa Munari
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Abstract Lo scopo di questo saggio è quello di sottolineare come, anche seppur implicitamente, la semiotica sia parte integrante della metodologia progettuale di un designer. Lo si dimostra prendendo in considerazione due importanti opere di Bruno Munari: “Fantasia” pubblicato nel 1977 e “Da Cosa Nasce Cosa” edito nel 1981. Il saggio si sviluppa attraverso una serie di parallelismi atti a dimostrare come questo grande designer pensasse già in modo semiotico. I concetti chiave da lui esplicati possono infatti essere ridefiniti usando i termini propri della semiotica: fantasia e abduzioni, facoltà umane e inferenze. Si intende quindi dimostrare come la semiotica debba essere una parte fondamentale della progettazione per ritenersi un vero designer, così come viene definito dallo stesso Munari nelle sue opere. Infatti egli scrive come il vero design sia quello che non segue le mode, ma quello, invece, che risolve i problemi che gli sono stati posti. Si rifletterà poi su due termini in particolare: creatività e tradizione, per meglio capire la loro importanza e significato.
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01. Introduzione 1.1 Chi è Bruno Munari? Viene definito artista, scrittore, designer, sperimentatore di nuove forme d’arte: è colui che ha segnato una svolta fondamentale nella storia del design, sia in Italia che nel mondo.
1.2 Fantasia Pubblicato nel 1977, parla e definisce la fantasia, l’invenzione, la creatività e l’immaginazione nella comunicazione visiva. Egli si domanda se sia possibile capire come funzionino queste facoltà e quale relazione abbiano con l’intelligenza e la memoria. Munari spiega ciò con argomenti chiari e moltissimi esempi.
1.3 Da Cosa Nasce Cosa Tra i grandi libri di Munari, questo è quello che racconta con leggerezza incantata la tematica della metodologia progettuale e porta il lettore a scoprire come saper progettare non sia dote esclusiva e innata di pochi. Munari spiega come ci sia in ogni persona una facoltà, che egli chiama creatività, e che può essere sviluppata e messa in luce attraverso un percorso ben preciso.
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02. Primo Parallelismo 2.1 Fantasia, creatività, invenzione, immaginazione secondo Munari Munari fornisce una definizione molto diretta di queste facoltà umane. La fantasia è tutto ciò che prima non c’era anche se irrealizzabile; la creatività è tutto ciò che prima non c’era, ma realizzabile in modo essenziale e globale; l’invenzione è tutto ciò che prima non c’era, ma esclusivamente pratico e senza problemi estetici. Infine egli afferma che se fantasia, creatività e invenzione pensano, l’immaginazione vede. Egli dimostra come il mondo esterno sia esplorato mediante l’intelligenza, le manipolazioni e le operazioni logiche. Queste hanno come scopo quello di capire le cose e i fenomeni che sono intorno a noi. Tutto ciò che viene capito viene fissato nella memoria. Egli distingue tre settori principali della memoria: la memoria di breve durata (attraverso cui ricordiamo tutto ciò che serve al momento), la memoria di lunga durata (in cui ci sono le conoscenze che ci permettono di vivere meglio, per fare, comunicare e progettare; qui vi è tutto quello che servirà sempre), e infine il settore genetico (in cui vi sono i dati che sono trasmessi da individuo ad individuo). Quindi secondo Munari queste facoltà sono tanto più attive, quanti più dati sono presenti nella memoria. Per Munari la fantasia è la facoltà più libera delle altre di pensare a qualsiasi cosa, anche la più assurda, impossibile: non si tiene mai conto della realizzabilità o funzionamento di ciò che si è pensato. L’invenzione usa la stessa tecnica della fantasia, in quanto crea relazioni tra ciò che conosce, ma senza preoccuparsi del lato estetico. Si ha un’invenzione quando si pensa a qualcosa che prima non c’era, mentre si è di fronte ad una scoperta quando si trova qualcosa che prima non si conosceva, ma esisteva già. La creatività, secondo Munari, è quella facoltà usata nel campo del design, design inteso come modo di progettare. Un modo che deve essere libero come la fantasia ed esatto come l’invenzione. La creatività comprende tutti gli aspetti di un problema: psicologico, sociale, economico, umano. L’immaginazione è un mezzo per visualizzare e rendere visibile ciò che fantasia, creatività, invenzione pensano. L’immaginazione non è necessariamente creativa.
fantasia mondo esterno
intelligenza
memoria
invenzione creatività
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immaginazione
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2.2 I tipi di inferenze Le inferenze sono un ragionamento logico, sono il modo in cui procede la conoscenza. Si parte da un oggetto noto e, attraverso un passaggio intermedio, si conosce un oggetto prima ignoto. Sono tre le inferenze: induzione, quando si procede verso qualcosa e si giunge ad una sintesi; deduzione, quando si proviene da qualcosa e si definisce una tesi; abduzione, quando si realizza un movimento azzardato e laterale e si giunge ad un’ipotesi.
2.3 Punti di contatto Se osserviamo lo schema presente nel libro “Fantasia”, notiamo come, secondo Munari, il mondo esterno invii segnali che l’individuo coglie con l’intelligenza, li fissa nella memoria e poi attraverso fantasia, invenzione, creatività, egli pensa ad una soluzione, resa poi visibile dall’immaginazione. Soluzione che poi viene inviata a sua volta e di nuovo al mondo esterno. Quindi, anche secondo Munari, attraverso queste facoltà si dà un’interpretazione del mondo esterno. Secondo la semiotica c’è sempre un senso che vogliamo ottenere, cogliere in ciò che facciamo e realizziamo. Sappiamo che Peirce, attraverso il triangolo semiotico, dimostra come ci sia sempre una realtà esterna (oggetto, evento, artefatto), che egli chiama Oggetto dinamico, che determina nella mente di chi osserva un evento, che egli definisce Segno. Il segno pone delle domande, e la risposta ad esse, ossia il giudizio che si compie sull’oggetto dinamico, viene da lui definita Interpretante. Quindi secondo Peirce il processo della semiosi trova compimento in esso, nel giudizio che si elabora. Così come secondo Munari si ha compimento del processo attuato mediante la fantasia, o la creatività, o l’invenzione quando viene data e resa visibile una risposta mediante l’immaginazione. Inoltre ho provato a trovare dei punti di contatto tra le facoltà così espresse da Munari e le inferenze. La fantasia è da lui definita la facoltà più libera, che azzarda soluzioni, e per questo l’ho ritenuta affine alle abduzioni. L’invenzione, invece, la ritengo più affine alla deduzione, in quanto determina qualcosa di esatto e preciso molto simile ad una tesi. L’immaginazione invece trovo che sia comparabile all’induzione: la conclusione di un’induzione è una sintesi, proprio quello che fa l’immaginazione stessa.
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2.4 Creatività: un termine sbagliato? Sì, no, forse Diamo innanzitutto una definizione del termine: “Il verbo italiano creare, al quale il sostantivo creatività rimanda, deriva dal creare latino, che condivide con “crescere” la radice KAR. In sanscrito, KAR-TR è colui che fa (dal niente), il creatore”. Tra le moltissime definizioni di creatività che sono state coniate si segnala per semplicità e precisione quella fornita dal matematico Henri Poincaré: “Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili”.” Tuttavia la definizione più interessante è di Brian Aldiss, scrittore britannico di narrativa e fantascienza: “Qualsiasi cosa sia la creatività, è una parte nella soluzione di un problema”. Secondo me è quella che più si avvicina alla definizione che Munari dà nei suoi saggi. Vediamo perché. In entrambe le sue opere Bruno Munari usa molto il termine creatività e sostiene che esso appartenga proprio al mondo del design stesso. Egli sostiene infatti che: “La creatività è usata nel campo del design, considerando il design come modo di progettare, un modo che, pur essendo libero come la fantasia e esatto come l’invenzione, comprende tutti gli aspetti di un problema, non solo l’immagine come fantasia, non solo la funzione come invenzione, ma anche l’aspetto psicologico, quello sociale, economico, umano. Si può parlare di design come progettazione di un oggetto, di un simbolo, di un ambiente, di una nuova didattica, di un metodo progettuale per cercare di risolvere bisogni collettivi” Quindi secondo Munari quando si progetta un artefatto, il prodotto della fantasia nasce dalle relazioni tra ciò che conosce. L’immaginazione poi comincia a vederlo, la creatività pensa ad un uso giusto per esso, l’invenzione invece pensa ad altri aspetti, come ad esempio la formula chimica per produrlo. Sostengo quindi che se il termine creatività venga usato intendendo quella facoltà che comprende tutti gli aspetti di un problema e fornisce soluzioni per risolverli, sia giusto utilizzarlo. La creatività è quindi la qualità che permette al designer di trovare soluzioni efficaci ad un problema. Risulta un termine scorretto invece quando viene inteso come “improvvisazione senza metodo”, come sostiene lo stesso Munari, quando viene considerato una semplice idea intuitiva, slegata dal metodo progettuale di analisi dei dati e dei problemi. Durante il corso è stato detto che sarebbe meglio sostituire il termine creatività con la parola inventiva.
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Se ci si sofferma sulla definizione che Munari dà di invenzione, essa è la facoltà che crea relazioni fra ciò che si conosce, ma senza prendere in considerazione l’aspetto estetico. L’inventiva, come si legge nel saggio di Giampaolo Proni “Per una semiotica dell’azione progettuale”, è “l’azione strategica mai eseguita né dal soggetto che la compie in quella circostanza né da altri”. L’inventiva è sempre quindi innovazione, ossia - citando sempre Proni - “un’azione strategica mai eseguita dal soggetto che la compie in quella circostanza, ma già nota ed eseguita in altre circostanze”, ma non vale il contrario. Quindi io trovo che non sia del tutto corretto sostituire il termine creatività con la parola inventiva, in quanto, a mio parere, si riferiscono a qualcosa di differente. La creatività è la facoltà che comprende i problemi e ne dà una soluzione, mentre l’inventiva è qualcosa che non è mai stato fatto prima, è una nuova azione pensata per risolvere un dato problema. La creatività porta a migliorare il metodo progettuale attraverso soluzioni efficaci, l’inventiva attraverso soluzioni innovative. Note CREARE
INVENTARE
CREO: res creata creatura (s.f.) produrre (v.tr.) proclamare (v.tr.) nominare (v.tr.) eleggere (v.tr.) creare (v.tr.)
FINGO: inventato (agg.) falso (agg.) falso (agg.) favoloso (agg.) finto (agg.) cogitatione fingo ideare (v.tr.) cogitatione fingo immaginare (v.tr.) inventare (v.tr.) simulare (v.tr.) modellare (v.tr.) travisare (v.tr.) fingere (v.tr.) formare (v.tr.) scolpire (v.tr.) foggiare (v.tr.)
1 creare, generare 2 procreare un figlio 3 produrre, causare, suscitare l’odio 4 costituire, istituire una magistratura 5 nominare, scegliere, eleggere a una carica pubblica. GENERO: creare (v.tr.) produrre (v.tr.) generare (v.tr.) 1 generare, procreare, dare alla luce 2 produrre, creare 3 (trasl.) causare, cagionare, provocare 4 (al pass. anche) derivare, discendere, provenire. GIGNO: produrre (v.tr.) procurare (v.tr.) generare (v.tr.) creare (v.tr.) 1 generare, partorire, far nascere 2 creare, produrre 3 (trasl.) provocare, cagionare, far sorgere 4 (al pass.) nascere, provenire.
1 (anche trasl.) costruire, creare, fabbricare 2 foggiare, modellare, scolpire, plasmare, figurare, rappresentare 3 accarezzare, lisciare, toccare accarezzando 4 trasformare, rinnovare 5 ornare, adornare, acconciare i capelli 6 immaginare, supporre, credere, pensare 7 inventare, escogitare, ordire, macchinare 8 fingere, simulare, dare ad intendere 9 contraffare, falsificare, imitare 10 istruire, educare, guidare, formare, indirizzare 11 conformare secondo un modello, adattare, accomodare 12 comporre versi o poesie, coniare nuove parole 13 rappresentare, tracciare, raffigurare, delineare.
INVENIO: causam invenire accampare (v.tr.) inventare (v.tr.) scoprire (v.tr.) trovare (v.tr.) 1 trovare, incontrare, imbattersi per caso 2 scoprire, rintracciare, ritrovare, venire a conoscenza 3 inventare, escogitare, immaginare 4 conoscere, sapere 5 procurarsi, ottenere, acquistarsi, conseguire. REPERIO: venir a sapere (loc.) trovare (v.tr.) inventare (v.tr.) scoprire (v.tr.) 1 trovare, inventare 2 procurare, ottenere 3 scoprire, venire a sapere 4 leggere, trovare scritto 5 immaginare, escogitare. FANTASIA IMAGINATIO*: immaginazione (s.f.) fantasia (s.f.) 1 immaginazione, fantasia 2 visione in sogno INGENIUM: abundans ingenio fornito di ingegno (loc.) accortezza (s.f.) natura (s.f.) indole (s.f.) intelligenza (s.f.) fantasia (s.f.)
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attitudine (s.f.) talento (s.m.) temperamento (s.m.) spirito (s.m.) ingegno (s.m.) istinto (s.m.) carattere (s.m.) 1 natura, qualità naturale 2 indole, carattere, disposizione naturale 3 ingegno, intelligenza, intuito, acume, capacità intellettuale 4 desiderio, inclinazione 5 (letter.) ispirazione, invenzione, trovata geniale o ingegnosa 6 talento MENS: admoveo mentem ad aliquidrivolgere la mente a qualche c (loc.) ragione (s.f.) mente (s.f.) fantasia (s.f.) opinione (s.f.) senno (s.m.) spirito (s.m.) intelletto (s.m.) disegno (s.m.) progetto (s.m.) intelletto (s.m.) 1 mente, intelletto, intelligenza 2 spirito, anima 3 pensiero, riflessione 4 indole, carattere, sentimento 5 opinione, parere 6 senno, saggezza 7 coraggio 8 ira, collera 9 intenzione, proposito, progetto, piano 10 Mente, la dea della ragione.
IMMAGINAZIONE, IMMAGINARE COGITATIO: immaginazione (s.f.) astrazione (s.f.) pensiero (s.m.) progetto (s.m.) cogitatione fingo ideare (v.tr.) cogitatione fingo immaginare (v.tr.) in cogitationibus defixus sum concentrarsi (v.pron.) 1 pensiero, riflessione, meditazione 2 immaginazione, idea, fantasia 3 progetto, disegno, piano, intenzione 4 proposito, deliberazione, risoluzione 5 sollecitazione, cura 6 attesa, speranza. IMAGINATIO*: immaginazione (s.f.) fantasia (s.f.) 1 immaginazione, fantasia 2 visione in sogno CONICIO: ad teli coniectum venio venire a tiro (loc.) argomentare (v.tr.) scagliare (v.tr.) raccogliere (v.tr.) congetturare (v.tr.) lanciare (v.tr.) 1 gettare dentro, spingere, 2 volgere, rivolgere, dirigere, 3 congetturare, arguire, presumere, dedurre, interpretare, indovinare, predire
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03. Secondo Parallelismo 3.1 Come funziona la fantasia secondo Munari Secondo Munari la fantasia è la facoltà umana che permette di pensare a cose nuove ancora non esistenti. Essa non si preoccupa di controllare se ciò che pensa è veramente nuovo, dal momento che questo non è un suo compito, ma della ragione. Esistono inoltre due tipi di novità: una novità per l’individuo e una novità in assoluto. La fantasia, così come la creatività e l’invenzione, funziona attraverso operazioni fatte nella memoria, operazioni che mettono in relazione dati noti. La fantasia sarà quindi più o meno fervida se l’individuo avrà più o meno possibilità di fare relazioni. Definiamo quindi di seguito i diversi atti compiuti dalla fantasia: * il più elementare atto della fantasia è quello di rovesciare una situazione: il mondo alla rovescia * il secondo atto è la ripetizione, senza mutazioni, di qualcosa * il terzo atto riguarda relazioni tra affinità visive o funzionali (gamba del tavolo = gamba di animale) * c’è poi tutto un gruppo di relazioni che fanno parte del cambio o sostituzione di qualcosa: cambio di colore, di materia, di luogo, di funzione e di dimensione * c’è poi il mettere in relazione più cose diverse * infine vi è la relazione tra le relazioni Il problema basilare, per lo sviluppo della fantasia, è l’aumento della conoscenza, per permettere un maggior numero di relazioni possibili tra un maggior numero di dati.
3.2 I tipi di abduzione L’abduzione è un’interpretazione: a partire da un effetto risaliamo alla sua causa. La conclusione di un’abduzione come abbiamo detto è un’ipotesi e può quindi risultare falsa e inadeguata. Non importa se la conclusione di un’abduzione risulti errata o inadeguata, perché essa è la proposta, temporanea e bisognosa di verifica, di una delle alternative possibili. L’abduzione è per definizione una scommessa e un azzardo avventuroso. Quando concerne decisioni vitali,comporta la responsabilità della scelta. Già da tale definizione notiamo un primo punto di contatto con la fantasia: essa non si preoccupa che ciò che pensa sia realmente realizzabile o fattibile, è anch’esso un azzardo, una scommessa.
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Si può poi suddividere poi l’abduzione in diversi tipi: - PRIMO TIPO DI ABDUZIONE: la legge-mediazione cui ricorrere per inferire il caso dal risultato è data in modo obbligante e automatico o semiautomatico; sono le abduzioni che non ci accorgiamo di fare, quelle che la nostra mente elabora inconsapevolmente ma inevitabilmente. - SECONDO TIPO DI ABDUZIONE: la legge-mediazione cui ricorrere per inferire il caso dal risultato viene reperita per selezione nell’ambito dell’enciclopedia disponibile; una sorta di deposito di ‘dati’ e intreccio di nozioni. - TERZO TIPO DI ABDUZIONE: la legge-mediazione cui ricorrere per inferire il caso dal risultato viene costituita ex novo, inventata. ll terzo tipo lo chiameremo allora semplicemente invenzione. La facoltà di inventare è lo strumento, il medium, che fa conoscere il mondo così come ancora non è stato. Ma vi sono vari modi di inventare, ovvero vari modi di dare forma a nuove conoscenze per questo divideremo questa abduzione in ulteriori sottotipi: - PRIMO SOTTOTIPO: la legge-mediazione è una mera estensione ad altro campo semantico di una forma di implicazione già presente nell’enciclopedia disponibile; - SECONDO SOTTOTIPO: la legge-mediazione connette ex novo due insiemi di elementi già presenti nell’universo semantico dell’enciclopedia disponibile; - TERZO SOTTOTIPO: la legge-mediazione introduce a suo antecedente logico un termine fattizio (cioè ‘fatto e inventato’ appositamente dall’istitutore del termine). Questo terzo tipo riguarda così un atto di riformulazione e trasformazione dell’oggettualità esistente, intesa sia come mondo fisico e naturale, sia come mondo semantico e culturale. E tre sono i gradi di questa trasformazione: a) segmentazione e riempimento di varchi; b) mescola di materiali; c) reazione chimica.
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3.3 Punti di contatto Nel saggio “Immagini, modelli, invenzione” si definisce così l’abduzione: “Si è detto anche che l’abduzione è un “pensiero laterale”, ragionamento ipotetico che si sposta e discosta dal mondo conosciuto e che si spinge, per necessità o per avventura, per le vie del nuovo. È il pensiero teso verso la ricerca. (...) Ma l’abduzione permette anche di guardare in avanti, non si limita solo a svelare ciò che è stato. Permette di rappresentare ciò che può essere, interpretando un senso futuro. L’abduzione può essere allora considerata come un atto di prefigurazione: scorge l’ assente possibile, fa vedere ciò che ancora non c’è. O che è lontano e fuori dal nostro orizzonte. (...) Per molti aspetti, allora, l’abduzione va pensata anche come una sorta di vista mentale che estende il campo visivo dalla dimensione puramente fenomenica (ciò che vediamo) a quella immaginativa (ciò che potremmo vedere). Da qui la sua forte connessione con l’icona: non solo perché la conoscenza si manifesta più immediatamente in immagini, come dichiarava Albert Einstein, ma soprattutto perché essa stabilisce, tra le conoscenze disponibili e le conoscenze da acquisire, una continua rete di somiglianze, una segnicità iconica che permette al sapere di prosperare, muovendo e spostandosi da interpretazione a interpretazione (...)” Proprio attraverso questa citazione si è potuto carpire il punto di contatto che c’è tra il modo in cui viene concepita la fantasia da Bruno Munari e l’abduzione. Come si può leggere essa lavora per somiglianze e permette di estendere il proprio campo visivo da ciò che si vede a ciò che potremmo vedere. Questo vale anche per la fantasia di Munari: essa permette di pensare cose che ancora non possiamo osservare, ma che potremmo certo vedere. Anch’essa si basa sulle connessioni che si creano, anch’esse realizzate basandosi su delle somiglianze. Entrambe possono essere un azzardo, una scommessa, e dare come risultato qualcosa di errato e di falso. Quindi posso concludere dicendo che pur non trovando somiglianze sostanziali tra i diversi tipi di abduzione e tra gli atti della fantasia, se non con il terzo sottotipo della abduzione inventiva, che porta attraverso la segmentazione, la mescola e la reazione chimica a riformulare e trasformare la realtà esistente così come fa la fantasia attraverso diversi tipi di relazioni, sostituzioni, ciò che accomuna queste facoltà è proprio il fatto che esse sono un’azione audace, avventurosa e a volte anche rischiosa. Il modo di concepire questi atti che assumono nomi differenti è in realtà lo stesso secondo me.
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04. Terzo Parallelismo 4.1 L’invenzione secondo Munari Bruno Munari definisce così l’invenzione:”L’invenzione usa la stessa tecnica della fantasia, cioè la relazione tra ciò che conosce, ma finalizzandola ad un uso pratico. Si inventa un nuovo motore, una formula chimica, un materiale, uno strumento, ecc. L’inventore non si preoccupa del lato estetico della sua invenzione. Ciò che importa per lui è che la cosa inventata funzioni veramente e serva a qualcosa. Qualche volta l’inventore si preoccupa del lato estetico ma, come la famosa macchina a vapore in stile neoclassico, visibile al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, mostra una preoccupazione inutile e, oltretutto, mette assieme arte e tecnica in modo che oggi si considera sbagliato. In altri casi il prodotto della invenzione viene “decorato” da un artista, come nel primo caso delle prime macchine per cucire che avevano applicate sopra delle decorazioni in oro e madreperla, nel periodo liberty”.
L’invenzione e la semiotica Vediamo come viene intesa l’invenzione in semiotica. Come si è già potuto leggere nel saggio “Per una semiotica dell’azione progettuale” di Giampaolo Proni, l’inventiva è “l’azione strategica mai eseguita né dal soggetto che la compie in quella circostanza né da altri (...) Ho precisato che l’inventiva si definisce in relazione alle circostanze. Infatti, in termini pragmatici, vale a dire per le conseguenze che produrranno, l’innovazione e l’inventiva sono valutabili e definibili solo localmente, rispetto al sistema nel quale hanno luogo, e non in termini assoluti”. Nel saggio “Immagini, modelli, invenzione” essa è così definita:”Il pensiero inventivo – scientifico o poetico che sia – si imbatte spesso nella necessità di tradurre visivamente le proprie scoperte, ovvero di plasmarle ricalcandole su un’immagine preesistente. (...) Invenzione e conoscenza, insomma, nella scienza così come nell’arte, sono mosse dal riconoscimento di una somiglianza tra forme o di una somiglianza di relazioni. (...) Questo spazio neutro nella comparazione fra oggetti lascia quindi pensare a uno spazio aperto all’invenzione: proprio nel senso del trovare, dell’allargamento delle conoscenze sul mondo. È uno spazio la cui esplicazione richiede un cauto o azzardato procedere per abduzione, per ampliamento delle conoscenze disponibili, per individuazione di varchi vuoti – neutri – da riempire e per associazioni inedite da sperimentare. (...) “La forma dell’inventiva è l’abduzione”: così recita la prima tesi del Manifesto di Psòmega, e l’abduzione, come sappiamo, è quella modalità logica per cui, a partire da un oggetto o evento, visto e inteso come effetto, la mente è in grado si risalire alla sua causa possibile. (...)”. ~13~
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4.3 Punti di contatto Notiamo come il modo in cui viene concepita l’invenzione da Munari e dagli esempi sopra citati risultati differente. Munari concepisce l’invenzione come una facoltà affine alla fantasia, dal momento che crea collegamenti fra ciò che si conosce, tuttavia viene da lui ritenuta come un atto quasi oggettivo, che non si preoccupa del fattore estetico, ma solo del suo fine pratico. Pur usando la stessa tecnica della fantasia, non ne abbraccia l’azzardo, il rischio. Questo non vale per l’invenzione così come definita in semiotica, ritenuta comunque un’azione strategica, quindi pensata anch’essa concretamente per un fine, ma è anche qualcosa di nuovo, mai eseguito prima, quindi non dispone di una grande certezza. Si può procedere in modo cauto, ma anche audace, secondo proprio la modalità dell’abduzione. Munari punta poi molto sul fattore estetico: afferma come, quando l’inventore se ne preoccupa, molto spesso sbaglia introducendo qualcosa di sbagliato e non necessario. Sembra che il designer voglia dire che l’inventore deve solo pensare a soluzioni concrete, oggettive, precise. La medesima attenzione non viene data in semiotica.
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05. Quarto Parallelismo 5.1 Il gioco secondo Bruno Munari Nell’opera “Fantasia” Bruno Munari sostiene che il problema basilare per lo sviluppo della fantasia e delle altre facoltà è l’aumento della conoscenza, per permettere un maggior numero di relazioni possibili tra un maggior numero di dati. L’allargamento della conoscenza e la memorizzazione dei dati va fatta, secondo il designer, nell’età infantile, attraverso il gioco. Infatti nei primi anni della sua vita l’individuo si forma e resterà tale per tutta la vita. Dipende dagli educatori se questa persona sarà poi una persona creativa: un individuo di cultura limitata non può avere una grande fantasia, dovrà sempre usare i mezzi che ha, quello che conosce, e se conosce poche cose potrà immaginarne altrettante poche. Invece che continuare a fare altre relazioni, si dovrà ad un certo punto fermare. Se si vuole che il bambino diventi una persona creativa dotata di fantasia sviluppata e non soffocata, si deve fare in modo che il bambino memorizzi più dati possibili per permettergli di fare più relazioni possibili, per permettergli di risolvere i propri problemi ogni volta che si presentano. Secondo Munari poi la cultura popolare stessa è un continuo manifestarsi di fantasia, creatività e di invenzione. I valori oggettivi di queste attività vengono accumulati in quella che si chiama tradizione. Questi atti vengono verificati da altri atti di fantasia, creatività, invenzione e vengono superati e sostituiti da altri. Quindi secondo Munari la tradizione è la somma in continua mutazione dei valori oggettivi utili alla gente: ripetere continuamente un valore, senza fantasia, vuol dire fermare una tradizione, non continuarla e alla fine farla morire. La tradizione è la somma dei valori oggettivi della collettività e la collettività deve continuamente rinnovarsi se non vuole deperire. Concludendo per il designer il gioco permette alle persone di formare le proprio abilità e ciò non è utile solo per l’individuo, ma diviene essenziale anche per lo sviluppo della società e della tradizione.
5.2 Il gioco in semiotica “Originariamente il gioco è un’azione simbolo che rappresenta l’esistenza umana che in esso si autointerpreta”: così viene definito il gioco da Eugene Fink. Huizinga nel 1939 è il primo a sottolineare l’importanza del gioco, e dell’homo ludens come pari all’homo sapiens o all’homo faber. I giochi, secondo Huizinga, sono alla base della formazione di una cultura e accusa il mondo moderno di averli rilegati in un luogo di secondo piano, nello sport. “Il gioco è un’azione, o un’occupazione volontaria, compiuta entro certi limiti definiti di tempo e di spazio, secondo una regola volontariamente assunta, e che tuttavia impegna in maniera assoluta, che ha un fine in se stessa (...)”.
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Progetto di Saggio - Parallelismi tra Munari e la Semiotica
Alla fine del XIX secolo il filosofo e psicologo Mead, nel corso di uno studio sul rapporto tra gioco e educazione, individua nella capacità di riconoscere l’”altro da sé” la base della cooperazione sociale. In questo senso egli distingue tra play, ossia l’attività di impersonamento non regolata da leggi, e game, l’attività sottostante a regole. Il gioco ha poi la capacità di far diventare segni le cose e come sostiene Fink, esso è caratterizzato dal momento della rappresentazione e della significatività, ed è di volta in volta un trasformare: proprio per questo sono i bambini a vivere il gioco come immaginazione. W. Winnicott indica poi l’attività ludica come forma fondamentale dell’esperienza umana. Al gioco è affidato il compito di interpretante e di traduzione tra il mondo dell’oggettualità e la sfera soggettiva del giudizio: il giocare del bambino è una forma di rappresentazione che gli permette di costruirsi nel mondo reale un mondo immaginato e di gettare un ponte tra sé e la realtà effettuale.
5.3 Riflessioni Anche in questo caso si può notare come il medesimo tema venga trattato ponendo in evidenza diversi elementi, tutti ugualmente importanti. Munari vede il gioco come un’azione fondamentale per lo sviluppo della fantasia del bambino, ma soprattutto per il progredire della tradizione. Tuttavia notiamo come lo ritenga fondamentale solo per il bambino e sostenga che se egli non abbia sviluppato tali facoltà in età infantile non sarà in grado di farlo poi. Ritengo che invece il gioco sia un’attività che non debba essere meramente legata ad una precisa età, dal momento che appunto esso è un’interpretazione, è un’attività che continua durante tutta l’esistenza. Credo quindi che l’individuo debba sempre accostarsi al gioco, perché questo permette di aumentare la conoscenza. Condivido con Munari quanto detto sulla tradizione: un valore ripetuto sempre allo stesso modo è destinato a perire ed essere dimenticato. Esso deve essere sottoposto a continue interpretazioni, giudizio che lo mutino e lo adattino a quello di cui la tradizione necessita in quel momento. Riflettiamo sul concetto di tradizione. MEMORIA: memoria dignum aneddoto (s.m.) memorià dignus memorabile (agg.) memoria excídit mi sfugge (loc.) memoria teneo ricordare a memoria (loc.) tradizione (s.f.) memoria (s.f.) ricordo (s.m.) ~16~
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1 memoria, facoltĂ di ricordare 2 ricordo 3 avvenimento 4 notizia, narrazione, racconto, testimonianza, versione dei fatti 5 epoca, etĂ , periodo 6 tradizione, storia 7 pensiero, riflessione, progetto 8 monumento in ricordo di qualcuno, tomba, sepolcro, altare 9 (al pl.) annali, memorie storiche. MOS: more maiorum secondo il costume degli anten (loc.) more solito abitualmente (avv.) mores dissoluti dissolutezza (s.f.) abitudine (s.f.) guisa (s.f.) usanza (s.f.) tradizione (s.f.) moda (s.f.) consuetudine (s.f.) legge (s.f.) regola (s.f.) uso (s.m.) modo (s.m.) costume (s.m.) pravitas morum corruzione (s.f.) sine mora addirittura (avv.) 1 costume, usanza, abitudine, moda 2 moralitĂ , buoni costumi, maniera di vivere onesta 3 malcostume, corruzione 4 carattere, comportamento, condotta 5 volontĂ , desiderio, capriccio, arbitrio 6 legge, regola, norma, precetto. TRADITIO: resa (s.f.) consegna (s.f.) 1 consegna, resa 2 insegnamento 3 rapporto, relazione, racconto, narrazione 4 tradizione 5 (eccl.) tradimento.
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DEFINIZIONE DA VOCABOLARIO Tradizióne: s. f. [dal lat. traditio -onis, propr. «consegna, trasmissione», der. di tradere«consegnare»; nel lat. tardo anche «tradimento», dapprima con riferimento alla consegna dei libri sacri (v. traditore, in etim.), poi con uso assol.: di qui il raro sign. 3]. – 1. Nel sign. etimologico, è voce dell’uso giuridico, indicante la consegna di una cosa mobile o immobile, che ha per effetto il trasferimento del possesso della cosa, soprattutto con riferimento al diritto romano (più frequente in senso storico la forma latina traditio: v.). 2. a. Trasmissione nel tempo, da una generazione a quelle successive, di memorie, notizie, testimonianze; anche le memorie così conservate: t. orale o scritta (in partic., in etnologia, si definisce t. orale l’insieme delle testimonianze del passato – racconti storici, miti, poesie, formule sacre, ecc. – trasmesse di bocca in bocca, di generazione in generazione, considerate una delle fonti fondamentali per gli studi etnologici, distinguendosi dalla storia orale, che è l’insieme delle informazioni, assunte attraverso interviste a testimoni oculari, riguardanti avvenimenti di storia contemporanea); t. diretta o indiretta; è antica t. che gli Etruschi siano venuti in Italia dall’Asia Minore; nel secondo libro delle sue «Storie» Erodoto raccoglie le t. greco-egiziane intorno all’Egitto; una pia t. vuole che proprio qui sia sbarcato s. Paolo. Nella teologia cattolica, la tradizione è la trasmissione delle verità rivelate che risalgono all’insegnamento di Cristo e degli apostoli, sviluppate e definite nella storia della Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo; come tale la tradizione è considerata fonte della rivelazione, insieme alla Scrittura. b.Trasmissione nel tempo, di generazione in generazione, di consuetudini, usi e costumi, modelli e norme; anche le consuetudini, gli usi e i costumi, ecc. così trasmessi e costituitisi: era t. dei Greci eroicizzare i morti in battaglia; la cerimonia si è svolta secondo la t. paesana;l’onestà negli affari è t. nella mia famiglia; seguire la t.; attenersi alla t.; rompere la t.; una persona attaccata, ligia alla t. (o alle t.), un tradizionalista; studio delle t. popolari, il folclore. Con il sign. di abitudine, consuetudine in senso generico, senza preciso riferimento a una trasmissione di generazione in generazione: ormai lo fa da tanti anni, per t., di riunire gli amici a casa sua per l’ultimo dell’anno. c. In filologia, con riferimento alla critica testuale, la trasmissione di un testo dall’autore a tempi posteriori; e concretamente l’insieme dei manoscritti e delle stampe (t. diretta), e inoltre delle citazioni, traduzioni e altre attestazioni (t. indiretta), da cui quel testo è tramandato, dall’esame dei quali si procede, ove occorra, alla ricostruzione critica del testo originario. 3. letter. ant. Tradimento: nell’opinione del mondo e nella relazione degli storici rimase poi sempre incerta l’innocenza e la t. del Cardinale (P. S. Pallavicino). DEFINIZIONE DA ENCICLOPEDIA Tradizióne Trasmissione di valori, norme, credenze, stili, atteggiamenti e comportamenti, che avviene tra individui o gruppi che normalmente appartengono a generazioni successive. In antropologia culturale il concetto di t. viene usato frequentemente come sinonimo di cultura. In Italia si designa con
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la locuzione storia delle t. popolari lo studio del folklore e, in genere, della cultura delle classi popolari con particolare riferimento alle società contadine, alle loro pratiche rituali, alle feste, alle fiabe, ai giochi, ai canti, alle credenze e ai proverbi. Tradizione - approfondimento di Adriano Favole Il concetto di tradizione è di centrale importanza per le scienze sociali in generale e per l’antropologia culturale in particolare. Un nesso inscindibile lega cultura e tradizione: la cultura è tradizione, un insieme di saperi e pratiche che possono essere trasmessi da una generazione all’altra. Per lungo tempo l’oggetto stesso dell’antropologia sono state le ‘società tradizionali’ o le ‘tradizioni popolari’. Nonostante la sua centralità, il concetto di tradizione rimane problematico e di difficile definizione, ed è stato spesso utilizzato in maniera acritica. A partire dagli anni Ottanta del Novecento gli antropologi culturali hanno approfondito le loro riflessioni sulla tradizione, mettendone in luce gli aspetti creativi, dinamici e processuali. Al tempo stesso, da concetto scientifico la tradizione è divenuta un’importante categoria ‘nativa’, molto utilizzata da quelle stesse popolazioni che l’antropologia si era proposta di studiare. Società tradizionali Le società di interesse etnologico sono state a lungo concepite come società tradizionali. La definizione di tradizione, implicita in quest’espressione, rimandava ad aspetti di continuità, di staticità, di inerzia. Le società tradizionali, nelle prospettive evoluzioniste, furono concepite come società senza storia, modellate sul presente, caratterizzate dall’adesione alle norme e ai costumi e da una forte standardizzazione dei comportamenti. La tradizione, sostanzialmente immutabile, veniva intesa come garante della continuità nel tempo. Laddove vi era mutamento, l’antropologo tendeva ad attribuirne la causa a eventi esterni (guerre, colonialismo, presenza missionaria): il suo compito diveniva allora quello di indagare la forma autentica e originaria della tradizione. B. Malinowski, che pure colse alcuni aspetti della dinamicità e del carattere ideologico del mito e della tradizione, definiva quest’ultima come “un tessuto i cui fili sono così strettamente interconnessi che la distruzione di uno interagisce col tutto […]. Distruggete la tradizione e priverete l’intero organismo collettivo del suo guscio protettivo, condannandolo a una lenta, ma inesorabile morte” (Ethnology and the study of society, 1922). La tradizione non è solo continuità con il passato, ma garanzia di integrazione funzionale tra le varie parti della società. Costruire tradizioni Più attenti alle dinamiche storiche, gli antropologi a partire dalla seconda metà del Novecento hanno indagato la capacità degli individui di manipolare le norme e le tradizioni della propria società. Già nei primi anni Cinquanta, l’antropologa americana L. Bohannan mise in luce il fatto che i tiv della Nigeria
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centrale rielaboravano costantemente le genealogie in risposta a mutamenti nelle politiche di alleanza tra gruppi. J. Barnes, un autore della cd. scuola di Manchester, a proposito della società nguni (Africa meridionale), mise in rilievo il carattere innovativo della tradizione. Questi e altri studi antropologici risalenti agli anni Cinquanta e Settanta - per es. le riflessioni dell’africanista francese G. Balandier (n. 1920) o il testo dell’americano R. Wagner dedicato all’Invenzione della cultura, del 1975 - anticipano il tema della ‘invenzione della tradizione’, una formula resa celebre nel 1983 dall’omonimo testo curato dagli storici E. Hobsbawm e T. Ranger. Lungi dall’essere una semplice riproduzione del passato, la tradizione è un’arena in cui si confrontano rappresentazioni spesso conflittuali della storia e dell’identità, ed è quindi frutto di processi di selezione della memoria: le dinamiche del potere sono al centro di ogni discorso sulla tradizione. Tradizioni inventate Hobsbawm e Ranger misero in luce il fatto che molte tradizioni che si collocano al centro di riti e simboli degli Stati nazionali, pur presentandosi come antiche e autentiche, risultano, all’occhio dello storico, di origine recente e spesso frutto di vere e proprie invenzioni. Sulla scia di questi studiosi, gli antropologi hanno approfondito il tema dell’invenzione della tradizione soprattutto in relazione al tema dell’identità etnica. La costruzione dell’identità etnica (l’etnogenesi) è legata a processi di selezione e di condivisione della memoria, più o meno consapevoli. L’invenzione di una tradizione e l’adozione di una tradizione altrui sono spesso parte integrante dei processi di etnogenesi. Conflitti o comunque periodi di intense relazioni con società ed etnie ‘altre’ possono comportare la riattivazione, l’invenzione, il rafforzamento di determinati aspetti della tradizione. Per le popolazioni che abitano oggi gran parte delle isole dell’Oceania, il cristianesimo è un aspetto centrale delle tradizioni locali. Esso non viene percepito come elemento estraneo e inautentico, bensì come il cardine della tradizione e contrapposto come tale alle tradizioni laiche di molti Stati occidentali. L’uso nativo del concetto di tradizione La letteratura antropologica più recente si è concentrata sull’influenza del colonialismo nei processi di selezione, di reificazione, di sacralizzazione della tradizione. I capi tradizionali, le norme del diritto consuetudinario, l’esistenza di confini netti tra le etnie sono spesso il prodotto dell’incontro tra le politiche coloniali e le società locali, spinte a ridefinire, rimodellare, immaginare ex novo le loro tradizioni. In molti paesi dell’Africa, per es., la decolonizzazione comportò una riflessione sul ‘noi’, una ricerca e difesa di identità locali, attraverso la selezione di tradizioni ‘autentiche’. Fenomeni simili sono all’opera anche negli attuali processi di globalizzazione. In molte società dell’Africa e dell’Oceania i nativi si sono appropriati del discorso sulla tradizione per enfatizzare il carattere autentico, originario, locale delle proprie culture. Più che distinguere tra aspetti autentici e inautentici, gli studiosi preferiscono oggi
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studiare il modo in cui le tradizioni vengono costantemente riconfigurate, in risposta ai conflitti etnici e alla diffusione di pratiche e saperi egemonici del mondo occidentale, considerando questo processo come un segno della creatività e della plasticità della cultura umana. Si noti come spesso, e a mio parere erroneamente, al termine tradizione si associno parole quale staticità, continuità: è tradizione ciò che è tramandato nel tempo in modo sempre uguale ed immutabile. Tuttavia ciò è in netta contrapposizione con ciò che sostiene Munari: la tradizione porta sempre con sé concetti come immobile, perenne, stabile. Tant’è che proprio su questa costanza è basato anche il concetto di tramandare usi e costumi. Tuttavia questo significherebbe accettare la tradizione senza compiere un giudizio su essa: al contrario vivere la tradizione significa interpretarla secondo la propria visione personale nel mondo. Quindi secondo me è giusto concepire la tradizione come fosse costituita da due aspetti: tradizione intesa come trasmissione di leggi, regole usi e costumi, qualcosa quindi che è assunto come convenzione, e tradizione intesa come interpretazione personale da cui possono scaturire poi valori oggettivi che possono essere tramandati nuovamente. Solo in questo modo si ha un’aumento di cultura e conoscenza. La semiotica può quindi intervenire in questo punto: aiutare e sostenere l’interpretazione per aumentare la conoscenza. Ho riflettuto però sul fatto che la tradizione è anche e comunque il mantenimento di alcuni elementi, che possono essere ritenuti delle convenzioni. Si può notare ciò se si pone attenzione alle parole latine che si riferiscono a tradizione: esse significano leggi, usi, costumi, regola, consuetudine. Fanno riferimento a qualcosa che rimane costante nel tempo. Tuttavia parole come mos significano anche volontà, arbitrio e fanno riferimento anche a qualcosa che dipende da noi. In quanto possiamo appunto leggere nell’approfondimento sulla parola tradizione che molte di esse sono frutto di una vera propria invenzione Quindi penso che si possa fare una distinzione fra: - tradizione deduttiva, quella tradizione cioè che viene seguita e assunta dall’individuo come una regola. È una vera e propria istruzione trasmessa da soggetto a soggetto (si fa quindi riferimento alla dimensione simbolica della tradizione) - tradizione induttiva, quando non ci si limita a seguire le leggi già fornite, ma se ne cercano di nuove mediante osservazione di ciò che c’è già, quindi facendo leva sull’esperienza ( si fa riferimento alla categoria indicale) - tradizione abduttiva - inventiva, quando invece vengono introdotte nuovi elementi, medianti azzardi e tentativi. Ciò porta al rinnovamento della tradizione e al suo progredire (si fa riferimento alla dimensione iconica)
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I giochi descritti da Munari sono poi i seguenti: - disegno matto, che è una tecnica operativa per tenere il pensiero elastico in modo che non si fissi su formule statiche - proiezioni dirette di materie, attraverso l’uso di un semplice proiettore - rose nell’insalata, cioè impronte di sezioni di vegetali, usati come timbri - giochi a tre dimensioni, origami, moduli componibili in campi strutturati Ciò che è importante per Munari è che queste attività siano un gioco, in modo che ogni complesso di inferiorità del bambino sparisca. Se osserviamo la classificazione fatta da Roger Callois notiamo che ci sono quattro categorie che dipendono da due polarità: paidia, la libertà prima e originaria del gioco; ludus, il gioco che si organizza ed esprime in ritualità e sistemi di regole. Quindi in questa classificazione i giochi definiti da Munari appartengono sicuramente alla sfera della paidia. Le quattro categorie definite da Callois sono poi: AGON, la competizione, ALEA, giochi basati sulla fortuna, MIMICRAY, basati sul simulacro e ILINX, fondati sulla vertigine. Secondo me i giochi descritti dal designer appartengano alla categoria MIMICRAY quanto a ILINX: infatti questi giochi sono sfida alle costrizioni e convenzioni, al mondo così com’è conosciuto. Brunari sostiene che il gioco serve proprio al bambino per ampliare la sua conoscenza, per evitare che si fissi su una certa convenzione e conoscenza prefedefinita del mondo. Tuttavia ritengo che appartengono anche alla categoria ILINX, dal momento che i giochi che vi appartengono sono una sfida verso se stessi, superamento di opposizioni fisiche, e in questo caso proprio psicologiche, di diffidenze mentali, di credenze acquisite per tradizione o autorità. Questi giochi permettono ai bambini di sentirsi più liberi nei confronti di quanto gli viene detto da maestre o genitori. Sappiamo infatti che secondo Munari la creatività, la fantasia di un bambino vengono formate in età infantile e la loro formazione dipende molto dalle persone che lo seguono in questo periodo, appunto gli insegnanti. Questi devono quindi non imporsi troppo, e il bambino da parte sua, deve essere in grado di crearsi da sé delle proprie credenze. Secondo Munari il gioco aiuterebbe proprio a fare questo.
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06. Quinto Parallelismo 6.1 Metodologia progettuale secondo Munari In un capitolo di “Da Cosa Nasce Cosa” Bruno Munari tratta del metodo progettuale che un designer può seguire per risolvere un problema e per trovare la soluzione più corretta. Tuttavia egli sottolinea il fatto di come esso non sia un modello oggettivo da seguire alla lettera, ma che permetta di definire i limiti entro cui il progettista dovrà operare. Innanzitutto sostiene che i due elementi principali di questo metodo siano il problema e la soluzione: come prima cosa il progettista dovrà definire meglio il problema. Un problema può avere diverse soluzioni, anche in questo caso bisogna decidere quale scegliere. Molti progettisti pensano subito di trovare un’idea che risolva il problema. L’idea ci vuole, ma non deve essere trovata subito. Dopo aver definito il problema è necessario smontarlo nelle sue componenti per conoscerlo meglio. Successivamente è bene raccogliere tutti i dati necessari a studiare questi componenti uno per uno: l’analisi di tutti i dati può fornire dei suggerimenti su come non si deve fare o che possono orientare meglio la progettazione. Dopo l’analisi dei dati Munari introduce come elemento importante la creatività: mentre l’idea è qualcosa che dovrebbe fornire la soluzione bella e pronta, la creatività tiene conto, prima di decidere per una soluzione, di tutte le operazioni necessarie che seguono l’analisi dei dati. Anche Munari quindi non condivide la ricerca di un’idea che sia fondata solo sull’intuizione: la ricerca di un’idea di questo tipo viene messa da parte a vantaggio di un altro modo di procedere che Munari definisce più creativo. È appunto la creatività che sostituisce l’idea intuitiva, legata al modo artistico - romantico di risolvere un problema. L’idea legata alla fantasia può proporre soluzioni anche irrealizzabili per ragioni tecniche e materiche, o economiche, la creatività su mantiene nei limiti del problema, nei limiti che risultano dall’analisi dei dati e dei sottoproblemi. Munari introduce anche uno step da lui definito “Materiali, tecnologia”, dal momento che la creatività raccoglie dati sulle possibilità materiche e tecnologiche a disposizione per il progetto. Successivamente la creatività compie delle sperimentazioni sui materiali e sugli strumenti per avere ancora altri dati con i quali stabilire relazioni utili al progetto. Dalla sperimentazione possono nascere dei modelli, realizzati per dimostrare delle possibilità materiche o tecniche da usare nel progetto. Questi modelli sono poi sottoposti a verifiche di ogni tipo per controllarne la validità. Dopo ciò vengono elaborati i dati raccolti trasposti in disegni costruttivi, da cui nasceranno poi i prototipi per giungere poi finalmente alla soluzione. Si può notare come sia un metodo che comprende diversi momenti, tutti ugualmente importanti per giungere poi alla soluzione del problema.
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6.2 Metodologia progettuale secondo Michela Deni Michela Deni nel saggio “La semiotica nel progetto” tratta il tema del progetto e dell’importanza di un metodo: spesso cita Munari, condividendo con lui la necessità di definire un metodo chiaro per affrontare in modo corretto un progetto. Progetto che viene da lei definito come la fase preparatoria che precede la realizzazione di un oggetto, di un evento: è un processo strategico quindi finalizzato a uno scopo, ma è anche un processo dinamico e mutevole. Il progetto è il momento in cui si sceglie: si prendono decisioni su forme, colori, materiali, testure, dimensioni. Anche Michela Deni sostiene che è importante seguire criteri di organizzazione progettuale, seguire uno schema che, come dice lo stesso Munari, deve essere calibrato a seconda del progetto che si sta affrontando. Fornisce lei stessa uno schema generale, modificabile a seconda del progetto affrontato appunto. Si divide in più momenti: abbiamo quello del metaprogetto (ossia il percorso che precede la fase del progetto in senso operativo, è il momento in cui si osserva l’esistente, si esplicitano scopi, obiettivi e mezzi progettuali). Esso comprende: SCOPO DEL PROGETTO (scopo operativo e comunicativo) STILEMA (individuazione dell’identità e dell’immagine del committente) CORPUS D’ANALISI (individuazione di prodotti e aziende direttamente o indirettamente concorrenti) UTENTE MODELLO (articolare forme di vita per individuare il cliente/utente modello e il suo mondo possibile) VALORI E USI DA COMUNICARE (momento in cui si costruisce un simulacro dell’utente modello, del committente/progettista e del prodotto) PERCORSO NARRATIVO POSSIBILE (programmi d’uso e azioni) Si parte poi dal progetto seguendo i seguenti passi: STRATEGIE COMUNICATIVE (scelta degli elementi progettuali adeguati ai punti precedenti per giungere alla costruzione di un prototipo) PROVA DI COMMUTAZIONE (si valuta l’efficacia delle strategie enunciative individuando i tratti pertinenti sul piano dell’espressione e sul piano del contenuto) Per giungere poi al prodotto: PRESENTAZIONE DEL PROGETTO (scelte delle strategie comunicative adatte al committente) COMUNICAZIONE E DISTRIBUZIONE (preparazione delle linee guida da suggerire al committente per la comunicazione e la distribuzione del prodotto)
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6.3 Riflessioni: l’importanza del metodo, il modello e le scelte Si può subito notare come il metodo definito da Munari si differenzi rispetto a quello di Michela Deni per alcuni aspetti. Il designer si focalizza solamente sul problema scomponendolo in diverse parti, analizzandolo e raccogliendo i dati; si concentra sulla tecnologia, i materiali, sul prototipo ma ritiene concluso il processo una volta che si è giunti alla soluzione. Al contrario Michela Deni inserisce anche lo studio degli utenti modelli: mostra come sia importante conoscere anche a chi è rivolto il prodotto che si sta realizzando. Non lo concepisce meramente come un problema da risolvere. Si può dire che lei tiene conto di più variabili. Inoltre definisce anche ciò che si deve fare una volta che si è realizzato il progetto. Quindi Munari guarda il problema solo fine a se stesso, non prendendo in considerazione i committenti e gli utenti. Si può notare che un passo importante del metodo di Munari è rappresentato dai modelli: questo è un tema molto importante. Per il designer i modelli sono fondamentali perché da essi scaturisce il prototipo e la soluzione finale. Cos’è un modello però? Citando il saggio “Immagini, modelli, invenzione”: ”(...) Ma Bild, con il corrispettivo verbo bilden, ha a che vedere con l’idea del formare: come l’inglese to build, che significa costruire, fabbricare, edificare, quindi dare una forma, dare risalto, rendere evidente. Si potrebbe anche dire: modellare. Senza dimenticare che modello deriva dal latino modus , con il significato, insieme, di maniera e misura. (...) Altri studiosi distinguono fra i modelli della scienza e i modelli nella scienza (Cellucci, 1998). I primi indicano una procedura da seguire nel corso dell’attività scientifica, ovvero i processi logici attraverso cui si perviene alla formulazione di una teoria, o alla spiegazione di un fenomeno. I secondi si presentano come costrutti rappresentativi dei fenomeni. I primi sono cioè percorsi da seguire, i secondi oggetti da osservare. (...) I modelli nella scienza sono invece delle costruzioni, qualcosa cui si dà forma, che viene modellato, nel senso del Bild di Hertz. Nelle tre principali scienze della natura – la fisica, la biologia e la chimica – spesso prevale il ricorso al cosiddetto modello analogico: una rappresentazione fisica, meccanica o grafica che riproduce in modo somigliante la struttura o le relazioni di un fenomeno o di un sistema. Si tratta di una icona peirceana a tutti gli effetti: ogni relazione dell’oggetto studiato (e rappresentato) deve essere riconosciuta in una corrispondente relazione nel modello (la rappresentazione). (...)” Come si può leggere sempre in questo saggio a volte un modello viene ritenuto, come da Duhem, qualcosa che svia dal ragionamento e dalla logica. Non si trova d’accordo Campbell che invece sostiene che un modello è
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una parte integrante delle teorie, che è mutevole e dinamico, si aggiorna quando sovvengono nuovi fenomeni e nuovi aspetti. Anche Munari abbraccia la stessa idea di Campbell, in quanto sostiene che il modello sia una parte importante della sua metodologia progettuale: senza di essi non si giunge al prototipo e alla soluzione. Essi sono sottoposti ad una fase di verifica e garantiscono quindi il passaggio al passo successivo. Nella metodologia progettuale definita da Michela Deni non troviamo la medesima importanza data al modello: tuttavia nel passo numero 5 dimostra come si debba creare quello che lei definisce simulacro, parola che a mio avviso può essere facilmente sostituita da modello. È necessario quindi dare forma alle proprie idee seguire un modello per poter portare a conclusione ciò che si sta affrontando, e notiamo come Munari aveva ben chiaro ciò. Un altro aspetto importante che ritroviamo in entrambe le metodologie progettuali è il concetto di scelta: Michele Deni sostiene infatti che “Il progettista deve dimostrare di essere consapevole di ogni propria scelta, creativa, funzionale, economica o di impatto sull’ambiente”. Questo ci conduce appunto alla distinzione che Munari fa tra il progettista - romantico, colui che segue solo l’idea intuitiva del momento e adatta tutto a questa idea, e il progettista - professionista che è colui che invece segue un metodo progettuale. Il metodo progettuale in questione è quindi un metodo che si fonda sulla scelta, che è ragionata, ponderata, mai dettata dall’intuizione del momento. Nel libro “Gioco dialogo e design”, si legge come si possa parlare di semiotica della scelta quando si fa riferimento al design: ciò che si progetta è l’effetto che si vuole ottenere. Per Munari è appunto la soluzione del problema e tutto viene realizzato per fare ciò. Quindi l’abilità del designer non risiede nell’idea del momento, nell’ispirazione, ma nella capacità e abilità di compiere una scelta. Questo ci fa capire come vi siano molti punti di contatto tra Munari e la semiotica, nonostante ciò non sia voluto: il suo metodo progettuale dimostra chiaramente come tutto sia frutto di una scelta, di diverse interpretazioni (da quella sui diversi sottoproblemi, dei dati, dei modelli) che portano poi alla scelta finale e alla soluzione.
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07. Sesto Parallelismo 7.1 Munari e i settori in cui deve operare il design Nel capitolo precedente si è trattato di come Munari identifichi come parte fondamentale della metodologia progettuale l’identificazione di un problema: egli definisce meglio gli ambiti entro cui il design può operare per risolvere eventuali problemi. Gli ambiti da lui definiti sono i seguenti: arredamento abbigliamento campeggio strumenti di misura giochi e giocattoli didattici musei e mostre luna park giardini anziani cerniere giunti attacchi allestimenti e grafica per fiere commerciali impaginazione segnaletica cinema e televisione stampe tappezzerie piastrelle grandi magazzini valigeria grafica nell’architettura imballaggi illuminazione editoria scaffalature Dimostra quindi come i problemi di design siano davvero dappertutto.
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7.2 Munari e gli oggetti Munari fornisce al progettista anche il modo per analizzare gli oggetti di produzione industriale: essi non devono essere valutati solo in base al valori personali, ma sotto l’aspetto di valori oggettivi come la funzionalità, la manovrabilità, il colore, la forma, il materiale con il quale sono costruiti. Ecco qui la scheda fornita: NOME DELL’OGGETTO Non sempre un nome ha un nome corretto AUTORE Il nome dell’autore può essere utili per analizzare l’oggetto: conoscendo il metodo progettuale dell’autore si può meglio capire l’oggetto stesso PRODUTTORE Il nome del produttore è spesso garanzia di un buon prodotto DIMENSIONI Un oggetto può avere dimensioni sbagliate il buon funzionamento di un prodotto dipende anche dalla sua manovrabilità MATERIALE Secondo la funzione si deve trovare anche il materiale giusto nell’oggetto che si sta esaminando PESO (vedi dimensione) TECNICHE Una tecnica sbagliata produce un oggetto sbagliato, anche se il materiale è quello giusto COSTO Paragonare il costo di quell’oggetto a quello di oggetti simili IMBALLAGGIO Valutare se è esclusivamente una vetrina, se è anche una custodia e altri aspetti USO DICHIARATO L’uso effettivo corrisponde all’uso dichiarato FUNZIONALITÀ L’oggetto funziona bene?
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RUMORE È rumoroso? MANUTENZIONE Ha bisogno di manutenzioni particolari? ERGONOMIA Come si prende in mano? l’impugnatura è corretta? FINITURE MANOVRABILITÀ DURATA TOSSICITÀ ESTETICA Modo coerente in cui le parti formano il tutto MODA, STYLING Molti oggetti sono prodotti per rappresentare un simbolo di benessere, lusso o di classe. Questi non sono oggetti di design, dal momento che il design non si occupa di queste frivolezze VALORE SOCIALE Se ha una funzione sociale, riduzione o semplificazione di un lavoro ad esempio ESSENZIALITÀ PRECEDENTI Può essere interessante conoscere i precedenti dell’oggetto in questione per vedere se ha subito una logica evoluzione: questa conoscenza aumenta la nostra fiducia nel prodotto ACCETTAZIONE DA PARTE DEL PUBBLICO Conoscere se il pubblico ha accettato o rifiutato l’oggetto: ciò fornisce dati interessanti sulle preferenze del consumatore, e sulle ragioni di tali preferenze
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7.3 Il designer, il semiotico e gli oggetti Munari analizza poi lui stesso una serie di oggetti, tutti caratterizzati da un medesimo fattore. Sono tutti oggetti di uso quotidiano nelle case e nei posti di lavoro e le persone li comprano non perché seguono le mode, non hanno problemi di classe, sono oggetti ben progettati e non importa da chi. Questo è il vero design per Munari. E questo dovrebbe essere il design per ogni progettista: non il simbolo del lusso, ma simbolo della corretta progettazione. Munari sostiene che il lusso è la manifestazione della ricchezza incivile che vuole impressionare chi è rimasto povero. È il trionfo dell’apparenza sulla sostanza. Il lusso è una manifestazione di stupidità, è l’uso sbagliato di materiali costosi che non migliorano la funzione, è legato all’arroganza. Il lusso non è un problema di design. Molto spesso si cade proprio in questo: progettare qualcosa seguendo la moda e per diventare esso stesso moda, dimenticando appunto la funzione. Munari insegna quindi ad accostarsi agli oggetti e ai prodotti valutando ben altri aspetti. La semiotica mostra come quando si entra in contatto con un oggetto, inteso come artefatto, oggetto realizzato dall’uomo per uno scopo ben preciso, lo si interpreta secondo diversi passi. Innanzitutto vi è la sensazione che è già una forma di interpretazione, perché filtra, attraverso il sistema nervoso e ricettivo, i messaggi: alcuni vengono registrati, altri no. Poi vi è la percezione che invece è cosciente: per percepire gli oggetti li dobbiamo per forza di cose interpretare. Vi è comunque una “tematizzazione” delle percezioni, perché “decidiamo” di accorgerci di alcune cose e di continuare a ignorarne altre. Compiamo quindi dei giudizi percettivi, ossia mettiamo fra loro in relazione gli stimoli: percepiamo in termini di tonalità, intensità, in termini di temporalità, e via dicendo. Attraverso queste relazioni si stabilisce infine una certa forma delle cose. Ognuno di noi possiede degli abiti percettivi, un certo sapere che, di fronte a ogni singola percezione, ci guida e indirizza. Per ciò che riguarda l’uso, e ciò che decidiamo di FARE con gli oggetti, è centrale il passaggio successivo, quello che va dai giudizi percettivi ai GIUDIZI IN TERMINI DI COSE OSSERVABILI E UTILIZZABILI. Questo schema vale per gli oggetti naturali. La differenza è che di fronte agli oggetti artificiali noi abbiamo bisogno di un maggiore lavoro di apprendimento e di un più aggiornato sforzo interpretativo. Ovviamente il progettista deve integrare, comprendere ciò e fare un’analisi più dettagliata del prodotto, dei bisogni dei desideri. Non deve comportarsi da utente, deve comportarsi da designer: ma per farlo deve capire come egli stesso si comporta quando si accosta a questi oggetti artificiali per poterli poi lui stesso realizzarli in modo che sia efficacia. Notiamo come Munari si scagli contro il lusso: ciò dimostra che non è il designer che deve creare la moda, deve creare prodotti che siano ben progettati. Sarà l’utente poi attraverso la sua interpretazione a fare questo.
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Progetto di Saggio - Parallelismi tra Munari e la Semiotica
L’oggetto deve limitarsi a esibire e a realizzare bene la funzione primaria, la denotazione; deve suggerire la sua connotazione, eventuali riutilizzi. Tuttavia sarà l’utente che troverà un ulteriore aspetto, l’evocazione, dell’oggetto e ad associare ad essere uno status symbol. Ma non deve essere l’oggetto a suggerire ciò. In “Gioco Dialogo Design” gli oggetti sono classificati come: - OGGETTO - OGGETTO: oggetti per essere guardati e non presi in mano. Oggetti da contemplare come opere d’arte, ciò che è pensato proprio per il godimento estetico. - OGGETTO COSTRITTIVO - SEDUTTIVO: oggetti che guidano e a volte costringono le nostre azioni. Scale, muri, corridoi. Oltre a costringere, molti seducono: sono oggetti di fascinazione e di propaganda, gli status symbol. - OGGETTO - STRUMENTO: un oggetto che è strumento per l’azione e per l’invenzione. Oggetti in cui il gioco dialogico è completamente nelle mani dell’utente, il progetto prosegue e si completa nell’uso dell’oggetto. Se si ripensa a ciò che afferma Munari notiamo come, secondo lui, il design si debba per forza di cose indirizzare maggiormente verso oggetti strumento, oggetti utili destinati ad un uso e non alla semplice contemplazione (non a caso si parla di opere d’arte e non di design), o alla creazione di uno status symbol, creazione che secondo il designer non deve essere assolutamente problema di design.
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Progetto di Saggio - Parallelismi tra Munari e la Semiotica
08. Conclusioni 8.1 La presenza della semiotica nella progettazione Michela Deni nel suo saggio mostra come il semiologo rivesta un ruolo importante nel processo progettuale: il suo è quello di aggiustare il tiro, di mostrare i punti deboli, di suggerire soluzioni più appropriate. Secondo Zinna le principali azioni del fare semiotico sono: descrizione, produzione, comparazione e produzione. È anche quella di anticipare il futuro e gestirlo. Il semiologo guida quindi il progettista, che a sua volta pone delle domande al semiologo stesso. Gli domanda di mostrargli come sdoppiarsi per interpretare il progetto al di là della consapevolezza delle proprie intenzioni comunicative. Il compito del semiologo è quello di guidare il progettista per trasformare il suo progetto da potenziale, a virtuale, a attuale per giungere poi alla realizzazione. Lo scopo della semiotica nel progetto è quello di modificare il percorso progettuale e renderlo più efficace.
8.2 Perché è meglio rendere costante la presenza della semiotica nella progettazione Trovo sia necessaria la presenza della semiotica all’interno del processo di progettazione: infatti, oggi, non tutti i designer hanno la lucidità e la chiarezza che mostra Munari. Designer consapevole di come deve essere affrontato un progetto, dell’importanza di un metodo, della rilevanza che ha una buona progettazione rispetto all’idea dettata dal momento. Credo che la semiotica ad oggi serva proprio a questo: a limitare la voglia di stupire dei designer, voglia guidata appunto da quella che è chiamata ispirazione o estro creativo. La semiotica serve a definire i limiti entro cui il designer deve operare. Trovo sia essenziale soprattutto per noi giovani designer, che spesso non abbiamo ancora un vero e proprio metodo progettuale. Per noi che spesso progettiamo erroneamente sull’idea intuitiva del momento. La semiotica serve quindi a definire meglio il metodo da seguire, ma soprattutto la sua presenza spiega il perché sia giusto seguire questo metodo.
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Progetto di Saggio - Parallelismi tra Munari e la Semiotica
8.3 Conclusioni circa Munari Bruno Munari si rivela sempre estremamente attuale, anzi molto spesso molto più rispetto ad altri progettisti. Le sue idee formulate ormai 30 anni fa suonano estremamente utili anche oggi. Si nota come, pur non conoscendo bene la materia, le sue idee risultino estremamente affini a quelle proprie della semiotica. Questo lo scopo del mio saggio, quello di integrare la visione di Munari con i concetti chiave della semiotica: trovare punti di contatto, parallelismi, in modo da realizzare una metodologia progettuale che guardi tanto al design quanto alla semiotica. In modo da integrare le diverse visioni. Ciò non è fatto con l’intento di permettere al designer di lavorare senza l’aiuto di un semiotico o viceversa, ma è stato pensato per migliorare la conoscenza dei rispettivi mondo. Come abbiamo letto nelle opere di Munari si possono creare collegamenti tra dati solo se vi è molta conoscenza: solo conoscendo bene il design quanto la semiotica si possono creare continue relazioni, relazioni che permettono quindi di progredire in quello che è il medesimo scopo: ossia risolvere un problema, progettare qualcosa che possa essere davvero utile. Se la semiotica integra quanto detto da Munari ridefinendo maggiormente quanto da lui teorizzato, aggiungendo aspetti importanti come nel caso del metodo progettuale, metodo che non include un fattore importante, l’utente a cui è rivolto il prodotto. A sua volta Munari rivaluta il concetto di creatività: definendola come quella capacità, atto che permette all’individuo di definire soluzioni non dettate dal caso, ma dall’analisi di problemi, dati, dall’elaborazione di modelli, prototipi da continue verifiche. Si può notare come il vero designer è quello che difende il metodo progettuale, e critica chi è invece un progettista romantico che lavora basandosi sulle proprie idee intuitive, dettare dall’ispirazione. Trovo che questo sia un punto in comune non indifferente: che si parli di creatività come fa Munari o di invenzione come accade in semiotica, quello che si vuole sottolineare è lo stesso. Il design è e deve essere caratterizzato da un metodo, che non costringe il progettista a elaborare prodotti poco interessanti, ma al contrario stimola le sue capacità progettuali, inventive, critiche e lo porta a realizza quello che dovrebbe essere il design: realizzazione di prodotti che siano simbolo della corretta progettazione.
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