NO. 5 I'GIORNALINO

Page 1

NO 5 Marzo 2020

I’ GIORNALINO

Grazie, Prof.!


REDAZIONE 1

Direttrice GIULIA PROVVEDI (VA)

Vicedirettrice ELISA CIABATTI (IVB)

Redattori MATILDE MAZZOTTA (IVC), AURORA GORI (IVA), DANIELE GULIZIA (IVB), DIANA GASTALDI (IIA), DIEGO BRASCHI (IVA), PIETRO SANTI (IVA), RICCARDO MOSCATELLI (IVA), ALESSANDRO FRATINI (IIC), RACHELE MONACO (IB), ELETTRA MASONI (IB), GIULIA OTTINI (IA), IRENE SPALLETTI (IVA), GIULIA AGRESTI (IIIB), GIOVANNI CAVALIERI (IA), MARGHERITA ARENA (IIIB), MARIANNA CARNIANI (IIIB)

Fotografi SILVIA BRIZIOLI (caposervizio, IVA), MARIA VITTORIA D’ANNUNZIO (IIB), SOFIA ZOLLO (IIID), MATTIA DE NARDIS (VB), MARGHERITA CIACCIARELLI (IB)

Collaboratori ALLEGRA NICCOLI (IIB), MADDALENA GRILLO (IVB), ALICE ORETI (IVB), SOFIA DEL CHERICO (VB), ALESSIA ORETI (IIIA), COSIMO CALVELLI (VE), EDOARDO BUCCIARELLI (VA), MIRA NATI, IRENICK, BERNADETTE SILVA (VB), GIULIA BOLOGNESE (IIB)

Art Director DANIELE GULIZIA (IVB)

Disegnatori FRANCESCA TIRINNANZI (IIIB),

REBECCA POGGIALI (IVA)

Social Media MARGHERITA ARENA (IIIB), MARIANNA CARNIANI (IIIB)

Ufficio Comunicazioni AURORA GORI (IVA)

Referenti PROF. CASTELLANA, PROF.SSA TENDUCCI


CARA PROF.SSA BERGESIO………………………….5 QUATTRO CHIACCHIERE CON… - VERA GHENO……………………………………………………9 FRIDA KAHLO……………………………………………13 DONNE E COVID-19: GUERRIERE IN CORSIA……………………………………………………16 CASSANDRA………………………………………..……17 GIRAMONDO…………………………………………….20 IL CACCIATORE DI TALENTI - GIN………………..…25 DIANORA DI TOLEDO… LA PO’ERA MOLLIE……………………………………………………27 LA PROF.SSA BORGHI: UNA GRANDE DONNA CHE ABBIAMO CONOSCIUTO………………………………29

INDICE

DIRITTI DOVUTI……………………………………….…31 PERCHÉ SI REGALA LA MIMOSA PER LA FESTA DELLE DONNE…………………………………….…….35 DIARIO DI SOPRAVVIVENZA PER IL LICEO LA FESTA DELLA DONNA…………………………..…36 NOTTE DEGLI OSCAR 2020…………………………..37 DONNE ALLA REGIA…………………………………..39 MUSICA - LE TRE DONNE PiÙ INFLUENTI NEL PANORAMA MUSICALE MONDIALE………………..41 SALON - ELISABETTA PIERI………………………….43 VIAGGIANDO SI VOLA…………………………………51 AGOGNATA LIBERTÀ…………………………………..52 LA PERFEZIONE NON ESISTE!…………………………………………………..53 MI RACCONTO - BERNADETTE SILVA…………….55 SGUARDO RANDAGIO IN MEMORIA DI BRISTOL FIORE………………………………………………….…56 L’ANGOLO DEL POETA……………………………….58

2


EDITORIALE 3

Il mensile di marzo, il quinto de i’Giornalino, è dedicato alla Donna: a tutte le donne che amiamo, che ammiriamo e che si prendono cura di noi. Per questo numero la Redazione si è prefissata l’obiettivo di raccontare donne di ieri e donne di oggi, donne che conosciamo e che abbiamo conosciuto, grazie alle quali ognuno di noi può trarre ispirazione e corroborare il proprio rispetto per il genere femminile. 7,4% è la percentuale delle persone che ritiene corretto che un ragazzo schiaffeggi la propria fidanzata, perché ha flirtato con un altro uomo, secondo uno studio pubblicato dall’ISTAT, nel novembre dello scorso anno. Leggendo lo stesso rapporto, tra le molteplici percentuali riportate, spicca quella relativa alla popolazione che ritiene capace la donna di sottrarsi a un rapporto sessuale indesiderato: il 39,3%; quindi questa percentuale di persone addossa la colpa della violenza alla vittima.“Queso non è amore”, elaborato della Polizia di Stato, afferma che nel marzo 2019 si sono registrate ben 88 donne vittime di violenza al giorno. In Italia, 6.788.000 sono le donne che hanno dichiarato d’aver subito, durante la propria vita, violenza fisica o sessuale, per non parlare di tutte quelle donne che hanno subito violenza psicologica, molte delle quali tengono per sé quanto successo per paura, ma anche poiché non lo ritengono un reato (44%), o solo perché ritengono l’evento “qualcosa che è accaduto” (19%). E poi c’è il dato più straziante, quello che riguarda il femminicidio: 133 le donne uccise in Italia nel 2018, solo perché appartenenti al genere femminile. Sconcertante è il numero di femminicidi verificatosi nell’ultima settimana di gennaio 2020: sette sono state le uccisioni da lunedì 27 a venerdì 31. Leggere questi dati, analizzarli, è amaro, in quanto donna. E dovrebbe essere amaro anche in quanto uomo. Sono lo specchio di una società ancora troppo radicata in stereotipi di genere, pregiudizi, discriminazioni che per centinaia d’anni sono stati la “normalità”, ma che adesso, nel XXI secolo, dovrebbero solo essere obsoleti. Troppi sono i dati che non fanno vedere la luce infondo al tunnel, troppi. E quindi mi chiedo: raggiungeremo mai il diritto all’uguaglianza? O quel diritto che Giuseppe Leonelli usa per descrivere il femminismo di Anna Banti, il “diritto alla differenza”: essere uguali per essere diversi. Per dare una risposta a questa domanda, e per cercare di sovvertire, nel nostro piccolo, i dati citati, lanciamo una nuova rubrica che tratterà esclusivamente del mondo femminile: “Essere Umana”, alla quale chiunque, senza distinzione, potrà collaborare. Giulia Provvedi


4


Cara Prof.ssa Bergesio‌ Dediche in memoria della prof.ssa Bergesio, venuta a mancare il 31 marzo 2020, scritte dai suoi alunni.

5


Non mi scorderò mai di tutte le volte che mi ha aiutata e di quanto mi abbia fatto innamorare della storia dell’arte con la passione che ci metteva ogni giorno. Ma soprattutto non mi scorderò mai di che persona stupenda sia stata e non smetterò mai di volerle bene. Marta

Non ci sono parole per descrivere tutto questo. Hai lasciato un vuoto dentro me, dentro tutti i tuoi alunni. Bergy, non dimenticherò mai tutto ciò che hai fatto per me… Sei stata la mia professoressa preferita, un’amica ed una seconda madre. Sarà dura tornare a scuola senza incrociarti nei corridoi, con le tue strambe collane ed i tuoi vestiti super colorati… Sarà davvero dura non vederti più. Ti voglio tanto bene, non ti dimenticherò mai. Non ci sono davvero parole, grazie di tutto Bergy. La tua Julietta

"La mia convinzione è che bisogna aver costanza nel seminare e non perdere la fiducia nei ragazzi, il nostro bene più prezioso.” È così che la prof.ssa Bergesio apre l'ultima email che mi ha inviato. Qualche giorno fa abbiamo perso una persona di grande umanità che ha sempre guardato ai suoi studenti con enorme fiducia nelle loro potenzialità. Mi sono diplomato nel 2018 e si è sempre interessata nel come stesse procedendo il mio percorso al di fuori della scuola. Non so cosa mi rattrista di più. Forse il sapere che non ci sarà più per me quella figura di riferimento, sempre entusiasta di sapere come stessero procedendo i miei studi. O forse il sapere che nessun altro studente avrà la grandissima fortuna di avere lei come insegnante. Sono sicuro, però, che tutta la passione, la dedizione, il sudore, l’ impegno, e l’ amore per ciò che faceva non verranno dimenticati da chiunque abbia avuto l'onore di conoscerla. La prof.ssa Bergesio non verrà dimenticata.

È stata un punto di riferimento, una fonte di ispirazione. Ha saputo far nascere in me una passione per l'arte incredibile, grazie alla passione e l'amore che metteva nell'insegnamento. È stata davvero una donna speciale per me e lo rimarrà sempre.

Per me la Bergesio è stata grande fonte d’ ispirazione… In tutta la mia vita scolastica non c’è mai stato un prof. che credesse in me… Ma lei l’ha fatto… Mi ha detto che potevo arrivare ovunque volessi… Quando prendevo buoni voti si congratulava con me e diceva di essere fiera di me… Non ho mai conosciuto nessuno come lei… È sempre stata una donna così forte, serena, ai miei occhi. L’ultima volta che ho parlato con lei è stato alla stazione di Santa Maria Novella, stavo aspettando una persona, le ho raccontato di come stavo andando bene a scuola e soprattutto nella sua materia… Mi ha sorriso e mi ha detto che era sicurissima del mio successo alla fine dell’anno… Mi manca tremendamente tanto. 6


Io vorrei solo dire una cosa. Lei è stata l'unica professoressa che in quattro anni mi ha aiutata ad affrontare la bocciatura, tutti i miei problemi familiari e che ha continuato a starmi dietro nel corso del tempo. Conosceva metà della mia vita e non ha mai esitato ad essere presente. Il giorno della sua morte ho pianto dalla mattina alla sera e credo di non aver fatto in tempo a ringraziarla di tutto. Mi manca tantissimo.

Cara Prof, durante una delle ultime lezioni, non ricordo come, siamo finiti a parlare di quelle persone solari, che emanano gioia e felicità ovunque e a chiunque. Lei ci ha chiesto se ci fosse mai capitato di incontrarne una. Ora posso dire di sì, mi sono resa conto che era lei. Una persona d'oro, forte ed allo stesso tempo sensibile, un'amica e un’ insegnante di vita. Grazie di tutto, mi ha insegnato a vedere la bellezza nell'arte e nel mondo, la porterò sempre nel mio cuore e nei miei ricordi, pace e amore.

Prof. la porterò sempre con me, una delle poche persone che, oltre a essere una professoressa, era anche una mamma. La ricorderò sempre con il sorriso, vestita ogni giorno con un colore diverso cercando di abbinare tutto. Non mi scorderò mai le sue collane strane e la sua spilla a forma di lumaca. Naima

7

La rivedrò nei colori e nelle forme, su dipinti, sculture, affreschi e guarderò l'arte con i suoi occhi.

Bastava guardare nei suoi occhi per capire quanto fosse fiera di tutti noi studenti, penso di non aver mai conosciuto una professoressa che vedesse nei propri alunni dei figli a cui lasciare una parte di sé e penso che in questo ci sia riuscita. Ognuno di noi ha un suo frammento che porteremo sempre appresso per tutta la vita, per non perderla mai e il solo interessarsi alle sue lezioni ogni giorno penso sia stato il ringraziamento più bello che le si potesse fare.

Io non la conoscevo bene, l'ho avuta qualche volta come supplente, ma so che era una gran donna, le persone parlavano molto bene di lei e anche se non l'ho mai avuta come insegnante, ho avuto la possibilità di poterle parlare ogni tanto nei corridoi, perché ormai noi dell’artistico siamo una famiglia, ci conosciamo tutti, ed è stata una grande botta per questa enorme famiglia. Mi dispiace un casino per l'accaduto, ma rimarrà per sempre nei nostri cuori.

Colei che mi ha insegnato ad emozionarmi davanti alla maestosità dell'arte e a vedere il lato bello di ogni cosa, vivrà per sempre nella nostra memoria: bella, sorridente e colorata come sempre.


Adesso nel firmamento c'è un nuovo astro, brilla di una luce speciale, eterna, persistente come la passione... Stessa passione inversa che ti ha risucchiato nel baratro nero, dove non hai fatto entrare nessuno. La solitudine cattiva, quella che acceca che uccide l'anima gentile e che spesso non trova voce, anzi, strangola, ha stretto le sue spire intorno a te. Quaggiù a guardarti adesso, c'è la moltitudine che non sa dove cercarti. Ormai sei fuggita. Biancamaria Fama

Era una persona speciale, una persona che mi ha fatto amare l'arte più di qualunque altra cosa, come a tutti i suoi alunni. Sappia che ci mancherà da morire e che non dimenticheremo mai tutto quello che abbiamo passato insieme a lei. Non la dimenticheremo mai. Sarà per sempre con noi Prof, nei nostri cuori.

Era un sabato, e mi sentii male a scuola. Si dovette chiamare il 118 per portarmi in ospedale, poco dopo la Professoressa avrebbe dovuto fare lezione in classe, ma poco gli importò. Decise di salire sull'ambulanza e starmi vicino durante tutto il viaggio. Stette vicino a me fino a che non arrivarono i miei genitori. In quel momento la conoscevo da poco più di cinque mesi. Da lì ho stretto un rapporto che con pochissimi insegnanti sono riuscito ad avere durante la mia vita. Lei era molto più di una semplice professoressa. Era la nostra seconda mamma, mi ha fatto amare la storia dell'arte più di qualsiasi altra cosa, mi ha dato tantissime lezioni di vita. Adesso la scuola non sarà più la stessa senza di lei. La storia dell'arte non sarà più la stessa. Chi non l'ha conosciuta non può sapere chi era davvero. Riadatto una citazione che usò durante una lezione, che mi rimase nel cuore: “Non è altro che una professoressa, ma che professoressa!". Andrei Obinu

8


QUATTRO CHIACCHIERE CON…

V E R A

9

G H E N O


Ungherese di nascita, Vera Gheno si è laureata all’Università di Firenze. Specializzata in comunicazione digitale ha curato per anni gli account social dell’Accedemia della Crusca, mentre attualmente collabora con la Zanichelli. Apprezzata scrittrice ha pubblicato diversi libri, tra i quali Guida pratica all’italiano scritto (senza diventare grammarnazi) nel 2016, Francesco Cesati Editore,

Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello con Bruno Mastroianni, nel 2018, Longanesi, Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole edito EffeQu, Potere alle parole. Perché usarle meglio, nel 2019, Einaudi.

di Bernadette Silva - Foto: Wired

Come hai iniziato la tua carriera da scrittrice? Ho intrapreso la mia carriera con una serie di fallimenti, non ho seguito le vie consuete per arrivare dove sono adesso, l’ho costruita in maniera creativa, tramite i social network, quindi bypassando i canali ufficiali, con i quali sono creata un piccolo seguito. Soprattutto su Facebook scrivo brevi articoli i quali riflettono il mio pensiero, così ho iniziato a farmi conoscere, pian piano, arrivando in ambienti dove di solito uno non arriva. Partendo dai miei fedeli lettori di Facebook, ho iniziato a scrivere libri. Il primo libro che ho scritto è andato bene, poi è arrivato il secondo e così via. Ho pubblicato i miei libri con diversi editori, non ho nessuna esclusiva, e per il momento va bene così. Qual è il tuo libro preferito? Uno dei miei libri preferiti in assoluto s’intitola Sandman di Neil Gaiman, è una graphic novel, e tratta di un’epopea in cui protagonista è il dio del sonno, cioè Morfeo, personaggio molto dark e triste. Neil è un grandissimo scrittore, ha scritto dei libri bellissimi, ma questo li supera tutti. Se avessi la possibilità di essere un'altra persona per un giorno, chi vorresti essere? Questa è una domanda che mi spiazza, perché non c'è un'altra persona che vorrei essere, sono piuttosto contenta di chi sono, anche se ovviamente vorrei migliorarmi, non c'è una persona definita. Cosa porteresti in un'isola deserta? Il vocabolario, perché è il libro che ha più parole di tutti gli altri e oggi ormai i vocabolari sono pieni anche di testi aggiuntivi, oltre alle definizioni delle parole, quindi sono molto validi da leggere come un libro. Il vocabolario ti racconta sempre delle storie e penso che dovendo portare un solo libro almeno mi annoierei poco. Che sensazione si prova dopo aver scritto un libro? Di grande completezza, soddisfazione e anche di grande vuoto, perché magari uno ha lavorato per mesi su un testo e poi, quando arrivi a consegnarlo, hai la meravigliosa sensazione di aver finito qualcosa, ma contemporaneamente di non aver più nulla su cui lavorare. La sensazione che ho provato è simile a quella di quando uno fa bene un’interrogazione o quando si consegna un tema, cioè, ogni volta che noi finiamo qualcosa proviamo una grande soddisfazione; con i libri non è molto diverso, semplicemente scrivere un libro è un po' più lungo. Hai delle abitudini particolari durante la scrittura? No, non ne ho. Scrivo dove mi capita, in qualsiasi momento, infatti ho investito molto su un computer leggero in modo da portarlo ovunque vada. Un posto dove scrivo bene, ad esempio, è in treno: mi metto le cuffie, mi isolo dagli altri, e scrivo. 10


Come crede che si evolverà il linguaggio? Finiremo per parlare con gli emoji? No, non finiremo per parlare con gli emoji. Nessuno scrive più come gli Egizi, è semplicemente poco economico usare solo emoji per comunicare, non ci si capisce più di tanto, quindi è chiaro che continueremo a usarle come abbiamo fatto fin’ ora; la parola rimane lo strumento più potente che abbiamo. 
 Sulle evoluzioni future, però, non si può dire molto, perché dipende tutto da come ci evolveremo noi esseri umani. Non penso che le cose peggioreranno particolarmente, semplicemente siamo in continuo cambiamento e dobbiamo anche prendere atto del fatto che oggi il cambiamento (anche linguistico) è più veloce di una volta. Cosa si perde tra messaggio e lettera? Cosa ha in più o in meno una lettera? Una lettera cartacea, eccetto essere più romantica, non ha molti vantaggi. Io ho ancora adesso delle lettere del mio primissimo fidanzatino di quando avevo diciotto anni, una persona che non c'è più della quale sono solo rimaste le sue parole su carta, chiaro che è un bellissimo ricordo, che con il digitale avrei perso. Come le foto, io sono piena di album fotografici dei miei genitori in cui ci sono io in tutte le fasi della mia vita, di mia figlia ho stampato molte meno foto, ce l'ho tutte sul computer. Se domani perdo la memoria del computer, perdo anche le foto. Cosa ne pensa degli anglicismi? Ci possono stare. In certi contesti sono più giustificati rispetto ad altri, ad esempio per l’ambito elettronico, perché deriva da un contesto anglofono ed è chiaro che c'è una prevalenza di parole inglesi. Diventano un problema quando, soprattutto in Italia, qualcuno li usa per darsi un tono e non perché servono, in questo caso è sbagliato. Quale consiglio ti sentiresti di dare ai giovani? Il mio consiglio ai ragazzi della vostra età è di riflettete su cosa sapete fare molto bene, in cosa siete bravi, perché ognuno di voi ha una passione, una fissazione e di conseguenza, suggerisco d’ investite un po’ di tempo per farvi conoscere per quella cosa lì. Che siano i giochi elettronici o il ricamo, non importa, ciò che conta è che l’ambito in cui uno è bravo, in futuro, potrebbe diventare un buon motivo per scrivere un libro o per intraprendere una determinata carriera.
 Voi vivete in un presente che è molto più caotico di quello in cui ho vissuto io e vivete anche un presente che è molto criticato e odiato dagli adulti, perché non lo capiscono. Anche ai miei tempi i miei genitori non capivano quello che facessi, però comunque c'era più vicinanza fra quello che facevo nella mia vita e quello che i miei genitori potevano capire. Quindi, voi vivete un presente ipercomplesso con degli adulti che non vi capiscono e non è una situazione facile.
 Non fatevi convincere che siete da buttare, non siete una generazione peggio delle altre, semplicemente siete una generazione che vive un momento particolarmente complesso dell'evoluzione umana e i primi a prenderne atto dovete essere voi, non fatevi convincere d’essere una generazione di debosciati!

11


Felicità è trovare le parole giuste per ogni contesto e così sentirsi a proprio agio. VERA GHENO

❞ 12


13

FRIDA KAHLO FRIDA KAHLO FRIDA KAHLO


Salendo le scale del museo della Casa Azul a Coyoacàn, arrivato nella camera da letto di Frida, leggerai la frase da lei incisa: “Aqui naciò Frida el dià 7 de julio de 1910, Frida y Diego vivieron en esta casa 1929-1954” (IT: Qui è nata Frida il 7 luglio 1910, Frida e Diego hanno vissuto in questa casa dal 1929 al 1954). Normalmente non ti ci soffermeresti, invece ti sorprenderà sapere che nessuna di queste informazioni è vera. Se andrai a fondo nella conoscenza di questa donna, imparerai che niente è facile e scontato, se riguarda Frida Kahlo. Ecco alcune delle ragioni che mi hanno fatto appassionare alla resilienza, all’arte e ai misteri che dominano il trascorso di quest’icona. di Giulia Bolognese

FRIDA, PATA DE PALO!

17 SETTEMBRE 1925

“Gamba di legno”, così i bambini di Coyoacan chiamavano Frida ai quali rispondeva con rabbia e numerose parolacce. L’agonia fisica dell’artista, infatti, ha inizio sin dalla sua infanzia, quando, all’età di sette anni, le fu diagnosticata la poliomielite che le provocò l’assottigliamento della gamba destra: nonostante i mesi passati a letto e gli innumerevoli sport da lei praticati, Frida non riuscì mai a migliorare la sua condizione e questa lieve deformazione fisica divenne semplicemente una delle tante particolarità di una bambina vivace e sicura di sé. Entrò presto a far parte di un gruppo studentesco, Los Cachuchas, un gruppo di giovani implacabili, appassionati di politica e di letteratura. La giovane Frida trovava gusto nell’infastidire chi esercitasse un’autorità, e tentò persino di far licenziare alcuni dei suoi professori. Si manifestò, fin dalla tenera età, la forza vitale dell’artista che gli anni di dolore non potranno mai portarle via. Una delle vittime favorite delle ragazzate del gruppo era il pittore Diego Rivera, trentaseienne brutto, ma pieno di amanti: Los Cachuchas lo chiamavano “panzòn”. Affascinata dai suoi lavori e, in modo apparentemente inspiegabile, da Rivera stesso, è possibile che Frida sapesse già in cuor suo che un giorno sarebbe diventata sua moglie.

Nel pomeriggio di questa funesta data, il bus su cui l’adolescente Frida Kahlo ed il suo compagno Alex si trovavano venne compresso con sconvolgente veemenza da un tram, prima d’esplodere in mille pezzi. L’impatto le tolse di dosso i vestiti. L’artista, non ha mai voluto rappresentare su tela l’episodio, ma racconta, nel suo diario, l’immagine del suo corpo nudo, in un bagno di sangue, coperto di polvere d’oro caduta da un sacchetto di decorazioni. Colonna vertebrale spezzata in tre punti, rottura della terza e quarta costola, undici fratture alla gamba destra e una alla clavicola, spalla disarticolata, un piede schiacciato, bacino rotto e un corrimano che le attraversò l’addome. Per fortuna o per miracolo, il 17 settembre la morte non venne a prendere Frida: quella data segnò tuttavia l’inizio di innumerevoli sofferenze. Fu proprio così, immobilizzata per anni, che cominciò a dipingere con intenzione, facendo della pittura la sua ragione per continuare a vivere.

“Ho provato ad affogare i miei dolori, ma hanno imparato a nuotare.”

“Piedi, perché li voglio se ho ali per volare?”

L’ELEFANTE E LA COLOMBA Come già anticipato, Diego era oggettivamente di brutto aspetto, ma amante della bellezza. Artista e uomo brillante, seduttore pieno di vitalità, instancabile professionista e sognatore, molto più di quanto fosse Frida stessa, legata alla sua 14


realtà alla quale non interessava il suo mondo. Il loro matrimonio, precisamente il terzo per Diego, fu la storia di un amore sconfinato, folle e del tutto infedele: Rivera aveva la fama di essere un traditore seriale, e Frida reagì procurandosi numerosi (e numerose) amanti a sua volta (uno di questi il rivoluzionario comunista Lev Trockij). Altri eventi resero più difficile la loro unione, come l’impossibilità di creare una famiglia: Frida ebbe tre aborti. A questo seguì la relazione clandestina tra Diego e Cristina, una delle sorelle di Frida, che portò al divorzio. Mesi dopo i due amanti si risposarono e vissero in due case separate collegate da un ponte, metafora del loro amore, che tramite la loro architettura svolgevano uno scopo funzionale: dare ai due coniugi l’autonomia di cui necessitavano per vivere e dare sfogo alla loro arte. Solo dopo la morte di Frida nel ’54, Diego ammetterà: “Ho capito troppo tardi che la parte più bella della mia vita era il mio amore per lei”.

vestiti della tradizione messicana, pianure verdeggianti. Basti pensare che l’ultimo quadro (e le ultime parole) di Frida siano state un tributo all’esistenza: Viva la Vida. L’artista messicana è diventata così un’icona dell’indipendenza, esaltata non solo dalla comunità femminista, ma idolatrata da chiunque, come lei, scelga di inseguire la libertà. “Hanno pensato che anch’io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho dipinto la mia realtà, non i miei sogni.”

“Ho subito due gravi incidenti nella mia vita, il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego.”

“UN NASTRO ROSA ATTORNO A UNA BOMBA” Così, André Breton descriveva l’arte di Frida e la sua personalità controcorrente. L’artista dipingeva quasi a scopo terapeutico, per difendersi dal tempo e dalla minaccia della morte e per trasmettere un prodotto della sua vita e della sua relazione con il mondo attraverso il simbolismo, molto spesso dualistico. Nei suoi capolavori ricrea immagini di vita e di morte, solitudine e speranza di una felicità irraggiungibile, e il suo opprimente dolore si manifesta in molte forme. Ad esempio, nel quadro La Colonna Spezzata la sofferenza appare nei suoi tre aspetti principali: la malattia infantile, le ferite dell’incidente, le infedeltà del marito. Tuttavia le opere dell’artista, come Frida stessa, contrastano il dolore in quanto sono colme di vitalità: colori sgargianti, frutti, 15

La Colonna Spezzata, 1944. Fonte: Nicoletta Cinotti

Viva la Vida, 1954 Fonte: ilDolomiti


Donne e Covid-19: guerriere in corsia di Alice Oreti

L'emergenza coronavirus è iniziata in Italia il 21 febbraio, anche se pare che il virus stesse già circolando da gennaio. Iniziano i primi assalti ai supermercati, spariscono mascherine, gel igienizzanti per le mani, disinfettanti in generale e l'isteria inizia a divampare. Poi la situazione si congela per qualche settimana: quel caso a Codogno sembra essere dimenticato, nonostante i contagi continuino e presto si raggiungano numeri abbastanza alti. Riniziano gli assalti, la popolazione si divide in due: chi sottovaluta il virus e chi reagisce con fin troppo panico. Iniziano i blocchi, i divieti di assembramento, si arriva poi alla chiusura delle scuole e di tutti gli esercizi commerciali non indispensabili. Queste sono le direttive: rimanere a casa. Evitare i contatti. Mantenere le distanze. Esplode il periodo dei flashmob: migliaia di Italiani si affacciano alle finestre per cantare, suonare, applaudire. Nel frattempo ci sono professionisti silenziosi che queste direttive non le rispettano, ma non per incoscienza. I migliaia di medici, infermieri, personale sanitario e ospedaliero lavora senza fermarsi, per noi. Ma serve la foto di un'infermiera, Elena Pagliarini, sfinita dopo un turno di chissà quante ore, per far accendere l'attenzione su di loro. Le migliaia di donne in prima linea nella lotta conto il nuovo coronavirus, nella lotta contro un nemico invisibile, che sta di fatto dividendo gli Italiani nei contatti, ma unendoli nella speranza. Sono loro: dottoresse, infermiere, volontarie della Croce Rossa che ogni giorno rischiano il contagio e la vita per salvarne altrettante. Rischiano l'isolamento, la malattia, la morte in solitudine: perché è così che muoiono i contagiati da questo virus, da soli, senza nessuno a cui stringere la mano, e senza che i familiari possano vederne la salma. E spesso sono le stesse infermiere e dottoresse a stringere le mani ai malati nel momento in cui si sentono spirare. È dovuto far loro un ringraziamento vero, sincero, perché senza chiedere niente in cambio, ogni giorno, affrontano i rischi che la malattia comporta, per puro senso del dovere e per il giuramento che fecero all'inizio della loro carriera. Solo una cosa chiedono: che venga in qualche modo riconosciuto il loro lavoro, una volta finita l'emergenza, e chiedono maggior consapevolezza da parte del popolo italiano, evitando i comportamenti che contribuiscono alla diffusione del virus. Poi c'è l'altra parte delle lavoratrici che ogni giorno si occupano di non farci mancare i beni di prima necessità: tutte coloro che fanno parte di aziende del settore alimentare e farmaceutico, che dobbiamo ringraziare perché anche loro, in silenzio, corrono rischi per non farci mancare niente. Ma non bastano le parole per ringraziare queste meravigliose donne che ogni giorno lottano per risollevare, di fatto, la nostra bella Italia. Dobbiamo attenerci alle misure imposte dal governo, perché solo in questo modo potremo sperare di vincere questa battaglia il prima possibile. Insieme ce la facciamo. Per loro, e per noi.

#andràtuttobene 16


Cassandra di Irenick

S

e chiudo gli occhi vedo la città in fiamme. Le abitazioni divorate dal fuoco, le travi lignee che cedono, carbonizzate. Immagini di distruzione e morte mi affollano la mente. Le possenti mura di Pergamo che sbriciolandosi, collassano su loro stesse. Scorgo tra fumo e caligine di un grigio cinereo indistinte forme di corpi, ammassati alla rinfusa ai bordi delle strade. Una lama balena per un istante nell’oscurità, un lampo bronzeo, in cui si riflettono le luci dell’incendio, lo stesso che sembra ardere negli occhi dei nemici, il sudore che rende le loro braccia nude scintillanti quanto le corazze. È una visione insopportabile, straziante, ma non ho modo di farla smettere, di ignorarla. Eppure più di tutto mi tormentano quelle voci, i gemiti dei neonati, le urla disperate delle donne, gli strepiti e il grido di battaglia dei guerrieri, svegliati di soprassalto nel cuore della notte, strappati all’abbraccio delle mogli, che impugnando le armi si lanciano in quella che sanno essere una guerra persa in partenza, un massacro. Mi atterrisce la mia voce, quella che squarcia la notte con un suono sconsolato e disumano, le unghie che cercano un appiglio nella veste marmorea della statua di Atena, nel tempio profanato dagli invasori, invano. Ma tutto ciò deve ancora accadere ed è questa la cosa peggiore. Alcuni avranno attimi per realizzare cosa stia succedendo, e travolti dagli eventi non avranno modo di pensare, altri non faranno neanche in tempo a rendersene conto. Io, invece, sono condannata a saperlo prima di chiunque altro, ad avere lunghe ore insonni per rifletterci, come se ciò potesse aiutarmi a farmene una ragione, come se potessi mai accettare di rassegnarmi ad un simile destino. Ignoratio futurorum malorum utilior est quam scientia. Mai la conoscenza è stata una tale condanna, mai qualcuno ha desiderato maggiormente di poter vivere nell’ignoranza. Perché poi? Per aver rifiutato di concedermi a un dio, perché non ho ceduto alle richieste di Apollo. Con il gesto sdegnoso dell’amante respinto, lui mi ha sputato sulle labbra, solo la sua natura divina ha reso le sue minacce peggiori di quelle di un qualunque altro uomo. Eppure, per quanto il mio castigo sia un tormento, lo è meno di quanto egli credeva che sarebbe stato. Tutti gli uomini desiderano conoscere il loro futuro, come si

17


svolgerà la loro vita, chi incroceranno lungo la loro strada, da chi o da cosa saranno uccisi o se la gloria delle loro azioni riecheggerà nei secoli. Ah, stolti! Se davvero sapessero, diverrebbero paranoici, il loro avvenire li ossessionerebbe più di quanto già non faccia, conterebbero i secondi che li separano dalla fine, sprecherebbero il tempo che è loro concesso immaginando il futuro e sentirebbero il peso di ogni istante sprecato, come se ogni secondo della nostra fragile esistenza non ci avvicinasse inesorabilmente alla morte, che noi ne conosciamo la data esatta o meno. Apollo però non mi diede la predizione come pena, poiché ai suoi occhi di dio onnisciente questo è piuttosto un dono da concedere alle sue adepte, ai suoi oracoli; non essere creduta da nessuno, questa la vera punizione. Non comprende lui - se a causa della sua natura divina o piuttosto per il fatto di essere maschio, non saprei dirlo con certezza - che in fondo la mia parola non è più inascoltata di quella di Elena, di Andromaca o di Penelope nella lontana Itaca. La mia parola non è, agli occhi di tutti, meno attendibile di quella di una qualsiasi altra donna, anzi, è infondata in primo luogo perché deriva da una donna, come se noi non potessimo essere dotate della ragione. Io urlerò dalla rocca d’Ilio, quando scorgerò il cadavere di Ettore trasportato in città e il corteo che si recherà alle porte Scee per compiangere l’eroe. Ammonirò i Teucri riguardo a quell’ingannevole dono. Predirrò la rovina che i Troiani stessi introdurranno dentro le mura, li metterò in guardia dai guerrieri nascosti nel cavo ventre di quel cavallo di legno. Nonostante i miei sforzi, ignoreranno le mie suppliche, mi chiameranno uccello del malaugurio, donna sciagurata. Continueranno a credere che il fato sia immutabile, che niente avrebbe potuto salvarli. E qualcuno, deportato come schiavo o morente sul campo di battaglia, si lamenterà che nessuno li aveva avvertiti; altri ricorderanno le mie parole e diranno che sono stata io a invocare questa catastrofe, ad augurargliela. Odisseo si avvicinò ad Agamennone e gli appoggiò una mano sulla spalla. Il sole era alto nel cielo e il mare scintillava all’orizzonte, giù al molo gli uomini allestivano le navi per l’ormai prossima partenza. “Ora che farai?” chiese l’Atride al compagno. “Tornerai finalmente a casa da Penelope? So che sono dieci anni che non aspiri ad altro. Chissà quanto sarà cresciuto il piccolo Telemaco!” “Se gli dei me lo consentiranno lo constaterò presto” rispose Odisseo. “Ho visto alcuni dei tuoi uomini scortare una parte del tuo bottino sulla nave.” aggiunse “bella scelta, una donna notevole, con quegli occhi verdi e i capelli corvini. Ma le sue parole mi hanno turbato. Farneticava, dieci anni inveiva contro di me - dieci anni dovranno passare prima che tu riveda la patria.” Una possente risata scosse il 18


petto dell’Atride. “Si chiama Cassandra, predice sventure a chiunque. Ieri sera m’implorava di non tornare a Micene, ripeteva che Clitemnestra, la moglie a me così fedele, mi avrebbe ucciso e che lei stessa sarebbe morta nella strage.” Il re attese un momento e infine concluse, aggrottando le sopracciglia: “Sciocca, come ogni donna, se con la sua lingua sibillina pensa di potermi indurre a liberarla.” Odisseo assentì fissando ancora un punto indistinto dell’orizzonte dove il sole faceva scintillare di riflessi dorati le onde. Poi si incamminarono insieme verso le navi.

“Ignoratio futurorum malorum utilior est quam scientia.”

“È più utile la non conoscenza dei mali futuri che la conoscenza.”

19


di Auror Gori

20


S"ia

Per questo numero ho intervistato una ragazza del Liceo Artistico, Sofia Del Cherico, VB, che è stata un mese in Giappone. Adesso esploreremo un relativamente piccolo pezzetto del grande mondo dell’Est. Questa è stata un’intervista molto emozionante per me; ho sempre voluto visitare il Giappone e prima o poi sono decisa a vederlo con i miei occhi. Fino ad allora... Questo è il Giappone dagli occhi di Sofia!

Quella di viaggiare è una tua passione o è stato il brivido di un momento? Viaggiare è sempre stata una passione, quando ero piccola mi facevo bastare i libri, ma appena mi è stato possibile non ho potuto resistere. Ogni viaggio che mi era proposto lo accettavo senza esitare. Viaggiare è crescere, scoprire una nuova parte di mondo di cui non eravamo a conoscenza. Viaggiare, a parere mio, fa parte dell'essere umano. Da dov'è nata l'idea di andare in Giappone? Quando mi sono iscritta a Intercultura purtroppo avevo quasi raggiunto l'età massima per poter partecipare, questo mi ha tarpato le ali riguardo la durata del soggiorno e le destinazioni. Avrei voluto fare un anno a dire il vero, non stavo più nella pelle all'idea di fare un viaggio tutto mio, rendermi, in un certo senso, autonoma. Il Giappone è da sempre stata la mia prima scelta, avevo in mente di andare, un giorno, a lavorare per la Square Enix (sviluppatore di motori di gioco, ndr) che ha sedi in Giappone e America; ho quindi voluto, non solo conoscere una parte di mondo della quale sono, da sempre, estremamente affascinata, ma anche farmi un’idea della vita che mi sarei dovuta aspettare. Dove hai soggiornato? Quando sono arrivata insieme al gruppo di ragazzi dello scambio culturale siamo stati quattro giorni a Tokyo in un campus per studenti, al suo interno abbiamo iniziato le lezioni di lingua e ci siamo adattati, in parte, al loro stile di vita. Ci siamo poi divisi, io (insieme a due italiani, due americani e un canadese) sono stata mandata a Sud del Giappone, nella prefettura di Fukuoka, a Fukuoka-shi ( ) il capoluogo, sull'isola di Kyūshū, dove ho passato il mese di luglio.

La città in cui hai soggiornato com'era? Fukuoka è una grande metropoli, come lo è Tokyo o New York, ricordo che la mia prima impressione camminando per le vie del centro fu che, tranne per le scritte in giapponese nei negozi, non aveva niente da invidiare a una grande città americana. Io abitavo a Fukuoka Minami, poco più distante del centro. La metropoli, molto modernizzata, ha comunque mantenuto quegli aspetti tradizionali che caratterizzano spesso le storie del Giappone: templi, luoghi di preghiera... Hai avuto problemi con la lingua? Le prime due settimane ho fatto molta fatica, nonostante avessi studiato un po' di giapponese prima di partire e sapessi già scrivere in katakana e hiragana. Questo ha facilitato in parte il mio apprendimento e ha aiutato anche la famiglia che mi ospitava, nella quale quasi tutti parlavano 21


inglese. Le ultime due settimane, dopo aver frequentato alcune lezioni, riuscivo a capire, in parte, quello che mi dicevano (certo non se parlavano veloce). La madre ospitante, Kayo, mi aiutava la sera a memorizzare vocaboli giocando a carte o guardando film con le figlie, un gesto semplice, ma incredibilmente efficace per imparare. Quello dei giapponesi è uno stile di vita molto diverso dal nostro? Penso sia normale, soprattutto in un paese come il Giappone, trovare uno stile di vita diverso dal nostro. I giapponesi incentrano quasi tutta la loro vita sul lavoro, dormono molto poco e se escono con gli amici, almeno i ragazzi giovani, hanno severe regole da mantenere. È, a parere mio, un popolo molto represso, non hanno modo di esprimere loro stessi se non in casa propria. Sono molto gentili e ospitali, ti fanno sentire subito a tuo agio in ogni situazione. È strano e affascinante allo stesso tempo vedere quanto siamo uguali ma diversi, persino i loro programmi televisivi sono diversi dai nostri, sono pieni di scritte in continuazione, un bombardamento di parole. Le loro tradizioni, i loro modi di relazionarsi, è tutto un po' diverso, ma nonostante questo si trova sempre quel punto d’ incontro nel quale capisci quanto in realtà si è simili. Hai avuto modo di confrontarti con il sistema scolastico giapponese? Le materie sono diverse dalle nostre? Sono andata a scuola ogni giorno, tranne nel weekend. Avevo tre insegnanti, che periodicamente portavano me e gli altri ragazzi stranieri in giro per la città per esplorarla, soprattutto a pochi giorni dal Tanabata, festival che si tiene il 7 luglio, la festa dei due sfortunati innamorati. La scuola inizia, per chi vuole (chi vuole studiare, leggere o fare sport) alle 7:00, ma le lezioni hanno inizio solo alle 8.30, prima di cominciare c'è una mezz'ora dedicata alla lettura seguita dall'appello. Ogni ora ci sono da cinque a dieci minuti di pausa e a metà giornata si dispone di un’ora di pausa, dedicata al pranzo. A pranzo ognuno mangia il cibo che si è portato da casa, l'obento, preparato dalla madre la mattina presto. Volendo però, vi è la possibilità di prendere qualcosa alla caffetteria scolastica. La giornata finisce alle 15.30, quando le lezioni finiscono. Chi fa parte di un club o è incaricato di pulire può restare a scuola anche fino alle 18:30. Io ho avuto la possibilità di frequentare sia il club del tè, sia quello di Shodo, calligrafia giapponese: nel primo per ogni tazza di tè ci voleva una preparazione di circa tre ore ciascuna. Le materie non sono molto diverse dalle nostre, solo gli argomenti svolti lo sono, in parte. Studiano kanji, che penso sia una sorta di nostra grammatica, quella forse è l'unica cosa diversa. La cosa che ti ha colpito di più dei giapponesi? Forse la loro mancanza di espressività. I giapponesi, mi sono accorta, non mostrano spesso le loro emozioni. Ero là quando c'è stato l'attacco alla casa di animazione di Kyoto, la Kyoto Animation, quando la mia famiglia ospitante ha visto i notiziari l'unica cosa che hanno detto è stata: “Oh sugoi” (IT: oh incredibile) sorridendo, ammetto che mi ha lasciata non poco perplessa. Un’altra cosa, forse ancora più interessante è stato vedere quando sono restii a fare il bagno in costume. Fukuoka dista molto poco dalla costa, il che mi ha permesso di andare, con la mia famiglia e i miei amici, al mare più di una volta nei fine settimana. Sebbene fosse luglio, l'acqua era caldissima e il sole alto in cielo, loro restavano in maglietta. La persona più stravagante che hai incontrato? Forse la persona più stravagante che ho incontrato in Giappone è stata Uri, una ragazza liceale che come hobby faceva teatro a Fukuoka. Con lei siamo andate al karaoke, in vari caffè e posti fuori dal comune. Uri è quel tipo di giapponese fuori dagli schemi, non si concentra solo sul lavoro, ma lascia tantissimo tempo libero ai suoi amici, che sono, credo, il suo massimo interesse. È molto energica e socievole. Prima di partire ha addirittura regalato al gruppo di stranieri delle nostre foto sul cui retro aveva lasciato una dedica per ciascuno di noi.

22


Il cibo più buono e più disgustoso che hai mangiato? Laggiù ho sviluppato un amore particolare per gli Anko, fagioli dolci giapponesi, che sono diventati prestissimo una mia ossessione. Kayo una volta scoperta questa mia passione, che riteneva particolare per uno straniero, ha iniziato a prendermi vari dolcetti agli Anko da mangiare la mattina (per me una manna dal cielo perché mangiare ogni mattina pesce e zuppa di cipolle era una sfida fuori dal comune). Un cibo che mi ha particolarmente delusa è stato invece il sushi. La terza settimana ci hanno fatto partecipare a un corso di cucina nel quale abbiamo preparato il nostro personale sushi, naturalmente sotto direttive del cuoco. Terminato questo ci siamo seduti a tavola, appena assaggiato tutti, eccetto le professoresse, si sono resi conto della consistenza viscida e insapore del sushi. Un vero peccato (forse colpa nostra perché mal cucinato). Un’esperienza nuova che hai fatto? Una nuova esperienza che volevo fare da tempo è stata prendere uno shinkanzen (treno ad alta velocità, ndr) per andare a Hiroshima. Dalla prima volta che ho sentito parlare della sua storia, ho sempre voluto visitarla: è stata un’esperienza dolorosa sotto molti punti di vista, vedere il parco della pace o del perdono (come lo chiamo io) mi ha fatto piangere. Chiedendo a Kayo cosa ne pensasse di ciò che è accaduto, l’unica cosa che ha fatto è stato prendermi per mano e portarmi davanti al monumento per la pace sul quale c’è scritto: “Possano tutte le anime riposare in pace affinché noi non ripetiamo lo stesso errore”. Un'altra nuova esperienza di cui mi ricorderò per sempre è stata partecipare a un festival tradizionale giapponese, durante il quale non solo ho potuto indossare lo Yukata, il kimono estivo, ma ho anche potuto pregare in un tempio e consultare l'oracolo come da sempre vedo fare negli anime. Consiglieresti anche a noi di partire per il Giappone? Dipende da chi me lo chiede, lo consiglio caldamente a chi vuole un’avventura, il Giappone è stupendo, le persone molto ospitali, ma se sei attaccato ai valori e il calore degli italiani, troverai un grosso scoglio. Nel complesso, dovessi scegliere se consigliarlo o meno però, direi di sì, perché un’esperienza del genere, anche se solo una volta nella vita, va fatta e apprezzata. Un viaggio, qualunque esso sia è unico e speciale, un’esperienza da ricordare per sempre.

due iano i are g g e t Si fes contr bata. possono in empo. a n a T Ero al rati che si o se è bel t o innam quel giorn solo in

23

opo asto d ba im r io edific a bom Unico sione dell l'esplo atomica

o pranz Il mio nto) (obe


❝Non chiedere mai a una donna come fa ad essere così forte… Forte non ci si nasce, lo si diventa… Non chiederle mai perché indossa ancora corazze con un uomo: forse ha combattuto troppo! Non scavare dentro ai suoi ricordi… Tienila stretta tra le braccia, e ascolta i suoi silenzi…❞

Gustav Klimt

24


25

n i G


IL CACCIATORE DI TALENTI di Diana Gastaldi

Q

uesto mese riporto un’unica intervista alla cantautrice Ginevra Pistolesi, visto il suo grande talento, e ai suoi compagni di viaggio. Si tratta di una band composta da cinque promettenti giovani, Sara, Simone, Liam, Ginevra e Jacopo (nella foto da sinistra), che da anni studiano con tenacia e passione la musica. Ginevra Pistolesi, in arte Gin, diplomatasi al Liceo Musicale Dante nel 2015, insieme a Simone Nisi, ha iniziato a studiare musica sotto la guida del maestro Carlo Mascilli con il quale ha proseguito lo studio di chitarra al liceo musicale, partecipando anche a numerosi concorsi di chitarra classica ai quali ha ottenuto ottimi risultati. Inoltre, Ginevra e Simone si sono esibiti come prime chitarre nell’Orchestra Regionale Giovanile della Toscana. Gin ha pubblicato il suo primo singolo nel 2018 dal titolo Possiamo scomparire contenuto nella compilation Yes we campus vol. 2, distribuito da Universal Music. Il tastierista, Liam Thomas, già studente del nostro liceo musicale, si sta perfezionando, come anche Simone Nisi, all’accademia di Siena Jazz University. Ci sono poi il bassista, Jacopo Ulivelli, e la batterista, Sara Salvini, adesso impegnati in un progetto musicale. Gin e Jacopo hanno formato, a sedici anni, un gruppo heavy metal. Il gruppo ha partecipato al format musicale Fiat Music, ideato da Red Ronnie ed è stato proprio Red a coniare lo pseudonimo Gin. A Fiat Music Ginevra ha conosciuto Dolcenera e in seguito, grazie al background del contest musicale, si è esibita in un live a Torino. Ma è stata l’esperienza al Campus della Musica a Firenze, diretto dal maestro Claudio Fabi, suo produttore, e molti altri artisti, ad aprirle la strada per il successo e a portarla alla pubblicazione del suo primo album. Dopo la pubblicazione dell’album, Ginevra è stata in tour per cinque mesi presentandosi nelle principali città italiane. Ginevra ha partecipato anche al talent show X-Factor nel 2017 che le ha permesso di mettersi alla prova e di chiarirle quale fosse la sua vera strada, strada in divergenza con quella dei talent televisivi. I ricordi del liceo musicale sono legati ai suoi compagni di classe con cui ha mantenuto dei legami forti e ad alcuni professori. Ho chiesto a Gin cosa raccontano le sue canzoni e lei mi ha risposto: “Nelle canzoni descrivo il mondo, il quotidiano e le mie storie. Tutto nasce da un’emozione semplice che poi si articola in fase d’arrangiamento con la sua band e il produttore. All’inizio sono solo io e la chitarra in un momento d’intimità, poi in studio di registrazione il brano prende colore grazie a tutti gli artisti che, come dei pianeti, vi ruotano attorno.” Anche lei, a causa di questo momento così d’incertezza, si è posta la domanda assieme al suo team se proseguire la campagna di promozione del suo album: la risposta su cui tutti convengono è che non è giusto bloccare i sogni, la musica unisce e non si deve fermare. Viva i sogni, viva la musica. Per finire, ho chiesto a Gin quale consiglio ha per chi volesse intraprendere questa strada, questa la risposta: “Credete in voi stessi, impegnatevi con costanza, abbiate determinazione, un pizzico di fortuna e non mollate mai!” Viva i sogni, viva la musica.

26


Dianora di Toledo… La po’era mollie di Pietro Santi e La Franca

27


Í castello ndo’ vìssano la Dianora di Toledo e Pietro de’ Medici

Voggiamo dedihare ‘hesto artì’olo alle donne che le soffrano ogni giorno in famiglia.

P

urtroppo anche ni’ Mugello c’enno state successe brutte hose: un ussoricidio (quande uno ammazza la su’ mollie o i’ maritho) alla villa di’ Cafaggiolo, a Barberino di’Mugello. Ni’ 1576 Pietro de’ Medici un figliolo di’ duha ‘Osimo, e si sposò co’ Dianora di Tholedo, la su’ hugina da parte di mamma, ‘he l’era Eleonora di Toledo. Pietro egl’era uno che barbocchiava1, ave’a spesso la thummia2, e c’ave’a dimorte ganze3. Sconta4 la po’era Dianora ell’era una

G

sempre attenta a perithassi5, ma siccome i’ maritho la mungé’a6 a falla becca7, pure lei la prencipiò8 con Bernardo Antinori, un nobilotto. Pietro e’ se n’ammoscassene9, allotta prima uccidé i’ ganzo ni’ corte10 di’ Bargello poe gl’andiede ai’ Cafaggiolo e lì ammazzò colle su’ mane la mollie. Si dice che i’ fantasma della Dianora e’ unn sii mai githo via daì’ castello, ma gl’ene un fantasma bono! Fa solo ì’ chiasso11!

lossario

Barbocchiare1: picchiare; Thummia2: essere ubriachi; Ganze3: amanti; Sconta4: invece; Perithassi5: riguardarsi; Mùngella a…6: continuare a…

Far Becco7: tradire (in una coppia); Prencipiare8: iniziare; Ammoscassene9: accorgersene; Corte10: cortile; Chiasso11: giocare, scherzare.

28


La prof.ssa Anna Borghi: una grande donna che abbiamo conosciuto Il numero di marzo è anche dedicato a lei, cara prof.ssa Borghi. Ci ha lasciato il 29 gennaio, ma il suo ricordo, la sua persona, rimane ancora viva in tutti noi che l’abbiamo ammirata e la continuiamo ad ammirare. Riportiamo, nella pagina successiva, la dedica che Alice Oreti ha pronunciato durante il giorno del funerale della Prof.ssa, insieme a una raffigurazione di un girasole, il fiore che rappresenta l’allegria, la vivacità, la voglia di vivere e che meglio la rispecchiava. Ancora grazie, Prof.ssa!

29


La professoressa Borghi non è mai stata solo una professoressa. Aveva quella capacità incredibile di tirar fuori sempre il meglio da chiunque e la capacità, la pazienza e l’esperienza per farti capire davvero quale fosse la tua strada. Ricordo distintamente la prima poesia che le ho fatto leggere e ricordo la sua espressione attenta e premurosa mentre la leggeva. Mi ricordo il suo commento: “Ma ti piacciono gli enjambements?” di fronte ad una poesia di venti parole scritta su dieci righe. Mi ricordo di quando, sopraffatta dalle emozioni, mi abbracciava per farmi stare meglio. Perché la professoressa Borghi non è mai stata solo una professoressa, ma più una seconda mamma. Ho sempre avuto un’ammirazione inesprimibile per lei: lei che aveva combattuto molte battaglie, e questo ce lo aveva raccontato, e ne era sempre uscita vittoriosa. Credo ci ricorderemo sempre sorridendo, oggi tra le lacrime, di “At tuba terribili sonitu taratantara dixit”. Vorrei leggere un brano da Madame Bovary, libro che abbiamo letto con lei: “Non le piaceva il mare se non in tempesta, e l'erba se non quando era disseminata fra le rovine. Bisognava che potesse ricavare dalle cose una specie di profitto personale, e respingeva come inutile tutto quello che non contribuiva a riempire il suo cuore: di temperamento più sentimentale che artistico ricercava emozioni e non panorami.” Dapprima non ho capito questo libro e questo brano. Solo dopo ci ho trovato tanto di me. E questo lo devo a lei: grazie professoressa Borghi. Alice Oreti

30


Diritti dovuti di Elisa Ciabatti

❝Le donne devono sempre ricordarsi chi sono, e di cosa sono capaci. Non devono temere di attraversare gli sterminati campi dell’irrazionalità, e neanche di rimanere sospese sulle stelle, di notte, appoggiate al balcone del cielo. Non devono aver paura del buio che inabissa le cose, perché quel buio libera una moltitudine di tesori. Quel buio che loro, libere, scarmigliate e fiere, conoscono come nessun uomo saprà mai.❞ Virginia Woolf

P

er molti secoli le donne sono state dipinte da scrittori, pittori, musicisti, poeti e ogni tipo di artista come un essere grazioso, ininfluente, una semplice macchina per produrre e gestire i figli. Come diceva Hitler una donna deve essere una piccola cosa carina, carezzevole, ingenua, tenera, dolce, e stupida e per molto tempo, ben prima della Seconda Guerra Mondiale, nell'immaginario collettivo era davvero così. Le donne stesse pensavano che fosse giusto

31

essere così. Cresciute in famiglie nelle quali veniva insegnato loro ad essere esclusivamente una buona figlia, una buona moglie e una buona madre, esse non avevano libertà di possedere dei pensieri propri, di avere dei sogni e di volerli coltivare, e spesso non potevano nemmeno esprimere i propri sentimenti. Non erano persone, erano soprammobili con cui arredare casa. Ad oggi sembrano periodi lontani, altre generazioni, persone troppo distanti da noi per essere


prese in considerazione, ma la verità è ben diversa. La prima grande conquista delle Suffragette, un gruppo di donne unito per l'emancipazione femminile, è avvenuta nemmeno un secolo fa, nel 1946, quando l'Italia si è accorta che forse era ingiusto imporre decisioni a tutta la popolazione quando poteva esprimersi solo parte di essa. In quell'anno infatti, per la prima volta dopo secoli di silenzio, le donne ottenevano il diritto di voto. Il loro pensiero contava (quasi) quanto quello di un uomo. Le lotte per raggiungere la parità dei sessi, poi, non si sono fermate e per vari decenni le donne hanno cercato di conquistare l'indipendenza economica, impedita in quegli anni dalle rigide norme che ostacolavano e spesso rendevano loro impossibile avere un lavoro adeguato alle proprie capacità. Così negli anni ’50 e ’60, dopo una serie di faticose lotte per raggiungere ciò che doveva essere scontato, le donne sono riuscite ad ottenere importanti normative che garantissero loro un futuro in ambito lavorativo e che agevolassero la loro vita in quanto donne e contemporaneamente madri. Dal diritto di accedere in condizioni di uguaglianza a tutti gli uffici pubblici e alle cariche elettive nel ’48 fino ad arrivare all'accesso a tutte le cariche, professioni e impieghi pubblici nel ’63, si iniziava a delineare un futuro più equo

nei diritti seppur ancora molto più difficile da raggiunger per il "gentil sesso" rispetto agli uomini. Ma mancavano ancora svariati aspetti da gestire per poter parlare di parità dei sessi. Negli anni ’70, infatti, sono state promulgate nuove leggi affinché il popolo femminile potesse essere tutelato e fossero garantiti i diritti di parità nell'ambito familiare, come il diritto di famiglia, gli asili nido e i consultori. Nel 1970 venne promulgata la legge sul divorzio, prima della quale i casi di adulterio commessi dalle donne erano considerati reato e quindi severamente puniti. Ne è un esempio il caso di Giulia Occhini, protagonista di una relazione extraconiugale con il ciclista Fausto Coppi, negli anni Cinquanta, la quale fu reclusa per un mese a causa della denuncia del marito. Nel 1978 ci fu poi la legge sulla libertà d'interruzione della gravidanza e, pochi anni dopo, nel 1981, quella che aboliva il delitto d'onore, pratica che accettava l'omicidio della moglie, della figlia o della sorella se essa avesse commesso adulterio e il matrimonio riparatore che vedeva costrette alcune donne a sposare colui che le aveva violentate per non risultare "sporche" agli occhi di una società ancora troppo maschilista. In questo modo l'Italia diventava a tutti gli effetti un paese laico, nel quale una donna poteva essere padrona del proprio corpo e

32


scegliere per se stessa ciò che riteneva più giusto. Sembrano conquiste lontane nel tempo, ma non sono passati neanche cinquanta anni. Gli ultimi traguardi ottenuti dal "sesso debole" risalgono infatti a tempi molto recenti. Nel 1996 la violenza sulle donne non viene più considerata reato contro la morale, ma passa a reato contro la persona, e (finalmente) nel 2009 anche lo stalking viene considerato reato. Il percorso che ha portato all'emancipazione è stato lungo e difficile per molte donne e i diritti che esse hanno conquistato per noi ragazze oggi sono molti, ma ancora non sono

abbastanza e soprattutto non sono accettati da tutti: in molti paesi come l'Afghanistan, il Congo, il Nepal, l'Arabia Saudita, lo Yemen e l'India, la parità dei sessi non esiste e il femminismo è punito e soppresso dalle menti delle giovani attiviste. Ma la libertà di scegliere per noi stesse e per essere considerate alla stesso identico modo di chi ci sta accanto, indipendente dal sesso, è un diritto che non può essere portato via né tanto meno negato.

❝Le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale. Le donne sono la colonna vertebrale delle società.❞ Rita Levi-Montalcini 33


Quando hanno raggiunto il diritto di voto le donne nel mondo? 1977 Svizzera

1920 Stati Uniti

1953 Messico

1917 Russia

1918 Georgia

1932 Brasile

1893 Nuova Zelanda

1945 Giappone 1949 Cina

1928 Gran Bretagna

1976 Nigeria

1901 Australia

1971 Svizzera

1973 Giordania

1934 Turchia

1913 Norvegia

1997 Qatar

2015 Arabia Saudita

1946 Italia

1915 Danimarca 1944 Francia

1917 Canada 1919 Germania

1906 Finlandia

1949 Cile 1913 Islanda

1954 Belize 1919 Paesi Bassi

1918 Austria

1921 Svezia 1997 Oman

1955 PerĂš

1931 Spagna 1931 Portogallo

1989 Namibia

1960 Cipro 1952 Grecia

1948 Belgio 2000 Emirati Arabi Uniti e Bahrein

1939 Brasile

1924 Turkmenistan

34


A S É O H M I C R M A N PE LA LA N O D A A G L E L R SI STA DE E F R LA a Are

PE

di

herit Marg

na

Quando fu istituita la Festa della Donna, nel 1946, la guerra era appena finita, come l’occupazione degli stranieri, ed era stato appena concesso il diritto di voto anche alle donne, l’inverno stava finendo e lasciando spazio ai colori della primavera. Tre donne, Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei che facevano parte dell’Unione Donne in Italia (UDI) decisero che il fiore da donare nella nuova festa nazionale, poi diventata internazionale nel 1977, dovesse essere la mimosa.

MA PERCHÉ PROPRIO LA MIMOSA? L’8 Marzo in Italia è ancora abbastanza freddo e sono pochi i fiori che nascono in questo periodo. La mimosa è uno dei pochi insieme agli anemoni di campo e ai garofani: i due fiori rivali della mimosa in questa competizione, classificati rispettivamente al secondo e al terzo posto. La mimosa è riuscita a superarli, poiché è un fiore che si può facilmente trovare in natura, e quindi è alla portata di tutti. La qualità questo fiore di riuscire a nascere in territori difficili, quindi la sua forza, fu paragonata a quella delle donne, mentre sua la bellezza e il suo colore brillante ricordavano la felicità che i cittadini italiani provavano per la fine della guerra.

35


DIARIO DI SOPRAVVIVENZA PER IL LICEO

LA FESTA DELLA DONNA di Alessia Oreti

Qualche utile consiglio per affrontare al meglio la Festa della Donna a scuola (sia per lui, che per lei):

1.

Qualora siate allergici alla mimosa, restate a casa! Attenzione, non è uno scherzo! Rimanete a casa se non volete imbattervi in quegli splendidi fiorellini gialli in qualsiasi angolo giriate, potreste passare la vostra giornata a starnutire senza sosta.

2.

Se siete delle ragazze e avete una temuta interrogazione, potreste forse avere salva la pelle durante questa giornata (consiglio non applicabile con tutti i professori). Se siete dei ragazzi, mi spiace, ma avrete probabilmente più probabilità di essere chiamati, studiate e poi lasciate il resto al Fato.

3.

Anche una gentilezza verso una ragazza può essere apprezzata, che sia un augurio, un fiore o un complimento. Magari riproposto nell'arco di tutto l'anno. (Le donne vanno festeggiate sempre!)

4.

Non sminuire davanti agli altri l'importanza di questa giornata! È stata una battaglia dura per le donne acquisire i diritti di oggi e non vanno mai banalizzati. È una giornata importante. I consigli da dare non sono molti, per le donne questa giornata è importante e commemorativa. Ci ricorda ogni giorno quanto, coloro che ci hanno preceduto, abbiano faticato per ottenere questi diritti e quanto ancora oggi stiano lottando. Possiamo fare tutti qualcosa per limitare le discriminazioni, la violenza e per vederci tutti come pari. 36


Notte degli di Giulia

37


Oscar 2020 Agresti

L

a sera del 9 febbraio 2020 al Dolby Theatre di Hollywood si è tenuta la notte degli Oscar. Tra i vincitori delle ventiquattro statuette consegnate, ben sette sono donne. L’Academy Award, conosciuto anche come Premio Oscar o semplicemente Oscar, è il premio cinematografico più prestigioso e antico al mondo: venne assegnato per la prima volta il 16 maggio 1929, tre anni prima che il Festival di Venezia cominciasse ad attribuire i propri premi. A partire da Janet Gaynir, sono state circa duecentosettanta le statuette in rosa. Anche il record di Oscar vinti è tenuto da una donna: Katharine Hepburn, salita su quel palco per ben quattro volte. A vincere la categoria miglior attrice protagonista quest’anno è stata Renée Zellweger, diventata famosa per i suoi ruoli di Bridget Jones nella commedia Il diario di Bridget Jones e di Roxie Hart nel film musicale Chicago. Ritorna poi nelle sale del cinema con i sequel Che pasticcio, Bridget Jones e Bridget Jones’s Baby e con il dramma Ritorno a Cold Mountain, che le fa vincere l’Academy Award come migliore attrice non protagonista. Renée Zellweger è dunque una delle sette persone ad aver vinto il premio Oscar come migliore attrice sia protagonista che non. La seconda donna a salire le scalette dorate del teatro è Laura Dern per il suo ruolo di avvocato divorzista in Storia di un Matrimonio. L’attrice aveva già precedentemente ricevuto altre due nomination per Rosa Scompiglio e i suoi amanti e Wild. Spiccano però subito alla vista le nomination per migliore regia: i cinque candidati sono infatti tutti maschi. A contestare questa decisione della giuria è stata Alma Har’el, la regista israeliana di Honey Boy, che ha lanciato una proposta forse provocatoria, ma che molti stanno prendendo sul serio: raddoppiare la categoria come accade per gli attori. Se ciò accadesse si dovrebbero poi però istituire premi duplici anche per

costumisti e costumiste, produttori e produttrici, scrittori e scrittrici, fotografi e fotografe… Al sostegno delle registe scartate si è schierata anche Natalie Portman, che ha indossato sul red carpet un mantello con ricamati i nomi di Greta Gerwig (Piccole Donne), Lorene Scafaria (Le ragazze di Wall Street - Business Is Business ) e Lulu Wang (The Farewell - Una bugia buona). In molti si aspettavano delle critiche riguardo a questo gesto, ma nessuno aveva preso in considerazione che queste potessero provenire da Rose McGowan. L’attrice è infatti una delle maggiori esponenti di #metoo, movimento femminista contro le molestie sessuali e la violenza sulle donne diffuso dall’ottobre 2017 come hashtag usato sui social media. McGowan ritiene infatti che Natalie non sia stata “coraggiosa”, come l’hanno definita vari giornalisti, e che sia solo “una di quelle attrici che fingono di preoccuparsi per altre donne”, brave con le parole, ma che “in realtà non fanno nulla”, finisce poi il discorso con un invito ad “appendere il mantello da attivista ricamato’. La Portman, che solitamente si astiene dalle critiche che le vengono rivolte, non ha potuto fare a meno di rispondere molto elegantemente: “Sono d'accordo con la signorina McGowan sul fatto che non sia corretto chiamarmi “coraggiosa” per aver indossato un indumento con i nomi di donne. Coraggioso è un termine che associo più fortemente ad azioni come quelle delle donne che hanno testimoniato contro Harvey Weinstein nelle ultime settimane, sotto una pressione incredibile”. Possiamo parlare di una vera e propria lite? O è solo un altro scandalo che serve a fare audience? Non potremo mai saperlo, ma possiamo sperare che nonostante questa e altre invettive, le azioni di movimenti importanti come #metoo e femministe come Alma Har’el possano portare a uno spicco delle donne in tutti i settori, non solo in quello cinematografico.

38


Donne alla regia di Maddalena Grillo

Secondo una ricerca svolta su paesi quali Gran Bretagna, Francia e Italia, nel periodo tra il 2003 e il 2016 soltanto un film su dieci è stato diretto da una donna. Guardando più nello specifico al nostro paese, la percentuale di donne alla regia è del 9,2% e i finanziamenti destinati a film diretti da donne corrispondono all’11%. La regia cinematografica è da sempre un ambiente nel quale le donne vengono scoraggiate, infatti nel 41,5% delle ragazze che si iscrivono alle scuole di cinema, appena un 17% sceglie di intraprendere la carriera da regista. Del resto basta pensare al fatto che l’unica donna ad aver vinto un Oscar per la miglior regia è stata Kathryn Bigelow nel 2010 con il film The Hurt Locker. Nonostante il clima altamente misogino però, negli ultimi anni, soprattutto dopo lo scandalo Weinstein, che è riuscito a svelare finalmente anni e anni di soprusi sul genere femminile all’interno dell’industria cinematografica, il fatto che le registe donne siano un minoranza rispetto agli uomini è sempre più chiaro ed evidente, sotto gli occhi di tutti e fa quasi vergognare tutti i critici che per decenni hanno semplicemente sorvolato o snobbato, a causa della discriminazione di genere, quelli che in realtà erano ottimi prodotti. Inoltre un numero sempre maggiore di donne del grande schermo comincia a parlarne e a farlo notare. Un esempio su tutte è stata Natalie Portman, che alla sfilata degli Oscar di quest’anno ha sfoggiato un vestito con tutti i nomi delle registe che quest’anno non erano state candidate. Perché sebbene la presa di coscienza su tale problema si stia pian piano facendo strada, il percorso da seguire sarà ancora lungo e impervio, considerato che proprio quest’anno non vi è stata neanche una candidatura femminile alla regia, eppure un film come Piccole Donne, diretto da Greta Gerwig, se lo sarebbe indubbiamente meritato, considerando poi che la pellicola era stata candidata in sei diverse sezioni, compresa quella di miglior film. Allora non può che nascere il dubbio che questa guerra silenziosa e subdola sia condotta realmente da un sistema che accetta donne attrici, costumiste, make-up 39


artist, ma non registe. La speranza di tutti noi cinefili, di chi ama veramente il cinema per la sua capacità di trasportarci in storie che altrimenti non avremmo vissuto, di farci immaginare trame che non saremmo mai arrivati a pensare, di emozionarci, ridere, piangere, soffrire e commuoverci, è quella che, un giorno, quando tutti questi pregiudizi saranno caduti, un film possa essere giudicato per il suo vero valore, per quello che ci trasmette e per come lo fa, non per chi lo ha girato. Intanto, visto che questo numero di marzo sarà dedicato alla donna, vi propongo tre film diretti da donne! Spero che questi film possano piacervi e appassionarvi, mi raccomando di leggere anche la classifica dei migliori film del 2019, se vi siete persi le altre posizioni recuperatele nei numeri precedenti del giornalino! Inoltre, vi invito a partecipare al cineforum telematico, per tutte le informazioni e per decidere di quale film parlare trovate tutte le informazioni sul profilo Instagram de I’Giornalino: @i_giornalino

Lazzaro Felice – Alice Rohrwacher Un giovane mette in scena un rapimento per il suo capo, proprietario terriero borghese, per poi addormentarsi, svegliandosi soltanto decenni dopo nella campagna italiana. Nel film regna il paesaggio agricolo dell’Italia del ventesimo secolo e anche i conflitti di classe sociale che hanno caratterizzato questo periodo.

Pasqualino Settebellezze – Lina Wertmüller È la rappresentazione di una vittima che finisce per essere un mostro. La disavventura di un giovane proletario che nella Napoli degli anni ’30 è costretto a difendere una delle sette sorelle commettendo un omicidio, per il quale dovrà poi pagare una grave pena. Foto: Amazon, Anonima Cinefili

Foto: Risveglio Popolare, Anonima Veneziana

Lady Bird – Greta Gerwig Christine McPerson, liceale all’ultimo anno, è un’ambiziosa ragazza che sogna di trasferirsi sulla East Coast per frequentare il college. Quando decide di iscriversi ad un club di teatro la sua vita cambia completamente. Foto: Etsy, IlSole24Ore

40


MUSICA

Le tre donne più influenti nel panorama musicale mondiale

di Rachele Monaco, foto RadioIulm e Rai News

ÉDITH PIAF, il pa!ero"o di Parigi Soprannominata il “passerotto" di Parigi, Edith Piaf è stata una cantante francese, icona della musica nel periodo successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale. L’ infanzia di Edith Giovanna Gassion fu tutto fuorché semplice: fino ai sei anni visse, con la madre, in un quartiere povero di Belleville, poi si trasferì dalla nonna e infine da una zia, in una casa di tolleranza. Quando aveva dieci anni il padre, artista di strada, tornò a prenderla dalla zia ed Edith iniziò ad accompagnarlo durante le sue esibizioni: cantava la marsigliese, riscuotendo molto successo. All’età di 17 anni Edith ebbe una bambina da Louis Dupont, ma la piccola Marcelle Caroline, morì poco dopo di meningite. Dopo questa straziante esperienza continuò a cantare per le strade di Parigi, vivendo in un piccolo appartamento con la migliore amica, fino a quando non venne scoperta da Louis Leplèe che la fece debuttare in un cabaret con il nome di La mome Piaf, poiché la sua voce ricorda quella di un uccellino. Con le esibizioni aneiteatri arrivò anche la fama internazionale per Edith che decise di assumere il nome d’arte Édith Piaf: era molto conosciuta, oltre che in tutta la Francia, anche in Belgio e in America. Edith diventò cieca per un periodo, ma dopo essere guarita fu per sempre devota a Santa Teresa, infatti da adulta non ha mai fatto un concerto senza la sua croce al collo. Purtroppo morì molto giovane a causa di un cancro al fegato. Il cancro la affliggeva ormai da molto tempo e ciò le impedì di cantare per molti anni; durante suo ultimo concerto cantò la canzone Non, je ne regrette rien (non rimpiango niente). Mi ha colpita molto una delle sue ultime interviste, nella quale le hanno chiesto di dare un consiglio a una donna, a una ragazza e a un bambino, e lei rispose alle tre domande risposto con una semplice e potente parola: “Ama”.

MINA, la più grande cantante italiana Il suo nome di battesimo è Mina Anna Maria Mazzini, considerata la migliore cantante italiana di tutti i tempi, è nota per il suo talento canoro e per essere stata protagonista in numerosi spettacoli televisivi diffusi dalla Rai a partire dagli anni Sessanta. La sua voce, dal timbro caldo e subito riconoscibile, è dotata di grande ampiezza, agilità e tecnica; Mina si distingue anche per le doti interpretative e l'eclettismo, che l'hanno portata ad affrontare con successo generi musicali spesso lontani tra loro. Nasce nel 1940 a Cremona, dove viene soprannominata La Tigre di Cremona. La sua prima esibizione fu nel 41


1968 e venne talmente apprezzata che iniziò ad esibirsi sempre più spesso, fino a quando, una sera, incontrò David Matalon, importantissimo discografico, che le fece incidere subito quattro brani, di cui due in inglese, con lo pseudonimo Baby Gate. Solo un anno dopo debutta in tv, nel programma televisivo Musichiere cantando Nessuno. Nel 1960 partecipa al Festival di Sanremo, posizionandosi all’ottavo posto. Ritenta l’anno successivo con Mille Bolle Blu, uno dei suoi brani più famosi, ma purtroppo non vince nemmeno questa volta, così decide di non parteciparvi mai più. Proprio in questo periodo Mina conosce e si innamora dell’attore Corrado Pani con il quale intraprende una relazione sentimentale ostacolata dall’opinione pubblica italiana, poiché lui era già sposato. Nel ‘63 nasce Massimiliano e Mina viene bandita dalla televisione di stato (vi ritornò solo dopo un anno), vittima del maschilismo, Pani non fu in alcun modo criticato, e della concezione puritana di quel periodo. Mina è diventa anche la regina di un nuovo genere di cantanti gli “urlatori” chiamati così per via dei loro modi sguaiati, in contrapposizione con gli artisti della precedente generazione. Nel 1968 festeggia i suoi primi dieci anni di carriera nello stesso locale che la vide esibirsi per la prima volta, dove la cantante registra il primo album dal vivo. Mina poi dal ‘73 smise di fare concerti, eccezion fatta per festeggiare i suoi vent’anni di carriera nel ’78, e di fare apparizioni in televisione, dichiarando di voler rimanere eternamente giovane nell’immaginario pubblico. Da allora continua a stare in contatto con i suoi fans con gli album che pubblica periodicamente.

MARIA CALLAS, la regina dea musica lirica Di origini greche, Anna Maria Cecilia Sophia Kalogheropoulou nacque a New York nel 1923. Sin dall’infanzia ha mostrato un incredibile talento per la musica, infatti a soli undici anni partecipò alla trasmissione radiofonica L’ora del dilettante, vincendo il primo premio. Non prese mai lezioni di canto o di pianoforte da bambina, imparava dalla sorella maggiore, a volte origliando alla porta dell’aula in cui stava facendo lezione di canto. Quando si trasferì in Grecia con la madre venne accettata nel Conservatorio di Atene. Il suo cuore, però, è sempre rimasto negli Stati Uniti dove andava spesso per non perdere la cittadinanza e i rapporti con suo padre al quale è sempre stata molto legata. A trent’anni iniziò a cantare in pubblico sempre più frequentemente ed era molto apprezzata. Decise anche di venire a vivere qui in Italia nel 1947, precisamente a Verona, ancora “povera in canna”, come lei stessa disse, con cinquanta dollari in tasca e pochi vestiti. Proprio lì conobbe il suo futuro marito, Giovanni Battista Meneghini, grande amante dell’arte, li dividevano trentasette anni di differenza. La voce della scalpitante Soprano non fece breccia solo nel cuore di Meneghini, ma anche nei cuori degli italiani. Pian piano divenne famosa in tutto il mondo, infatti si ricordano concerti memorabili a Londra, New York, Parigi, e molte altre città… La sua voce incanta, commuove e stupisce chiunque la ascolti e per questo fu soprannominata La divina. Intanto Meneghini era ogni giorno più innamorato della moglie, ma, proprio per questo, nel 1959 la lasciò, poiché notò che con lui era infelice. Grazie all’amica Elsa Maxell, la Callas conobbe l’armatore greco Aristotele Onassis. Dalla loro unione nacque un bambino, Omero, vissuto pochissime ore. Successivamente la cantante ebbe un crollo sia psicologico che artistico, perché Aristotele la abbandonò per Jaqueline Kennedy, tanto da suscitare uno scandalo mediatico. Quando Maria Callas si accorse che la sua voce stava iniziando a perdere intensità e precisione, decise di ritirarsi a Parigi, dove viveva da sola e isolata. Morì a cinquantatré anni, nel 1977, con accanto a lei il maggiordomo e la governante. 42


Il Salon nasce come spazio espositivo digitale, ideato con l’intento di dare l’opportunità ai tanti artisti del nostro Istituto d’esporre le proprie opere d’arte.

Salon 43


Elisabetta Pieri Benedetta 2019

Acquerello e inchiostro su carta

44


Elisabetta Pieri Millennium Gennaio 2018

Grafite su carta

Elisabetta Pieri Nudo di donna Marzo 2020

Acquerello e matita su cartoncino 45


Elisabetta Pieri Ritratto di sconosciuta I Luglio 2019

Acquerello su carta

46


Elisabetta Pieri Ritratto di sconosciuta 2020

Matite su carta

47


Elisabetta Pieri Carolina 2019

Matita su carta

48


Elisabetta Pieri Rouge Marzo 2020

Gessetti su cartoncino

49


Elisabetta Pieri Autoritratto al tramonto 2020

Gessetti

50


Viaggiando… Si vola di Aurora Gori

P

er molti viaggiare è una passione: c’è chi viaggia desideroso di conoscere culture e stili di vita diversi dai propri, chi cerca di fuggire da una noiosa routine, chi è costretto a spostarsi da una parte all’altra del globo per lavoro, famiglia, amici, quando invece preferirebbe restare nel posto in cui è nato e piantare radici. È una scelta, che tutti dovrebbero essere liberi di prendere, senza essere condizionati da niente e da nessuno. In molti posti ancora le donne sono trattate come oggetti o merce di scambio. Molte non possono fare cose che per noi sono di una banalità disarmante, come guidare un’automobile o chiedere il divorzio. In molti paesi, le donne non possono neanche viaggiare senza il consenso di un tutore maschio: il termine “viaggiare” per loro è solo sinonimo di un piccolo, strano uccello di ferro che passa in lontananza sulle loro teste lasciandosi dietro una lunga scia di fumo bianco. Una cosa lontana. In Arabia Saudita, da solo qualche mese, le donne sono libere di richiedere un passaporto e viaggiare in maniera indipendente. Oltre a questo le saudite hanno conquistato altri vari diritti: in un paese da decenni regolato da strette norme religiose e

51

sociali, le donne hanno finalmente ottenuto la possibilità di guidare l’automobile da sole, di registrare una nascita o un matrimonio senza il consenso di un uomo. Una donna che viaggia da sola sviluppa una forte personalità; non ha bisogno di un uomo per sentirsi completa e felice. Le donne che viaggiano da sole assaporano ogni secondo del proprio viaggio essendo consapevoli di essere le uniche artefici delle proprie scelte e del proprio destino. E non è forse questo il tipo di libertà che rende un essere umano, di qualunque sesso, di qualunque religione, di qualunque etnia, davvero felice? La riconosci subito una donna che ha viaggiato da sola: ha l’andatura sicura di chi a camminato per il mondo e lo spirito autentico e un po' selvaggio che ha riscoperto sopito nel profondo non l’abbandonerà mai più. Viaggiare da sola rende una donna un po' più indipendente, un po' più capace di percepire quello spirito d’avventura che tutti hanno. Viaggiare è una libertà che se tolta lascia un vuoto enorme, anche se non lo diresti mai, è una libertà che se non è mai provata non potrà mai essere immaginata.


Agognata Libertà di Sofia Del Cherico

S

entila, senti le gocce fredde, il vento impetuoso tra gli alberi, senti il freddo tra le ossa, il bagnato dell'asfalto, le lacrime salate. Senti il sorriso sul tuo volto, il respiro vibrare dentro i polmoni; senti il fiato caldo, i tremori, i denti sbattere. Senti i lamenti, il silenzio, ascoltalo, cercalo e respira. Respira più che puoi, fin quando ti è concesso, respira l'aria, il sudore, il sangue e la solitudine. Percepisci, percepisci la speranza, la gioia, la tristezza, la forza che hai dentro, e sii felice, sii felice di essere ancora viva, di essere umana, di poter sentire tutto questo, di poterlo toccare e percepire. Sii felice. Le mani chiuse a pugno sull'asfalto, il corpo ricurvo e le guance graffiate, la coda sfatta, le occhiaie profonde, la saliva mischiata col sapore metallico del sangue sulle labbra, il naso che cola, le unghie rotte, i piedi scalzi, le gambe rovinate, la testa pesante e il cuore stanco. Hai sopportato e sopporti ancora, sopporti le ingiustizie, le violenze e il dolore, le sopporti con tutti i mezzi di cui disponi, tutti i sensi e tutte le parole. Ci provi, cadi e ti rialzi, come un bambino che fa i primi passi. Poi corri e ti ritrovi ancora a terra, come se non servisse a nulla, ci riprovi e hai speranza, hai voglia di combattere, senti dentro un fuoco, un sentimento, un’emozione forte, forte quanto il marmo, quanto le querce centenarie, quanto la tua resistenza, forte come tutte le ingiustizie, come tutte le pene provate, forte come una protesta, come un uragano, forte e impetuoso. E ti rialzi, non importa quante volte cadrai, tornerai sempre al punto di partenza se necessario, perché se ti arrendi ora non sarà l'ultima volta, combatterai, combatterai fino alla fine, combatterai per te stessa, per la vita che desideri, per le persone che non hanno mai creduto in te, combatterai fino a quando una lama ti trafiggerà il cuore, fin quando la pioggia cesserà di cadere, fin quando i tuoi tremori si placheranno, fin quando smetterai di piangere, fin quando ti sentirai più leggera. Allora, e solo in quel momento, potrai dire di aver concluso la tua battaglia, la battaglia più bella che una vita possa vivere. 52


la Perfezione non esiste! di Elettra Masoni e Giulia Ottini 53


START A REVOLUTION: STOP HATING YOUR BODY Being skinny is okay not being skinny is ok having curves is ok not having curves is ok bashing someone for their body type is not ok Sui social è sempre più frequente imbattersi in foto o video di ragazze o ragazzi dai corpi e volti apparentemente perfetti, ma la verità è che molto spesso questa loro perfezione deriva principalmente da programmi di editing, chirurgia plastica o trucco. E quello che ne risulta è che si diventa giudici spietati di se stessi e degli altri. In questi anni il lavoro dei chirurghi plastici è aumentato notevolmente, la maggior parte delle ragazze ambisce ad una bellezza ideale e ad una perfezione che consiste nell’avere un fisico a clessidra, capelli sempre in ordine, un naso piccolo abbinato a occhi grandi e labbra carnose. Certo, tutto ciò fa si che una ragazza sia obiettivamente molto bella e ovviamente possiamo sempre migliorarci, ma la vera bellezza o per così dire “perfezione” sta nel carattere, nella personalità e nel talento: sempre nell’ambito dei social, si dà meno importanza alla bellezza interiore, la tendenza di oggi è il continuo confronto con l’altro, l’apparire non lascia più spazio all’essere. Le donne sono soprattutto vittime di body

shaming, ovvero una forma di bullismo che colpisce l’aspetto fisico delle persone. Si parla sempre di uguaglianza, di canoni imposti dalla società, ma perché parlarne se siamo tutti diversi? Ed è questo il bello, essere diversi, la diversità ci rende unici. Non esiste un corpo perfetto o un viso perfetto, magari guardandovi allo specchio vi troverete anche mille difetti, ma avete presente quando, a volte, prima di uscire vi guardate allo specchio sentendovi particolarmente belle e sicure di voi stesse? Ecco trasformiamo queste due sensazioni in quotidianità e quelli che voi chiamate difetti, ci rendono unici, ci caratterizzano, ci rendono umani.

54


MI RACCONTO

Bernadette Silva

Sono sempre stata un po’ diversa… Ho sempre avuto sogni e traguardi molto diversi rispetto alle altre bambine. I miei sogni andavano dall'essere un giocatore di basket a uno scienziato, ma ciò che più amavo durante la mia infanzia era l'astronomia. Ho anche partecipato a tre Olimpiadi di astrofisica, astronomia e astronautica, quando avevo tredici anni, e mi sono classificata, in tutte e tre le gare, al primo posto. Tuttavia un'altra destinazione mi aspettava... Essendo un’autodidatta e assetata di conoscenza, ho finito per interessarmi all'arte e mi sono concentrata soprattutto su un’artista, Artemisia Gentileschi. Non passava giorno nel quale non leggessi scritti sulla sua vita e sui suoi lavori. La sofferenza di Artemisia ostacolata nel fare ciò che le piaceva corrispondeva a quello che stavo vivendo, anche perché avevo molti pensieri ed ero in parte confusa… Da allora ho iniziato a disegnare e a dipingere, unendo la passione per l’arte con quella dell’astronomia. Ciò che mi ha aiutato è stato il sostegno da parte delle donne che amo di più: mia nonna e mia madre. Per realizzare il mio sogno sono venuta a vivere nel paese dell'arte, nella mia città preferita, e, 55

quando sono arrivata, mi sono meravigliata di tutto. Se non fosse per la mia forza di volontà e il supporto delle persone più speciali di questo mondo, non sarei qui e non avrei realizzato quasi nulla, finito per fare quello che non mi piaceva solo per spinta degli altri. “Il successo arriva con il fallimento.” Sai perché? Perché devi lottare per questo, niente si ottiene da solo e non puoi lanciare tutto in aria al primo ostacolo, bisogna resistere. Ho incassato molti fallimenti prima di arrivare dove sono, mi è stato detto che non sarei stata nessuno studiano arte e che l'astronomia non era una cosa da ragazze, non lasciate mai che nessuno vi dica una cosa simile, che non puoi essere ciò che vuoi, devi solo combattere e credere in te stessa, non siamo una generazione di sperduti. Chiudo questo articolo dicendo che sei libero di fare quello che vuoi, dove vuoi e quando vuoi, credi nel tuo potenziale!


SGUARDO RANDAGIO IN MEMORIA DI BRISTOL

FIORE di Irene Spalletti

Questo articolo è in memoria di una creatura fantastica, una piccola stella che, dopo aver sofferto nei primi mesi di vita, era riuscita finalmente a trovare un po’ di fiducia nell’uomo. Aveva trovato una famiglia fantastica, che la avrebbe adottata insieme a Nello, un altro canino del rifugio, non appena fosse stato ultimato il recinto del giardino. Purtroppo, in una giornata che avrebbe dovuto regalarle il biglietto per volare dalla sua famiglia, le hanno trovato un male troppo grande che albergava nel suo corpo... Se n’è andata da un momento all’altro; ha lasciato le sue zie volontarie, Nello, i suoi futuri “mamma” e “babbo”. Questa creatura si chiamava Fiore; era davvero il Fiore più bello, e non smetterà mai di esserlo, perché nessuno si dimenticherà mai di lei. Riporto di seguito le dediche, immediatamente successive alla scomparsa di Fiore, di alcune volontarie... [re-si-lièn-za] s.f. fis. Capacità di un materiale di resistere agli urti senza spezzarsi: prova di r. sec. XVIII Ti ricorderò così. 
 Una cucciolona pazza scatenata con lo sguardo di un'adulta. 
 Una matassa di pelo ispido e folto che corre a tutto fuoco volteggiando su una collina.
 Due occhioni color dell'oro e i dentini sempre in mostra.
 Instancabile guardiana dello stallo. Non ti sfuggiva un ciclista! 
 Fiera addomesticatrice di cuccioli impertinenti. E quanti ne hai sopportati!
 Tenace. Testarda. De coccio! 
 Quando sei arrivata assomigliavi tanto ad un cucciolo di iena sgraziato. 
 Faticavi a camminare in linea retta per più di 4 passi senza cadere giù. 
 Cercavi di correre con quelle tue zampotte

sproporzionate, senza demordere, mai... Uno schiaffone in faccia a chi aveva cercato di schiacciarti! 
 Eri l'immagine perfetta della "Resilienza". La tua capacità di non spezzarti mai, di rialzarti ogni volta, con quello sguardo fiero sul musone, era incredibile.
 Proprio per questo oggi mi è difficile accettare di non trovarti più li, nel box di mezzo, ad aspettarci per uscire. Pronta ad accoglierci aggrappata alla rete con i dentini scoperti. Il tuo "sorriso"...
 Pronta a pizzicare il compagno di box per stabilire chi comanda. Ovviamente tu!
 Quante volte mi hai guardata perplessa mentre mi arrampicavo sulla cuccia di turno per rattoppare qualcosa. Ti sarò sembrata scema. Mi guardavi e piano piano allungavi una zampa per convincermi a scendere giù. Quante volte mi sono seduta accanto a te per cercare di farti mangiare tranquilla. Tu, che stavi sempre sul “chi va là" e abbassavi raramente la guardia. Ma quando l'abbassavi... tiravi fuori tutta la tua energia e vitalità. Tiravi fuori la tua preziosa dolcezza. Quante volte ti ho sgridata perché quando ti si chiamava certe volte da quell' orecchio proprio non ci sentivi eh! 
 Mancherai. Tanto. Non so trovare una spiegazione a come in un giorno come tanti tu abbia smesso di correre. Perché ti sia stato giocato questo orribile scherzo rimarrà "non compreso". Quello che so e che capisco è che rimarrai sempre qui, nel cuore, amata. Te lo prometto, Fiorella. Te ne sei andata ad un passo da un "sogno" ma in ognuno di noi continuerai a sognare. È ingiusto. Fa male. Non ci sei più ma rimarrai sempre qui, al centro del petto. Viva... Come sei sempre stata.

~ Riposa in pace piccolo fiorellino, ci hai lasciato un vuoto enorme... Una perdita improvvisa...Tra nemmeno venti giorni dovevi andare a casa insieme a Nello, un sogno che diventava realtà... Dopo tutto il male che ti era 56


stato fatto avevi avuto la tua RIVINCITA! 
 Purtroppo un male troppo grosso, si è accanito contro di te...Lasci un vuoto enorme dentro ognuna delle tue zie, e nel cuore di Nello... Anche nella famiglia che ti stava aspettando... Ma lasci a noi TE, in TUTTA TE STESSA!!! COLORO CHE VIVONO D’AMORE VIVONO IN ETERNO.Riposa in pace piccolo angelo.

~ La prima volta che ti ho vista, era una giornata piovosa, umida... Un po' come oggi, insomma.
 Rimasi sconvolta alla vista dell'ammasso di pelo e gambe storte che eri. Veniva quasi da ridere a vederti... Poi, quando mi è stato raccontato il motivo per il quale tu avessi quelle gambe storte, quella schiena deforme e perché tu non riuscissi a fare due passi consecutivi, ho sentito i fiumi di lacrime raggiungere gli occhi e il sorriso sparire in men che non si dica. La malvagità ti aveva seviziata. Eri pelle, ossa e zampe deformi. Ci sono voluti mesi e mesi, prima che tu prendessi le sembianze di un cane.
 E altrettanti mesi ti ci sono voluti per dimenticare, almeno in parte, tutta la cattiveria che hai dovuto ricevere per i primissimi anni di vita. Grazie al tuo carattere forte sei riuscita a ricominciare. Hai deciso di dare una seconda occasione all'essere umano. E l'essere umano era pronto a darti tutto quello che meritavi, finalmente. Era pronto a renderti, con gli interessi, tutto ciò di cui ti aveva privato all'inizio della tua vita. Ma il male ha preso il sopravvento di nuovo, stroncando tutto ciò che tu e l'uomo eravate riusciti a costruire con dedizione, pazienza, amore e perseveranza. Te ne sei andata, veloce come il battito di ali di una farfalla. Senza preavviso, senza che potessimo metabolizzare, almeno per un decimo, il dolore. Sei fuggita in un batter d'occhio da questo mondo, che ti ha regalato tanta sofferenza, ma anche tanto amore. 57

Questa vita tiranna non ti ha permesso di assaggiare il sapore della famiglia, della casa.
 Ma, comunque, sei andata via conoscendo anche la parte bella della bestia umana. Mai dimenticheremo il tuo atteggiamento da regina suprema del rifugio. Mai dimenticheremo le tue brontolate agli altri cani. Mai dimenticheremo le tue fughe sopra ai tetti. Mai dimenticheremo la tenacia che hai avuto nel ricominciare da zero il tuo rapporto col mondo. Che tu sia eterna,
 E che tu sia il
 Fiore più bello,
 Sempre.

! Per donazioni!

Associazione Sguardo Randagio

IBAN: IT 37 Z083 2538 1600 0000 0208 710


Angolo del Poeta “La poesia è quando un’emozione ha $ova% il suo pensiero e il pensiero ha $ova% le parole.“

Robert Lee Frost NOTTI ESTIVE di Riccardo Moscatelli Ti ricordi quella notte che annoiati noi ci siamo visti Dentro al bar del paese con i miei amici egoisti Ti vidi entrare bella, m'avvicinai per parlare Ancora non sapevo quanto stessi male Estati perse giù in paese, tra viole e rose Quando andavamo al lago, in giornate afose Quando chiamavi piangendo lacrime penose E io sentivo in sottofondo parole rabbiose Quella volta che arrivasti con un occhio nero Quando ti dissi: "Io lo meno" ero sincero Ma poi m'hai detto no, e io t'ho ascoltato È il mio più grande errore, ci ripenso frustrato E oggi ti ritrovo dentro al bar del nostro primo incontro Sei sempre bella e triste, questo è il mio riscontro E ogni volta che riparto io ti chiedo vieni via Indecisione nel tuo sguardo, dici no, continua l'agonia Passeranno i giorni, io non sarò lì con te La tua adolescenza complicata non sarà un granché Quello che tu chiami amore sarà il tuo becchino E credimi sarebbe diverso se ti stessi vicino Ehi, ormai son anni che ancora t'aspetto Quel che ti è successo no che non l'accetto Starti così lontano da sentirmi inetto Quanto t'ho voluto bene non te l'ho mai detto.

58


CONTATTI @i_giornalino I’Giornalino dell'Alberti Dante ilgiornalinoalbertidante@gmail.com


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.