I’GIORNALINO NO 24 NOVEMBRE 2022
Ben ritrovati a tutti!
Anche quest’anno riparte il progetto scolastico de I’Giornalino dell’IIS Alberti Dante.
Ormai da anni questa iniziativa viene promossa dagli studenti della nostra scuola, con l’obiettivo di rappresentare il nostro istituto e i suoi tre indirizzi: classico, musicale e artistico.
Il Giornalino è per gli studenti anche una preziosa modalità di condivisione di idee, interessi e passioni, che spaziano in svariati ambiti, e di espressione di sé.
Proprio per questo è per noi importante continuare a lavorare per mantenere attivo il Nostro giornale, con il sostegno della professoressa Tenducci e del professor Castellana.
Anche quest’anno infatti ci daremo da fare per proporvi un numero al mese -e, chissà, magari anche qualche edizione speciale- e contenuti social curiosi e interessanti.
Vi invitiamo dunque a seguirci nel nostro percorso e, se interessati, anche a prenderne parte con una collaborazione.
Per ora, vi auguriamo una piacevole lettura!
Gemma Berti e Elena Casati
IL PROGETTO
INDICE PILLOLE DI ATTUALITA’ BEIJA FLOR………………………………………………….…..12 BOOKTOK, UN FEMOMENO MONDIALE……………………13 RICICLARE IL PET CON GLI ECO-COMPATTATORI………..14 JANIS JOPLIN……………………………………………………15 CITTADINI DEL MONDO AH, LA FRANCE…………………………………………………16 IL SILENZIO DEL FÆR ØER……………………………………17 RECENSENDO IL BUIO OLTRE LA SIEPE………………………………..……..20 ALCINA…………………………………………………………..21 DRACULA………………………………………………………..22 LE ALI DELLA LETTERATURA………………………………..24 L’ANGOLO DELLO SPORT CALCIO D’ANGOLO……………………………………………26 PALLAVOLO, L’ITALIA RIPARTE DAI GIOVANI…………….28 L’ANGOLO DELLO SCRITTORE LA BALLATA DELL’ALUNNO INTERROGATO………………29 IL BAMBINO CON IL CUORE DI CRISTALLO………………..30 DEMONI…………………………………………………………..33 TRA I BANCHI DI SCUOLA LA MIA ESPERIENZA IN IRLANDA……………………………35
Direttrice
GEMMA BERTI (VB) Vicedirettrice ELENA CASATI (VB) Redattori
LETIZIA CHIOSTRI (VB), GIORGIA VESTUTI (VB), MARIANNA BEZZENGHI (VB), MARCO BRUCIAMACCHIE (VB), RACHELE MONACO (IVB), MARCO MAGGIORE (IVB), GIOVANNI G. GORI (IVB), IRINA LIPPI (IVB), ALESSIA PICCINI (IIIA), SARA ROSSI (IIIB), DILETTA GIULIA PAPALEO (IIIB), CAROLINA TOGNARELLI (IIB), NICCOLO’ GUARNA (IIB), GIACOMO BERTI (IIB), SOFIA MORICCI (IIB), NORA CAMPAGNI (IA), GINEVRA MALAVOLTA (IA), VALENTINA GRASSI (IA), VALENTINA MANES (IA)
Fotografi
MARIA VITTORIA D’ANNUNZIO (VB) NORA CAMPAGNI (IA)
Social Media
MARIA VITTORIA D’ANNUNZIO (VB) GIORGIA VESTUTI (VB), DILETTA GIULIA PAPALEO (IIIB) NORA CAMPAGNI (IA)
Ufficio Comunicazioni
ELENA CASATI (VB), SARA ROSSI (IIIB)
Impaginatori
GEMMA BERTI (VB); Referenti
PROFESSORESSA TENDUCCI, PROFESSOR CASTELLANA
REDAZIONE
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PRESENTIAMO…
Gemma Berti Testarda, ma volubile; ambiziosa e riflessiva; dotata di spirito di osservazione e non priva di autoironia. Alla ricerca di dettagli curiosi e contesti stimolanti!
Elena Casati
Ambiziosa, solare e un po’ testarda,
Maria Vittoria D’Annunzio Amo cantare, recitare, fare un po’ di foto qua e là e nel tempo libero…studio!
5 CI
Letizia Chiostri
Sono una ragazza solare e determinata, sempre alla ricerca di novità e particolarità. Mi potrete facilmente trovare sul palco a recitare o… A casa a studiare!
Sono intraprendente, curiosa e qualche volta esuberante, mi piace passeggiare, visitare luoghi dove non sono mai stata, leggere, scoprire nuove cose....e grazie al giornalino ho la possibilità condividerle con tutti voi!
Giorgia Vestuti
‘La spontaneità è una posa difficilissima da mantenere’.
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Rachele Monaco
90% acqua, 10% caffeina, curiosa, fin troppo ottimista e amo dire la mia. Amo l’arte e faccio mille cose, ma la mia preferita è prendere una pagina bianca e renderla un giardino di idee!
Marco Bruciamacchie Ferro ignique
Marco Maggiore
Le mie passioni sono il calcio e la vela. “Non chi comincia, ma quel che persevera” è il motto che seguo da sempre.
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Giovanni G. Gori “Attore”, “cantante”, “doppiatore”, “poeta” e cuoco: rigorosamente tutto tra virgolette eccetto l’ultima.
Irina Lippi
Ragazza appassionata di romanzi, scrittrice e giocatrice di tennis.
Sara Rossi
Sono una ragazza semplice: per essere felice mi bastano un buon libro e dei biscotti al cioccolato. Il mio motto è: “Nel mezzo di ogni difficoltà c’è un’opportunità.” (A. Einstein)
Eterna bambina, amo l'amicizia e i film della Disney, adoro ridere e far ridere. Dolce con tutti ma affettuosa con pochi, non potrei vivere senza i miei gatti.
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Diletta Giulia Papaleo Studio canto e pianoforte. Sono appassionata di cosplay, anime e manga. Le differenze non mi spaventano affatto, anzi, mi affascinano.
Carolina Tognarelli
Da sempre appassionata alla lettura di quasi ogni genere e più recentemente anche alla scrittura, sperando di poter coltivare col tempo questa piccola passione.
Niccolò Guarna
Sono un batterista che adora la musica in tutti i suoi generi: è un’ottima compagna di vita. Mi interesso anche di tematiche ambientali e politiche.
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Giacomo Berti
Sono un grande fan di ogni genere di sport: pallavolo, calcio, tennis, basket, freccette e molti altri. Sono un ragazzo solare, socievole ed estroverso: mi piace circondarmi di persone e “scambiare du’ chiacchiere” con tutti!
Sofia Moricci
Sono una persona introversa, ma solare, creativa, empatica e ho molti interessi, infatti nel tempo libero suono il pianoforte e gioco a pallavolo. Mi piace sorridere, far sorridere e stare in compagnia.
Nora Campagni
Vado avanti a libri, auricolari e cianfrusaglie vecchie di trent’anni, ho un talento naturale nel fissare gli estranei senza motivo e sono terribilmente allergica alla mancanza di autoironia.
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Valentina Grassi
Valentina Manes
Sempre sarcastica, fan accanita del rock e innamorata perdutamente di personaggi immaginari: non provate a parlarmi perchè probabilmente sto ascoltando la musica.
lingue, ma il tempo scarseggia per gli hobbies! Se dovessi esprimermi con una sola frase ... beh, non lo so... senza dubbio me ne servirebbero almeno 50, ma credo proprio che questa sia la migliore ... “Consider, for a moment, the silence - this terrible white space; all the things we never say and why?”
“Quando ti viene data la possibilità di scegliere se avere ragione o essere gentile, scegli di essere gentile!”
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BEIJA FLOR
Pillole di attualità
persone che si trovano dall’altra parte del mondo. Proprio per questo, conoscere culture e realtà diverse dalla nostra è diventato non solo un dovere, ma anche una preziosa fonte di arricchimento personale.
Ne è esempio il progetto di service avviato dal Rotary Club Mugello denominato “Beija Flor”, che ha l’obiettivo di creare un legame tra giovani della città brasiliana di Salvador Bahia e gli studenti delle scuole di vario ordine e grado del territorio mugellano.
Più in particolare, la finalità è quella di mettersi in contatto con la realtà vissuta dai ragazzi brasiliani, che, proprio grazie a questo progetto, il pomeriggio, dopo la scuola, si intrattengono e si esprimono attraverso l’arte e le sue svariate sfaccettature: musica, teatro e trucchi di giocoleria. Tale doposcuola dà a questi giovani una grande speranza: la prospettiva di un futuro migliore, lontano dalle violenze e dalla brutalità della strada, di cui hanno fatto esperienza fin da piccoli.
Quest’anno, è in programma una serie di tre incontri, nei quali si proporrà un confronto curioso e stimolante: si parlerà di sport, cibo, scuola e, più in generale, delle diverse culture che caratterizzano i due paesi. Sarà un’occasione per discutere, conoscere ed emozionarsi insieme.
La preziosità di progetti come quello di Beija Flor è quella di favorire la comprensione delle diversità che sussistono tra le varie popolazioni del nostro pianeta e che non sono altro che un motivo di scoperta e di ampliamento dei propri orizzonti, liberi da stereotipi e pregiudizi.
Le parole chiave di questa iniziativa? Ascolto, Accoglienza e, soprattutto, Crescita!
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BOOKTOK, UN FENOMENO MONDiALE
LA GENERAZiONE ZETA CHE Si AVViCiNA SEMPRE PiÙ ALLA LETTERATURA di Valentina Grassi
Sono i social che da due anni a questa parte invogliano anche i più giovani a leggere, in particolare sta spopolando il nuovo hashtag BookTok, in tendenza su TikTok. Ma di cosa si tratta?
Tutto inizia nel 2020 quando una studentessa americana scopre il libro “La canzone di Achille” -titolo originale “The song of Achilles”, pubblicato nel 2012- di Madeline Miller.
Dopo averlo letto decide di fare una recensione su TikTok, con un video di pochi secondi, non limitandosi a raccontare la trama ma concentrandosi sulle emozioni che il libro le ha suscitato. Il video in poco tempo diventa virale e il romanzo, nonostante fosse stato pubblicato otto anni prima senza tanto scalpore, inizia a vendere più di 10.000 copie a settimana.
Per le recensioni su BookTok basta un video del libro, una frase ad effetto ed una hit del momento. È questo che fa spopolare.
La sezione BookTok è principalmente formata da persone sotto i trent'anni che amano leggere libri e che condividono le loro opinioni. Una ragazza di ventitré anni afferma: «Tutti su TikTok hanno, più o meno, la mia età, quindi nove volte su dieci so che mi godrò i libri di cui tutti parlano…mi fido di più rispetto a un elenco di bestseller, che penso sia influenzato maggiormente dai lettori più adulti».
Ci sono diversi booktoker italiani che stanno avendo molto successo, ad esempio: Megi Bulla (@labibliotecadidaphne), Valentina Ghetti (@valentina.ghetti) e le sorelle Mantice, Francesca e Marica (rispettivamente @libridifranci e @libridimerj).
L’hashtag #BookTok ad oggi ha 5,9 miliardi di visualizzazioni e il numero è costantemente in crescita.
Anche le librerie si stanno adattando a questo fenomeno, inserendo nei loro scaffali un reparto BookTok con le classifiche dei libri più venduti. Insomma, è la Generazione Zeta che oggi decide il mercato dei libri.
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Riciclare il pet con gli eco-compattatori
di Niccolò Guarna
Sta prendendo sempre più piede nel nostro paese il progetto organizzato dal Coripet (Consorzio riciclo pet), che ha come scopo quello di ridurre l’utilizzo della plastica, per il quale noi stessi abbiamo attuato vari cambiamenti nella nostra vita quotidiana, e diminuire il numero abnorme dei rifiuti non riciclati. Ovviamente all’interno di questa iniziativa è stato previsto anche un incentivo che spinge i consumatori (ai quali apparteniamo anche noi) a partecipare a questa formula. Infatti in cambio di bottiglie di plastica vi sono buoni spesa mirati ad alleggerire il costo degli acquisti, in un periodo piuttosto delicato dal punto di vista economico. Per conoscere la lista dei supermercati aderenti a questo progetto, dove si troveranno gli eco-compattatori, è stata creata un’applicazione di Coripet scaricabile da tutti i dispositivi.
Qui, dopo una veloce registrazione, sarà possibile vedere la mappa degli eco compattatori più vicini alla propria posizione con il relativo stato (in manutenzione, pieno o funzionante). Inoltre, è possibile trovare il proprio codice a barre da mostrare al lettore ottico dell'eco-compattatore per far riconoscere il profilo e controllare la quantità di bottiglie raccolte.
Infine, è importante ricordare che le bottiglie con il simbolo Pet devono essere introdotte all’interno dell’eco-compattatore vuote, non schiacciate, con il tappo ed il codice a barre leggibile.
Una volta inserite le bottiglie, basterà recarsi al supermercato presente sulla lista iniziale, e mostrare i risultati della propria raccolta al momento della spesa.
Cosa aspetti? Scarica l’app e inizia a riciclare!
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JANIS JOPLIN
di Valentina Manes
Janis Joplin nacque in Texas nel 1943 e, ancora molto giovane, cominciò ad avvicinarsi al mondo della musica, esordendo con il suo primo pezzo What Good Can Drinkin' Do, nel 1962. La sua importanza fu tale che ad oggi, Janis Joplin rimane ancora una delle più grandi icone rock e blues della storia della musica. Nel 1967, anno in cui debuttò l’album Big Brother, realizzato col gruppo di cui faceva parte, viene definita “la cantante più potente dell’emergente movimento rock bianco” dal Time o “una bianca con la voce da nera”. Janis fu appunto una dei membri del “club dei 27”, un gruppo di artisti, in prevalenza rock, morti tutti all’età di 27 anni. Sebbene la sua vita sia stata assai breve, Janis ha rivoluzionato il concetto di musica ed è stata la prima musicista donna bianca ad avere lo stesso successo dei suoi colleghi maschi. Se la sua fama è arrivata velocemente tanto quanto la sua morte, il segno che ha lasciato resterà invece indelebile e immortale nella storia della musica. Purtroppo però Janis non è sempre stata apprezzata: prima di iniziare a cantare fu bullizzata ed emarginata per il suo stile e il suo carattere particolare, ed è stata anche vittima di bodyshaming per non essere particolarmente bella secondo i gusti dell’epoca. Ma la sua adolescenza difficile ha contribuito a ottenere un successo incredibile. Con la sua voce meravigliosa Janis riversava le sue emozioni e la sua energia nelle canzoni, e spesso riusciva a interpretare le canzoni degli altri meglio degli autori stessi, come con “Summertime”. Janis purtroppo non ha mai avuto un’esistenza felice: non si sentiva mai apprezzata e credeva perfino di non essere brava, così, come molti artisti dell’epoca, sfogava il suo dolore nella droga, fino a morirne per overdose nel 1970.
Oltre che per il grande segno lasciato nel mondo della musica, si ricorda Janis anche come un’orgogliosa femminista, che credeva nella parità dei due sessi. Inoltre era apertamente bisessuale, uno scandalo per l’epoca, quando questo argomento era un tabù. In conclusione, Janis Joplin è stata un simbolo della sua generazione e di un’epoca di grandi cambiamenti.
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Cittadini del mondo
Ah, la France
di Sofia Moricci
Chi non ha mai sognato di andare in vacanza all’estero per visitare le bellissime città in tutto il mondo? Chi non ha mai sognato di visitare una città come Marsiglia o come Parigi, la capitale della Francia? Cosa sappiamo su questi paesi? Beh, la Francia ricopre un territorio molto vasto che può essere definito a forma esagonale e, oltre a Parigi, ci sono molte città famose in questa regione. Tra queste, ad esempio, troviamo Marsiglia, conosciuta per il suo “vieux port”, Avignone, la città dei Papi, Nimes e Arles note per i loro anfiteatri, Tolosa, la città rosa, Bordeaux rinomata per il suo vino, Aix-en-Provence, paese di Cézanne, Nizza e la sua “promenade des Anglais”, Cannes, conosciuta soprattutto per il suo festival del cinema, il suggestivo Mont Saint-Michel e anche le tante zone, come la Savoia nota per le sue piste da sci, la Loira famosa per i suoi castelli, la Provenza, in cui si coltiva la lavanda, la Camargue, la città dei cavalli bianchi...
Mia mamma è di origine francese e molto spesso le capita di dover rispondere a domande come: “ Vieni da Parigi?”, come se fosse l’unica città francese. Altre volte le capita di sentire delle persone che cercano di rispolverare il francese studiato negli anni delle medie: “Comment-vas tu?” “Comment tu t’appelle?”. Anche se molti non se ne rendono conto, in realtà, in italiano usiamo già parole o modi di dire francesi, ormai diventati parte del nostro vocabolario: il menù che troviamo al ristorante, un trompe d’oeil, le meches, la manicure, il biberon...
Ma, cosa pensiamo noi italiani dei francesi? Quando pensiamo ai francesi, ci vengono in mente i croissants, i cappellini alla parigina colorati, le maglie con le strisce alternate dei colori bianco e nero e, sicuramente, la “r” moscia…
Nella mia rubrica, però, vorrei portarvi alla scoperta di città, luoghi, personaggi e, in generale, della cultura francese, mostrandovela più da vicino. Perché è innegabile che i francesi, così diversi così vicini a noi, suscitino contemporaneamente la nostra curiosità e la nostra stima.
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Il silenzio delle Fær Øer
di Nora Campagni
Le Isole Faroe sono un arcipelago di diciotto isole situato nell’Oceano Atlantico, tra Scozia e Islanda. In questo luogo remoto vivono circa 50.000 persone e spesso i villaggi non superano le settanta anime. Credo sia il posto più surreale e intrigante che abbia mai visitato: 300 giorni di pioggia l’anno, vento, freddo e più pecore che abitanti. Ogni scorcio di paesaggio, ogni villaggio, ogni persona che ho incontrato emanavano una tranquillità smisurata. Penso che sia il luogo perfetto per chi sa apprezzare il silenzio, il freddo oceano e i colori vividi della natura.
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Recensendo
IL BUiO OLTRE LA SiEPE
di Carolina Tognerelli
“Il buio oltre la siepe”, è un romanzo scritto da Harper Lee, pubblicato nel 1970 dalla Feltrinelli e tradotto dall’inglese da Amalia d’Agostino Schanzer.
L’autrice è nata nell’Alabama nel 1926, studiò legge per poi impiegarsi a New York presso una compagnia aerea. Il luogo di nascita dell’autrice e i suoi studi spiegano la scelta dell’ambientazione del libro, i termini piuttosto tecnici usati da Scout e suo padre Atticus e la descrizione molto accurata del tribunale.
Il romanzo è narrato in prima persona dalla piccola Scout, che rivive l’infanzia raccontando alcuni avvenimenti significativi della sua vita. Un’estate lei e suo fratello Jem conoscono Dill, con cui si divertono a recitare piccoli drammi. Tutti e tre, inoltre, sono attratti dalla casa dei Radley e allo stesso tempo ne sono spaventati; nonostante questo decidono di avvicinarsi sempre di più, ma senza successo, anzi, per poco non vengono scoperti.
Durante la primavera successiva al padre di Scout, Atticus, viene affidato il caso di un uomo nero, Tom, accusato di violenza carnale su una donna bianca, Mayella Ewell. Atticus riesce a dimostrarne l’innocenza ma Tom viene comunque condannato a morte.
Passa l’estate e ricomincia la scuola. Per la sera del 1 Novembre viene organizzata una recita, ma mentre tornano a casa, Jem e Scout vengono aggrediti da Bob Ewell, padre di Mayella, e fortunatamente Arthur Radley interviene, ma Bob rimane ucciso.
La tematica trattata in questo libro è molto importante: la storia è ambientata negli anni ’30 del ‘900 nella contea di Maycomb, nell’Alabama, e fa capire che, nonostante per natura ci sia parità tra tutti gli esseri umani, alcuni hanno ancora meno diritti. Ad esempio, esistono chiese solo per i “negri” o solo per i bianchi, quartieri solo per neri o solo per bianchi. Scout, nonostante la giovane età, comprende la situazione e trova questa disuguaglianza di diritti ingiusta. Una tematica così delicata guardata attraverso gli occhi di una bambina che, con la sua innocenza, a parer mio, comprende più degli adulti stessi.
Consiglio vivamente la lettura di questo romanzo, poiché non risulta mai pesante, anzi riesce a catturare l’attenzione del lettore ad ogni pagina, rimanendo sempre avvincente.
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ALCINA
di Giovanni G. Gori
Una musica meravigliosa, una storia avvincente e ricca di colpi di scena, cantanti fantastici e una regia indovinata e riuscita: sono questi gli ingredienti di Alcina, la nuova produzione del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino. Il regista Damiano Michieletto e il direttore d'orchestra Gianluca Capuano portano il capolavoro di Georg Friedrich Handel, finora mai rappresentato a Firenze, a picchi d'eccellenza come non se ne sono mai visti prima.
Gli interpreti sono in grado di delineare, attraverso la voce, i gesti e le azioni la psicologia di personaggi tutt'altro che semplici: svetta, su tutti, Alcina stessa; uno dei personaggi più enigmatici, affascinanti e struggenti della storia della musica; che viene rappresentata da Marie Lys in maniera convincente e misurata. Il soprano aveva sentito chiaramente, all'inizio, il peso gravoso di dover sostituire un pezzo forte come Cecilia Bartoli (che ha dato forfait dopo qualche giorno di repliche per una laringite, da cui speriamo si riprenda presto); ma più ha proseguito più si dimostrava adatta al difficilissimo compito assegnatole. Il controtenore Carlo Vistoli ha offerto una prova di notevolissimo livello nei panni di Ruggiero, il cavaliere sedotto da Alcina con la magia e sposo di Bradamante, ruolo assegnato al bravissimo contralto Kristina Hammarstrom, la quale, sotto le mentite spoglie di Ricciardo, dovrà riportare l'amato alla ragione.Lucia Martin Carton è una Morgana caliente, ambigua e romantica: la sua splendida voce, unita all'attitudine scenica convincente , sono uno dei (tanti) punti salienti dello spettacolo. Bravi anche il tenore leggero Petr Nekoranek nella parte di Oronte e il baritono RIccardo Novaro, nel ruolo di Melisso. Menzione speciale merita il bambino interprete del piccolo Oberto: se continua su questo percorso, da grande farà una lunga strada. La regia punta tutto su ciò che è un gioco di specchi: come, infatti, Michieletto ha affermato, il leitmotiv dell'intreccio è l'inganno. Infatti nessuno è chi dice di essere o crede di essere chi non è. E si crea una matassa di inganni e di ambiguità che viene districata alla fine, con la rottura della gabbia di vetro che era simbolo delle falsità libere e delle verità celate. Il finale è, infatti, secondo le parole del regista, "il disvelamento dell'inganno, la fine delle illusioni".
Come detto inizialmente, quello di Alcina è un personaggio di non facile lettura: Handel, attraverso la sua musica, ci offre il ritratto di una donna apparentemente forte e potente, ma in realtà fragile, insicura, che ha paura di sé stessa e dubita della sua bellezza. Nell'aria "Ah! Mio cor" è combattuta tra il dolore per l'amore perduto e l'orgoglio di essere regina, mentre alla fine, nell'aria "Mi restano le lacrime" (uno dei momenti più struggenti nella storia della musica) il suo è il ritratto di una donna che ha perso tutto, che è accompagnata dalla solitudine e da un senso angoscioso di morte.
Guardando lo spettacolo, ci si rende conto di come siamo di fronte a uno dei più importanti picchi raggiunti dal Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, che ci riserberà ancora tante piacevoli sorprese.
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Dracula
TRA FINZIONE LETTERARIA E REALTà
di Marianna Bezzenghi
Ottobre è ormai finito e con Halloween ha portato via dalle nostre case i vari ragnetti, pipistrelli e zucchette con cui le avevamo adornate. Se però a qualcuno è rimasta la voglia di mistero (come alla sottoscritta), potrebbe interessarvi conoscere qualcosa in più su uno dei primi romanzi horror mai scritti, la storia del celebre Conte Dracula.
Il libro, terminato e pubblicato nel 1897 da Bram Stoker, non solo è diventato un modello di riferimento per la letteratura “del mostruoso”, ma ha anche fissato le caratteristiche necessarie di ogni vampiro che si rispetti (anche se penso che molti - e soprattutto molte - di noi preferiscano vampiri alla Robert Pattinson).
Nonostante io non sia solita scegliere il genere horror né per film né per libri, ho in realtà amato questo romanzo e lo considero uno dei miei preferiti in assoluto; ciò che lo contraddistingue, infatti, è l'atmosfera incredibilmente immersiva all'interno della quale la narrazione trascina, tanto misteriosa e, talvolta, inquietante, da riuscire quasi a convincere di essere immersi nelle tenebre anche quando lo si sta leggendo in pieno giorno o di poter, una volta o l'altra, trovarsi faccia a faccia con una creatura succhiatrice di sangue. Dal punto di vista tecnico, l'effetto realistico potrebbe essere dovuto alla forma epistolare in cui è scritto, che permette di sentire le vittime davvero vicine, tuttavia penso che la connotazione avvincente del romanzo, nonché la sua fama, siano in realtà forse più legati alle interessanti storie che vi si celano dietro. Difatti, il protagonista che lega tra di loro le varie vicende, ovvero lo spietato vampiro e conte Vladimir Dracula, prende ispirazione da una personalità realmente esistita, ovvero Vlad III principe della Valacchia, una regione a Sud della Transilvania. Il principe Vlad non era un vampiro, tuttavia esercitò il proprio potere in modo molto violento, amando torturare i propri nemici con pene corporali anche piuttosto macabre (prima tra tutte l'impalatura, ragione per la quale venne soprannominato “Vlad l'impalatore); la sua nomea di vampiro e di creatura demoniaca, giunta fino ai giorni nostri, è solamente il frutto delle dicerie diffuse da parte delle popolazioni della Transilvania, costantemente minacciate dal suo impeto feroce, mentre l'epiteto “Dracula”, veramente utilizzato per
Dracula, Bram Stoker, 1897
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riferirsi al principe all'epoca, non ha in realtà alcuna connotazione oscura o macabra, ma significa semplicemente “figlio di Dracul”, cioè “figlio del Drago”, in merito al fatto che, suo padre veniva anche chiamato “Drago” perché membro dell'Ordine dei Dragoni del re degli Ungheresi. Mentre però la figura di Vlad III è piuttosto conosciuta, un fatto più particolare e meno noto è che il romanzo di Stoker nacque prendendo spunto anche da un fatto di cronaca avvenuto nel 1892 negli Stati Uniti, il cosiddetto “Panico dei vampiri del New England”. Accadde infatti che nella cittadina di Exter (nello Stato di Rhode Island, regione del New England), una ragazza di diciannove anni chiamata Mercy Brown morì in seguito a una malattia non identificata (adesso attestata come tubercolosi), i cui sintomi erano pallidezza, malessere e mancanza di appetito e di cui, qualche anno prima, erano morte anche la madre e la sorella. Qualche mese dopo la sua morte, venne a mancare anche il fratello in seguito alle stesse manifestazioni sintomatiche e iniziò perciò a diffondersi la voce che una delle tre donne della famiglia potesse essersi trasformata in vampiro, causando così le morti successive. Per negare le calunnie, le tre bare vennero aperte e, con grande sorpresa, si osservò che mentre il corpo della madre e della prima figlia si erano decomposti, quello di Mercy era gonfio, i capelli e le unghie cresciuti e sembra persino che - dettaglio probabilmente scaturito della suggestione del momento – nell'aprire la bara si fosse sentito un suono gutturale. Al tempo la notizia suscitò grande scalpore e fu a lungo considerata una vicenda paranormale, tuttavia, in base al processo di decomposizione dei corpi viventi di cui siamo a conoscenza oggigiorno, possiamo dimostrare che la povera ragazza non si era affatto trasformata in una creatura mostruosa, ma che, come è naturale, i cadaveri delle due donne morte in precedenza si stavano intorpidendo, mentre il suo presentava ancora manifestazioni come il restringimento, che faceva appunto apparire i capelli e le unghie cresciuti. Questo è probabilmente il più noto tra gli episodi legati ai presunti vampiri nella regione del New England, ma purtroppo tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento i sintomi della tubercolosi hanno portato molte persone (e defunti) ad essere sospettati avere poteri sovrannaturali, non solo nello stato di Rhode Island, ma anche in Connecticut, Massachusetts e Vermont.
Se siete curiosi di conoscere meglio le vittime del più famoso vampiro della storia (nonostante il primato sia conteso, ovviamente, con Robert Pattinson) e attraverso i loro racconti, cercare di decrifrare l'indole dello sfuggente conte Dracula, vi consiglio di leggere questo romanzo: la mia sete di letteratura è stata sicuramente soddisfatta, per quella di sangue sono ancora alla ricerca di buoni candidati.
Vlad III di Valacchia
Manifesto del presunto vampirismo
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Le ali della lettura
di Ginevra Malavolta
La letteratura è un mondo vasto, un universo parallelo aperto a tutti, che ci permette di viaggiare nello spazio, nel tempo, nelle anime dei personaggi. Grazie alla lettura possiamo trovare conforto in momenti difficili, o rilassarci dopo giornate stancanti. Talvolta, la letteratura ci permette di evadere dalle oppressioni quotidiane, quindi, spero di potervi aiutare con alcuni consigli a riscoprire questo grande forse mondo perduto.
Partiamo con Dammi mille baci, di Tillie Coole. Il libro fu pubblicato per la prima volta nell'estate del 2018 con il titolo originale di "a thousand boy kisses". Nella copertina delle edizioni più note, possiamo vedere un barattolo di vetro con un bigliettino a forma di cuore rosa, elemento chiave del racconto.
Questo, infatti, narra della storia d'amore di Poppy e Rune, iniziata in un pomeriggio di primavera quando i due avevano solo nove anni. La nonna di Poppy la lasciò con un compito, "un'avventura" molto importante, collezionare 1000 baci in grado di farle scoppiare il cuore su dei bigliettini in un barattolo. Rune, di origine norvegese e trasferito in Georgia da poco, decide di far iniziare l'avventura di Poppy da subito. Da quel giorno, dal bacio numero uno, niente potrà rompere il legame tra i due. Una storia d'amore eterno, che può battere tutte le avversità. "Un bacio dura un attimo. Ma mille baci possono durare un’eternità. Una delle storie più intense, struggenti e devastanti che abbia letto. Ti entra nel cuore come solo pochi libri sanno fare. È una di quelle storie che rileggeresti mille volte... "un indimenticabile". Un amore incorruttibile, eterno, immenso." (Greta Book Lover's)
Segue poi, il Piccolo principe, un classico senza tempo che ancora una volta è entrato nella classifica della Feltrinelli (top 15 nel mese di settembre). Il libro fu scritto da Antoine de Saint-Exupéry, e ormai ci sono tantissime edizioni del libro, molte accomunate dalla
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presenza di un bambino, il Piccolo principe in copertina. Il protagonista della storia, infatti, è il piccolo principe, un bambino che vive da solo su un pianeta lontano, e durante un viaggio sulla terra incontra un aviatore, al quale racconta come si è ritrovato nel deserto del Sahara. Partendo proprio da tutti i personaggi che incontra, il Piccolo principe ci mostrerà quanto possano essere strani gli adulti, che passano la loro vita a contare stelle che non possono possedere o ad ubriacarsi per dimenticare la vergogna di bere. Il Piccolo Principe è un libro senza tempo e senza età, è divertente ma profondo. "A Leone Werth.
Domando perdono ai bambini di aver dedicato questo libro a una persona grande. Ho una scusa seria: questa persona grande è il migliore amico che abbia al mondo. Ho una seconda scusa: questa persona grande può capire tutto, anche i libri per bambini. E ne ho una terza: questa persona grande abita in Francia, ha fame, ha freddo e ha molto bisogno di essere consolata. E se tutte queste scuse non bastano, dedicherò questo libro al bambino che questa grande persona è stata. Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano.) Perciò correggo la mia dedica: A Leone Werth quando era un bambino" (Antoine De Saint- Exupéry)
Chiudiamo, infine, con un libro che ha scalato la vetta dei libri più letti da gennaio a settembre 2022: Come uccidono le brave ragazze (pubblicato per la prima volta con il titolo: a good girl's guide to murder). Questo libro è stato scritto da Holly Jackson, e presenta nella copertina dell'edizione più nota una parte di un quadro investigativo, cuore del romanzo. Questo libro infatti, è un giallo per ragazzi che ripercorre la tesina di fine anno di Pippa Fitz-Amobi, diciottenne che vive a Little Kilton. Aveva solo dodici anni quando il caso della sparizione di Andie Bell sconvolse il paesino dove vive, e ora, è pronta a rischiare tutto per rianalizzare un caso dalla conclusione poco convincente con tutti i mezzo a sua disposizione.
"L'80% delle persone scomparse vengono ritrovate entro 24 h. Il 97% vengono ritrovate entro la prima settimana. Il 99% dei casi viene risolto entro l'anno. Resta un 1%.
L'1% delle persone scomparse non vengono mai ritrovate, ma solo lo 0.25% di tutti i casi ha un esito fatale.
E in tutto questo dove si posiziona Andie Bell? Sospesa da qualche parte tra l'1% e lo 0.25%. Il suo corpo non è mai stato ritrovato, ma tutti la considerano morta." (Come uccidono le brave ragazze).
Detto questo, non mi resta che augurarvi una buona lettura e invitarvi a leggere la rubrica del prossimo mese se desiderate altri consigli!
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Calci d’angolo
di Marco Maggiore
angolo dello sport
Zona europa
Protagonista assoluto di questo primo inizio di gironi di Champions League è sicuramente il Napoli guidato dal mister Luciano Spalletti che ha portato la sua squadra a un livello di lucidità e forma strabilianti, dopo il poker rifilato al Maradona agli inglese del Liverpool arrivano due ottime prestazioni contro il club olandese Ajax ai quali sono stati segnati 10 gol tra andata e ritorno.
Un Napoli che a inizio stagione tutti davano come perso viste le vendite importanti da parte della società quali il centrale di difesa Koulibaly, la bandiera Mertens, il portiere Ospina e il centrocampista centrale Fabian Ruiz. Fortunatamente però a scongiurare le più nere previsioni ci sono i due nuovi acquisti Kvicha Kvaratskhelia e la giovane promessa italiana Giacomo Raspadori che insieme alla loro squadra stanno dando lezioni di calcio a tutta Europa.
Non possiamo dire la stessa cosa invece per la Juventus di Massimiliano Allegri che con la sconfitta fuori casa contro la squadra Maccabi Haifa e con la sconfitta a Lisbona contro il Benfica si ritrova matematicamente fuori dalla champions. Per molti opinionisti il potenziale non espresso di questa squadra è di coefficiente altissimo. Gran parte del demerito va dato sicuramente all'allenatore che ritornato sulla panchina bianconera da ormai due anni non è mai riuscito a trovare la quadra, tuttavia anche la società ha delle responsabilità, messa all’indice dai propri tifosi per non aver esonerato l’allenatore ora rischia di perdere diversi fondi per il mancato raggiungimento degli ottavi di Champions.
Da Torino passiamo a sponda Milano dove le due squadre milanesi affrontano con positività questi gironi. Da una parte, i nerazzurri di Inzaghi dopo un inizio di campionato non brillante raggiungono la qualificazione agli ottavi classificandosi secondi nel proprio girone, fornendo due ottime prestazioni contro il Barcellona di Xavi. Inzaghi e i suoi erano chiamati a riaccendere i riflettori ottenendo una vittoria fondamentale a San Siro per 1-0 e un pareggio per 3-3 in casa degli spagnoli, ritrovando
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inoltre la forma di pedine importanti che fino ad ora erano mancate come quella del tedesco Robin Gosens andato a segno proprio in quest’ultima gara.
Dall’altra parte, invece, è momento decisivo per la squadra guidata da mister Pioli che dopo la vittoria contro la squadra Dinamo Zagabria riacciuffa il secondo posto, anche se ora manca la partita più importante ovvero quella contro il Salisburgo, in caso di pareggio o vittoria passerebbero i rossoneri, mentre in caso di sconfitta ci sarebbe il sorpasso del Salisburgo e la mancata qualificazione agli ottavi per la squadra di Pioli.
Serie A
Dopo la sconfitta in Champions la Juventus finalmente si riscatta nello storico derby della Mole contro il Torino di Juric. I bianconeri vanno a segno solo sul finale al 74’ con rete dell’ex viola Dusan Vlahovic che insegue nella classifica marcatori il bomber italiano Ciro Immobile a quota 6 gol, il quale è uscito per infortunio al 27’ nella gara tra Lazio e Udinese finita in pareggio con zero reti assegnate. Restando in tema infortuni, il top player del sassuolo Domenico Berardi dopo essere tornato in campo da un lungo infortunio che non gli ha permesso di vedere il campo da i primi di settembre si è nuovamente infortunato nella gara contro l’Atalanta, vinta dai bergamaschi 2-1 nella quale il nazionale azzurro ha quasi sfiorato un eurogol di sinistro a giro sotto l’incrocio dei pali.
Zona viola
Dopo la sconfitta per 3-4 contro l’inter in casa al Franchi molti tifosi restano con l'amaro in bocca per via del gol vittoria preso all’ultimo minuto di gioco con un clamoroso errore del terzino destro Lorenzo Venuti, il quale non spazzando la palla ricevuta nella propria area di rigore ha sostanzialmente fornito un assist alla mezzala dell’inter che si era inserita proprio alle sue spalle e con un tiro di piatto ha portato in vantaggio la propria squadra.
Il momento di crisi della fiorentina è evidente, 10 punti totalizzati in 11 giornate di campionato, una viola che spesso ha il controllo del gioco ma che raramente finalizza in porta per via della poca prolificità dei suoi attaccanti.
Tuttavia alcuni cercano di vedere il bicchiere mezzo pieno poiché pur avendo dimostrato grandi limiti difensivi la squadra di mister Italiano è riuscita a far sbloccare con un gran gol di semirovesciata il suo nuovo acquisto Luka Jovic dal quale tutta la piazza viola si aspettava molto, il serbo dopo la partita con l’inter è riuscito a segnare anche una doppietta in Conference League contro l’Istanbul Basaksehir, consegnando così la qualificazione agli ottavi di conference alla propria squadra. Non mancano però nuove contestazioni da parte dei tifosi nei confronti del centravanti serbo, che dopo aver segnato la doppietta ai turchi si è rivolto verso la curva Fiesole per tapparsi le orecchie, un gesto provocatorio nei confronti di tutti quei tifosi che fino a quel momento lo avevano criticato.
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Pallavolo: l’Italia riparte dai giovani
di Giacomo Berti
Dopo molte delusioni riscontrate nei precedenti anni, prima tra tutte quella delle Olimpiadi, l’Italia riparte alla grande. Ventiquattro anni dopo l’ultima volta la Nazionale maschile riesce a portare il titolo di campione mondiale a casa. Una Nazionale molto giovane, appena 24 anni l’età media, riesce a sconvolgere ogni pronostico e aggiudicarsi il 4° oro nella sua storia (1990, 1994,1998 e 2022). Ad inizio torneo i tifosi avevano molte perplessità, sia per l’età della squadra, sia per l’esclusione di una stella e una leggenda della nazionale italiana Ivan Zaytsev. Nonostante ciò, i nostri ragazzi hanno tirato fuori tutta la passione e il carattere riuscendo a salire sul gradino più alto del podio. Altra nota di merito va senza dubbio alla Nazionale Femminile, protagonista di un ottimo torneo Mondiale, che però deve accontentarsi della medaglia di bronzo. Vittoria dopo vittoria l’Italvolley giunge in Semifinale contro il Brasile, ma ahinoi viene surclassata per 3-1 dalle ragazze in maglia verdeoro. Tuttavia vinciamo la finalina guidati, come sempre, dalla nostra schiacciatrice Paola Egonu. Oltre alle Nazionali maggiori, l’Italia festeggia anche per le squadre giovanili, a partire dall’under 17 Femminile, guidate dal mister Michele Fanni, le giovani atlete riescono a vincere per la prima volta il torneo internazionale svoltosi in Repubblica Ceca. Stessa competizione e stesso risultato anche per l’under 18 maschile che in Georgia riescono a battere in finale i rivali Francesi. Doppio oro invece per l’under 19 femminile che riesce ad aggiudicarsi oltre all’EYOF (European Youth Olympic Festival), battendo, ai vantaggi del 5° Set, la Serbia principale candidata al titolo. Doppietta anche per l’under 20 maschile che, così come l’under 19F, riesce a aggiudicarsi l’EYOF e l’europeo, sempre nel 5° set, ma questa volta tra le mura amiche contro un’ottima Polonia che ci ha provato fino all’ultimo punto. Salendo di categoria non possiamo non citare l’Europeo vinto dall’under 21 femminile, che riesce ad aggiudicarsi il primo trofeo dedicato alle atlete inferiori ai 24 anni, con una splendida vittoria, sempre per 3-2, sempre in finale contro la Serbia. Ultimi, ma non per importanza i ragazzi dell’under 22 maschile che completa quest’estate completamente azzurra, vincendo l’ennesimo europeo, battuta in finale per 3 set a 1 la formazione Polacca. Con questi risultati l’Italvolley non può che guardare col sorriso ai mondiali under 19 e under 21, maschili e femminili in ambedue le categorie, che si svolgeranno nel 2023. E come sempre, Forza Italia!
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angolo dello scrittore
La ballata dell’ alunno interrogato
di Giovanni G. Gori
E questa è la ballata Dell'alunno interrogato Che andò volontario Non essendo preparato. Il motivo di tal gesto Sfugge ancora al sottoscritto.
È un mistero irrisolvibile Degli etruschi più fittizio. Sta a vedere che, di certo, Si voleva far notare: Spesso, in casi come questi, Sono in tanti a dichiarare Che son pronti a sottostare A domande a propulsione. Voglion credersi dei geni Quando all'interrogazione Non sapendo poco o nulla Scelgono di dare azione.
Poi van verso la lavagna Ed impugnano il gessetto Ed al prof che sta a guardarli Dicon "Basta, prof. La smetto"
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Il bambino con il cuore di cristallo
di Sara Rossi
Siamo lieti e orgogliosi di pubblicare il racconto scritto da Sara Rossi della classe III B indirizzo Classico. Sara ha partecipato con i suoi compagni al concorso letterario “La scrittura non va in esilio”, promosso dalla Fondazione Centro Astalli di Roma, un’associazione che sostiene e favorisce l’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati e che ogni anno si impegna nella sensibilizzazione di questi argomenti attraverso vari progetti nelle scuole come “Finestre – Storie di rifugiati”. Sara, premiata a Roma lo scorso 20 ottobre, si è qualificata al decimo posto, con la sua toccante storia che racconta di un bambino e del suo viaggio verso la speranza di una vita migliore. Buona lettura!
Dalla finestra aperta i raggi del caldo sole siciliano entravano nella piccola stanza. Faceva molto caldo ma Koku era abituato a climi molto peggiori: per arrivare lì, in quel centro di accoglienza migranti di Lampedusa, aveva dovuto attraversare il deserto e sopravvivere alla sua calura allucinogena. Al tavolo di fronte a lui sedeva un uomo bianco sulla quarantina, un assistente sociale, che gli stava ponendo delle domande. Koku aveva paura: non parlava la sua lingua e non sapeva se potesse fidarsi di quello sconosciuto. Però accanto a lui, ad incoraggiarlo, c’era la signora che lo aveva salvato in mare ed era certo che lei non gli avrebbe fatto del male perché i suoi occhi erano come cristalli luccicanti. «Koku, ci vuoi raccontare come sei arrivato qui?». Koku annuì e iniziò a raccontare il suo lungo e doloroso viaggio dall’Etiopia all’Italia. Sua madre in quei giorni sembrava sempre preoccupata. Gli raccontava tutte le notti la storia che tanto piaceva a Koku quando era piccolo: la favola del bambino col cuore di cristallo.
C’era una volta un bambino che andava in giro per il mondo con il suo piccolo e luccicante cuore di cristallo. Un giorno incontrò un uomo vestito tutto di nero, con gli occhi neri e cupi come la pece. Alla vista di quel prezioso cristallo, l’uomo gli chiese se potesse osservarlo più da vicino e la sua figura spaventosa si avvicinò al bambino. Lui, ingenuo, glielo mostrò e quando l’uomo cercò di prenderglielo con uno scatto felino, nell’atto di impedirglielo gli cadde il suo fragile cuore, che si frantumò in mille pezzi. Poiché il cuore perse la sua brillantezza, l’uomo abbandonò l’interesse di rubare quel cristallo, ormai di poco valore, e se ne andò ridendo e facendosi beffe del piccolo bambino. Il giovane, rimasto solo, si inginocchiò a raccogliere i pezzi del suo cuore infranto e, sentendo una morsa lancinante che gli stringeva il petto, iniziò a piangere. Quei tristi singhiozzi vennero sentiti da una signora anziana che passava per quella strada. Dispiaciuta per il bambino, lo aiutò a raccogliere i pezzi e gli disse: «Piccolo, non ti preoccupare. Ti aiuterò a riunire i pezzi del tuo cuore con la mia colla magica». La donna estrasse dalla sua borsa la colla e con meticolosa cura e attenzione rincollò i pezzi del fragile cuore. Ad opera compiuta, il bambino la ringraziò e la donna
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gli diede una dolce carezza sul viso, guardandolo con due occhi chiari e brillanti. Subito, a quel tocco, il cuore del bambino tornò a brillare.
«Koku, impara a riconoscere gli uomini di cui ti puoi fidare: fidati delle persone i cui occhi brillano come il cuore di cristallo del bambino» gli ripeteva sempre sua madre, alla fine della storia. Il giorno in cui dovette mettere in pratica questo insegnamento arrivò molto presto.
Una sera, mentre Koku e sua madre stavano mangiando il loro povero pasto, bussarono prepotentemente alla porta. Sua madre si alzò di scatto e prese un sacchettino di pezza lercio con un cordino all’estremità a chiuderlo. «Koku, prendi questo sacchettino e fanne buon uso. Devi scappare da qui: devi passare per il deserto e andare in Libia, a Tripoli. Da lì prendi una nave e vai in Italia, hai capito?» Bum bum. La persona che bussava stava diventando impaziente e gridava di aprire la porta. «Koku, mi hai capito? Vai in Italia. E, Koku, un’ultima cosa», le lacrime le rigavano il volto e la voce cercava di non tremare, ma la paura era troppo forte, «ricordati del bambino col cuore di cristallo. Ti voglio bene, non dimenticarlo mai». La madre lo abbracciò con tale forza da potergli toccare l’anima. Koku non capiva cosa stesse succedendo, però sapeva che quello era un addio. Ricambiò l’abbraccio della madre, bagnando la sua spalla con lacrime che scorrevano sulle guance come fiumi in piena. «Ora nasconditi sotto il letto. Esci solo quando sarai certo che non c’è più nessuno. Va bene? Addio amore mio». Quelle ultime parole le bisbigliò al suo orecchio, talmente piano che Koku pensò di averle immaginate. Ma era tutto reale. Da sotto il letto vide la madre aprire la porta e parlare con un omone sulla soglia della loro casa. Le stava facendo delle domande quando la prese per un braccio e la spintonò fuori. La madre cercò di impedirlo, di dimenarsi, ma non era abbastanza forte contro una tale violenza e l’uomo le tirò uno schiaffo che fece male a Koku: sentiva la guancia frizzare come se lo avesse ricevuto lui. Le lacrime continuavano a scendere mentre ascoltava le grida di aiuto di sua madre, che veniva picchiata e violentata davanti la loro casa. Quando fu certo che non ci fosse più nessuno, Koku uscì da sotto il letto e da quella casa, ormai diventata ostile.
Vagava per la città. Non sapeva cosa fare, dove andare. Ripensava a sua madre, ai suoi occhi pieni di paura e alle sue grida di dolore. A un tratto, un signore gli si avvicinò per chiedergli cosa stesse facendo lì, da solo. Koku gli raccontò che doveva andare in Libia ma non sapeva in che modo. «Quanti soldi hai, piccolo?» Lui aprì la busta che gli aveva dato la sua mamma e glieli mostrò. Subito, alla vista del luccichio di quelle monete, gli occhi dell’uomo si illuminarono.
«Vieni con me, piccolo. Ti trovo io un passaggio per la Libia». Koku lo seguì, fidandosi di lui. Lo portò fino a un garage, dove davanti c’era parcheggiato un furgone con all’interno dei sacchi della spazzatura. Il signore andò a parlare con un omino grasso e sporco. Mentre discutevano gli indicò Koku. L’omino annuì. Il signore tornò da Koku e gli disse: «Quel signore là ha detto che è disposto a offrirti un passaggio ma, in cambio, gli devi dare tutti i soldi che hai». Koku non sapeva quanti soldi avesse: non sapeva contare o leggere. Il signore, però, era stato gentile ad aiutarlo, così gli consegnò il sacchetto e l’omino grasso lo fece infilare dentro uno dei sacchi della spazzatura, sigillandone l’estremità.
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«Che bimbo ingenuo» lo derisero i due uomini. Ma Koku non li poté sentire perché qualcuno aveva messo in moto il camion ed era partito verso la sconosciuta terra della Libia.
Il furgone marciava a passo spedito. Si fermavano circa ogni cinque ore: Koku così poteva fare pipì e poi gli veniva dato un goccio d’acqua e pochissimo cibo. Il resto del tempo lo passava sigillato nel sacchetto. Era un luogo soffocante. L’aria era totalmente consumata. Non riusciva a respirare. I polmoni gli facevano male a ogni respiro. Il caldo opprimente del deserto lo soffocava. Le guance erano costantemente rigate dalle lacrime acide mischiate al sudore, uniche gocce d’acqua che poteva permettersi in quelle ore estenuanti. Ma non bastava affatto: la gola era sempre secca e nello stomaco sentiva come un buco nero che minacciava di inghiottirlo. L’unico mezzo per resistere era pregare; ricordava le preghiere che sua madre gli aveva insegnato e le ripeteva, a bassa voce, sussurrandole per non essere sentito. Perché chi faceva rumore, veniva bastonato. Il silenzio governava sovrano in quel rimorchio putrido e pestifero. Koku non sapeva quanti giorni fossero passati dalla partenza quando il camion si fermò definitivamente. «Dove siamo?» chiese all’autista. «Sebha, 800 km da Tripoli. Il viaggio finisce qua» rispose quello in modo scontroso. «Ma io devo arrivare a Tripoli. Il signore mi aveva detto…», ma l’uomo lo interruppe. «Bimbo, io non ci posso fare nulla. Vattene prima che ti consegni ai trafficanti di uomini». Koku scappò via. L’unica cosa che poteva fare era mettersi in marcia. Iniziò a camminare nella direzione che una signora gli aveva indicato. Camminava e camminava. La testa gli girava per il caldo, la fame e la sete. Iniziava ad avere le allucinazioni, quando una macchina accostò accanto a lui. «Ehi, piccolo, hai bisogno di un passaggio? Io sto andando a Tripoli». Non sapeva se accettare. Aveva già rifiutato un passaggio da un omaccione che assomigliava molto a quello che gli aveva rubato tutti i soldi. Lui, però, era giovane. Indossava degli occhiali da vista davanti a due grandi occhi dolci e rassicuranti. Salì a bordo. Non parlò molto con l’uomo e quello gli chiese solamente il suo nome. Finalmente, Koku arrivò a Tripoli, ma non sapeva da che parte fosse l’Italia. Allora il suo accompagnatore lo aiutò a imbarcarsi su una nave clandestina per raggiungerla. «Koku, ascoltami bene. Al mio tre corri il più velocemente possibile sulla barca e nasconditi. Se ti prendono, ti faranno molto male, perché non gli hai pagato il biglietto. Hai capito? Corri e nasconditi. Uno, due, tre!» Koku corse sulla nave e si nascose tra le persone sedute per terra. Tenne il volto basso per non farsi notare. La tromba della nave risuonò tre volte ed essa cominciò a muoversi. Koku rimase fermo e con la testa china per tutto il tragitto, finché qualcuno non iniziò a gridare «terra, terra!» Tutti si alzarono per osservare quella tanto desiderata meta, e lo stesso fece Koku. Lui non aveva mai visto il mare: quella distesa di acqua immensa ed azzurra lo affascinò. Attesero per ore. Molte persone, dalla disperazione nel vedere quella meta così vicina ma ancora così irraggiungibile, si buttarono in mare. Lui non poteva: non sapeva nuotare. Aspettò finché non arrivarono i soccorsi sulla nave. Lei, la stessa signora che ora gli stringeva la mano mentre raccontava il suo estenuante viaggio, lo vide, gli si avvicinò e gli disse con la voce più dolce che avesse mai sentito: «Vieni con me, bambino. Ti porto in salvo». Koku la guardò negli occhi e rivide in quei cristalli luccicanti il volto di sua madre. Afferrò la mano di quella donna che lo portò a riva e, rimasta commossa da lui, un bambino tanto coraggioso, e dalla sua storia, gli donò una nuova famiglia, da cui Koku ricevette amore e felicità, nella bella Italia che aveva sognato ogni notte durante il suo lungo viaggio verso la speranza di una vita migliore.
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DEMONI
di Marco Bruciamacche
IL PROLOGO
Nota: L’azione di svolge dopo la battaglia di Sekigahara(1600), che vide lo scontro armato tra i clan nipponici divisi in due fazioni:quella capeggiata da Tokugawa Leyasu e quella capeggiata da Ishida Mitsunari. Lo scontro fu vinto da Tokugawa,che fondò l’ultimo shogunato(regime dove buona parte del potere effettivo è retto dallo shoghun, in una sorta di diarchia con l’imperatore) della storia giapponese,durato fino al 1868.
Takeshi si portò la mano sporca di terra alla fronte. Un liquido denso e scuro gli avviluppò le dita, caldo di vigore che scorreva via. Le lacrime gli pungevano i begli occhi scuri, ma erano ricacciate indietro da folate taglienti di vento gelido. L’Ak i(autunno) era ormai inoltrato, ma sul monte Matsuo sembrava ormai aver lasciato spazio ad un inverno precoce e mordace. Le fronde dei pini producevano acuti lamenti, lasciando sgorgare copiosi i minuti aghi, che si perdevano nello sconfinato manto nevoso. La montagna ululava in preda alla disperazione, forse raggiunta dall’acre odore di sangue che aveva bagnato la piana, forse dalle grida disumane che avevano sostituito il consueto silenzio operoso dei braccianti agricoli. Takeshi non riusciva a credere che solo quella mattina avesse svegliato il nobile Ishida, circondato dall’allegro brusio delle truppe che si rifocillavano nell’aria nebbiosa. Una mattina come tante, o almeno così credeva. Lo scontro tra le truppe del nobile Ishida e quelle di Tokugawa Leyasu era un po’ ristagnato nelle prime fasi per poi esplodere con una violenza inaudita. Avevano avuto quasi la vittoria in pugno, ma all’ultimo il giovane Kobawakaya aveva tradito la propria famiglia servendo la vittoria su un piatto d’argento a Tokugawa. Un giovane pallido, dai lineamenti anonimi perennemente atteggiati in un sorriso malevolo, ecco chi li aveva pugnalati alle spalle. Per un ragazzo neanche ventenne il nobile Ishida era stato catturato, l’esercito annientato e lui stesso strisciava nella neve ferito e braccato come un animale. Per un samurai come lui il dolore, come il freddo, non era un problema. Il suo corpo era stato temprato fin da piccolo a sopportare le privazioni e a cavarsela anche nelle situazioni più difficili, perché potesse assolvere al meglio al suo compito: proteggere il padrone. L’idea del nobile Ishida prigioniero era ben più assillante delle ferite: tutti gli anni che aveva passato ad addestrarsi erano stati gettati al vento in una manciata di attimi concitati. Non sapeva neanche perché fosse vivo: da quando aveva perso nella mischia il suo daimyo era come uno strumento rotto, che meritava solo di essere lasciato a marcire in preda alle intemperie. Eppure non solo era sopravvissuto, ma era anche riuscito a ripiegare con una fuga poco onorevole sul monte Matsuo. Della vita gli era sempre importato poco, ma quando era arrivato il momento di morire un ancestrale istinto di sopravvivenza aveva avvinto le sue membra stanche, spronandolo a correre attraverso alle terribili frecce nemiche pur di guadagnarsi la salvezza. E così aveva ignorato i volti dei compagni, maschere di sangue e polvere, calpestando tutti quei
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principi che gli erano stati inculcati fin da bambino. In fin dei conti non era altro che un traditore, proprio come lo era Kobawakaya.
Un brivido gelido lo scosse, un timore pungente lo avvinse. Takeshi si girò di scatto, inciampando quasi nella spessa coltre nevosa. Tra le sofferenze e il torpore rassegnato che i suoi pensieri gli provocavano gli era parso di udire una voce femminile, ma la neve lo circondava uguale a sé stessa. Quel bianco abbacinante sembrava però riecheggiare quelle parole melodiose, che si perdevano come onde spumeggianti nella vallata. Finalmente individuò dietro lo scheletro nodoso di un albero spoglio due occhi azzurri spenti, che si nascondevano nel pallore di un viso affilato. Un paio di labbra esangui erano stirate in un sorriso appena accennato, sembrava quasi che lo stessero scrutando divertite.
”Signora, se potesse indicarmi un posto dove passare la notte…Anche una stalla…” la pregò Takeshi, sotterrando definitivamente il già compromesso onore di samurai .Aveva la lingua impastata dal freddo e le mani gli facevano male. Come se non bastasse tremava come un pulcino spaurito e non riusciva più a sentire i piedi. Tutta quella neve non era normale per la stagione,ma d’altronde durante quella giornata nulla era stato normale. “È tutto morto qui intorno, oppure aspetta di risvegliarsi. Tu non dormi con i tuoi compagni?” Takeshi rimase interdetto, prima indispettito che la sua fuga solitaria fosse stata spezzata da quello strano incontro, poi guardingo. Come aveva potuto pensare di potersi salvare? Era fuggito vergognosamente dal campo di battaglia, abbandonando la consueta spavalderia e ignorando ogni legge umana e divina. Aveva sempre considerato la vita un’ammenda necessaria al fallimento, fino ad allora non aveva mai fallito. La donna misteriosa intanto, come se avesse percepito quel flusso scomposto di pensieri, gli scoccò un’occhiata inquisitrice, penetrante come schegge di ghiaccio. Quello sguardo tagliente gli rammentò le storie che gli raccontavano da piccolo le vecchie donne della servitù al palazzo di Ishida, per non farlo uscire da solo quando nevicava. Non poteva che trovarsi davanti ad una Yuki-Onna, la donna delle nevi. Donne uccise barbaramente che si vendicavano portando l inverno nel cuore dei malcapitati viandanti. Spiriti malvagi che congelavano il soffio vitale delle proprie vittime, spingendole ad un sonno ingannevole. A quel punto una morte indolore poteva sembrare la migliore delle prospettive, piuttosto che aspettare di essere stritolato dal bianco freddo. E poi sarebbe stato inutile cercare di ribellarsi ad uno Yokai (letteralmente “manifestazione inquietante”). Gli Dei avevano sancito la sua condanna: chiunque con un briciolo di buon senso avrebbe accettato quell’esito come definitivo. Eppure Takeshi voleva disperatamente vivere. In mezzo a quel deserto di ghiaccio riusciva ancora a sentire il battito irregolare del suo cuore intimorito. Le mani erano pervase da un formicolio fastidioso, ma il fiato si condensava ancora in nuvolette bianche nell’aria umida. La Yuki-Onna non aveva ancora divorato la sua anima. La mano intorpidita corse all’elsa istoriata della katana, stringendola convulsamente per non farla scivolare via. L’immobile concentrazione del predatore teso nell’agguato esplose in un sordo ruggito, mentre un timido raggio di sole illuminava la lama feroce. La spada colpì implacabile una, due, tre volte, cigolando lamentosamente mentre si infiggeva nel legno secco dell’albero. Takeshi si accasciò ansante sulla ruvida corteccia della pianta, stordito dalla forza dei colpi che gli riverberava in tutto il corpo. Lo scheletro dell’albero non aveva ancora smesso di tremare che la donna gli ricomparve accanto, deponendo sulle sue labbra screpolate un bacio che sapeva di brina mista a cannella. Le membra del guerriero si sciolsero nel serico abbraccio di quelle dita soffici e i contorni dei colori sfumarono nel grigio indistinto. L’azzurro del cielo confluì in quegli occhi slavati, quasi a voler ammonire l’uomo che aveva pensato di poter sfuggire alla giustizia divina.
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Tra i banchi di scuola
La mia esperienza in Irlanda
di Letizia Chiostri
In un mondo sempre più interconnesso, viaggiare, soprattutto per i giovani, significa imparare, mettersi in gioco e fare esperienze nuove. Ce lo ha raccontato Ruben Have, studente della V A, indirizzo classico, che ha trascorso l’anno passato in Irlanda.
Perché il viaggio all’estero?
«Prima di tutto per migliorare l’inglese, ma poi anche perché avevo sentito altre persone che conoscevo e che avevano fatto l’esperienza all’estero, anche di durata più breve, e tutti mi hanno di aver vissuto una bellissima esperienza; quindi ho fatto la domanda a Intercultura e mi hanno preso».
E come hai scelto la destinazione?
«La destinazione non la puoi scegliere, però puoi mettere una lista di preferenze. Io avevo selezionato una serie di paesi anglofoni e Intercultura mi ha assegnato l’Irlanda. In particolare ho passato lo scorso anno scolastico a Castlebar, capoluogo della contea Mayo, sulla costa ovest dell’Irlanda ».
Il paesaggio irlandese è tanto diverso da quello italiano? «Sì, è molto diverso. La contea Mayo è un’area piuttosto rurale con dei paesaggi naturali bellissimi, molti campi verdi e scogliere a picco sul mare, come le Cliffs of Moher che ho visitato. Il clima non è dei migliori, umido e freddo quasi tutto l’anno, però mi ci sono abituato presto. Vicino a Castlebar c’è anche una montagna, Croagh Patrick, che ho scalato con alcuni miei amici e dalla quale c’è una vista mozzafiato su tutta la regione. Durante l’anno ho visitato varie località dell’Irlanda, sia città come Dublino o Galway che zone più naturali come l’isola di Inishmore».
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Quali sono state le difficoltà, se ne hai avute, appena arrivato là, sia dal punto di vista linguistico che da quello culturale?
«All’inizio dovevo un po’ ambientarmi per la lingua, ma ci ho messo poco ad abituarmi. Dopo un mesetto mi ero adattato e non è stato un problema, nemmeno a scuola. Poi, senza dubbio, ci sono state anche delle difficoltà dal punto di vista culturale; ad esempio, ho notato che le relazioni interpersonali in Irlanda sono più fredde rispetto all’Italia. Gli Irlandesi tendono a manifestare meno le proprie emozioni, e questo si rispecchia anche nella vita familiare. Ero in una famiglia di quattro persone, i genitori, una ragazza della mia età e un ragazzo due anni più piccolo, e a casa ognuno mangiava da solo: i genitori preparavano la cena il pomeriggio e uno quando aveva fame se la mangiava. Anche il sistema scolastico è diverso, è basato su quello anglosassone, con gli armadietti e aule diverse per ogni materia, oltre ad essere una scuola solo maschile. Ho avuto anche difficoltà con l’adattarmi al loro cibo (principalmente patate), ma questo me lo aspettavo! Insomma, è tutto un mondo completamente differente, però poi ti adatti e riesci a comprendere ed apprezzare meglio gli aspetti della loro cultura, confrontandoli con quelli della cultura italiana; è molto interessante vedere il mondo da un’altra prospettiva, mi ha anche fatto capire meglio alcuni aspetti della nostra cultura».
Quali sono le principali differenze tra la cultura irlandese e quella italiana? «Una differenza che ho notato è che la cultura irlandese è molto legata allo sport, sia fuori che dentro la scuola. Lo sport più seguito è il calcio gaelico, sport nazionale insieme al hurling; quasi tutti i miei compagni di scuola lo praticavano e si allenavano ogni giorno, ma erano popolari anche altri sport come il calcio o il basket. Io giocavo in una squadra di calcio e ogni tanto andavo in piscina. A differenza dell’Italia, le scuole irlandesi hanno la squadra della scuola per ogni sport, con numerosi tornei e competizioni anche a livello nazionale. Un’altra differenza in ambito scolastico è che loro, per quanto riguarda le materie scientifiche, puntano molto sulle attività laboratoriali; per materie come chimica e fisica hanno dei laboratori molto attrezzati, e c’era un esperimento almeno una volta alla settimana. Tuttavia, non danno molta importanza a materie umanistiche, come il liceo classico italiano. In particolare, non c’erano lezioni di latino e greco».
Come hai fatto poi a recuperare il programma scolastico?
«L’estate mi sono dovuto rimettere in pari, a fine agosto ho fatto un esame scritto di greco, latino e italiano, e poi un esame orale. È stato piuttosto faticoso però ne è valsa la pena».
E c’è un ricordo dell’Irlanda che ti porti nel cuore? «Ce ne sono tanti. Uno tra i miei preferiti è quando ogni venerdì sera andavo a suonare il violino nei pub
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di Castlebar con un gruppo di musica tradizionale irlandese: mi sono divertito molto».
E com’è che ti sei trovato a suonare in questa band?
«Io suonavo il violino già da prima in Italia, però solo musica classica. In Irlanda c’era un corso organizzato dalla scuola il pomeriggio di musica tradizionale e quindi mi ci sono iscritto. Eravamo un gruppo di venti ragazzi della mia età, guidati da un maestro, che dopo un po’ ha cominciato a portarmi con sé a suonare nei pub o ad eventi particolari. È stato interessante anche conoscere un altro tipo di musica, completamente diverso da quello a cui ero abituato; infatti erano tutte melodie trasmesse oralmente, non ci sono spartiti o note, è tutto basato sull’ascoltare e improvvisare».
Ti sei fatto degli amici con cui hai ancora dei contatti?
«Sì, uno tra l’altro è venuto in Italia anche quest’estate e ci siamo rivisti. Ogni tanto li sento e ho legato buoni rapporti. Di sicuro in futuro tornerò a visitarli».
E invece, una volta che sei tornato in Italia, cosa ti sei portato dietro? Avevi una marcia in più per affrontare la vita qui in Italia?
«Di sicuro vedevo le cose in modo diverso, anche nelle relazioni con gli altri. Mi ha dato un’altra prospettiva con cui vedere la realtà. Prima davo troppa o troppo poca importanza a determinate cose che ora vedo in maniera differente».
Per esempio?
«Ad esempio ho notato, vivendo in una cittadina piccola di pochi abitanti, che lì in Irlanda non hanno un grande contatto con la storia, con il passato. Invece penso che questo legame, molto presente a Firenze e in Italia, sia fondamentale. Questo oggi lo noto anche quando passo accanto a un monumento, mentre prima di fare questa esperienza forse non ci facevo nemmeno tanto caso. Un altro valore importante che mi porto dietro da questa esperienza è che non siamo soli nel mondo, ma che ci sono altri 7 miliardi di persone che vivono le loro vite sparse in tutto il mondo».
Tu consigli di fare questa esperienza, e perché?
«Sì, assolutamente! Non necessariamente il quarto anno all’estero, ma anche all’università, ad esempio con l’Erasmus. Questa esperienza ti apre gli orizzonti, anche per capire meglio cosa uno vuole fare nella vita, ci sono tante opportunità. Uno impara molto dalle altre culture del mondo, e queste esperienze aiutano molto a capirle veramente. Ci sono tante culture diverse e, sebbene ognuno sia affezionato alla propria, alla fine c’è qualcosa da imparare da tutte le culture del mondo».
Vuoi fare anche altri viaggi in futuro?
«Credo proprio di sì. Ancora non ci ho pensato bene ma... perché no!».
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