BrandMagazine Trabant

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T L'ESSENZIALITÀ DELLA T

Oggi nasce T, il magazine che fa dell' essenzialità la sua virtù. Abbiamo scelto la T per rappresentare la nostra filosofia. T è per tutti, è universale. T racconta di limiti scavalcati, barriere aggirate, persone straordinarie. Parla di presente e passato, di mancanze e di difficoltà. Perché è proprio nelle crisi che un'idea nasce esattamente come dovrebbe essere: essenziale, pulita, pura. Abbiamo voluto ideare la rivista attorno a questo concetto, ed è cosi che abbiamo deciso di identificarla: nell’essenzialità dell’ingegno, universale per tutti. Il bagaglio che T porta è una collezione di storie di invenzioni, idee o personaggi che da momenti di difficoltà, ingegnandosi, hanno saputo trovare lo spunto per fare qualcosa che potesse cambiare la vita della gente comune. Magari a volte sono passati inosservati, mentre altre sono entrati prepotentemente nella quotidianità delle persone, ma l'obbiettivo per cui sono nati è sempre lo stesso: far di necessità virtù.

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Edizioni:

Politecnico di Milano Laboratorio di Metaprogetto Brand Magazine “Trabant” DIRETTORE RESPONSABILE Paolo Ciuccarelli VICEDIRETTORI Andrea Aparo Fabrizio Piccolini Gianluca Seta COPERTINA Corb Motorcycles

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INDICE

A LITER OF LIGHT

e luce fu_6

BAMBOO BIKE

si fa in due giorni, poi si insegna a fare_26

RECESSION DESIGN l’arte di arrangiarsi_42

SAFFA

dai cerini ai mobili “riponibili”_50

DESIGN ANOMINO oltre il designer_58

JR

arte per tutti_66

10x10

low cost housing_82

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A LITER OF LIGHT e luce fu Centinaia di milioni di persone in tutto il mondo vivono all’interno di abitazioni che sono talmente vicine e sovraffollate che la luce solare non riesce ad illuminarle; specialmente nelle zone tropicali dove questi insediamenti sono ancora più bui per via degli ampi tetti usati per proteggersi dalle forti piogge e dal sole cocente. La gente del posto, per poter lavorare, è quindi costretta ad usare il debole bagliore delle candele o la corrente elettrica, sovraccaricando le linee elettriche mettendo così a rischio la propria salute o addirittura la vita. La maggior parte delle persone resta quindi semplicemente al buio. Nasce così “A liter of light”, un progetto finanziato dalla associazione MyShelter Foundation, che permette ad un gran numero di persone di beneficiare di luce poco costasa utilizzando una fonte di energia che non degradi l’ambiente circostante. L’idea arriva da un meccanico brasiliano, Alfredo Moser. L’officina di Moser a Uberaba, nel sud del paese, ha una cosa in comune con tanti altri luoghi di lavoro in Brasile, ma

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L’invenzione di Alfredo Moser sta illuminando il mondo. Nel 2002, il meccanico brasiliano ha avuto un’ illuminazione ed ha ideato un modo per illuminare la sua casa durante il giorno senza elettricità, utilizzando semplicemente delle bottiglie di plastica riempite con acqua e un po' di candeggina.

anche con tante case costruite con materiali poveri nelle favelas e nelle baraccopoli di tutto il mondo: non ha finestre. Riflettendo sulle capacità refrattarie delle bottiglie di plastica, Moser ha capito che una bottiglia classica di aranciata o acqua minerale da un litro o un litro e mezzo, riempita d’acqua (con un po’ di candeggina , per evitare la formazione di alghe obatteri) e inserita in un buco fatto nel tetto della casa, fa la stessa quantità di luce di una lampadina da 50 watt. È chiaro che quando cala il sole bisogna usare altre forme d’illuminazione. Ma calcolando 12 ore di luce solare, c’è comunque una riduzione notevole dei costi energetici. Moser, che ha istallato le


T/ AUSGABE 1 DEC 13 sue lampade-bottiglia nella casa dei vicini, e perfino in un supermercato della zona, racconta che con i soldi risparmiati un padre ha potuto mandare la figlia a scuola. Grazie alla collaborazione tra Moser e un gruppo di studenti del MIT e, alla partecipazione di MyShelter Fundation, questa idea inizia prendere forma fino a diventare un progetto internazionale partendo da Manila, nella Filippine, per poi andare in India, Nepal, Sudamerica e Africa. L’associazione ha infatti iniziato a installare le “solar bottle bulbs” in alcune abitazioni a Manila e non appena la gente notò i magnifici risultati e benefici, che questa piccola invenzione portava nelle loro case, tutta la comunità iniziò a partecipare all’iniziativa. Uno degli scopi di questa iniziativa è di creare un microbusinesses ecologico utile a quella parte di popolazione interessata. Usando queste “solar bottle bulbs”, costano solo 1 dollaro, la gente riesce a risparmiare 6 dollari al mese poiché l’allacciatura elettrica nelle Filippine è più cara rispetto al resto dell’Asia.

ci e l’uso delle proprie mani. Tutto ciò è la soluzione ad un grande problema dei paesi in difficoltà. Nel 2012 “A Liter of Light” ha vinto il CurryStone Design Prize. Questo premio viene attribuito ai progetti che hanno la forza di migliorare la vita delle persone e rafforzare le comunità.

Non servono abilità, attrezzi particolari o grandi quantità di denaro ma materiali sempli-

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BAMBOO BIKE si fa in due giorni, poi si insegna a fare Il Progetto Bamboo Bike è stato avviato da due scienziati della Columbia University Lamont-Doherty Earth Observatory (LDEO): David Ho e John Mutter, con un finanziamento iniziale proveniente da The Earth Institute alla Columbia University. L’obiettivo del progetto è quello di incentivare la produzione locale di bici in bambù a basso costo, ma di alta qualità, e di diffonderle in tutta l’Africa sub-sahariana .

In Africa pochissime persone possiedono auto o motociclette e chi non ha un mezzo di trasporto proprio, deve fare affidamento su autobus fatiscenti e molto costosi; per questo le popolazioni sopperiscono alla mancanza di mezzi motorizzati, utilizzando ed adattando alle proprie esigenze le biciclette, le quali vengono ingegnosamente modificate per diventare boda boda taxi (biciclette sul quale telaio viene impiantato un motore riciclato da vecchie moto). La mancanza di accesso ai mezzi di trasporto pubblico è molto limitante per gli abitanti, perché

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impediscono loro di trovare facilmente occupazioni lavorative, ostacolano il commercio locale e regionale, e complicano l’accessibilità alla salute pubblica. Le biciclette attualmente in uso in Africa sono assolutamente inadeguate per il trasporto locale, perché in tutto il territorio sub-sahariano, non esistono aziende che si occupano della loro costruzione per intero; queste vengono prodotte in Cina e in India, poi inviate già assemblate alle popolazioni rurali, per questo il prodotto finale non è adeguato a soddisfare le esigenze, ambientali e lavorative, degli abitanti del posto.

Il Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani (UN-HABITAT) stima che ci siano 5000 boda boda taxi nella città di Kisumu, regione del Kenya occidentale. Gli obiettivi del Bamboo Bike Project progetto sono di due tipi : 1. Costruire un mezzo di trasporto più adatto agli abitanti provenienti dalle zone rurali.


T/ AUSGABE 1 DEC 13 2. Stimolare la nascita di un settore specializzato che curi la produzione di biciclette, adatte a soddisfare le esigenze specifiche locali, a basso costo. In questo progetto, è stata esaminata la possibilità di impiegare bambù nativo per i telai delle biciclette, sostituendolo alla fibra di carbonio (costosa e tecnicamente impegnativa) o al meno costoso, (ma anch’ esso tecnicamente impegnativo) alluminio o cromo-molibdeno che viene comunemente utilizzato per la costruzione dei telai. Il bambù è un materiale sorprendentemente forte (si dice resista tanto quanto la quercia) ed ha grandi potenzilità nello smorzamento delle vibrazioni. Essendo facilmente reperibile in Africa, abbatterebbe i costi relativi alle materie prime e permetterebbe a molti un posto di lavoro. Diversi sono i vantaggi che porterebbe la produzione di biciclette in bambù: - Facendosi inviare solo piccole componenti, e non l’intera bicicletta dall’India e dalla Cina, diminuirebbero i costi di trasporto. - Il bambù è coltivato direttamente in Africa e la produzione di telai in bambù non richiede un’ infrastruttura, dispendio-

sa sia al momento della costruzione che nel mantenimento. - Non è necessario l’utilizzo di costosi macchinari, gli utensili elettrici moderni sono sufficienti. -Il disegno della bicicletta può essere facilmente adattato alle caratteristiche territoriali e alle diverse finalità. - Ognuno potrà produrre e manutenere la propria Bamboo Bike, le popolazioni così acquisiranno competenze e saranno in grado di inventare nuovi tipi di veicoli. la costruzione di altri tipi di veicoli. Il Forum Internazionale dei Trasporti e dello Sviluppo Rurale (IFRTD) ha studiato i problemi di trasporto relativi alle aree rurali povere tra cui il Kenya occidentale ed ha ipotizzato una vasta gamma di soluzioni, alla cui base vi è l’utilizzo della bicicletta.

La bicicletta in bamboo: si fa in un paio di pomeriggi e poi si insegna a fare.

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come costruire una BAMBOO BIKE Materiali

Strumenti di lavoro

Canne di bambù 2 - 5 cm diametro 1.50m lunghezza Canapa Resina epossidica Tubo per manubrio per pedali Supporti in acciaio per catena Forcella Schiuma espansa

Lampada per saldare Seghetto Raspa Dremel Guanti Mascherina Calibro Goniometro Pennarello indelebile

1) testate la resistenza del bambù Per testare la resistenza del bambù potrete sottoporlo al peso di una pila di mattoni sulla quale andrete a sedervi. La canna non si spezza? Perfetto, potete iniziare i lavori. Non sottovalutate l’importanza della resistenza del materiale, è direttamente proporzionale al grado di sicurezza del mezzo. Vi serviranno 7 canne particolarmente resistenti per assemblare il telaio. Le canne verranno unite le une alle altre usando delle apposite congiunzioni in metallo a incastro. Per le componenti metalliche potrete rivolgervi ad una ciclo-officina o ad un rivenditore di ricambi per biciclette. Vi serviranno: corona, pedali, manubrio, catena, forcella, reggisella, tubo di aggancio del manubrio e della forcella, tubo di supporto del pedale e supporti della catena.

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T/ AUSGABE 1 DEC 13 2) bambù a caldo Come prima cosa dovrete rivestire con la canna di bambù il tubo in acciaio di supporto del pedale. Tagliate con il seghetto un pezzo di bambù della lunghezza del supporto metallico. Utilizzando la raspa, aumentate il diametro interno della canna fino a che il bambù non si incastrerà al supporto del pedale. Per farli aderire perfettamente riscaldate il bambù con la torcia al propano. Il calore scioglierà lo zucchero contenuto nella canna con un effetto caramello che avvicinerà le fibre rinforzando la guaina naturalmente. 3) passate al seghetto La parte più intensa e laboriosa consiste nel modellare le estremità dei tubi in modo da farli combaciare perfettamente gli uni agli altri. Per farlo vi serviranno dei fogli di carta da lavagna, il pennarello nero, dello scotch, il seghetto e la raspa. Sagomate i fogli e avvolgete le canne. Facendo aderire la sagoma di carta al bambù, saprete con precisione dove tagliare. Per prima cosa modellate la canna superiore e quella inferiore tenendo come riferimento l’incastro con il tubo del manubrio e quello del sellino. Poi modellate l’estremità della canna inferiore che dovrà aderire al supporto del pedale precedentemente rivestito. Infine sagomate la canna che collega il sellino alla sede del pedale. Modellare il bambù non è semplice ma la raspa potrà esservi molto utile. Tagliando in senso longitudinale delle piccole fessure che limerete con la raspa, potrete avvicinarvi al risultato. Una volta raggiunto un primo risultato, avvicinate l’estremità del tubo al supporto per il pedale e verificatene l’aderenza. Continuate a limare fino a che non avrete ottenuto un buon compromesso. I due pezzi verranno incollati con la resina epossidica. Verificate sempre con l’aiuto del goniometro che gli angoli fra i tubi rispettino la pendenza di una bicicletta già assemblata.

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4) imbastite Conclusa la fase di taglio passate all’assemblaggio mediante resina epossidica e stringhe. È importante che i punti di giunzione vengano fermati correttamente e per questo dovrete prima allacciarli fra loro mediante legacci e, in un secondo momento, passare la resina. Per rafforzare ulteriormente il telaio, riempite le canne di schiuma espansa e tappatele con del nastro adesivo alle estremità in modo da costringere la schiuma ad espandersi internamente riempiendo tutta la canna. Dopo aver assemblato le 3 canne portanti il telaio, unite i 4 tubi minori usando i sostegni per la catena che andranno a rafforzare la loro pressione. 5) rinforzate la struttura Ritagliate alcune strisce dai sacchetti di plastica e tenetele a portata di mano. Ora tagliate grossi pezzi di fibra di vetro, carbonio o canapa. Prendete la resina epossidica e stendetela accuratamente sulle giunture del telaio. Avvolgete le giunture con i pezzi del sacchetto e stringete con i legacci in modo da far fuoriuscire la resina in eccesso. Attendete qualche minuto e quando la resina si sarà asciugata (ma non del tutto) togliete il sacchetto e passate a mettere un secondo strato. Questo procedimento uniformerà la superficie. Ripetete questa operazione 6 o 7 volte. Con le stringhe allacciate le parti di congiunzione e rivestite con ulteriore resina. 6) assemblaggio Una volta terminato il telaio di bambù potete inserire le componenti metalliche che fermerete con la colla. Forcella e ruota anteriore, ruota posteriore, corona, catena, pedali, sellino e manubrio.

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RECESSION DESIGN

l’arte di arrangiarsi

Ogni giorno l’uomo si trova sospeso nel limbo delle scelte: ciò che si vuole, ciò che vorrebbe e ciò che nemmeno può desiderare. Tra consumismo esponenziale e risparmio esasperato, è immerso nella retorica di chi ci racconta una crisi economica angosciante, ma che, forse, prova solo a dare un più comodo travestimento a una sempre più grave crisi di idee. Probabilmente il fulcro della questione è saper dire “basta”. Probabilmente ci vorrebbe solo un ritorno alle radici, al necessario: l’etica come risposta al consumismo, alla crisi, alla salvaguardia del nostro pianeta nella produzione e nell’utilizzo dei beni di consumo. Questa è la risposta che ha provato a dare Recession Design, un gruppo di persone e un metodo progettuale nato a fine 2008, e che con il tempo si è ampliato fino a raccogliere, sotto la direzione artistica di Pop Solid con base a Milano, una trentina di professionisti e designer provenienti da diversi Paesi, uniti da una visione comune del design.

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La riflessione sul far-da-sé, ha portato alla realizzazione, di una collezione di pezzi unici, ma ripetibili all’infinito- grazie alla diffusione gratuita di precise istruzioni di montaggio. Il design fai da te diventa così una risposta plausibile alla crisi e al ruolo sempre più riduttivo in cui il disegno industriale rischiava di essere relegato.

Recession Design nasce da un’idea semplice: fare design usando materiali e attrezzi facilmente reperibili sul mercato. Il termine “Recession” significa, in questo caso, operare in condizioni di risorse limitate, non potere contare su tecnologie sofisticate e costose, lavorazioni complesse, materiali difficilmente reperibili e trasformabili.


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Con la crisi economica che impera e non lascia la sua morsa, un progetto come questo dovrebbe spingere anche le grandi aziende ad avvicinarsi a progetti di questo tipo e magari sostenerli. Un’azienda che ha realizzato un sostegno per Recession Design è Brico, la popolare catena di Fai da Te.

che consideravamo ormai inutili, desueti. Certo, tutto questo può essere considerato, per quanto preciso e organizzato, un semplice fai da te. Oppure come una bella finestra spalancata sul futuro. A voi la scelta.

La parola “Design” si discosta dal mondo del design autocelebrativo, che spesso si riduce a sola estetica del prodotto, o peggio ancora al semplice styling.

La differenza la fa inserire il “cliente-creatore” nella catena della produzione e della distribuzione: questo, con la sola mediazione del luogo dove acquistare legno o strumenti, permette di arrivare alla creazione di oggetti di design che, seguendo la classica catena della produzione e distribuzione, non sarebbero pensabili per motivi economici, logistici e gestionali.

Forse la risposta a molti dei problemi che affliggono il quotidiano si nasconde in quegli oggetti

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SAFFA dai cerini ai mobili “riponibili” Si sa che in situazioni di crisi si deve fare di necessità virtù e spesso questo porta ad avere idee, intuizioni, geniali ed è un’intuizione geniale quella che è stata attribuita a Sansone Valobra, originario di Fossano in Piemonte, patriota e carbonaro. Sembra, infatti, che, durante la sua permanenza a Napoli per motivi politici, ideò i cerini, i bastoncini di cera e carta con capocchia a base fosforica. Nonostante l’invenzione di Sansone Valobra fosse del 1828 circa, la vera consacrazione dei cerini avviene a cavallo delle due guerre mondiali, durante il ventennio fascista, che con la politica dell’autarchia, ossia l’autosufficienza economica di un paese che non prevede rapporti economici con l’estero, e quindi la scarsità del legno ha avvantaggiato la produzione dei cerini costituiti come, già detto,di carta mista a cera. Fu, quindi, proprio l’impossibilità di reperire materie prime provenienti dall’estero che orientò a tro-

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vare nuove soluzioni che ha portato alla consacrazione del cerino. La produzione del cerino ha fatto la fortuna di molte aziende, ma una merita più delle altre di essere citata e questa è la SAFFA di Magenta. La SAFFA (Società Anonima Fabbriche Fiammiferi e Affini) grazie alla produzione di cerini è diventata una delle principali industrie del settore, ma ciò che ha sempre contraddistinto la politica dell’azienda è la volontà e la capacità di sfruttare appieno i propri materiali di lavorazione, la capacità di interpretare ricerca e necessità di nuovi materiali. Infatti con i materiali di scarto provenienti dalla produzione di cerini e fiammiferi ha prima creato una linea di arredo, poi il Populit, un materiale edile ottenuto anch’esso dal materiale di scarto dalla produzione di fiammiferi.


T/ AUSGABE 1 DEC 13 La linea di arredo merita particolare attenzione. La SAFFA negli anni ‘40 con la collaborazione dell’architetto e designer Giò Ponti progettò una serie di mobili per la casa e per l’ufficio, particolarmente adatto per il periodo post-bellico perché concepito nell’ottica del minimo ingombro e della fungibilità: nacque così una serie di completa di mobili “riponibili”, cioè smontabili e rimontabili una volta giunti a destinazione.

nimo. Ma non sempre è stato così. Un tempo erano impreziosite da illustrazioni che le rendevano così originali, da aver creato una moda: quella della fillumenia, la collezione, appunto, delle scatole di fiammiferi. Scene di vita nobiliare, sostegno all’esercito in guerra, pubblicità di vari prodotti. Queste e altri temi, dalla fine dell’Ottocento fino agli anni Ottanta, hanno ornato le scatole di fiammiferi. E accanto ai cerini e ai minerva esistevano: i candelotti, i controvento, i fiammiferi a strappo.

Erano prodotti in compensato, disegnati con tagli netti e rigorosi e spigoli vivi, che consentivano alla SAFFA di riutilizzare gli scarti della produzione principale, cioè quella dei fiammiferi. Dai cerini ai mobili “riponibili” passando dal Populit, la SAFFA è l’emblema dell’ingegnosità, della genialità che nasce da situazioni di carenza, di crisi, dove l’atteggiamento migliore è di far necessità virtù. I fiammiferi oggi sono sempre meno utilizzati. E le scatolette in commercio hanno un design ano-

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DESIGN ANONIMO oltre il designer Il Design progetta le cose. L’autore imprime il proprio essere nella forma finita, plasma la materia secondo la propria volontà, projecta la realtà, la “anticipa” andando a rispondere a delle necessità contingenti e non, a delle committenze o al mercato. Nella storia del Design si annovera un’infinità di oggetti, di “cose”, ma non tutti possiedono qualità rilevanti, aspetti che li riconducano agilmente al pensiero di un progettista. Altro è il caso di tutti quei manufatti che brillano tra gli altri, che spiccano per caratteristiche che sanno rispondere alle problematiche poste da concezioni di funzionalità, tecnica, forma, tipologia. Si parla qui di prodotti senza produttori: l’operato è evidente, ma manca l’autore. Sono oggetti di “buon progetto”, cui si attribuisce l’appellativo di anonimo. Design Anonimo quindi, un design che ci circonda, con cui siamo a contatto tutti i giorni e che non si lascia individuare per la perfezio-

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ne con cui si integra con le azioni di ogni giorno, e la capacità di entrare un po’ nel cuore di chi ne è avvezzo all’uso. Si parla di Moka, laptop, telefoni ultraergonomici, cannucce e post-it. Prodotti straordinari con virtù normali. Fanno ciò che devono fare, bene. Sono oggetti che spaziano dal cult object al più banale strumento tecnico. Sono oggetti che devono essere analizzati non con gli occhi di li usa quotidianamente, ma con quelli dell’inventore, per potersi immedesimare nel contesto di necessità, di epoca, di significato proprio dell’oggetto stesso. Puntare l’attenzione su queste caratteristiche e questa tipologia di prodotto anonimo non significa tuttavia minare la stima e l’importanza che è data al ruolo del progettista. Al contrario, si va a valutare più approfonditamente e a valorizzare il suo ruolo per quanto riguarda il processo globale di definizione del prodotto. Nella modernità del consumo la maggior parte degli oggetti di appartiene a questa categoria, e il tema in questione assume particolare rilevanza. Il dibattito riguarda l’opportunità di operare il “disvelamento” dell’oggetto anonimo. Quest’ul-


T/ AUSGABE 1 DEC 13 timo per sua natura perde parte del valore culturale e il fascino dati dalla ricostruzione storica, ma mantiene vivo l’interesse e attrae per la componente auratica di anonimato che lo caratterizza, perché privo di origini e caratteri. Ha senso dunque strappare questo tipo di oggetti dalla loro felice modestia, per nobilitarli in qualche modo e quindi porre attenzione sulla sua forma, rendendola palese e evidente all’occhio del fedele utilizzatore?

Si saprà ancora progettare coerentemente, in linea con le domande del contesto, e ricreare la quotidiana rivoluzione che ci coccola nel vivere di ogni giorno, fatta di oggetti taciturni e perfetti? Parola ai progettisti(anonimi).

Si eleva questo design pragmatico a progetto d’autore, eliminando ogni dubbio di inconscia consapevolezza, eliminando il carattere di mistero e banale genialità che lo pervade. L’uomo è sconfitto, piegato al proprio bisogno di nominare e dominare le cose, di conoscere e classificare. Si torna a parlare di designer e non di prodotto, se ne celebra il lusso e il prestigio, si perde il senso delle cose comuni. Si saprà ancora progettare coerentemente, in linea con le domande del contesto, e ricreare la quotidiana rivoluzione che ci coccola nel vivere di ogni giorno, fatta di oggetti taciturni e perfetti? Parola ai progettisti(anonimi).

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SUPER SMART POCKET POWER

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JR arte per tutti Lui si definisce un “attivista urbano”, o un “photograffeur”, un mix di fotografo e graffitaro. Stiamo parlando di JR, artista parigino. È famoso per i ritratti giganti in bianco e nero di persone comuni con cui tappezza i muri delle città, i tetti delle favelas, i ponti e i treni. In questo modo “umanizza” l’ambiente urbano portando in primo piano le facce di chi vive in quegli spazi. Sono azioni globali in cui gli stessi protagonisti diventano collaboratori. Come nel caso di “Inside Out”, la campagna globale organizzata in seguito all’assegnazione del TED Prize nel 2011. Ha iniziato la sua carriera artistica a 15 anni nella scena dei graffitari di Parigi: dopo aver trovato una macchina fotografica 28 mm in una metrò di Parigi, decise di documentare le avventure dei suoi compagni nella metropolitana e sui tetti, stampare le fotografie e incollarle per strada. Dal 2005 inizia a farsi notare dalla stampa e dai mass media grazie al progetto dal titolo “28 Millime-

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ters, Portrait of a Generation”, in cui fotografa con la sua 28 mm, gli abitanti dei sobborghi parigini di Clichy-sous Bois e stampa i loro ritratti, su poster che incolla illegalmente sui muri del centro di Parigi. Attraverso i volti di una generazione relegata nel ghetto, JR vuole attirare l’attenzione dei passanti sulla difficile situazione degli abitanti della banlieue di Clichy-sousBois, luogo che diventerà, poco dopo, scenario di rivolta.

Nel 2007 è andato in Medio Oriente per fotografare Israeliani e Palestinesi nel progetto “Face 2 Face”. Ha ritratto persone di entrambi i popoli che facevano lo stesso lavoro e le ha esposte l’una a fianco all’altra sul muro che li divide, facendo notare che non erano poi così diversi. Il passo successivo è stato un tributo alle donne: “Women Are Heroes”, un progetto realizzato in paesi in via di sviluppo e in zone afflitte da conflitti. JR ha fotografato i volti e gli occhi delle donne


T/ AUSGABE 1 DEC 13 e li ha incollati sui tetti, sulle scalinate, sulle facciate delle case. Lo ha fatto a Rio de Janerio, in Sudan, Sierra Leone, Liberia, Kenya, portando l’arte tra le persone e favorendo la comunicazione al di là dei media tradizionali. L’approccio generale di JR è far coinvolgere la comunità in cui vuole sviluppare il suo progetto, far sentire le persone protagonisti e partecipi.Il suo lavoro unisce l’arte con l’azione trattando temi come l’impegno, la libertà, l’identità.

cino di un venditore ambulante. Ma anzichè vendere panini e bibite l’artista francese distribuiva forografie in grande formato. I suoi soggetti potevano scegliere se portarsi a casa il proprio ritratto o incollarlo per strada con gli strumenti prediletti di JR: un pennello e un secchio di colla. In un’ intervista, in cui gli viene chiesto come sceglie le destinazioni nel mondo, egli risponde che prende la sua decisione perchè vede posti in tv che vuole vedere con i suoi occhi. Va sempre in luoghi in cui è successo qualcosa nello stesso anno.

Uno dei suoi obiettivi quello di catturare l’attenzione di persone che tipicamente non vanno nei musei. E’ interessante vedere come l’arte invade le strade e come molte barriere sono state abolite. Gli artisti escono dalle gallerie e dai musei per usare gli spazi urbani perché l’arte può apparire ovunque, in posti dove tutti possono vederla e goderne. Uno degli ultimi lavori di JR è stato a Times Square, New York, in quello che sembrava il furgon-

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New Delhi, India 2008 Women are Heroes


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67 Heroes Kibera Slum, Kenya, 2009 Women are


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Shangai, China 2012, The wrinkles 69 of the city


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Shangai, China 2012, The wrinkles of71the city


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The Wrinkles of the City, Berlin 73 2013


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75 Project Times Square, New York 2013 Inside Out


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I’M DIYIIING! 77


10x10 low cost housing Nel 2008 Design Indaba decise di lanciare una sfida ai diversi progettisti: intervenire con un progetto all’interno di abitazioni precarie. Nasce così “Design Indaba 10x10 Low-Cost Housing Project” il cui scopo era di proporre ed utilizzare un nuovo metodo costruttivo che consentisse, con risorse economiche limitate, la realizzazione di confortevoli unità abitative monofamiliari, in tempi rapidi e con il contributo della popolazione stessa. La proposta fu subito accolta dallo studio sudafricano MMA Architects che decisero di intervenire a Città del Capo, nello specifico in Freedom Park, uno dei 200 slum della zona metropolitana che, in circa centomila abitazioni ospita mezzo milione di persone, il 60% della popolazione della capitale attualmente residente in baracche. Dovendosi confrontare con il tema dell’edilizia abitativa a basso costo il primo problema di cui occuparsi per lo studio MMA Architects è stato quello di identificare un metodo costruttivo alternativo a quello che tradizionalmente vie-

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ne utilizzato negli abitati informali, africani e non solo, che si basa sull’utilizzo di mattoni o blocchi in calcestruzzo. Questa tecnologia, seppur di realizzazione piuttosto semplice, ha dei costi a volte eccessivi per la popolazione. La scelta più appropriata è sembrata quella di un telaio strutturale in legno con travi metalliche riempite con sacchi di sabbia fissati tra loro. La vera innovazione sta proprio nell’utilizzo della sabbia e delle sue proprietà; infatti i sacchi di sabbia permettono alla casa di rimanere calda d’inverno e fresca d’estate, d’inverno isolano e non permettono all’umidità di passare poichè viene assorbita, e d’estate rimane fresca perchè la sabbia non conduce il calore. Questo progetto propone una soluzione economica permettendo alla comunità di partecipare attivamente alla costruzione delle proprie case. I partecipanti venivano infatti consultati ed educati riguardo a questo nuovo utilizzo di materiali. La scelta più appropriata è sem-


T/ AUSGABE 1 DEC 13 brata quella di un telaio strutturale in legno con travi metalliche per garantire una buona resistenza a trazione e tamponato con sacchi di sabbia fissati tra loro con filo spinato. Dal punto di vista del comfort termico e acustico, questa tecnologia ha un’ottima funzionalità dovuta all’inerzia della massa di terra e garantisce stabilità grazie al peso dei sacchi riempiti, a fronte di una realizzazione quasi totalmente portata a termine dalla popolazione stessa e con un fabbisogno di energia elettrica praticamente azzerato richiedendo la struttura quasi esclusivamente lavorazioni manuali. Essendo inoltre quasi totalmente assemblata a secco, i tempi di realizzazione sono evidentemente più rapidi; l’unica parte che necessita di una fase di asciugatura è l’intonacatura esterna a protezione dei sacchi.

pensato e, grazie all’utilizzo di fogli di policarbonato traslucido, viene garantita l’illuminazione interna. Ciò che il team di architetti è riuscito a fare è ottenere qualcosa di necessario e utile con una soluzione semplice, nuova e alla portata di tutti. Uno dei principali scopi di 10x10 Housing Project è quello di creare un futuro migliore e aprire un dibattito ancora più grande riguardo alla costruzione di case a basso costo. Tutto ciò è la prova che anche i problemi più difficili possono essere risolti dalla volontà delle persone.

Per realizzarla, questi vengono preventivamente bagnati in modo da permettere all’intonaco una migliore presa che costituisce una struttura collaborante e quindi più resistente. Per ridurre ulteriormente i costi, le pareti interne sono realizzate in pannelli di com-

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