Laboratorio 07

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Le linee del visual design

Ladislav Sutnar

La grafica italiana di oggi vista da Giovanni Anceschi: dalla “pittura utile” all’Art Director come regista

>pag 4 Il progetto di libri e cataloghi Le visioni del futuro

Aldo Colonetti Sembra che finalmente in Italia si stia passando a una concezione più equilibrata delle discipline progettuali, in cui l’architettura, design, graphic design trovano ciascuno un proprio riconoscimento autonomo, senza rapporti di dipendenza gerarchica. Questa nuova atmosfera, secondo giovanni Anceschi, è testimonianza di un evento di grande importanza teorica e culturale: la promulgazione della carta del progetto grafico. La grafica – che è il materializzarsi della comunicazione – è dappertutto: trasporti, servizi sociali, politica, sport, cultura, scienza, mercato, tempo libero, , media, editoria; e finalmente è entrata a

Italo Lupi

>pag 6 La grafica realistica di Italo Lupi Look of the city

pieno titolo anche nel curriculum universitario: evento emergente nel panorama della grafica italiana è, per Giovanni Anceschi, l’apertura del corso di laurea in Disegno industriale: “In esso è esplicitamente previsto un settore dedicato alla progettazione delle comunicazioni visive: d’ora in poi in Italia ci si potrà laureare in visual design e accedere ai più elevati livelli di formazione e di qualifica scientifica, rappresentanti dal dottorato di ricerca in DI (uno dei pochi esistenti al mondo)”. Ma il risveglio delle comunicazioni visive in Italia è fondato anche sulla vitalità di una linea culturale che non corrisponde ad una corrente stilistica e formale. > pag 2

a. 1 n. 1 venerdì 06 luglio 2007

Grafica affrancata

Gianni Sinni In molti paesi è ormai assodato un concetto che fatica qui da noi, in Italia, ad affermarsi – e delle ragioni di ciò abbiamo più volte discusso. Il design, e nella fattispecie il progetto di comunicazione visiva, costituisce un valore economico tangibile e misurabile. Un plus che costituisce un investimento remunerativo per le aziende ed enti sia in termini economici che in termini di competitività (un tema su cui presto torneremo per presentare la ricerca realizzata dal Design Council londinese). In riconoscimento del contributo dato dai grafici canadesi all’economia nazionale e alla costruzione dell’identità nazionale, le poste canadesi hanno emesso un francobollo, in distribuzione dal 16 agosto, che commemora i 50 anni della Gdc, l’associazione dei Graphic Designers of Canada. Sotto il titolo “Designing Canada for 50 years / 50 ans de graphisme au Canada”, l’immagine scelta rappresenta un ca-

storo disegnato utilizzando elementi tipografici, da cui emergono le tre lettere della sigla dell’associazione, e che costituise un rimando multiplo alla storia della grafica e della filatelia. Il castoro vuole richiamare il primo francobollo canadese, emesso nel 1851, che riproduceva proprio il tipico roditore delle foreste, mentre il carattere utilizzato è il Cartier disegnato dal canadese Carl Dair. Il design del nuovo francobollo è stato realizzato dallo studio Ion

Design di Vancouver che è riuscito nell’intento di creare un’icona che riesce a comunicare al grande pubblico cos’è il graphic design e, allo stesso, tempo, non banalizza la ricerca grafica e tipografica. La consacrazione filatelica forse può essere percepita come una forma di riconoscimento arcaico (soprattutto oggi che i francobolli tendono ad essere sostituiti da concorrenti digitali), ma continua ad essere un segno tangibile di stima sociale.

Progetto grafico: il tempo, l’informatica, la lettura

Mario Piazza

I nuovi strumenti di lavoro cambiano,oltre che il ruolo del grafico, anche il suo sguardo, e perfino lo sguardo del lettore; il ritardo italiano nella diffusione delle nuove tecnologie riuscirà sa trasformarsi in una nuova identità >pag 3

Non si può non comunicare Non a caso, il titolo di questo libro termina con un punto interrogativo, con il più sinuoso e allertante dei segni d’interpunzione. Un segno unico, questo ? in copertina, indispensabile per dare significato al tutto, e allo stesso tempo plurale, per instillarci il dubbio che di significati veramente possa essercene soltanto uno. Paiono evidenti, infatti, almeno tre ? e ad essi – però sostanziali – si limitano questi svelti appunti, per non tediare vanamente il lettore. 1, un punto interrogativo sulla comunicazione. 2, un punto interrogativo sulla sostanza della comunicazione. 3, legittimamente, anche un punto interrogativo sulla stessa natura e forma di quanto avete tra le mani or che leggete, ossia: questo, che libro è? >pag 2


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riflessioni sulla grafica

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Non si può non comunicare di Sergio Polano < pag 1 La comunicazione è un problema contemporaneo, forse il problema che meglio identifica il nostro tempo. Fatto sta che comunicare è un termine ambiguo, in senso problematico: significa tante cose, ma tutte insieme non stanno. Perciò è un problema. In sintesi estrema: comunicare (spiega l’etimologia) è sia ‘mettere in comune’ sia ‘subire assieme un’autorità’. La comunicazione oscilla, insomma, tra poli estremi: tra il partecipare di una condivisione e l’essere sottoposti all’azione altrui. Comunicare è conflittuale incertezza tra dialogo e manipolazione, tra scambio e imposizione. Volenti o nolenti, con la comunicazione tocca convivere: ‘non si può non comuni-

care’, secondo il ben noto assioma della scuola di Palo Alto. Sulla sostanza della comunicazione esiste una sterminata letteratura, una teorizzazione ricchissima, affascinante e molteplice, che ha impegnato alcuni dei migliori ingegni del novecento, in specie nella seconda metà del secolo trascorso, negli ambiti più diversi dei saperi umani, dalla filosofia alla semiotica alla psicologia cognitiva – e l’elenco delle discipline non è certo completo. Al di là di tutto, però, il ronzio sterminato e interminato della comunicazione, necessità e lusso, implacabile sottofondo del quotidiano a cui non possiamo sottrarci, in questa parte privilegiata del mondo impone un’altra domanda, a chi con noi comunica: almeno, hai davvero qualcosa da dirmi? Guardiamolo bene, riguardiamolo con attenzione questo libro. Un libro di comunicazione visiva? Non si può negare che si vedono sostanzialmente figure; certo non lo si legge nel senso di un testo verbale, quale tradizionalmente è un libro. Ma se è un libro da vedere, a che serve scriverne: ‘vanamente si cercherà di dire ciò che si vede: ciò che si vede non sta mai in ciò che si dice’, ha spiegato una volta per tutte Michel Fou-

cault. Dunque uno scarto, ineliminabile, tra questi miei appunti e il resto. Allo stesso tempo, una felice confusione: questo libro confonde, cioè fonde assieme, rimescola le carte in gioco e rimette in allegra discussione la trama della tradizione. Il rinnovarsi delle cose, dei discorsi (verbali, visivi o altro che siano) può filtrare – almeno, così parrebbe – soltanto attraverso sottilissime fessure, ove il nuovo, l’altro, il diverso quasi si nasconde, per candido pudore o per falsa inverecondia non saprei. Guardiamo ancora: una sequenza ininterrotta e assieme discontinua di disegni, in pagine di segni che parlano di sé e, intanto, ci chiedono come e perché comunicare per segni. Una babele di idioletti, che restituiscono, in una discordante polifonia, il comune desiderio dei loro autori di mostrare (nuovi) significati condivisibili nell’esperienza quotidiana. Se per poesia si intende l’espressione dell’inaudito, della parola mai prima ascoltata eppur pronunciabile, si potrebbe ritenere che questi disegni siano immagini dell’invisibile, grafie di un mai prima visto eppur rappresentabile. Un libro d’arte - ma quale arte?

Le linee del visual design di Mario Piazza < pag 1 Anceschi la definisce come “equidistanza dall’accademia del quadratino e del modulino (di osservanza svizzerotedesca), dall’accademia del segnaccio e della tache (di ispirazione franco-ispanica), e dall’eccesso ipericonico (di provenienza anglo-americana)”. E a favorire la fioritura degli interessi che gravitano intorno alla grafica e alla comunicazione visiva contribuisce anche un altro dato: “Le tecnologie e le circostanze sociali fanno ormai sì che

la visione distolta che faceva dei risultati del product design e della grafica qualcosa da trattare impiegando le categorie dell’artistico sia stata azzerata. Gli artefatti del design non sono più sculture utili né tanto meno sono pitture utili i risultati della grafica; il mondo oggi non può intendere il design altrimenti che come il progetto (anche estetico o meglio multisensoriale) di processi e comportamenti. Fluidità da governare più che definizione più o meno monumentale di forme director (art director) significa ‘regista’.

Oggi sanno fare del buon design, e soprattutto del buon design visuale, soltanto i progettisti che capiscono il divenire e amano cavalcare l’interazione”.Qualche esempio di questa capacità di coniugare le “due dimensioni” con la quarta dimensione, quella del tempo? “La capacità di modulare il libero comportamento dei visitatori (come è esemplificato dal lavoro ormai classico di orchestrazione di Pierluigi Cerri al Lingotto di Torino, o da quello di Italo Lupi alla mostra veneziana sulla rappresentazione dell’architettu-

ra nel Rinascimento), oppure di produrre una grafica informativa che sa stare al passo con l’evento (il TG2 di Massimo Vignelli, per esempio, o la Grafica televisiva per i Campionati mondiali di calcio di Mario Convertino). Ma anche la capacità di attivare e di plasmare l’interazione educativa (come nel lavoro pionieristico di Bruno Munari, o nel sottile approccio concettuale di Renate Ramge Eco, e, in modo completamente diverso, negli interventi del grafico redattore - o meglio grafico animatore - Gianfranco Torri). O ancora la competenza

di far muovere la mente nella profondità del virtuale (come avviene nel design interattivo del percorso cognitivo delle interfacce di Daniele Marini o di Giovanni Baule). Oppure anche la capacità di pensare l’interazione in termini di storyboard (come nelle interfacce fotorealiste di Daniele Bergamin o di pensare la videografica in termini di metamorphing (come nel lavoro di Piero Cecchini); la progettazione di un’estrema adattabilità del sistema grafico (come nel programma di lettering per logotipi studiato da Pieraccini per seguire

le infinite trasformazioni della galassia Olivetti), o la cura per la coreografia dell’interazione di acquisto (come nei packaging di Valeria Bucchetti)”. Il design grafico, insomma, non è più mono-, bi- o tridimensionale: vuole dare forma allo spazio in funzione del divenire e della temporalità in funzione, cioè del corpo degli uomini. > In alto: quattro momenti della sequenza realizzata da Piero Cecchini per la sigla della trasmissione La scheda di Telepiù1 (1991). > Sotto: due pagine della rivista inglese octavo (1990).


riflessioni sulla grafica

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Effetti speciali nel progetto grafico di Mario Piazza < pag 1 In questi anni, con l’avvento di strumenti e di tecnologie fortemente innovative per la progettazione grafica, abbiamo assistito alla proliferazione di linguaggi visivi che hanno di fatto cambiato il panorama della grafica. La maturità delle professioni legate alla trasmissione visiva di informazioni o alla comunicazione con finalità persuasive ha coinvolto accrescendone il numero, i progettisti grafici, molti dei quali hanno alle spalle percorsi educativi ben strutturati e in sintonia col mutare dell’innovazione tecnologica. Le riviste di design e di grafica, molte uscite negli ultimi anni, sono la testimonianza dell’ampliamento di un mercato e dell’effervescenza creativa e della passionalità di una ricerca nel pro-

getto che coinvolge ormai una moltitudine di soggetti. E testimoniano anche una situazione in cui alla proliferazione dei linguaggi visivi consegue una lotta di genericità o anonimato dell’autore. La figura dei progettista come maestro, oggetto di culto e dotato di forte carica carismatica, viene sostituita da situazioni di lavoro indifferenziate, che si muovono nel campo progettuale all’insegna di una ricerca che vede la sperimentazione sul linguaggio come momento primario, come scopo del progetto. Mentre il funzionalismo, come teoria progettuale, affermava valori di semplicità di linguaggio e la necessità di organizzare razionalmente le informazioni da trasmettere e comunicare - argomenti fortemente strategici ai modello di sviluppo industriale - la nuova grafica si presenta quindi come campo di

ricerca sperimentale. Luogo dove avviene la sperimentazione, il cui contesto è innanzitutto autoreferenziale. I nuovi linguaggi esistono in relazione ai contenuti e al campo della grafica, guardano alla grafica come soggetto, e si pongono come superamento antagonistico alla formalizzazione dei contenuti della grafica razionale e costruttiva, vista come un modello rigido, che ingabbia in una forma codificata nel tempo e dal sapore insipido e indistinto. Pur di assolvere a questo ruolo di ricerca dell’innovazione permanente, la nuova grafica non teme di porsi in atteggiamento debole nel confronti dell’industria e delle esigenze della comunicazione d’impresa, limitandosi a lavorare per nicchie, per quelli che considera gli happy few di un mercato che ha come presupposto quello di essere in sintonia con la sperimentazione

dei linguaggio. È per questo che le aree e le esperienze più significative hanno valore “all’interno” della grafica, e non per come comunicano messaggi. La rivista di surf o a rivista di cultura, o la rivista di grafica sono solo il territorio dove si visualizzano e si rendono corporei gli “esercizi” della nuova grafica. La figura dell’ ‘esercizio’ è centrale per la comprensione del mutamento nella nuova grafica. Esercizio inteso come difficile sfida verso un’invenzione strutturale, formale, tematica che attraversa e stravolge il corpo del progetto. Così che l’esito e il fine della progettazione vengono colti solo all’interno di questo ambito, in cui l’invenzione del linguaggio gareggia o addirittura si astrae dai contenuti da comunicare e trasmettere. Le tecnologie hanno reso questo processo progettuale ‘facile’ e ‘vicino’.

forte istanza di tipo persuasivo, sia necessario riguardare, da un lato, il valore costruttivo della cultura verbale-tipografica, e dall’altro riprendere ricerche più avanzate in ambito artistico, là dove sono state sconvolte le regole tradizionali delle composizioni di matrice gutemberghiana; solo attraverso questa doppia consapevolezza è possibile, forse, rinnovare il patrimonio semantico

come una serie di scatole cinesi, il ruolo del visivo registrato sulla forma del verbale, rappresenta una giusta e salutare controtendenza nel segno, in questo caso, si ha una più accessibile controllabilità da parte dell’interprete. Sembra emergere, anche nella comunicazione pubblicitaria, questa esigenza di ordine, di chiarezza: non sono rari annunci pubblicitari su carta patinata dove, nei grandi

delle parole e delle immagini. Esiste una forte tradizione nella grafica italiana attenta alla problematica del “verbale-visivo”: Franco Grignani, Giancarlo Iliprandi, Pino Tovaglia, Italo Lupi e molti altri ancora. Non è solo un’esigenza progettuale che deriva dalla necessità di fondare il linguaggio grafico sul rispetto del lettering; esiste una particolare attenzione alle potenzialità espressive della parola, intesa sul piano della visibilità. Nella tendenza sempre più dominante di una spettacolarità affidata ad immagini separate dalla loro più consueta e consolidata referenzialità, all’interno di una serie infinita di infrazioni per cui il significato ultimo è da riportare ad un altro significato e così via

spazi dei bianchi, galleggiano con austera sicurezza i corpi dei caratteri, quasi a indicare un ritorno alla scrittura, spodestando il ruolo dominante della figura. È una grafica concettuale questa, senza sposare totalmente la rarefazione del gesto e della forma, tipica dell’arte concettuale più avanzata e più risolta sul piano formale. Il rapporto tra verbale e visivo è collocato in un’area dove l’interscambio segnico è produttore di nuovi significati, impensabili se continuiamo a separare nettamente i due linguaggi: “l’immagine possiede una gamma di significati che è sempre molto più ricca rispetto a quella del suo codice d’appartenenza tradizionale, in genere più comune

e più vicino alla cultura dell’interprete. Quando questi legami vengono meno, viene a mancare anche la comunicazione o viene a mancare il significato desiderato, come avviene con la parola e il linguaggio verbale”. A questo proposito Ernst Gombrich riporta un episodio indicativo della complessità del rapporto parola-immagine: “alcuni anni fa i giornali raccontarono che in un paese sviluppato erano scoppiati disordini dovuti alla voce che in un grande magazzino si vendeva carne umana. Questa storia fu poi spiegata facendola risalire a scatolette di carne sulla cui etichetta c’era un bambino sorridente. Era questo intervento del contesto che aveva provocato la confusione. Di norma il contenuto di una scatoletta è indicato dall’immagine di un frutto, di un legume, di un tipo di carne; se noi non traiamo la conclusione che lo stesso meccanismo si applica alla figura di un essere umano riprodotta in una scatoletta, è solo perché escludiamo in partenza questa possibilità”. Nel caso ricordato da Gombrich se ci fosse stata una scritta verbale non sarebbe avvenuto l’errore interpretativo: la parola avrebbe parlato con maggior chiarezza e, soprattutto, con maggior realismo rispetto all’immagine. È per questa ragione che un uso più corretto del verbale, anche quando tradizionalmente si affida all’immagine come il segno più realistico e/o, come tale, ritenuto più persuasivo, gioca comunque nella direzione di un realismo più controllabile, quasi ad affermare che il verbale non può tradire.

Verbale e visivo di Aldo Colonetti La grafica, come ogni altro tipo di scrittura, è un testo che, per alcuni studiosi di linguaggio come Roman Jacobson, si oppone al discorso: l’espressione orale è il fatto primo, mentre la scrittura non sarebbe che una derivazione, una traduzione della manifestazione orale. Nell’economia delle comunicazioni visive il ruolo di una scrittura sempre di più codificata in modelli rigidi ha condizionato l’apertura dei significati nella direzione di un rapporto reciproco, dinamico, tra emittente e ricevente, dove con il termine emittente s’intende l’insieme delle immagini e delle parole che costituiscono il nostro orizzonte semantico. Mentre le immagini, nonostante il fatto che l’ossessiva ripetitività di alcuni repertori visivi limiti altri itinerari iconografici, possiedono una buona dose di ambiguità sul piano dell’interpretazione e quindi della complementarietà simbolica, il testo verbale, invece, rassicura e àncora ogni nostro possibile dubbio all’interno di codici fermi o, comunque poco flessibili, in modo tale da rappresentare l’imperatività, ma anche la referenzialità, di qualsiasi discorso che potrebbe essere letto e avvicinato attraverso altri codici. ”Il registro verbale ha la funzione precipua di ancorare il messaggio, perché spesso la comunicazione visiva appare ambigua, concettualizzabile in diversi modi. Tuttavia questo ancoraggio non si realizza sempre in modo puramente parassitario. Infatti può verificarsi una omologia di soluzioni o una discordanza totale: con immagine a funzione estetica e testo a funzione emotiva; o con immagine che procede per semplici tropi mentre il testo introdu-

ce luoghi; o con immagine a funzione metaforica e testo a struttura metonimica; o con immagine che propone un luogo argomentativo e il testo che lo contraddice”. Forse le condizioni della comunicazione visiva sono in parte cambiate rispetto all’analisi dei codici pubblicitari condotta da Umberto Eco nel 1968: l’eccedenza iconica ci costringe a riconsiderare il ruolo del verbale, come una sorta di critica del visivo ma anche d’istanza della chiarezza là dove domina soprattutto una logica comunicativa affidata ad una gioiosa spettacolarità di superficie. Questo non significa un appiattimento del visivo sui registri verbali, in modo tale da controllarne gli sviluppi emotivi ed estetici del messaggio, ma rappresenta un’esaltazione degli aspetti più razionali e quindi più controllabili, dei linguaggi messi in atto all’interno di immagini complesse. Il problema del rapporto tra verbale e visivo appartiene alla storia delle comunicazioni visive, ma è soprattutto nei manifesti teorici e nelle dichiarazioni d’intenti programmatici dei movimenti d’avanguardia del ‘900 che si presenta in termini maturi una serie di tentativi teorici e pratici, finalizzati all’ampliamento e all’approfondimento del ruolo dei due registri: “è appunto in queste occasioni che si avanzano le prime ipotesi di una ricerca sistematica sui rapporti tra aspetto verbale e aspetto visivo in un testo artistico, all’interno di una più generale concezione dell’arte come momento di conoscenza totale e integrale”. Per quanto riguarda la progettazione grafica rivolta al mercato, e quindi con una


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Ladislav Sutnar

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9.11.1897: 1915-18: 1918-23: 1921-30: 1926-39: 1929: anni ’30: 1932-39: 1939:

nasce a Pilsen, in Boemia; è al fronte durante la Grande guerra; studia alla scuola di arti applicate di Praga; progetta giocattoli, marionette, scenografie; progetta libri e pubblicazioni; progetta installazioni per oltre una quarantina di mostre; diviene art director per l’editore Družstevnì Práce (lavoro cooperativo) e per lo studio grafico Krásná (stanza delle meraviglie); progetta oggetti e servizi da tavola in vetro e porcellana, posaterie, articoli tessili e oggetti in metallo; dirige la scuola di arti applicate di Praga; mentre si trova a New York per curare il padiglione cecoslovacco all’esposizione universale, le armate di Hitler invadono e annettono il paese; passerà il resto della propria vita negli Stati Uniti;

1941-60: 1943-61: anni ’50: 1956-70: 1961: 1964: 1960-70: 18.9.1976: 2001:

art director per l’azienda Sweet’s catalog Service; pubblica una serie di articoli e libri su information design, progettazione editoriale (copertine) e la disposizione di merci nei punti vendita; cura l’identità di numerose aziende americane, progetti di segnaletica e la rivista di ecologia Power; lavora per Radio Free Europe e cura la veste grafica della rivista Svêdectvì (testimonianza); mostra itinerante e volume Visual design in Action; ridisegna gli elenchi telefonici americani; si dedica prevalentemente alla pittura; si spegne a new York; la Repubblica Ceca gli attribuisce un riconoscimento postumo.

Il progetto di libri e cataloghi di Alessandro Colizzi Nella didascalia per uno dei suoi libri illustrati Sutnar scriveva: “La disposizione grafica conferisce al volume ordine e disciplina, facendo sì che il testo segua le illustrazioni secondo un ordine preciso, che superfici chiare e scure si alternino secondo un determinato ritmo, che a immagini piccole seguano immagini più grandi, che a immagini dell’insieme seguano immagini dei dettagli. Il tutto ha una disposizione a sua volta preceduta da uno schizzo preliminare (…)”. I libri illustrati rispecchiano assai bene l’esperienza creativa di Sutnar, ovvero quel suo senso per l’azione, il ritmo e il tempo che gli venivano dalla sua attività di scenografo per il teatro di marionette Drak, il Teatro nazionale e le “Olimpiadi dei lavoratori”. Da buon rappresentante dell’avanguardia Sutnar era un fervente ammiratore del cinema, e il suo lavoro

grafico tradisce la nozione di montaggio cinematografico. I libri da lui progettati erano una sorta di manifesto della nuova concezione spaziale: uno spazio aperto e dinamico, in movimento, visto dall’alto. La relazione fra spazio e tempo stimolava anzi il suo interesse per l’architettura, tanto da dedicarsi alla promozione di pubblicazioni e all’organizzazione di eventi riguardanti la casa moderna, grazie all’esperienza acquisita di prima mano sia nella costruzione della propria dimora a Baba (un quartiere di Praga), sia con le grandi installazioni per mostre da lui curate. Fra i pregevoli libri di narrativa merita l’attenzione l’edizione a stampa della conferenza di Pavel Eisner intitolata Franz Kafka & Praga (1950), dove il lungo fluire del discorso si riflette nel testo ininterrotto composto rimuovendo tutti gli a capo, introducendo però, a spezzare la monotonia della pagina, dei titoli fra parentesi quadre

che riassumono il riassunto del paragrafo che segue. Nella progettazione dei cataloghi americani Sutnar non abbandonò il principio che aveva fatto proprio durante gli anni in Cecoslovacchia, ovvero il “massimo risultato col minimo dei mezzi”. Fu il primo in America a sfruttare lo spazio orizzontale della doppia pagina per organizzare la serie di informazioni secondo una concezione dinamica della lettura. Ogni sua doppia pagina stimola il lettore a una prima lettura complessiva, per concentrarsi solo in seguito sui dettagli necessari (analogamente al principio che oggi informa la progettazione di siti web). Tant’è che quei cataloghi sono considerati il fondamento di quello che oggi si chiama information design e continuano ad affascinare per il loro sapiente equilibrio fra la rigida logica di una struttura gerarchica e l’invenzione in senso astratto.

> ai lati copertina e doppia pagina del triplo romanzo The loney Rebels di Egon Hostovsky. Museo di arti applicate, Praga.

>sotto pagina interna del catalogo New Addox, cooper Hewitt, 1960, National Design Museum, Praga


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Le visioni del futuro di Alessandro Colizzi Il messaggio che Sutnar tentava di far passare era: con gli strumenti della comunicazione visiva sforziamoci di risolvere i problemi della società, nell’interesse del progresso e della nostra stessa sopravvivenza. Sutnar viveva il proprio mestiere in termini sociali e futuristici, e aspirava alla creazione per mezzo della tipografia di valori e qualità assolute che servissero la società in maniera intelligente, stimolante, universale. Aveva del mondo una concezione dinamica, e tentava di anticipare gli sviluppi a venire; apparteneva a quella generazione di designer ossessionati dall’idea del futuro, capaci in un certo senso di “sentir crescer l’erba”. E proprio dall’incontro con uno dei massimi pensatori dell’epoca, Buckminster Fuller, nacque una

splendida pubblicazione dal titolo “Transport: next half century” (1950) che per ironia della storia è stato poi dimenticato come semplice materiale promozionale per una stamperia, mentre si trattava di un gesto di generosità da parte di una società incapace di cogliere l’impalpabile. Inutile dire che analogo destino attendevano le previsioni di Sutnar circa il computer e l’era dell’informazione, da lui annunciate per la prima volta proprio nell’intervento del 1959. “Il mondo si fa ogni giorno più circoscritto e appare sempre più evidente un nuovo senso di interdipendenza globale, e con essa la necessità di un’informazione visiva universalmente comprensibile. Simili sviluppi richiederanno nuovi tipi di informazione visiva, sistemi semplificati, forme e tecniche migliori; il che

stimolerà la messa a punto di apparecchi capaci di processare, integrare e trasmettere informazioni. Tali progressi influenzeranno senza dubbio la progettazione di comunicazione visiva per il consumo domestico” Ma chi fra il pubblico presente al TDC di New York poteva immaginare, nel 1959, cosa sarebbe stato un giorno un personal computer? I più si chiedevano al limite se la tipografia fosse arte o mestiere, e non sorprende dunque l’assenza di una qualunque reazione alle profetiche visioni di Sutnar, così astruse e categoriche.Ispirandosi a Karel Teige, che nel 1934 aveva presentato la sua mostra di lavori grafici, Sutnar predice che il tipografo/grafico di domani dovrà superare gli attuali limiti della professione, assumendo di volta in volta il ruolo di architetto, redattore, ar-

tista…Il grafico al servizio di una società in forte espansione non può più avvalersi unicamente di mezzi tipografici. Ecco che la grafica non è più mera professione, ma prima di tutto un atteggiamento nei confronti dell’ambiente: egli fu tra i primissimi, agli albori degli anni ’50, a lavorare a progetti ecologici. Accanto alla preoccupazione crescente circa “l’inquinamento visivo” e l’inflazione grafica, Sutnar aveva le idee chiare anche sull’ecologia del design: compito di un operatore visivo è anche quello di adoperarsi per diffondere un atteggiamento ecologico, dato che da esso dipende la sopravvivenza dell’umanità.

> in alto segnale di orientamento per il Meadowbrook Hospital e la Brookliyn School, 1966. Cooper Hewitt, National Design Museum, New York. > a destra parte di un volantino per la società Vera, 1958-59. Cooper Hewitt, National Design Museum, New York. > a lato segnale di uscita per il Meadowbrook Hospital e la Brookliyn School, 1966. Cooper Hewitt, National Design Museum, New York.

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Italo Lupi

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1934: 1958: 1972: 1974: 1980:

nasce a Cagliari; si laurea in architettura al Politecnico di Milano; per alcuni anni è assistente di P.G. Castiglioni; inizia l’attività professionale come consulete grafico dell’ufficio sviluppo della Rinascente, dedicandosi in modo particolare al settore della comunicazione visiva. Progetta inoltre la grafica per le riviste “Progex”, “Shop”, “Zodiac”, “Rivista IBM”, “IF”, “Contre temps”, “Pubblicità domani” e “Aspenia” di Aspen Congress; nuova concezione di allestimento “grafico” espressa nella mostra “Rinascimento: da Brunelleschi a Michelangelo” (1974, Palazzo Grassi, Venezia), progettata in collaborazione con l’architetto Mario Bellini. progetta l’immagine del Parco lombardo della valle del Ticino, dove tende a integrare

1980: 1983: 1985: 1986-92: 1992-oggi:

i presupposti di una immediata comprensione, e perciò standardizzazione, della segnaletica con la “tipicità” del luogo di intervento. Nello stesso anno diventa responsabile dell’immagine della XVI Triennale di Milano insieme a Alberto Marangoni; responsabile per l’immagine della XVII Triennale di Milano, ne progetta l’allestimento con Achille Castiglioni e Paolo Ferrari; collabora con l’architetto Guido Canali, ideando grafica (segnaletica e marchio) per una nave da crociera e per la Galleria Nazionale di Parma ; art director di “Domus” dove introduce significative innovazioni stilistiche; direttore responsabile e art director di “Abitare”.

La grafica realistica di Italo Lupi

di Giorgio Fioravanti Si potrebbe definire quella di Italo Lupi, una grafica “realistica” nel senso che vi è sempre nell’insieme della sua comunicazione, anche quando utilizza segni astratti, un che di figurativo e una costante

aderenza alla realtà delle cose. “A” sta per “Abitare” (rivista) o Agosto (calendario), così come le lettere di “Belice” nel manifesto della XVI Triennale, collocate casualmente, diventano la versione grafica del terremoto che nel gennaio del 1968 colpì, in Sicilia, la valle omonima. Naturalmente questo non è un limite della grafica di Lupi, sempre ricca di creatività; le A non sono, naturalmente, sempre le stesse, ma si rapportano con il contenuto della rivista o con gli altri mesi del calendario, diventando parte di immagini glo-

bali elaborate secondo ben precise e distinte autonomie. In molti casi sono proprio le lettere alfabetiche – una specie di “enciclopedia dell’alfabeto” – a fornire il materiale di base alla grafica di Lupi; e insieme ad altri segni (figure geometriche, elementi architettonici, segni tipografici) si formano complesse ma nello stesso tempo ben individuabili elaborazioni che si evolvono cercando anche l’illusione di una terza dimensione, sempre presente nelle “manipolazioni” di Lupi per via della pratica che gli viene dall’architettura e dalla pro-

gettazione di allestimenti di mostre ed esposizioni. In altri casi i percorsi sono inversi e si snodano dal “realismo” all’astrazione; per questo nella stesura della comunicazione per The Italian Manifesto, ideata nel 1989 per la 39 th International Design Conference di Aspen, le lettere colorate che compongono il titolo sono spogliate di alcuni elementi (aste ascendenti o discendenti) sino ad arrivare al limite della leggibilità, seguendo una ”procedura” già teorizzata da Bruno Munari in Arte come Mestiere (1966).

> in alto a sinistra pagina di Agosto, del calendario del 1991. > in alto a destra testata per la rivista Abitare.

> a lato copertina di un piccolo catalogo per Sfera, società di produzioni editoriali e tipografiche, 1990.


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Look of the city di Andrea Rauch Abbiamo lamentato, in questi mesi, molte ‘mancanze’ riguardo ai giochi olimpici invernali di Torino. Ci siamo dispiaciuti che non fosse stato previsto almeno un grande manifesto d’immagine, come era successo per tutte le edizioni precedenti, che la fiaccola olimpica somigliasse pericolosamente ad una madonna pellegrina, su e giù per l’Italia con un look da mega-vibratore. Siamo inorriditi di fronte alla pochezza progettuale e al deficit di simpatia e appeal dei due orribili pupazzetti mascotte. Adesso, finalmente, possiamo compiacerci di qualcosa: il Look of the Games e il Look of

the City, ci appaiono, finalmente, all’altezza della situazione: creativi, adeguati all’evento, superiori alle aspettative. Il Look of the City, lo stile grafico e di immagine con cui la città si presentata al mondo, è stato progettato da Italo Lupi, che si è avvalso della collaborazione di Ico Migliore e Mara Servetto. Già il nome dei progettisti è una garanzia. E infatti i grandi pannelli che animeranno la città (otto metri di altezza, rosso cinabro e nero, grafica essenziale,

nessuna concessione al fotocolor né alla pubblicità) si collocano ben dentro la cultura del progetto di cui Lupi è maestro. Una sottolineatura di elementi della città che appare, dai progetti e dai rendering, imponente senza essere pacchiana o volgare. Gli elementi di segnaletica urbana (in particolare gli ‘anemometri’ e gli ‘shangai’ che hanno puntereggiato la città, molti dei quali sono ri-

masti, terminate le Olimpiadi, a segnalare altri eventi cittadini) hanno puntualizzato l’accadimento olimpico, ma hanno anche raccontato di quanto complessa possa e debba essere la lettura di una città importante come Torino, di quante sfaccettature si debba tener conto nel tentativo di riappropriarsi della storia e della cronaca quotidiana di una comunità. Essi sono fortemente spettacolari e ‘invadenti’, pur restando all’interno comunque di un ‘sistema’ rigoroso ed elegante. Alcune concessioni al colore, all’interno però anch’essi di una logica rigorosa (anche se rompe quasi completamente con gli schemi che,

almeno dalle Olimpiadi di Monaco del 1972 hanno caratterizzato la pittogrammatica dei giochi olimpici), le fa invece il Look of the Games. Progettati da un pool coordinato da Andrea Varnier, i pittogrammi e le immagini sportive che costituiscono l’ossatura grafica dell’accadimento, si muovono alla ricerca di un rapporto ideale tra città ed evento. Porzioni di tessuto urbano, astrazioni di architettura, frammenti di immagine affogati spudoratamente nel colore, diventano sport, tensione di muscoli, movimento. “Una fi-

nestra virtuale “ dicono i progettisti “che introduce agli aspetti nascosti della città. La mescolanza dei colori dà vita a toni e sfumature ricchi e innovativi, che riflettono il paesaggio italiano” . “Quello per Torino” scrive Beppe Finessi nella sua prefazione al libro di Italo Lupi, Ico Migliore, Mara Servetto, Look of the City, Torino Olimpiadi invernali 2006, Edizioni Corraini, il libro report del progetto urbano: “è un progetto d’autore che sembra, anzitempo, accompagnare la città verso il nuovo ruolo internazionale che avrà nel 2008, quello di Capitale del Design che con coraggio e ambizione ha cercato, sfilando quel primato alla distratta Milano.”

> in alto foto panoramica dei una strada della città di Torino, durante l’evento olimpico > a lato totem alto otto metri, rosso cinabro e nero con una grafica essenziale, posto i alcuni punti strategigi della città di Torino. > in basso immagini sportive disegnate da un pool coordinato da Andrea Varnier, che costituiscono la grafica dei giochi olimpici.


eventi

Venerdì 06 luglio 2007

Napoli, 15 - 24.06.2007

Milano, 19 - 24.06.2007

Milano, 14.06.2007

Milano 21.06.2007

Venezia 25 – 29.06.2007

Design in Mostra

Good 50x70

Sign01: Autonomatica

...e ora facciamo i type designer

Basicdesign-Lab

Design in Mostra propone un nuovo e più nutrito programma in occasione del cinquantenario della Fiera della Casa. Obiettivo è riportare l’attenzione sulle economie design oriented campane; per questo motivo il design come motore dell’economia italiana e dei settori d’eccellenza produttiva campana sarà il centro di conferenze, dibattiti, mostre e concorsi.

Dal 19 al 24 giugno 2007 la Triennale di Milano ospita, presso il triportico del giardino dello storico Palazzo dell’Arte, Good 50x70, mostra dedicata alle opere vincitrici dell’omonimo concorso internazionale, realizzate da progettisti (graphic designer, art director, copywriter, etc.) provenienti da ogni Paese del mondo. >Per saperne di più: www.good50x70.org

Segnoruvido.comunicazioni visive e Ferrari studio editoriale presentano sign01_autonomatica: l’interazione tra uomo, linguaggi e tecnologie, ha imposto un’accelerazione e una compressione dei flussi di informazioni e conseguentemente un livello di stratificazione e di caos crescente. >Per saperne di più: www.signbox.it

Da una idea di Giancarlo Iliprandi ha preso vita il primo corso di alta formazione in Type Design, organizzato lo scorso inverno da Poli.design, consorzio del Politecnico di Milano, con il contributo di Aiap, Adi e dipartimento Indaco della Facoltà del Design, sotto la direzione scientifica di Giovanni Baule. >Per saperne di più: www.polidesign.net

New Basic Design: Basic Design dell’interazione. Due laboratori coordinati da Giovanni Anceschi, assistenza pedagogica: Nunzia Coco, Pietro Costa, Nicola Vittori. Cristina Chiappini: The body of basics Interface interaction design. Giovanni Lussu: Sinsemie Notazione sinsemica di processi interattivi >Per saperne di più: www.newbasicdesign.it

Bologna, 4.07. 2007

Milano, 5.06 - 15.07. 2007

Milano, 1.06 - 15.11.2007

Austria, 5 - 7.07. 2007

6.07.2007

Exit Strategy

Les yeux ouverts

Colorsdesigner

Vision Plus 12

Il ritorno di Alack Sinner

Terzo giro di boa per “Exit Strategy”, la mostra “itinerante” a cura di Danilo Danisi, nata dai corsi di Informatica ed Informatica per la grafica, facenti parte del più ampio corso di laurea in “Progettazione Grafica” dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. >Per saperne di più: www.fecoonde.org/exitstrategy

La mostra, a cura di Marie-Laure Jousset, direttore del dipartimento Design del Centre Pompidou, presenterà nella sua edizione milanese un nuovo progetto di allestimento: una summa delle diverse anime di Fabrica, luogo di sperimentazione frutto della cultura industriale del Gruppo Benetton. >Per saperne di più: http://www.triennale.it/

Poli.Design ha organizzato il primo Concorso Internazionale per progettare i punti vendita di un’azienda italiana di abbigliamento presente in tutto il mondo.Un’occasione proficua e sfidante per tutti i professionisti che, da diverse prospettive e ambiti, possono confrontarsi con un tema di grande attualità e interesse professionale. >Per saperne di più: www.colorsdesigner.com

L’International Institute for Information Design è il promotore di questa conferenza internazionale multi-disciplinare, dedicata all’analisi dei fattori critici affrontati dai comunicatori di oggi. Il tema di Vision Plus 12 è “measurement”. Come misurare e quantificare l’impatto e i risultati della comunicazione? > Per saperne di più: www.iiid-visionplus.net

Per gli appassionati di fumetto.Il primo volume, edito da Nuages, della raccolta completa delle storie di Alack Sinner, il detective creato a metà degli anni settanta da José Muñoz e Carlos Sampayo. Gli otto volumi della serie, sono stati progettati graficamente da Guido Scarabottolo e le vignette e il lettering sono state ‘restaurati’, secondo le indicazioni di Muñoz.

San Marino, 13 - 21.09. 2007

Assisi, 31.08.2007

Trevi, 13 - 16.09.2007

Roma, 21.07 - 15.09 2007

Milano 07 - 08.2007

San Marino Design Week

Concorso per l’identità visiva di Assisi

Storie di Grafica

Corsi estivi di calligrafia

I concerti della Triennale

Il Corso di Disegno Industriale dell’Università di San Marino in congiunzione con IUAV Venezia organizza “San Marino Design Week” dedicato al tema Design oltre i confini dello sviluppo. Un evento di sicuro interesse, che comprende una conferenza di due giorni (13-14.09) e 6 workshop di cinque giorni (14-21 .09). >Per saperne di più: http://web.unirsm.sm

Concorso di idee per l’ideazione e la realizzazione di un sistema di identità visiva della Città di Assisi. Per tutta la mole di lavoro che viene richiesto, e per l’importanza anche economica di una realtà come Assisi. >Per saperne di più: http://www.comune.assisi. pg.it/category/albo/bandi/

“Storie di Grafica” sarà una mostra di oltre 100 studi italiani che descrivono dei casi studio dei propri lavori, dal problema alla soluzione, raccontati per immagini e suddivisi per tipologia. La partecipazione a “Storie di Grafica” è libera e aperta a grafici e designer. > Per saperne di più: www.ministerodellagrafica. org

Il Centro Intermazionale Arti Calligrafiche propone per il periodo estivo sei pomeriggi di calligrafia. I laboratori sono aperti a chiunque voglia migliorare la propria scrittura o desideri avvicinarsi all’arte della calligrafia. Si svolgeranno presso la sede del CIAC di Piazza del Sole 55 a Roma dalle 16.00 alle 19.00. >Per saperne di più: www.articalligrafiche.it

È un’estate folta di imperdibili suggestioni quella che si anima nel Palazzo dell’Arte della Triennale. In prossimità del terzo giro annuale di boa che cade esattamente a metà settembre, i Concerti in collaborazione con il Conservatorio Verdi di Milano elargiscono un’ampia offerta di incontri a 360 gradi, tutti ad ingresso libero.

Domani

Oggi

Ieri

08


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