NO. 27 I’ GIORNALINO

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I’GIORNALINO

NO 27 FEBBRAIO 2023

REDAZIONE

Direttrice

GEMMA BERTI (VB)

Vicedirettrice

ELENA CASATI (VB)

Redattori

LETIZIA CHIOSTRI (VB), GIORGIA VESTUTI (VB), MARIANNA BEZZENGHI (VB), MARCO BRUCIAMACCHIE (VB), RACHELE MONACO (IVB), MARCO MAGGIORE (IVB), GIOVANNI G. GORI (IVB), IRINA LIPPI (IVB), ALESSIA

CALCINAI (IVB), GIADA LUCILLI (IVB), FRANCESCA

SAMMICHELI (IVB), ALESSIA PICCINI (IIIA), SARA ROSSI (IIIB), DILETTA GIULIA PAPALEO (IIIB), CAROLINA

TOGNARELLI (IIB), NICCOLO’ GUARNA (IIB), GIACOMO BERTI (IIB), SOFIA MORICCI (IIB), NORA CAMPAGNI (IA), GINEVRA MALAVOLTA (IA), VALENTINA GRASSI (IA), VALENTINA MANES (IA)

Fotografi

MARIA VITTORIA D’ANNUNZIO (VB)

NORA CAMPAGNI (IA)

Social Media

MARIA VITTORIA D’ANNUNZIO (VB)

GIORGIA VESTUTI (VB), DILETTA GIULIA PAPALEO (IIIB)

NORA CAMPAGNI (IA)

Ufficio Comunicazioni

ELENA CASATI (VB), SARA ROSSI (IIIB)

Impaginatori

GEMMA BERTI (VB);

Referenti

PROFESSORESSA TENDUCCI, PROFESSOR CASTELLANA

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INDICE MUSICANDO AMY WINEHOUSE…………………………………………….…..4 ACDC…………………………………………………………..…..6 PILLOLE DI ATTUALITÀ’ LUPARA BIANCA………………………………………………….8 MILANO FASHION WEEK………………………………………10 CERTALDO: COMUNE TOSCANO PIù RICICLONE…………..13 L’ANGOLO DELLO SCRITTORE DEMONI…………………………………………………………..14 STAIRWAY TO HEAVEN…………………………………………24 DANCER LOVERS……………………………………………….26 L’ANGOLO DELLO SPORT SERIE A……………………..…………………………………….31 RECENSENDO MERCOLEDì..……………………………………………………32 LE ALI DELLA LETTURA…………………………..…………..34 CRAZY…………………………………………………………….36 CITTADINI DEL MONDO UNA PAUSA A BRUXELLES…………………………………….38 FOTO..…………………………………………………………….41 AH, LA FRANCE………………………………………………….43 3

Musicando

Amy Winehouse

di Valentina Manes

Amy Winehouse è stata senza dubbio una delle più grandi e amate cantanti soul degli anni 2000, e la sua carriera, anche se breve, ha lasciato un solco indelebile nella storia della musica, e ha aperto la strada ad altri talenti della musica inglese, come Adele, ma partiamo dalla sua biografia:

Amy è nata ad Enfield, in Inghilterra, il 14 settembre 1983, in una famiglia di origini ebraiche. Sin da piccola mostrò una grande passione per la musica, e a soli dieci anni fondò

il gruppo rap “Sweet ‘n’ Sour”. Era poco incline a seguire le regole, infatti crescendo ebbe diversi problemi con la scuola. Questo suo carattere ribelle si sposava bene però con il suo talento nella musica, infatti a 13 anni imparò a suonare la chitarra.

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La sua carriera ebbe inizio nel 2007, quando uscì il suo primo album, intitolato “Frank”. L’album ricevette critiche per la maggior parte positive, ma Amy non si dichiarò soddisfatta pienamente del suo lavoro. Il successo arrivò solo con il secondo album: “Back to Black”, un album che ha lasciato un segno nella musica, e che ha garantito ad Amy un immediato successo mondiale. Due tra i singoli più famosi sono “Rehab” dove la cantante ammette di avere problemi di alcolismo e di tossicodipendenza, e dove dichiara anche di non voler però provare a disintossicarsi, e “Back to Black”, da cui deriva il nome dell’album, e che portò la Winehouse a vincere ben cinque Grammy. In contemporanea al suo grande successo, Amy si creò uno stile che la contraddistingue ancora oggi, composto dall’ iconico rossetto rosso, l’eyeliner nero molto marcato e spesso, e i capelli cotonati.

Amy purtroppo morì il 23 luglio 2011, pochi giorni prima di compiere 28 anni, cosa che gli garantì di entrare a far parte del famigerato “27 club”. Fu trovata morta nel suo letto, e i medici pensano che sia stato a causa di uno shock chiamato “stop and go”, cioè l’assunzione di grandi quantità di alcol dopo un periodo di astinenza. Si venne a sapere che soffriva anche di disturbi alimentari, cioè di bulimia e anoressia, e poco dopo la sua morte uscì il suo terzo album “Lioness: Hidden Treasures”.

Nonostante la prematura morte Amy, come gli altri membri del 27 club, mostrava un’enorme maturità e sensibilità ad un’età giovanissima, fatto che le ha permesso di entrare nella storia della musica e di rimanere per sempre nei cuori dei suoi fan.

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Il dio dei tuoni deve essere infuriato perché fuori c’è una tempesta…No, non è una tempesta, è Thunderstruck degli AC/DC che sta suonando: attenti a non restare folgorati dalla sua bellezza!

Gli AC/DC sono tra i gruppi di maggior successo della storia del rock, i loro album, infatti, hanno venduto oltre 200 milioni di copie nel mondo, di cui oltre 71 milioni solo negli Stati Uniti.

Tutto è nato dai due fratelli Young che fondarono, appunto, la band. La loro famiglia dovette trasferirsi in Australia per motivi economici alla fine degli anni cinquanta. Il fratello Malcolm faceva già parte di una band, ovvero i The Velvet Underground, e il fratello Angus, che aveva imparato a suonare la chitarra, qualche volta suonava per loro. Alla fine del 1973, però, i due fratelli decisero di collaborare e così il 31 dicembre del 1973 nacquero gli AC/DC. Il nome della band era stato scelto dalla loro sorella che, in un elettrodomestico, aveva letto la scritta AC/DC (Alternate current/Direct current) e la trovò adatta perché rappresentava l'energia del gruppo.

Gli unici membri fissi della band erano proprio Malcolm e Angus, rispettivamente alla chitarra ritmica e solista. Mentre il cantante, il batterista e il bassista cambiarono negli anni. Il primo cantante fu Dave Evans che possedeva un apporto vocale non soddisfacente, perciò il suo posto venne preso da Bon Scott che aveva già esperienze con il rock, infatti, era stato membro di diversi gruppi rock, tra cui i Fraternity e i The Valentines, che tuttavia dovette abbandonare per un lungo periodo, in seguito ad un incidente stradale, prima di imbattersi nei fratelli Young. Insieme a Bon Scott gli AC/DC raggiunsero un successo internazionale, mentre prima era conosciuti solo in Australia. È proprio nel periodo di massimo successo della band che, il 19 Febbraio 1980, Bon Scott morì a causa di un'intossicazione acuta da alcool. Si ipotizzava lo scioglimento della band dopo questa grande catastrofe ma i fratelli Young decisero che il gruppo non poteva fermarsi, e che Bon stesso non avrebbe voluto lo scioglimento del gruppo al quale s'era tanto dedicato. Così iniziarono a cercare un nuovo cantante. La ricerca, peraltro, non si rivelò facile: molti dei possibili candidati si rivelarono subito deludenti e non all'altezza. Alla fine la scelta dei fratelli cadde sul britannico Brian Johnson. Con Johnson, gli AC/ DC si recarono alle Bahamas per incidere il nuovo album. Il gruppo utilizzò alcune linee musicali che erano state raccolte quando Bon Scott era ancora vivo, ma la maggior parte

di Giada Lucilli e Francesca Sammicheli
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del materiale fu scritto da zero. I testi incompleti e le idee che Bon aveva raccolto in una serie di appunti non vennero mai usati, per rispetto alla sua memoria. L'album fu intitolato Back in Black e uscì il 25 luglio 1980, con una copertina completamente nera che rendeva omaggio allo scomparso Bon Scott. Anche grazie allo straordinario lavoro su questo album, Brian Johnson fu accettato subito dai fan. La sua voce era più "gridata" e acuta di quella di Bon Scott, ma aveva indubbiamente delle similitudini e parve subito adatta anche a molti brani scritti da quest'ultimo.

La carriera degli AC/DC proseguì negli anni:

-Nel 2010 è uscito Iron Man 2, raccolta di canzoni degli AC/DC usate come colonna sonora dell'omonimo film.

-A fine giugno 2014 si sono concluse le registrazioni per un nuovo album per festeggiare i 40 anni della band. A causa delle cattive condizioni di salute del chitarrista e membro fondatore Malcolm Young, questo è stato sostituito dal nipote Stevie Young. All'album seguirà un tour che dal cantante Brian Johnson è stato definito come un modo per dire addio ai fan.

-Il 15 marzo 2016 Brian Johnson è stato licenziato dal gruppo a causa dei suoi problemi di udito; lo stesso cantante ha dichiarato di «essersi sentito tradito» dai restanti componenti degli AC/DC. A prendere il suo posto nelle date rimanenti del "Rock or Bust World Tour" è stato Axl Rose, frontman dei Guns N' Roses.

-Il 28 settembre 2020 il gruppo ha pubblicato sulle rete sociale un video raffigurante una saetta rossa e il giorno successivo in alcune città sono stati installati alcuni cartelloni pubblicitari con la scritta PWRUP (abbreviazione di Power Up). Una delle installazioni è apparsa davanti alla Ashfield Boys High School di Sydney, dove studiò da ragazzo Angus Young. Il 30 Settembre viene annunciata la pubblicazione del diciassettesimo album Power Up, prevista per il 13 novembre dello stesso anno.

Queste sono alcune delle loro canzoni:

-Highway To Hell (Highway To Hell)

-Live Wire (High Voltage)

-Evil Walks (For those about to Rock We salute you)

-Dirty Deeds Done Dirt Cheap (Dirty Deeds Done Dirt Cheap)

-Problem Child (Dirty Deeds Done Dirty Cheap)

-Playing With Girls (Fly On The Wall)

-Let There Be Rock (Let There Be Rock)

-It's A Long Way To The Top (If you Want Rock N' Roll) (High Voltage)

-Night Prowler (Highway To Hell)

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di attualità

Lupara bianca

La storia del piccolo Giuseppe di Matteo dietro il volto dell’ultimo boss

È la mattina del 16 gennaio quando Matteo Messina Denaro viene arrestato dal Ros (Raggruppamento Operativo Speciale) nella clinica palermitana “La Maddalena” dove si recava per sottoporsi a chemioterapie.

Erano trent’anni che lo Stato aspettava la cattura dell'ultimo boss mafioso, considerato un grande seguace di Totò Riina e latitante dal 1993, dopo l’arresto appunto del “capo dei capi”.

A Campobello di Mazara, luogo dove viveva, era conosciuto come Andrea Bonafede, nome dell’uomo che ha prestato l’identità al boss mafioso.

Molti sono stati gli omicidi a cui ha preso parte, sia come esecutore che come mandante, da quello del piccolo Giuseppe di Matteo fino ad arrivare alle stragi di Capaci, di Via D’Amelio, di Via dei Georgofili a Firenze…

“Lupara bianca” è una locuzione che viene utilizzata in Italia per indicare un omicidio mafioso che prevede l’occultamento del corpo di una persona assassinata.

I corpi delle vittime possono essere seppelliti nelle campagne, immersi nel calcestruzzo dei pilastri di edifici in costruzione oppure gettati in mare con dei pesi.

Dal clan dei Corleonesi di Salvatore Riina i corpi occultati venivano principalmente sciolti nell’acido, come è successo al cadavere del piccolo Giuseppe di Matteo, la cui unica colpa era quella di essere figlio di suo padre.

Quest’ultimo, Mario Santo di Matteo “Santino” fu uno dei primi affiliati ad abbandonare il clan di Riina.

Dopo essere stato arrestato nel 1993 e incarcerato con l’accusa di dieci delitti mafiosi, decise di diventare un collaboratore di giustizia.

A causa però delle rivelazioni da lui fatte sulla strage di Capaci e sull’uccisione dell’esattore Ignazio Salvo, Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano e Giovanni Brusca decisero di rapire il figlio di Santino, Giuseppe di Matteo che a quell’epoca aveva solo dodici anni.

Il ragazzo venne prelevato il pomeriggio del 23 novembre 1993 in un maneggio di Villabate, in provincia di Palermo, dove praticava equitazione.

Pillole
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si travestirono da poliziotti della DIA (Direzione investigativa Antimafia) per ingannare Giuseppe, facendogli credere che avrebbe potuto rivedere il padre, che non si trovava in Sicilia in quel periodo per un programma di protezione.

Tra di loro c’era Gaspare Spatuzza, uno degli uomini di fiducia di Graviano che in seguito raccontò: “Agli occhi del ragazzo siamo apparsi degli angeli, ma in realtà eravamo dei lupi.”

Il 1° dicembre dello stesso anno alla famiglia, che aveva cercato il bambino negli ospedali della zona senza ottenere risultati, arrivò un biglietto insieme a due foto di Giuseppe con in mano un quotidiano del 29 novembre; lo scopo era quello di far ritrattare il padre riguardo alle sue rivelazioni.

Il 14 dicembre la madre denunciò la scomparsa del figlio, il padre invece, dopo averlo provato a cercare inutilmente, continuò a collaborare con la giustizia. Dopo essere stato spostato in diversi luoghi per tutto il 1994, nell’estate del 1995 il ragazzo venne definitivamente rinchiuso in un vano sotto il pavimento di un casolarebunker che si trovava nelle campagne di San Giuseppe Jato.

L’11 gennaio 1996 Giuseppe di Matteo venne prima strangolato e poi disciolto nell’acido da Enzo Brusca, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo.

Dopo essere venuto a conoscenza dell’arresto di Matteo Messina Denaro, Santino Di Matteo ha dichiarato:

"Quando ho saputo dell'arresto di Messina Denaro, il primo pensiero è stato per mio figlio Giuseppe. Tutti quelli che hanno avuto a che fare con il sequestro e la sua morte sono finiti in carcere. Mancava solo lui.”

E ancora: “Ha vinto mio figlio".

I rapitori
Giuseppe Di Matteo
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Santino Di Matteo

Milano Fashi Week

di Letizia Chiostri

Per i grandi amanti della moda, o, più semplicemente, per i curiosi, il capoluogo lombardo è diventato un centro di attrazione nello scorso mese. Infatti, la città ha ospitato, come ogni anno, la Milano Fashion Week: nei giorni tra il 13 e il 17 gennaio, numerose marche hanno organizzato sfilate e punti di vendita per presentare i capi d'abbigliamento di moda nell'inverno 2023/2024. Purtroppo, non ho potuto partecipare di persona, ma ho seguito l'evento da lontano con particolare interesse e curiosità, e adesso io stessa posso illustrarvi gli indumenti immancabili nell'armadio di questo inverno. La Milano Fashion Week si è focalizzata soprattutto sulla moda da uomo, ma anche alcuni capi femminili hanno solcato le passerelle, per cui i consigli che vi presento sono indirizzati a tutti e accompagnati da outfit direttamente dalle sfilate. Detto questo, beh, iniziamo!

Il completo sartoriale

Da sempre simbolo di eleganza, l'abito da uomo non poteva mancare all'appello dei capi che segnano la moda di questo inverno. A tinta unita o a fantasia, spesso accompagnati da accessori, come foulard o fazzoletti da taschino, i completi riescono a rappresentare perfettamente la personalità di ognuno.

Il maglione a collo alto

Il capo che veramente ha regnato in questa settimana è proprio questo. Adatto a tutte le età, può essere usato nelle combinazioni più fantasiose: potete scegliere di indossarne uno dai colori più accesi, oppure abbinarlo ad un maglione, oppure ancora utilizzarlo con la giacca sostituendo la camicia.

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Il cappotto

È inevitabile: il nostro cappotto rappresenta il modo in cui ci presentiamo agli altri. Può avere diversi sinonimi a seconda dell'occasione: ricercatezza o semplicità, quotidianità o eleganza.

La giacca

Ecco il capo di abbigliamento più versatile, tanto che potrebbe diventare quasi un accessorio con cui giocare: giacca lunga con un crop-top, giacca abbinata ad un vestito corto, giacca del completo, giacca accompagnata da mini gonna, giacca, giacca, giacca!

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Total black

Black is the new... Black! Coniugato in tutte le sue forme, l'outfit completamente nero può essere sia casual sia elegante. Per illuminare il tutto, potete puntare a gioielli luccicanti o accessori luminosi, come borse o cinture.

L'impermeabile

L'impermeabile costituisce il nostro compagno sportivo contro le intemperie di tutti i giorni, ma con i giusti abbinamenti può rappresentare anche un capo più sofisticato, per esempio se accompagnato da un maglione a collo alto o un vestito non troppo corto.

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IL COMUNE TOSCANO PIU’ RICICLONE

Per il terzo anno consecutivo, anche nel 2022 la comunità di Certaldo si è aggiudicata la vetta della classifica dell’iniziativa promossa da Legambiente con cadenza annuale che mira a mettere in risalto le capacità di amministrazioni e cittadini sul tema della gestione dei rifiuti. Nello specifico il comune valdelsano ha avuto il primato tra i comuni toscani sopra i 15 000 abitanti. I risultati vengono stabiliti in base alla percentuale di rifiuti raccolti all’origine separatamente sulla totalità dei rifiuti presenti sul territorio comunale. Su questo aspetto Certaldo ha una percentuale di RD intorno all’86%, che corrisponde ad una produzione pro capite di indifferenziata di 55 kilogrammi per abitante all’anno. Tuttavia l’iniziativa non ferma il suo raggio d’azione alla sola buona raccolta, ma tiene conto anche dell’acquisizione di beni e servizi di materiali che favoriscano il riciclaggio. Proprio su quest’ultimo criterio si può verificare la sensibilità della comunità su questo tema attraverso le azioni compiute nel quotidiano dai cittadini. Certaldo quindi ancora una volta si va ad aggiungere agli altri 590 comuni Rifiuti Free italiani, i quali conseguono una quantità di rifiuti pro capite inferiore alla soglia di 75 kilogrammi. Ciò nonostante il dato nazionale è in calo, dopo questi anni difficili, poiché tutti i rifiuti entrati a contatto con i contagiati sono stati destinati all’indifferenziato, diminuendo di conseguenza la percentuale di raccolta differenziata e aumentando il tasso di rifiuto procapite.

Ecco l’esempio di una comunità medio-piccola che partendo (dopo molti altri comuni) nel 2011, attraverso un’ottima costante pratica quotidiana è riuscita a conquistarsi in modo stabile il prestigioso primato regionale. Oltre all’ordinaria pratica di avviamento al riciclo da parte dei cittadini, l’amministrazione comunale certaldese ha avviato, a partire dall’anno scolastico 2019/2020, un progetto, denominato Acqua Buona, con le scuole del territorio e Acque SpA all’insegna di un minore utilizzo di plastica di 5,3 tonnellate, che traslate nell’atmosfera equivalgono a 12,3 tonnellate di anidride carbonica. In sostanza all’inizio dell’anno scolastico sono state consegnate a tutti gli studenti delle scuole primarie delle borracce in alluminio riutilizzabili e non concernenti plastica, con le quali i bambini possono bere l’acqua del rubinetto costantemente controllata. Con questo si hanno due fini: una maggiore sicurezza “privata” sulla provenienza dell’acqua e un contributo, sin dalla giovane età, tutt’altro che secondario all’ambiente.

CERTALDO
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angolo dello scrittore

DEMONI

Nonostante si fidasse ciecamente della propria capacità di orientarsi impiegò più del previsto per raggiungere la grotta. La notte scura lo disorientava, occultando i punti di riferimento che era riuscito a catturare nella fuga concitata. Quei rami nodosi, quei tronchi contorti che gli erano parsi inconfondibili mentre correva ora si assomigliavano gli uni gli altri, in un intreccio avvilente.Forse i suoi sensi erano intorpiditi dalla stanchezza, ma era davvero tanto tempo che non veniva colto da un senso di smarrimento così definitivo. La preoccupazione per Raissa lo rendeva inquieto, si voltava incessantemente da ogni lato nella speranza di imbattersi in un albero, una pietra, anche solo un odore familiare. Contava in realtà di fare ritorno al rifugio di fortuna ben prima dell'imbrunire, altrimenti non avrebbe mai lasciato Raissa inerme, preda degli animali e degli spiriti notturni inquieti della foresta. Quando infine giunse sul limitare della grotta era sul punto di piangere dalla commozione. L'aria all'interno si era fatta pesante, Takeshi dovette procedere tentoni in quel ritaglio di tenebra densa. Tastò con un palmo la pelle untuosa della fronte di Raissa, tirando un sospiro di sollievo che smorzò la tensione insopportabile. La figura minuta della sua compagna di viaggio era posata in una rientranza polverosa della parete granitica, ascoltando scrupolosamente riuscì ad individuare anche il tenue anelito del soffio smorzato che spirava tra le sue labbra. Trovava confortante che Raissa si fosse spostata dall'angolo nel quale l'aveva adagiata lui, in quanto doveva essersi svegliata ed avere recuperato forze sufficienti almeno per alzarsi. Un sottile senso di colpa si insinuò nell'animo provato pensando al senso di smarrimento che si doveva sperimentare svegliandosi in un ambiente sconosciuto, completamente soli e col sapore lancinante di sangue nei polmoni intirizziti, ma il torpore invitante delle tenebre lo chiamava con più intensità. La mattina seguente lo svegliò un bruciante raggio di sole che gli infiammava la nuca, il volto riverso sul terreno. Senza che avesse avuto modo di accorgersene la sera prima era crollato al suolo in un battito di ciglia, nell'arco di un attimo il controllo ferreo che aveva sul proprio corpo si era dissolto. Mentre si accingeva a stirare le membra stordite lo sguardo abbattuto si intrecciò con due occhi vivaci che lo scrutavano evasivi, come quelli di un criminale colto sul fatto. Takeshi spostò repentinamente il braccio dietro la schiena, come se d'un tratto si fosse ricordato di una faccenda importantissima. La bisaccia, il tesoro strappato con le unghie e con i denti ai kami della montagna, era svanita insieme alle stelle dal cielo. Non era difficile immaginare il responsabile,

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anche se il proprietario di quello sguardo vibrante si era rimpiattato nella zona in ombra della grotta. Le cispe gli saldavano le palpebre, socchiuse nello sforzo di aprirsi completamente alla luce, le membra ormai scampate alle grinfie del pericolo gli ingiungevano aggressivamente di rimanere disteso a riposarsi. Ma Takeshi sapeva di non essere nella posizione di indugiare ulteriormente, se voleva tentare di liberare il nobile Ishida bisognava agire quanto prima. Heiankyo(Kyoto) non doveva essere troppo lontana da lì, considerando che il ragazzo e il vecchio del giorno prima vi erano diretti e la stessa piana di Sekigahara distava dalla capitale imperiale 23 ri(circa 90 km). La bisaccia conteneva risorse sufficienti a stento per un paio di giorni di viaggio, ma tutto sommato era felice che Raissa si fosse avventata sulle provviste, perchè se era in grado di rifocillarsi senza problemi la ferita era meno profonda di quanto pensasse inizialmente. Forse il giorno prima aveva perso solo molto sangue, probabilmente era rimasta segnata dall'osservare impotente la sua vita al villaggio trasformarsi in braci ardenti e poi in neri carboni spenti. Anche per lei sarebbe stato meglio recarsi quanto prima a Heiankyo, una donna sola non aveva molte possibilità di sopravvivere, se non come Tsujigimi(prostituta di basso rango che lavorava nelle strade). Nella capitale sicuramente avrebbe trovato cristiani come lei disposti ad aiutarla, anche se le leggi imperiali erano diventate sempre più restrittive nei loro confronti. Prima della sconfitta di Sekigahara avrebbe potuto affidarla a Konishi Yukinaga, uno degli alleati di Ishida che si era convertito al cristianesimo. Con ogni probabilità però la sua testa era già caduta nella polvere o lo avrebbe fatto presto,date le posizioni conservatrici di Tokugawa. Era necessario che ciascuno tornasse nel proprio mondo:Takeshi sapeva bene che difficilmente sarebbe sopravvissuto dopo aver incrociato le lame con i soldati del trono del crisantemo. E anche se fosse riuscito a liberare il nobile Ishida con qualche stratagemma sarebbe stato impegnato a proteggere il suo daimyo, l'obiettivo fino alla morte di ciascun samurai. Non aveva né il tempo illimitato né la forza sovrumana di un kami o di uno yokai, non poteva occuparsi pure di una donna straniera. Anche se riteneva che questa fosse la via più proficua da seguire una parte di lui provava un' irrequietezza malamente compressa dal senso del dovere all'idea di abbandonarla alla sua sorte. Una vocina flebile sembrava ripetergli all'infinito che lei lo aveva raccolto sanguinante per strada senza neanche conoscerlo, ma lui la troncava infastidito ripetendo tenacemente come una preghiera il nome del suo daimyo, dei suoi compagni che erano morti in nome di quella stessa lealtà che ora incatenava lui.

-Come stai?-Le chiese, come per interrompere quelle voci ossessive che lo scuotevano nel cuore dell' anima. -Mi gira un po' la testa, ma meglio di ieri.Il petto è intorpidito, mi fa male anche respirare se prendo aria con troppa foga. Però riesco a camminare, grazie a Dio.- Lo sguardo di lei pareva velato da un'acuta sofferenza, anche se non avrebbe saputo tracciare un confine netto tra male fisico e dolore spirituale.

-I tuoi compagni...-

-Lo so- tagliò corto Raissa, chinando verso terra il capo sporco di polvere.

La freccia scoccata dall'arciere silenzioso sembrava aver lasciato un solco lacerante in quell'animo tenero come un fiore tsubaki(camelia originaria del Giappone). Takeshi si sentiva impacciato, non sapeva come avrebbe dovuto muoversi in situazioni come quella. Di suoi compagni ne erano morti tanti, ma erano tutti caduti mentre eseguivano gli ordini del daimyo: non sarebbe stato in grado di definire una fine migliore. Anche tra le fila del popolo aveva visto la morte aggirarsi in varie forme:chi veniva consumato dalla malattia, chi dagli stenti, chi da un capriccio scriteriato della natura o dell'uomo. Ma li aveva osservati sempre con una certa distanza:la gente era proprietà del signore che serviva, proprio come lo era lui. Un'arma deve tagliare, se anche solo una scheggia di

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compassione ne smussa il filo deve essere gettata via: almeno questo era ciò che gli era stato insegnato. Digrignò i denti, sforzandosi di mantenere un contegno quanto più austero possibile. Sospettando che se le avesse rivelato le sue reali intenzioni lei avrebbe tentato di dissuaderlo, le comunicò lapidario che si sarebbe diretto verso Heiankyo per chiedere la grazia all'imperatore.

-Se vuoi ti posso accompagnare lì, così potrai metterti sotto la protezione di altri stranieri-

Raissa appariva titubante, mostrando una piena consapevolezza di quanto fosse critica la sua situazione:versava in condizioni fisiche estremamente precarie, ma non si trovava nella posizione di poter declinare l'offerta di Takeshi. La sua vita era appesa ad un filo, donna in un paese che guardava con sospetto agli stranieri:si tormentava le mani imbrattate di terra, si mordeva le labbra, il volto ancora pallido come una maschera di cera. Aveva il terrore di essere lasciata sola:in quella circostanza così buia le sarebbe piaciuto riuscire a pregare Dio come le avevano insegnato, affidargli l'anima nella sua interezza affinchè le indicasse la via. Ma in quel momento il samurai si ergeva forte davanti a lei, le vene sporgenti incassate nella mano tesa. Non riusciva a trovare parole da rivolgere col cuore a quel Dio al quale l'avevano educata da bambina, che mai le era sembrato così distante. Si osservò annuire lentamente, l'apatia dipinta negli occhi. Non era in grado neanche ricavare dal corpo stanco l'energia per gridare che si sentiva troppo debole, per gettarsi al suolo nell'attesa di venir divorata dagli stenti, per guardare con astio il soffitto della grotta diventare il suo mausoleo. Takeshi si incamminò poco dopo nella direzione seguita la sera prima dal vecchio e dal ragazzo, trascinando Raissa per la mano come avrebbe fatto con una bambina capricciosa. La ragazza incespicava sulle gambe malferme, ogni tanto tossiva mentre curvava la schiena dritta, incassava percosse invisibili ritraendo il costato tremante. Takeshi dilaniava l'aria con la freddezza impassibile dello sguardo:se la compagna non fosse riuscita a mantenere un passo decente l'avrebbe abbandonata senza esitazione al bordo della strada. Almeno ci avrebbe provato. La certezza che il suo daymio fosse vivo lo aveva fatto avvampare di ritrovata fierezza, la consapevolezza del pericolo che stava correndo il proprio signore lo rendeva impavido. Ogni attimo ricopriva un ruolo fondamentale, ogni secondo avvicinava la katana del boia alla gola del nobile Ishida. Il giorno trascorse piuttosto monotono, nessuno dei due era dell'umore adatto per intavolare un discorso e rompere il ghiaccio. Nei giorni seguenti Takeshi catturò qualche piccolo animale, si insinuò anche in qualche fattoria con il rischio di ritrovarsi inseguito dalla folla inferocita armata di attrezzi agricoli. Il samurai cercava di trattenersi il meno possibile nei centri abitati, temendo di incontrare qualche drappello di soldati diretto ad Heiankyo e di cadere vittima della brutalità con cui venivano puniti i ladri di cibo in tempo di carestia. A lui stesso in tempo di pace era capitato di coordinare le operazioni per seppellire a testa in giù dei ladri, mentre quelli strillavano piangendo. Intanto però Raissa lentamente andava riacquistando l'antico colorito sano e vivace:una sera gli aveva indicato delle erbe per un impacco da applicarle sulla ferita mentre si gettava famelica sulle provviste che lui aveva procurato di soppiatto. Quando sospettava che la compagna si stesse stancando troppo la issava sulle spalle robuste, preferendo sudare, il corpo scosso da tremiti, piuttosto che arrestarsi del tutto ed aspettare inerte che lei si riprendesse. Nonostante le gelide notti passate all'aperto o in ripari di fortuna, nonostante trascorresse ogni attimo in preda alla tensione pressante non lo infastidiva affatto sobbarcarsi quell'ulteriore fatica. Raissa, che si trovava ben lungi dall'aver riacquistato le forze camminava solitamente in silenzio, tutta concentrata nel non disperdere il più minuto frammento di energia. Fissava costantemente il brullo terreno invernale, quasi ad ogni passo temesse di posizionare

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male il piede rovinando al suolo. Quando invece la trasportava lui ne avvertiva il respiro concitato sulla nuca, mentre lo travolgeva con un fiume di discorsi tra i più disparati. Gli parlava spesso del Dio degli occidentali, qualche volta di quando era piccola a Nagasaki, mai del villaggio che aveva appena abbandonato:ma non aveva importanza. La voce di lei spezzava la quiete innaturale sulla strada e smussava il suo nervosismo da guerriero:il silenzio infatti era utile negli scontri per anticipare gli attacchi nemici, ma rimanervi immerso tutto il giorno lo rendeva suscettibile ad ogni minimo rumore. Takeshi era fin troppo conscio del motivo per il quale la via si mostrava così desolata:i periodi di movimento degli eserciti risultavano estremamente pericolosi per gli spostamenti, così all'infuori di qualche mercante ambizioso i civili preferivano rimanere rintanati nelle loro abitazioni. I soldati semplici se desideravano una donna, del denaro o anche solo del cibo lo strappavano con la forza, in definitiva nelle marce o nei tempi morti si trasformavano in una masnada di briganti legalizzata: venivano selezionati tra gente del popolo e i daimyo, così come i samurai sapevano di aver bisogno anche della feccia per vincere le guerre. Sarebbe stato più prudente non prendere la strada principale, la Tokaido(una grande via che collegava Edo(Tokyo)a Kyoto), ma nella situazione attuale servirsi dei sentieri paralleli minori avrebbe richiesto del tempo che non avevano. L'unica premura ragionevole che si poteva adottare era quella di accamparsi le notti quanto più discosto possibile dalla carreggiata. La quarta sera da quando avevano lasciato la grotta non riuscirono a reperire nessun riparo naturale, così si stavano ormai rassegnando all'idea di trascorrere la notte all'aperto, in una radura. Il giorno seguente avrebbero raggiunto con ogni probabilità le prime case di Heiankyo, un'agitazione febbrile aveva preso entrambi, venata dal timore sottile che sopraggiungesse qualche disgrazia. Durante tutto il viaggio avevano incontrato solo qualche contadino che logorava i piedi callosi sui ruvidi massi della strada, i corpi rachitici divorati dallo spettro della fame. Se si fossero imbattuti in un drappello di soldati avrebbero sicuramente attirato l'attenzione: Takeshi portava la katana legata al fianco, privilegio concesso solo alla casta dei samurai, e viaggiava con una donna dai tratti indubbiamente esotici. Eppure il non aver incrociato nessuno lo tormentava:Tokugawa certamente non aveva fretta di eseguire le esecuzioni dei comandanti nemici, ma non avrebbe esitato ulteriormente una volta che tutte le sue truppe avessero raggiunto Heiankyo. Mentre tentava di accendere un fuoco Takeshi fu distolto da ulteriori considerazioni quando venne colpito da una goccia fredda sul naso, quindi da uno scroscio implacabile. In poco tempo lui e Raissa erano completamente fradici, le poche vesti rimaste incollate alla pelle infreddolita. I fulmini frangevano l'unità plumbea del cielo, riverberando con le scariche accecanti nei loro occhi spauriti. Takeshi lasciava vagare lo sguardo attonito, senza scoprirsi risoluto ad intraprendere nessuna tra le possibili soluzioni. Se Raissa si fosse ammalata nelle condizioni in cui versava le probabilità che sopravvivesse erano decisamente poche. Lui confidava ciecamente nella propria forza, ma dovevano assolutamente reperire un luogo asciutto dove passare la notte e poter accendere un fuoco caldo. Con la stagione che lambiva sempre più il pungente freddo invernale rimanendo alle intemperie avrebbero corso il rischio di morire assiderati, avvinti dal calore fallace di gelidi baci da Yuki-Onna. Con decisione afferrò la mano umidiccia di Raissa, dirigendosi verso un bagliore rosso che era balenato tra le fronde.Non ne coglieva il motivo, ma percepiva un'attrazione stordente nei confronti di quella luce eterea che rimbalzava giocosa tra le fronde. Riusciva a scorgerla appena attraverso le ciglia inzuppate d'acqua, a stento ne distingueva il profilo fumoso con gli occhi trafitti dal temporale insistente. Raissa gli gridava dietro qualcosa, ma lui non riusciva ad udirla preso com'era da un'agitazione febbrile e del tutto immotivata. D'un tratto la stanchezza accumulata nella giornata s'era dissolta come brina alle prime luci, un

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formicolio bollente aveva acceso in lui un'energia inconsueta. Gli pareva di volare sopra i tappeti di aghi di pino fradici, prendendo la rincorsa scavalcò veloce un grosso albero imputridito che gli sbarrava la strada. Da quando era passato dal camminare al correre i pensieri plumbei avevano lasciato spazio ad un animo terso, sgombro da incertezze angoscianti. Ma un tonfo improvviso risvegliò in lui l'istinto affilato della battaglia, così voltandosi di scatto si accorse di non tenere più nella sua la delicata mano della suora. Un grumo di vesti scure prostrato nel fango giaceva al di là del tronco che aveva appena saltato con foga, mugolando lamenti che sembravano più inviperiti che doloranti. Takeshi sentì l'eccitazione sprofondargli dentro, realizzando di essersi proiettato in avanti come facevano facevano i giovani inesperti nelle prime battaglie:lanciarsi nella mischia senza riflettere rendeva difficile ritrarsi senza subire danni. Con quella pioggia era facile mettere un piede o scivolare e...già, Raissa faticava a mantenere il passo di marcia, figuriamoci correre. Mentre la aiutava a rialzarsi notò avvilitò che la ragazza aveva il volto ricoperto di fango e una forte contusione sul labbro dalla quale usciva un rivolo rosso di sangue diluito dalla pioggia incessante. Boccheggiava come un pesce fuor d'acqua e stringeva compulsivamente con le mani il punto dove si trovava la ferita di pochi giorni prima. E...una fitta martellante gli esplose sul volto,le orecchie gli fischiavano, stropicciò un attimo i lineamenti del viso nel vacuo tentativo di capire cosa fosse successo. Raissa troneggiava ancora un po'incurvata davanti a lui, il braccio proteso, il palmo dischiuso esangue di fronte alla forza dell'impatto. -Kusokurae!!! (traducetevelo da soli)Animale.- La voce di Raissa tremava, il petto le si agitava impazzito, gli occhi lampeggiavano come due torce fiammengianti, lambiti da lacrime di rabbia che incidevano solchi sottili sulle gote melmose. Takeshi era interdetto, la guancia ancora gli pulsava.Ma soprattutto non aveva mai sentito una donna parlare e comportarsi in maniera così libertina con un uomo. Stava per reagire malamente, quando osservò che la luce rossa si era bloccata a mezz'aria, pareva aspettarlo. Si volse verso Raissa, ma notò che lei continuava a fissare nella sua direzione con malcelato disprezzo, come se non si accorgesse di nulla. Dietro la luce purpurea andarono delineandosi nell'oscurità i contorni di un uomo rozzo del popolo, la corta barba ispida che nascondeva la flaccida pappagorgia. Stringeva tra le dita corte e tozze una torcia che sfrigolava, spandendo un bagliore caldo sui suoi lineamenti corrucciati che non parevano particolarmente svegli. Takeshi avvertiva una sensazione di disagio istintivo, ma decise di soprassedere:anche se all'arrivo del curioso individuo aveva cessato di piovere, non era il momento per lasciarsi andare a elucubrazioni circospette. Lui e Raissa rimanevano fradici, così come i pochi bagagli che si era procurato nelle sue incursioni silenziose nei villaggi:doveva cercare di accattivarselo senza destare sospetti. Con un gesto disinvolto nascose la katana sotto i vesti, come si era abituato a fare negli ultimi estenuanti giorni di marcia al primo rumore improvviso.

-Ecco, signore...io e mia moglie ci siamo persi- Con un braccio tirò a sé Raissa, che gli piantò un gomito appuntito nella schiena.

Stringendo i denti:-Non è che potreste indicarci un luogo dove passare la notte...a pagamento, si intende- L'uomo li fissava come due strani esemplari, gli occhi vacui persi nel vuoto.

-Ah,sì. La mia padrona sarà ben felice di accogliervi. Tutti si affrettano ad Heiankyo e raramente si fermano nel nostro villaggio. Seguitemi.-

Doveva trattarsi di un uomo di mezza età, come indicavano i capelli brizzolati che gli si attorcigliavano umidi sulla fronte e sul collo. Possedeva una voce cavernosa che sprigionava un senso istintivo di autorevolezza, decisamente smorzato dalla consunta zappa terrosa che poggiava sulla robusta spalla. Quando la figura tozza dell'uomo si

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incamminò lungo un sentiero in terra battuta a lato di un terrapieno Takeshi lo seguì deciso, trascinandosi dietro Raissa che era rimasta bloccata nella suadente illusione di potere riprendere un attimo fiato. Gli attimi che li separavano dall'ingresso del ryokan(locanda)parvero ad entrambi un'eternità, anche perchè alla pioggia che batteva insistentemente sulle vesti si era sostituito un vento gelido. Raissa, scossa da tremiti convulsi, si aggrappava al suo braccio quasi come se non avesse più neanche la forza di camminare. Attraverso la foschia biancastra si prospettarono finalmente i tetti di paglia ad una falda tipici delle fattorie più modeste, tuttavia il silenzio imperturbabile rimase spezzato solo dal respiro rassegnato di Raissa e dal battito drastico dei passi della loro guida sul terreno scosceso. Takeshi passava in rassegna ciascuna di quelle abitazioni, non appena l'uomo con la lanterna si avvicinava quanto bastava per distinguerne i dettagli:nessuna di esse rivelava un bagliore all'interno, neppure il fremito di un respiro assopito increspava le pareti silenziose. La poca luce argentata che filtrava dalle nuvole minacciose dava all'ambiente un taglio decadente, la vita sembrava essersi dimenticata di quel luogo solitario cinto d'assedio dalla foresta selvaggia. Ad uno sguardo attento le case apparivano anche ben curate:con ogni probabilità semplicemente l'ultimo periodo di guerra aveva svuotato il centro abitato della manodopera maschile, che in genere era anche la più dedita ad attività notturne rumorose. L'uomo contorse le labbra spaccate dal freddo, quindi indicò loro con l'indice un'abitazione leggermente discosta dalle altre, decisamente più vistosa. L'ingresso, introdotto da corti scalini di legno, dava su un ampio portico dipinto di rosso. Lo spazio emanava un calore accogliente che si spandeva nell'aria come un profumo dai due andon(lampade costituite da un telaio di bambù su cui viene teso un foglio di carta di riso)posti ai lati dello shoji(porta scorrevole costituita da un impianto reticolare con fogli traslucidi). Per una frazione secondo, mentre varcava la soglia della casa, Takeshi avvertì la sensazione che quella costruzione fosse sorta dal nulla,ma poi l'urgenza di un focolare ristoratore spianò ogni suo dubbio. Insieme a Raissa superò il genkan(piccolo ingresso dove si lasciano le calzature)imbarazzato, osservando i propri piedi nudi che imbrattavano il pavimento di assi di cipresso lucido. I corridoi sembravano ancora più lussuosi che dall'esterno, del tutto inadeguati per lo sparuto gruppo di abitazioni contadine che li circondava.E del tutto inadatto alle sue finanze, rimuginò Takeshi, facendo tintinnare le poche monete di argento e rame che gli rimanevano. Entrarono infine in un'ampia sala del tutto deserta, che sembrava rimbombare i silenzi innaturali del villaggio nei suoi ampi spazi. Takeshi si sentì pervadere da un'ondata di nostalgia mentre trascinava i piedi stanchi sul ruvido tatami di paglia intrecciata:gli pareva di trovarsi nella sala del castello di Sawayama dove Ishida incontrava i propri luogotenenti. Lo stesso odore acuto di sakè versato permeava l'aria, la luce crepuscolare che filtrava dagli andon conferiva all'ambientazione un'aura di ricordo lontano, come di un'immagine sbiadita dagli anni. Osservando meglio, gli parve di scorgere una figura rannicchiata in un angolo, seduta sopra un voluminoso cuscino trapuntato. Raissa sembrava averla individuata prima di lui, infatti si era diretta velocemente in quella direzione strattonandogli il braccio con veemenza. Takeshi quasi inciampò nel basso horigotatsu(basso tavolino posto sopra un braciere incassato nel pavimento), incespicando cercò di recuperare terreno su Raissa e di schiarirsi la voce. Doveva assolutamente impedirle di prendere la parola:anche se nella penombra il padrone di casa non fosse riuscito a definirne i lineamenti, una volta che avesse parlato avrebbe subito compreso che era straniera. E se un giapponese in compagnia di uno straniero era mal visto, se avesse anche lasciato intendere al padrone di casa che Raissa avesse la posizione di comando tra loro due, potevano scordarsi l'alloggio. Con una

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piroetta agile si disimpegnò abilmente, arrivando finalmente a distinguere una figura femminile nell'angolo, che intanto aveva cominciato faticosamente a muoversi. Il primo dettaglio che colpì Takeshi furono due occhi scuri profondamente espressivi, coronati da delle lunghissime ciglia inarcate. I lineamenti sorpresi della giovane donna le donavano un'aria di una dolcezza inconsueta, che sbocciava prorompente dalle labbra color ciliegia semichiuse. Portava un largo kimono bianco con un drago rampante rosso ricamato sopra, che si arrampicava sinuoso con le fauci spalancate sul petto prosperoso. Le mani piccole stringevano le pieghe profonde della veste, sfiorando appena la vita sottile con le punte dei polpastrelli affusolati. Takeshi rimase attonito, il collo sprofondato in avanti, le braccia abbandonate che penzolavano nel vuoto:d'un tratto aveva la lingua impastata, gli occhi vacui, inermi. I lucidi capelli neri, leggermente mossi dalla lieve rotazione del collo di lei, erano acconciati sulla nuca in una treccia semplice raccolta, fissata da una spilla modellata sul roseo fiore del pesco. Un kanzashi(gioiello per i capelli) di splendida fattura le carezzava la guancia tenera, con la sua candida cascata di monili ordinata come un grappolo di boccioli d'acacia. Nell'arco di un attimo Raissa lo superò, posizionandosi di fronte a lui con aria scocciata. Takeshi non sapeva quanto fosse rimasto inerte, ma cercò di riprendersi dalla sorpresa. -Vorremmo una camera per la notte.Quanto fa?-La voce squillante di Raissa lo colpì al petto come una condanna:ancora una volta la potenza disciplinata del samurai era stata abbattuta dalle debolezze della carne. Abbassò un attimo lo sguardo vago, tra l'irato e l'abbattuto, quindi tirò indietro Raissa con uno strattone stizzito. Fu fermato all'improvviso da una voce serica, suadente come il miele:

-Chi siete?-

-Signora, ci scusi, siamo stati indirizzati qui da un contadino robusto e...Takeshi si rendeva conto con vergogna di balbettare, più provava ad imporsi un cipiglio severo più diveniva insicuro -ma ora ce ne andiamo subitoQuel posto appariva fin troppo lussuoso in ogni suo singolo dettaglio per trattarsi di un ryokan, dovevano essere finiti nella dimora di qualche daymio locale. Takeshi non riusciva a capacitarsi di come potesse un daimyo con una dimora del genere risiedere in un villaggio tanto sgangherato, ma più di ogni altra cosa lo insospettiva la mancanza assoluta di guardie. Il periodo di guerra sicuramente spingeva il signore di quei luoghi lontano da lì con i suoi soldati, ma quale uomo sano di mente avrebbe lasciato la propria dimora e la propria moglie del tutto in balia delle mani rapaci dei più poveri?

-No,no restate. Mio marito è partito da diversi mesi ed ho ordinato io ai contadini dei dintorni di inviarmi i forestieri. Qui non passa mai nessuno, quindi anche le mie ultime notizie sull'andamento della guerra risalgono a diverso tempo fa...- si voltò verso Raissa, aggiustandosi un ricciolo ribelle dietro l'orecchio:-Basta che mi riferiate cosa sapete della guerra. Se state andando ad Heiankyo è successo qualcosa di importante, no?-

Raissa sembrò rintuzzarsi un attimo dentro le vesti lise:-Sì, dovevano arrivare domani...anche la voce di lei tremava, sembrava subire in qualche modo il fascino dirompente della giovane nobile.

-La guerra è finita.Ha vinto TokugawaTakeshi tornò ad imporsi, il volto impassibile, il tono lapidario di chi legge una sentenza. -Oh... questa è una gran bella notizia. Bisogna festeggiare:sarete miei ospiti fino a domani-

La voce della nobildonna si mostrava sollevata, eppure il volto tradiva una certa inquietudine. In quella zona, così vicina ad Heiankyo era assai più probabile che suo marito fosse alleato con Ishida, anche se Takeshi aveva sentito dire che alcuni daymio del Kanto avevano deciso di offrire i propri eserciti al malvone dei Tokugawa. Con i suoi

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occhi stanchi di guerriero esperto le scoccò uno sguardo carico di commiserazione:alla moglie di un daymio sconfitto non sarebbe certo stato riservato un bel destino. Nella peggiore delle ipotesi alla prima rappresaglia poteva anche essere impiegata per il divertimento delle truppe, ma non credeva fosse questo il caso.Un fiore del genere, con quelle gote rosate di viva giovinezza sarebbe sicuramente stato servato con la massima cura:magari la concubina di un daimyo, o anche Tokugawa stesso. Non trovandosi certo nella condizione di rifiutare un invito tanto cortese Takeshi e Raissa consumarono con foga la cena seduti davanti al confortante calore dell'Horigatsu, in compagnia dell'affascinante signora. Venne a imbandire il tavolo una vecchia servitrice, la schiena incurvata dal peso incipiente degli anni. Lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi opachi ricordavano a Takeshi l'anziana madre del nobile Ishida, che quando era piccolo spesso si fermava a fargli i complimenti, carezzandogli il volto con le mani rugose. Aveva gli stessi capelli grigi stoppacciosi, lo stesso naso affilato e la medesima stanchezza incuneata nei gesti affettati. Donne con i figli ormai grandi, che non sapevano più dove volgere il cuore colmo di affetto: Takeshi sorrise, ripensando a come la venerabile signora del castello di Sawayama lo lasciasse correre con gli altri figli di samurai nei corridoi, nonostante le accese lamentele del personale di servizio. Intanto senza accorgersene aveva praticamente divorato la sua zuppa di miso, arrivando a scorgere il rosso della rose dipinte sul fondo del piatto di ceramica traslucida. Addentò famelico un pezzo corposo di Okonomiyaki(frittata alla griglia), sempre più pensieroso. La situazione corrente sua e di Raissa era disperata:l'offerta di ospitalità della signora non avrebbe potuto essere più provvidenziale. Eppure ogni attimo che passava percepiva l'animo impregnarsi più a fondo di un’inquietudine ingiustificata. Rispondeva con sorrisi alle continue domande che gli venivano rivolte, ma ogni volta che udiva il tono carezzevole della loro benefattrice il cuore si rincantucciava più a fondo nel petto, come se volesse ritrarsi da qualche minaccia. E a ben guardare la ghiotta occasione nella quale si erano imbattuti lui e Raissa aveva diversi punti oscuri, ai quali spinto dal bisogno inizialmente non aveva badato. Nessun daimyo o membro di famiglia nobile avrebbe accolto dei forestieri qualsiasi nella sua dimora, si sarebbe trattato di un'ingenuità che avrebbe potuto pagare nella migliore delle ipotesi con un furto. Talvolta i signori spinti dal capriccio o dalla noia accordavano il loro favore a monaci o gaijin, ma mai a pezzenti. Takeshi non nutriva alcun dubbio di non avere un aspetto particolarmente ravversato in quel momento, eppure la donna, che aveva scoperto chiamarsi Suikeiin, non solo aveva tollerato di buon grado che sporcasse di fango umido il pulitissimo tatami, ma gli aveva anche fornito un paio di vestiti asciutti. E li aveva procurati anche a Raissa, che biascicava seduta a gambe incrociate dall'altro lato della tavola, raggiante nel suo komon grigio(tipo di kimono). Takeshi non finiva di stupirsi della mancanza di ritegno della compagna:nonostante si trovassero di fronte alla moglie di un daymio si nutriva con la stessa finezza con la quale si rifocillava durante il viaggio, cioè come una belva digiuna da diversi giorni. Tuttavia con le labbra morbide sporche di brodo, avvolta in quel vestito raffinatissimo che le donava, ma in un certo senso era del tutto fuori luogo addosso a lei, gli ispirava un'incomprensibile tenerezza. Una larga benda beige le fasciava strettamente la vita, interrompendo il motivo a punti quadrangolari neri che costellavano l'abito. -Takeshi...ma quindi voi siete marito e moglie?- l'ennesima domanda repentina di Suikeiin si tramutò in un'intrusione del tutto inattesa nei pensieri del samurai, che aggrottò la fronte irritato. Quando si accorse che la sua interlocutrice aveva spalancato gli occhi di fronte all'evidente fastidio di lui, si affrettò a rimediare: -Sì,sì, appena sposati. Siamo diretti ad Heaiankyo per trovare una sistemazione...-

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-Di questi tempi non sarà facile...-la voce di Suikeiin si era fatta d'un tratto acuminata come un vetro tagliente -Eh...infatti contiamo sull'aiuto di alcuni parenti di mia moglie che sono dei mercanti d'armi ben inseriti in città-Quindi è per questo che tieni una katana appesa alla cintola?- Takeshi si sentì gelare. Sicuramente era colpito dalla grande capacità d'osservazione di quegli occhi lucenti, che non riusciva ancora a fissare senza essere scosso da un tremito. Ma soprattutto terrorizzato. Era convinto di essere riuscito a celare con cura la katana, ma la donna doveva averla scorta prima che si cambiasse, in rilievo sotto i vestiti zuppi d'acqua. La situazione era sempre più singolare:la donna nonostante tutto non si era precipitata a chiedere aiuto, d'altronde Takeshi era sicuro che da qualche parte nella casa si nascondesse qualche soldato. La guardò attonito:ormai Suikeiin sapeva di trovarsi di fronte ad un daimyo o almeno ad un samurai. Probabilmente li aveva accolti senza riserve per quella ragione:pur non sapendo a quale fazione della guerra appartenesse, era sempre pericoloso rifiutare ospitalità ad un guerriero di alto rango. Lei continuava a sorridere affabile,ma il suo sguardo appariva categorico:non accettava di essere presa in giro.

-Io sono...un samurai.Servo sotto Fukushima Masanori e sto raggiungendo il mio signore ad Heiankyo-con fare sprezzante Takeshi continuò:-questa donna fa parte del bottino che mi è stato concesso dal mio nobile signore-.

Suikeiin socchiuse gli occhi, sembrava persuasa. Non era affatto inconsueto per un samurai o un daimyo mostrarsi reticente a rivelare la propria identità, soprattutto nei paesini di provincia:i militari di alto rango erano preda ambita per le cospicue richieste di riscatto che potevano fruttare. Takeshi si sentì pervadere da un moto d'orgoglio stordente:se infatti il marito della donna era davvero alleato di Tokugawa non correva pericoli, in caso contrario disponeva comunque una situazione stabile. Dopo la notizia della disfatta del nobile Ishida per Suikeiin sarebbe stata estremamente allettante la prospettiva di procurarsi un alleato dalla parte dei vincitori. La sua soddisfazione trapelò in un sorriso tronfio a fior di labbra quando si accorse che la donna lo guardava con gli occhi che luccicavano.

-Masanori? Il daymio delle Sette lance di Shizugatake?(gruppo di samurai che si distinse nella battaglia di Shizugatake, al servizio di Toyotomi Hideyoshi, potente signore la cui morte sarà una delle cause dell'inasprirsi dei conflitti che porteranno alla battaglia di Sekigahara)L'eroe che si fa strada abbattendo eserciti interi con la sua Nihongo(una delle tre grandi lance del Giappone)?-

Takeshi rimase stupito di un entusiasmo tanto genuino, badando con sufficienza a Raissa che lo squadrava preoccupata e al tempo stesso furibonda dall''altro lato della tavola. Il giovane guerriero aveva sempre ritenuto più prudente non rivelarle mai del tutto la propria identità e le proprie intenzioni, anche se aveva lasciato trapelare di appartenere alle classi apicali del paese. Così con ogni probabilità aveva preso per verità il discorso del samurai, sentendosi tradita. Le fece cenno con disinvoltura che ne avrebbero parlato dopo, mantenendo la prudenza necessaria a non farsi notare da Suikeiin, nonostante fosse ancora ubriacato dalla dolcezza di quegli occhi che splendevano d'ammirazione. Subito dopo la cena la padrona di casa mostrò loro la camera:un grande vano rettangolare che odorava di pulito. Sopra il tatami gravava un futon, imbottito di paglia, coperto da una pesante coltre di cotone bianco. Per il resto il mobilio si presentava come estremamente essenziale e le pareti formate da impalcature di legno coperte da lembi di carta di riso contribuivano a trasmettere un'idea di accoglienza semplice e genuina. Suikeiin da quando si erano alzati stringeva con la presa gentile il braccio tornito del samurai, aggrappandosi disperatamente con le sue dita bianche ai lembi dell'abito. Takeshi non

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riusciva a levarsi il sorriso ebete che gli si era impresso sul volto, il suo corpo e il suo animo si trovavano nella confusione più totale. Poche ore prima la sua vita dipendeva dal capriccio delle intemperie, ora non solo era al caldo, ma la nobildonna si era stretta talmente a lui che poteva sentirne la fragranza di cannella spandersi dai capelli ben pettinati. Lo stesso odore della Yuki-Onna, solo più caldo, vivo e pulsante. Con sua sorpresa Suikeiin fece cenno di accomodarsi solo a Raissa, quindi tornò da lui radiosa come un raggio di sole attraverso le nubi, il respiro irregolare. Con le dita gli sfiorò appena le labbra, lambendo il pomo d'adamo pronunciato mentre scendeva al petto. Indicò un attimo in avanti ed erano già lanciati verso il corridoio ombroso, Takeshi che si lasciava condurre per la mano docile come un agnellino. Percepiva la sua volontà annullata, l'animo confuso in un groviglio di desiderio fragoroso e un'inquieta trepidazione. In realtà la frenesia del momento ammantava quasi del tutto qualsiasi altra sensazione, eppure rimaneva sempre una punta di insicurezza, un attimo di ripensamento. Presagiva che qualcosa non andasse, ma proprio il timore lo spingeva in maniera inspiegabile a cogliere i piaceri che il balenio di un istante pareva offrirgli, provato dalla continua incertezza. La situazione sembrava finalmente aver imboccato una direzione a lui favorevole, anche se la semplicità con cui si susseguivano gli eventi lo lasciava perplesso. Per una frazione di secondo avvertì gli arti avvolti da un calore abbacinante, non dissimile da quello che lo aveva pervaso con il bacio della Yuki-Onna, quando stava per morire assiderato. Scorse quello che pareva un gigantesco arto peloso, sospeso su una volta di fili di cristallo.L'aria era pesante e viziata, il buio denso sembrava assediarlo con subdoli tentacoli da ogni parte. Mentre entrava nella bassa porta della camera insieme a Suikeiin scosse energicamente la testa, come per scacciare quelle immagini insensate: doveva essere stanco.

CONTINUA

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Stairway to Heaven

C'era una volta Lucia...

Lucia viveva in un piccolo e povero paesino, lavorava sodo per portare a casa una somma di denaro che le permettesse di vivere una vita equilibrata, fatta di piccole rinunce ma anche di qualche piccolo vizio come abiti nuovi e occasionali uscite con le amiche. A volte si ritrovava ad essere insoddisfatta di ciò che aveva, avrebbe voluto poter vivere come una regina: sperperando denaro e passando ogni giornata come se fosse festa, con vestiti eleganti, dolci e solo divertimento; queste non sono altro che normali fantasticherie fatte da una ragazza qualunque, tutti ci pensano almeno una volta ogni tanto.

Una terribile notte, l'adorata nonna di Lucia morì. Era molto anziana e nessuno ne fu poi tanto sorpreso, nemmeno la povera ragazza. Lucia si sentiva particolarmente legata alla nonna, nonostante fosse spesso arcigna, di cattivo umore e sempre sgarbata, insomma, non era la nonna perfetta. A volte Lucia desiderava che sua nonna fosse una nonna modello: sempre gentile, disponibile, che non sgridasse mai e la accontentasse sempre in tutto; anche questi sono pensieri che a tutti capita di fare di rado, desiderare che chi si ama sia anche perfetto. Lucia era disperata per la morte della nonna, la sua tristezza sembrava essere infinita. Dopo 3 giorni dalla sua morte, andò a casa dell'anziana signora per cercare qualcosa che gliela facesse sentire ancora vicina. Tutto nella casa era immobile ed esattamente come la ragazza se lo ricordava: i quadri paesaggistici, il divano marrone, il camino sporco di cenere, la cucina odorosa di biscotti appena sfornati. Quando entrò nella vecchia camera da letto, però, notò qualcosa di strano. In mezzo al soffitto, grande quanto 3 teste, c'era un buco, ma non era un semplice buco, era molto strano; emanava una luce splendente, ma non accecante, che sembrava racchiudere tutti i colori e allo stesso tempo sembrava incolore. Lucia era scioccata, non aveva mai visto niente del genere. Le fece pensare solo una cosa, ovvero "la luce degli angeli". Rimase non poco tempo ad osservare quello strano buco e dopo diverse riflessioni si convinse che non poteva essere altro che la strada per il paradiso. Ciò che le venne in mente dopo è abbastanza ovvio, se fosse riuscita a raggiungere la fessura, avrebbe potuto rivedere la sua amata nonna e avere finalmente la pace assoluta che si prova solo quando si ha tutto. Lucia corse a cercare una scala, la posizionò sotto il buco e...dopo due secondi quello l'aveva risucchiata e la povera Lucia era rimasta a terra. Lucia provò a mettere un cuscino sotto alla luce e anche quello scomparve. Provò ad andare lei stessa là sotto, ma non successe nulla. In seguito continuò a mettere altri mobili sotto la luce nella speranza che restassero a terra o che venisse trascinata via con loro, però non accadde mai. In fine provò a trascinare la libreria fino alla camera da letto, mettendoci sotto delle rotelle apposite, pensando che fosse troppo pesante per sollevarsi in aria. Si sbagliava. La solida costruzione in legno volò via, eppure questa volta accadde qualcosa di diverso: tutti i libri che prima si trovavano accuratamente riposti sugli scaffali, piovvero giù dalla libreria cadendo con un grosso tonfo sul freddo pavimento. Per qualche strano motivo, il buco respingeva i libri. Questa scoperta mandò Lucia fuori di sé dalla gioia, finalmente sapeva come raggiungere il suo paradiso. Raccolse quanti più libri poté e li mise a formare una scala. Ci lavorò con grande cura disponendo i libri con precisione per formare degli scalini, anche se era terribilmente spaventata all'idea che presto la magia finisse. Quando la scala fu pronta si fermò un secondo ad ammirarla, quella era la sua via

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per il regno dell'immensa beatitudine. Mise un piede sul primo gradino ed iniziò a salire. Più si faceva vicina alla luce, più le era difficile vedere bene, un calore familiare la pervadeva e si sentiva perfettamente serena, come non lo lo era mai stata prima. Chiuse gli occhi. Quando li riaprì si trovava tra le soffici nuvole. Il buco dietro di sé si era trasformato in un pozzo dorato e davanti a sé c'era la sua amata nonna. Le due si abbracciarono felici di rivedersi e poi si diressero verso un enorme castello fatto anch'esso d'oro. Passò una giornata meravigliosa, piena di dolci, abiti eleganti, passeggiate tra prati fioriti, gioielli eleganti e, inoltre, sua nonna era completamente diversa da come era prima del paradiso: era sempre gentile e premurosa, mai una cattiva parola sul suo abito sgualcito o sui suoi capelli disordinati. Si era addirittura messa a cucinarle mille diverse prelibatezze dicendo "qui non ha importanza se sprechi il cibo, quindi ti farò tutti i tuoi piatti preferiti", mentre un tempo se si fosse azzardata a lasciare anche solo un chicco di riso sul piatto non avrebbe smesso di urlare per ore. Niente lì era come di là e tutto era perfetto. Non doveva lavorare nemmeno un solo minuto, viveva in un castello, indossava abiti principeschi e si era potuta dedicare a tutte quella attività a cui un tempo aveva dovuto rinunciare, come cavalcare, dipingere, nuotare e oziare. Le sue giornate continuavano a scorrere così, passando da un divertimento ad un altro. Dopo solo un paio di settimane, però, non riusciva più ad apprezzare niente. I suoi abiti nuovi, prima tanto splendenti, ora, indossati tutti i giorni e senza alcun motivo, non avevano assolutamente niente di speciale, ai suoi occhi erano diventati dei comuni abiti. I dolci che prima avevano un sapore tanto gustoso, ora le facevano venire il volta stomaco e aveva avuto il mal di pancia per ben 3 giorni. Le grandi dimensioni del castello non la sorprendevano più e iniziava a trovare stancante fare così tanta strada solo per arrivare da camera sua al portone d'ingresso. Le attività che aveva tanto desiderato fare, ora la annoiavano. Aveva nuotato e dipinto così tanto che aveva le spalle e la mano indolenzite, inoltre aveva scoperto che andare a cavallo non le piaceva poi tanto come aveva immaginato. Anche la sua nonna perfetta, ormai, non sembrava più perfetta. Si ritrovò a pensare che le mancava la nonna arcigna che le diceva di stare dritta con la schiena e che quando le chiedeva se potesse comprarsi un nuovo gioiello per puro sfizio rispondeva "giammai''. Si ritrovò a desiderare di avere qualcosa da dover fare, come lavare per terra o pulire i piatti oppure tagliare l'erba, ma lì non c'era niente da fare, tutto era perfetto. Forse quello non era un sogno, ma un incubo vestito d'oro. Se quella era la vita di una regina, allora preferiva essere una cittadina comune con i suoi doveri e piaceri, entrambi a pari numero. Tutto ciò che è bello lo aveva apprezzato di più quando aveva dovuto aspettare per ottenerlo. Ora era tutto semplice quotidianità.

Andò a dare un bacio a sua nonna e le disse che sarebbe andata a fare un giro e per la prima e ultima volta le disse una frase molto tenera, che però suonò strana sulle sue labbra rugose: "Va bene tesoro, ti voglio bene, attenta a ciò che farai. Sono fiera di te", come se sapesse di già che non si sarebbero più riviste.

Non appena Lucia fu fuori dalla porta, corse quanto più veloce poteva e raggiunse il pozzo dorato. Senza nemmeno pensarci ci si gettò dentro.

Lucia si risvegliò per terra, al centro della vecchia camera da letto, circondata da tutti gli oggetti che il buco aveva precedentemente risucchiato. Guardò sul soffitto e il buco era completamente scomparso e l'unico indizio di una sua precedente esistenza era segnato dalla presenza della scala di libri. Lucia pensò a come molti sogni siano delle illusioni, si presentano come degli idilli eppure è proprio il loro essere così perfettamente irrealizzabili a renderlo degli incubi. Continuando a fare molte altre riflessioni, Lucia iniziò a rimettere in ordine il disastro che aveva combinato felice di trovarsi nel vero paradiso.

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Dancer Lovers

Capitolo II

Camminava e riformulava il discorso da farle. Come poterle chiedere una cosa tanto importante?

Giunti davanti alla porta della villa, prese coraggio e bussò. Sentì la voce della piccola che correva ad aprigli. Dopo pochi secondi si ritrovarono la piccola figura davanti a loro.

I suoi grandi occhi marroni e i magnifici riccioli che le ricadevano lungo le spalle la rendevano estremamente docile agli occhi di tutti.

Indossava un vestitino rosa chiaro e delle calze bianche.

"Salve signor conte" esclamò la bimba inchinandosi leggermente.

"Ciao piccola" rispose lui sorridendo dolcemente e chinando leggermente il capo.

"Piccola stella, sapresti dirci dove possiamo trovare la cara Carrie?" chiese improvvisamente Johnatan comparendo alle spalle del fratello, facendo prendere un leggero spavento alla piccola, che fece un salto.

"Chi dei due la cerca?" disse divertita la voce di Catherine, sorella maggiore di Elizabeth che aveva ripreso al volo la piccola.

"La cerco io, buongiorno signorina Kate" disse Thomas, facendo un leggero inchino alla ragazza.La ragazza, nella sua solita postura elegante con le braccia distese e le mani congiunte, osservava i due fratelli con i suoi tranquilli occhi verdi. Aveva i morbidi capelli mori raccolti in una crocchia. Indossava un vestito verde scuro che le dava un'aria di rettitudine e importanza impeccabile per la sua età. A ventidue anni appariva esattamente come una magnifica donna.

"Purtroppo non è in casa, è uscita per la solita cavalcata" disse un'ennesima voce alle spalle dei due fratelli, facendoli saltare in aria per lo spavento. Comparì l'amata sorella gemella di Elizabeth. Aveva i suoi capelli neri lisci raccolti anch'essi in una crocchia con ancora qualche ciuffo ribelle che sfuggiva. I suoi magnifici occhi marroni non riuscivano a tenere lo sguardo del conte. Indossava un vestito azzurro cielo che riprendeva l'azzurro degli occhi di Thomas.

"Salve anche a voi, Annie" disse prendendo un profondo respiro il ragazzo, per poi fare anche a lei uno dei suoi soliti inchini.

"Oh... la donzella è fuggita anche da voi, caro fratello!" disse Johnatan scoppiando a ridere.

"Posso raggiungerla?" risprese il giovane senza prestare attenzione alla battuta di pessimo gusto del fratello che non riusciva a smettere di ridere ripetendola.

"Seguitemi..." disse sorridendo amaramente Annette. Non era un segreto per nessuno che la povera ragazza si fosse innamorata del caro conte, eccetto che per lo stesso giovane. Ma sapeva e, a malincuore accettava, il fatto che il ragazzo invece provasse i suoi stessi sentimenti per la gemella.

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Quindi si diresse, seguita prontamente da lui, alla scuderia dietro casa.

"Quindi oggi..." disse lei con sguardo triste e basso e le braccia distese lungo il corpo.

"Oggi è il giorno perfetto, sentite l'aria, il cinguettio degli uccelli, il calore del sole e perfino il profumo della rugiada..."

La ragazza ebbe un leggero brivido, anche per il fatto che facesse freddo, ma soprattutto perché anche se sapeva che sarebbe successo, sperava che quel giorno non sarebbe mai arrivato. Non per cattiveria, né tantomeno per egoismo, ma nel suo cuore portava ancora la speranza di un cambiamento da parte di Thomas.

"Tenete! Forse questi raggi per voi sono ancora troppo deboli..." disse lui sfilandosi la giacca e posandogliela sulle spalle.

"Vi ringrazio... Thom..." disse lei stringendosi la giacca calda sulle spalle e ricercando il suo profumo.

Il profumo di lei misto a vaniglia e rosa si fonde a quello della giacca di ambra e una leggera aroma delicata di cioccolato.

"Posso prendere la vostra amata destriera, Winnie?" domandò il ragazzo avvicinandosi al magnifico Baio di manto tendente al rossiccio, prendendole il muso fra le mani e accarezzandogli delicatamente.

Attaccò il suo volto a quello della cavalla e dopo qualche istante tornò a guardare la ragazza che tenendo il volto abbassato si stava avvicinando al fianco del cavallo. Accarezzandogli il dorso quella sospirando si allontanò di nuovo. Tornò con una sella, delle redini dicendo: "Ve la preparo subito!"

"Date a me, non conviene scomodarsi per uno come me!" disse lui correndo ad aiutarla a portare il tutto.

"Mi sembra il minimo!" disse lei tornando a guardarlo sorridendo amaramente. Il ragazzo sorrise per mezzo secondo poi abbassando il capo cordialmente si ritirò in fondo alla scuderia per rivoltarsi a guardare la ragazza indaffarata a stringere per bene la sella al corpo del destriero che restava immobile, per la grande delicatezza che essa ci metteva per non recargli dolore alcuno. Dopo qualche minuto il ragazzo si ritrovò in sella e prima di partire chiese alla giovane se fosse quantomeno presentabile.

"Siete perfetto, ma dovete ancora imparare a stare in sella!" disse lei sarcasticamente. Il ragazzo si guardò per ben, poi sorridendo le rispose: "Mi fregate ogni volta, cara Annie"

"Arrivederci Thomas" disse lei iniziando a incamminarsi nuovamente a casa scuotendo la testa sorridendo.

"Arrivederci piccola Annie" disse lui osservando la ragazza che camminava assorta nei propri pensieri.

Partendo al galoppo subito l'aria fredda di agosto si fece sentire, ma lui non ci fece neanche caso. Era troppo concentrato sul da farsi per pensare ad altro. Il vento gli scompigliava i morbidi capelli biondi mentre i suoi occhi azzurri si socchiudevano. Arrivato alla prossimità del Gormite Lake vide una figura e un puntino bianco. Il suo cuore iniziò a battere talmente forte da fargli male, quando all'avvicinarsi a quelle due figure finalmente le riconobbe. Erano proprio la sua Lizzie e il suo amato Jude, il fidato Andaluso della ragazza che lo osservava da lontano. Saltò a terra e si avvicinò alla ragazza che stava voltata di spalle in silenzio. Quando le fu vicino si mise ad osservarla sorridendo dolcemente. "Buongiorno Lizzie!" esclamò improvvisamente lui facendo voltare spaventata la ragazza.

"Thomas... siete voi... buongiorno...." rispose quella deglutendo dopo lo spavento subito. "Scusatemi per lo spavento e il poco preavviso ma devo parlarvi..." disse lui abbassando il capo e allungando una mano verso di lei.

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"Che succede Thomas?" disse la ragazza preoccupata allungando una mano a sua volta e sfiorando quella di lui.

"Si tratta di noi... di voi e di me..." disse lui continuando a tenere il volto abbassato e provando a prenderle la mano.

Subito lei allontanò la mano e guardò il ragazzo che alzato il volto la guardava con sguardo supplichevole affinché lei lo ascoltasse.

"Io vi..." "No, non ditelo... vi prego non pronunciare quelle parole..." disse la ragazza allontanandosi lentamente con le braccia allungata verso il ragazzo come per mantenere una certa distanza tra i loro corpi.

"Ma io debbo dirvi le finalità del mio improvviso arrivo e smetterla di mentire a me stesso e a voi riguardo i miei veri e sinceri sentimenti, questa eterna devozione a voi sta diventando condanna dentro il mio povero e straziato cuore... usura i miei pensieri e inciampa nei miei sogni... non posso mentirvi sul fatto che io vi trovo una creatura dolce e delicata..." disse lui alzandosi e iniziando ad avvicinarsi a lei con sguardo straziato e smarrito.

"Mi date della debole?" disse lei incrociando le braccia al petto e fermandosi in quella posizione assumendo uno sguardo fisso e offeso.

"No, non era assolutamente quello che vi volevo indurre a pensare, Carmen, voi siete bella, intelligente, solare, sensibile, raffinata, dolce, gentile, cordiale, rara a mio modo di vedere..."

Avrei anche molti, se non fin troppi, difetti!" disse lei guardandolo con sguardo decisamente addolcito da quello assunto qualche secondo prima, ma pur sempre distaccato.

"Ai miei occhi se questi difetti, come li intendete voi, esistono non appaiono come minaccia e mi sembrano alquanto perdonabili" disse lui tranquillizzandosi e avvicinandosi lentamente a lei.

"Io..." disse lei abbassando immediatamente lo sguardo per evitare di incrociarsi ai suoi due zaffiri e cercando una via di fuga. "Io vi amo Carmen, vi chiedo soltanto di rispondermi come il cuore vi comanda, se vi comanda giusto..." disse lui sorridendo dolcemente e sistemandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio destro e alzandole il volto delicatamente da sotto il mento.

"Io... non posso... non voglio... non sono pronta a tutto questo..." disse quella voltandosi immediatamente per evitare ulteriore tormento sotto quello sguardo che da amico si stava trasformando in tormento e dubbio.

"Questo cambiamento?" disse lui cercando il volto da dietro le spalle che lei le voltava. "Sì... ho sempre dubitato sulla natura dei sentimenti affettivi che ci legavano... gli altri, poi, non hanno mai detto provato a distogliermi dal dubbio e mostrarmi la realtà, poi scopro che le mie paure erano fondate fin dalle loro basi più profonde... "

"Io posso aspettarvi Carmen, tutto il tempo che vi serve... prendetevelo, io sono già vostro... sta a voi accettarlo... oppure...." disse lui con tono comprensivo e delicato. "Non voglio questo mr. Thomas..." disse lei voltandosi e ponendogli uno sguardo cupo e triste". Ditemi di cosa dubitate... Carmen... parlatemi..." rispose lui con voce quasi spezzata ed esasperata.

"la ragazza scosse la testa e si voltò, mentre il conte aprì la bocca e vedendo che si era voltata la richiuse aspettando che gli rivolgesse nuovamente lo sguardo. Appena lo fece disse:" Posso aspettarvi e rimanere comunque al vostro fianco..." "Non voglio questo, Thomas, non ho bisogno di qualcuno che mi rimanga accanto e si fermi ad aspettarmi, ho bisogno di qualcuno che abbia il coraggio di rincorrermi senza mai stancarsi e che raggiungendomi continui a correre al mio fianco!" urlò disperata lei.

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"Posso rimanere accanto e aspettare che la tempesta passi e accompagnarvi quando il tempo vi sarà favorevole... in certi casi la tempesta di cui voi parlate può recarvi fin troppi dolori e voi non ne meritate neanche uno di essi, poche volte correre in mezzo ad una tempesta ha portato vittorie, la maggior parte delle corse sfrenate finiscono in tragedia, soprattutto per due innamorati con il vento e il tempo sfavorevoli" disse lui tornando serio e ricomponendosi.Appena finito il suo discorso tornò in sella e disse:" L'amore non è una rincorsa sfrenata verso l'ignoto e la la malattia è un rifugio nel quale ripararsi finché la tempesta non si usura!"

"Mr. Thomas..." disse quella allungando una mano verso di lui che senza rivolgerle lo sguardo disse: "Arrivederci Carmen!"

A quel punto la ragazza rimase a guardare il signor de Montfort ripartire al galoppo e nonostante volesse corrergli dietro e fermarlo per parlargli qualcosa dentro di lei la bloccava dal farlo. Solo il suo sguardo leggermente offeso ma soprattutto triste lo seguì finché poté. Quando anche il puntino della sua figura scomparve dall'orizzonte tirò un sospiro profondo e raccolse il libro che gli era caduto per lo spavento dell'arrivo improvviso di lui. Risalì in sella e si diresse a casa pensierosa. Salì le scali con passi pesanti e si rinchiuse nella sua stanza con il cuore ancora più pesante di quanto non le erano sembrati i passi sui gradini di marmo. Sedendosi sul letto ripensò all'accaduto. L'aveva rifiutato? Era stata davvero così dura nei confronti del ragazzo da cui era sempre stata attratta? Il ragazzo a cui era sempre stata legata e di cui alle volte sentiva ribollire una rabbia improvvisa quando vedeva le solite ragazze che gli giravano intorno e ridevano in modo fin troppo eccessivo. Non ebbe modo di fare pensieri ulteriori a riguardo poiché arrivò una domestica ad annunciarle un altro arrivo improvviso: Harriet.

"Carmen... Carmen... mi ha fatto sapere grandi notizie Carmie!" disse l'ospite correndo su per le scale due scalini alla volta.

"Grandi novità Carmie!" continuò finendo col fiatone la sua corsa.

"Che novità cara Harriet? Venite con me, dopo questa corsa frenetica dovrete assolutamente mettere qualcosa sotto i denti!" disse la ragazza sorridendo e prendendo l'amica a braccetto per condurla in salotto dov'era già stata imbandita una magnifica colazione.

"Non hai saputo, dunque?" disse l'altra sconcerta.

"Penso proprio che anche se lo avessi saputo dovrete rinfrescarmi voi la memoria" rispose l'altra guardando dolcemente l'amica che lanciando un gridolino di felicità disse:

"Il diuca Carmie, il duca in persona sarà presente stasera!"

Non appena detto ciò afferrò un pasticcino alla crema e addentandolo aspettò una risposta emozionata dall'amica.

"Il duca di?" disse l'altra guardando l'amica stranita colta alla sprovvista.

"Il cugino del vostro amato Thom, il duca della contea di Addison!" rispose incredula l'altra dopo essersi ripresa dal pasticcino che per la risposta di Carmen le era finito di traverso.

"Ah..." disse Carmen fingendosi sorpresa. "Non fate quella faccia, penso che stasera la signorina Rose e le nostre care amiche Paige e Tessa saranno in fremito, tanto che non sapranno dove guardare e come poter catturare l'attenzio del duca!" continuò l'altra divertita prendendo la mano della ragazza.

"Uhm..." disse la ragazza con sguardo perso. "Oh suvvia Carmie... sono tutti emozionati ovviamente per l'arrivo del misterioso duca... e non dimentichiamoci che è pur sempre cugino del nostro adorato Thomas...! disse Harriet cercando uno sguardo d'intesa con l'amica che però lo teneva abbassato.

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"A proposito di Thomas..." disse dopo qualche secondo di silenzio la signorina d'Ambray alzando leggermente e lasciando la mano dell'altra.

"Che è successo cara?" domandò la signorina Faintree smettendo di gustare i pasticcini e immaginare la serata, rivolgendo all'amica uno sguardo preoccupato. A quel punto la ragazza disse all'amica della proposta ricevuta poco prima da parte del ragazzo. Per poco, una seconda volta, il boccone le finì di traverso.

"Voi e il conte?" strillò emozionata la ragazza svegliando tutta la villa.

Tutta la famiglia d'Ambray al completo si riunì nella stanza.

"Avanti Carmen parla dunque" disse la signora d'Ambray sedutasi accanto alla figlia.

"Non potete rifiutare tale proposta, cara mia" la esortò la sorella maggiore Catherine seduta al fianco della madre. Le due erano sedute nella solita posizione fine ed elegante. La madre con i suoi magnifica capelli castani raccolti in una crocchia e con addosso il suo vestito rosa ciclamino guardava freddamente la figlia che nel suo angolino di divanetto rimasto si rendeva piccola come figura. La sorella maggiore provava compassione e dolcemente cercava lo sguardo della sorella.

"Ma io..." iniziò a dire lei provando a farsi spazi tra gli sguardi della famiglia.

"Carmen, non potete lasciarvi sfuggire una tale occasione!" disse il padre avvicinandosi a lei. Era un uomo alto e con aspetto sebbene rigoroso con qualche tratto dolce e benevolo, soprattutto nei confronti delle figlie. Non era un segreto infatti che madre e padre avessero figlie preferite tra loro. La signora Adeline d'Ambray teneva in ottima considerazione soprattutto la figlia maggiore Catherine, per via delle sue immense doti come pianista, donna di casa, sorella e futura madre, poi Annette per la sua apprensione alle questioni familiari. Il signor Johnatan d'Ambray invece aveva sempre avuto nelle sue grazie le entrambe gemelle, anche se in casa tutti sottolineava il grande affetto a Carmen.

Mentre la piccola Georgette era cullata da tutti nella famiglia dai genitori, ai nonni, agli zii e dalle stesse sorelle maggiori.

"Non dovete assolutamente! Ha sempre dimostrato l'eterna devozione che ha sempre tenuto per voi!" continuò la madre.

"Poi lui è sempre stato innamorato di voi, Carmen!" disse malinconicamente Annette abbassando lo sguardo triste prima di alzarsi e correre in camera sua.

Tutto il resto delle persone concentrarono il loro sguardo su Carmen che teneva il suo abbassato. Non poteva dare torto a nessuno dei presenti. Era in trappola, come un topo nell'angolo della cucina con sette gatti intorno a lui, non aveva vie di fuga. Sentiva che la cosa migliore sarebbe stata quella di accettare la sua proposta e mettersi subito ad organizzare le nozze per dare motivo di gioia e ulteriore lode alla famiglia, ma dentro di sé sentiva il mare in tempesta che la portava sempre più lontana dalla riva all'idea di un'eventuale matrimonio. No, aveva fatto la scelta giusta, dopotutto aveva comunque seguito il suo cuore e non ciò che la mente le consigliava. L'aveva fatto per se stessa non per dare motivo alla sua famiglia di vantarsi. Il tempo tanto non sarebbe mancato, con i suoi appena diciannove anni e l'eterna devozione di lui poteva aspettare che tornassero calme le acque nelle quali si trovava come annegata. Certo non doveva giocarci, era ancora in lotta contro il tempo dei sentimenti per lui. Doveva cercare di capire cosa la bloccasse tanto e il perché del suo rifiuto. Sapeva che stavano soffrendo in tre per questa sua scelta. Guardò Annette che teneva lo sguardo basso e tra le sue palpebre socchiuse si iniziavano già ad intravedere le prime lacrime. Sentiva che la nausea le saliva ad ogni sguardo il quale incrociava. Quando finalmente quell'agonica situazione finì salutò l'amica con un tenero abbraccio sulla soglia di casa e si ritirò nuovamente in camera a riflettere.

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L’angolo dello sport

Serie A

Inizia finalmente il secondo girone della Serie A che vede coinvolte molte squadre nella corsa all’Europa.

Capolista

Il Napoli è la squadra prima in classifica con un distacco di 13 punti dalla seconda, vanta il miglior attacco d’Italia grazie alla presenza del capocannoniere Victor Osimhen che con i suoi colpi fa sempre la differenza nella squadra di mister Spalletti.

Corsa Champions

La corsa Champions è apertissima e vede lottare per tre posti ben 5 squadre: Milan, Inter, Lazio, Roma e Atalanta. Tutte e cinque le squadre hanno all’incirca gli stessi punti e hanno tutte le carte in regola per raggiungere il loro obiettivi, certamente saranno decisivi gli scontri diretti e gli imegni europei che ognuna di queste squadre (esclusa l’Atalanta) dovrà affrontare nel corso di questa seconda parte di stagione.

Caso Juve

Momento ben differente per la Juve che, dopo la batosta presa a Napoli ( partita persa per 5-1) sprofonda in classifica penalizzata di 15 punti per plusvalenze fittizie. Ciò non aiuta affatto la squadra guidata da Max Allegri che perde anche contro il Monza e precipita al tredicesimo posto in classifica a quota 23 punti. Dal sogno scudetto alla lotta salvezza, una cosa è certa però: i bianconeri non molleranno e grazie a rientri post infortunio di Vlahovic e Pogba riusciranno sicuramente a risalire la classifica.

Viola point

I viola di Vincenzo Italiano, seppur in difficoltà a livello di classifica, forniscono un’ottima prestazione fuori casa contro una squadra in forma come la Lazio. L’infortunio dell’esterno Nico Gonzalez ha tolto molto ai viola, però ora l’argentino è tornato più in forma che mai, lo dimostra l’eurogol fatto domenica contro la Lazio. Una Fiorentina che in tutte le partite ha quasi sempre il controllo del gioco spera di risolvere i problemi di concretezza sotto porta grazie all’acquisto dell’esterno croato ex torino Josip Brekalo, arrivato a parametro 0. Se i viola vogliono sperare nel settimo posto non possono più concedersi mezzo errore dato che fino ad ora il percorso compiuto è stato al di sotto delle aspettative.

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Recensendo

"Mercoledì" è una serie originale Netflix scritta e prodotta da Tim Burton, che è stato anche regista dei primi quattro episodi.

La vicenda ruota intorno a Mercoledì Addams, primogenita di quella famiglia Addams che ha tenuto incollate per decenni milioni di famiglie, americane e non, davanti allo schermo.

Dopo aver fatto cadere un sacchetto pieno di piranha nella piscina ove nuotavano i compagni di scuola del fratello, tendenti a bullizzarlo, la protagonista viene espulsa dalla scuola superiore in quanto ritenuta pericolosa.

I genitori decidono di inviarla alla Nevermore Academy, una scuola per mostri reietti. Mercoledì, che per tutta la durata della serie reciterà la parte della cinica asociale, pur con qualche diffidenza, stringerà presto amicizia con i suoi compagni di college (ognuno dei quali presenta una sua specifica diversità e caratteristica) e dovrà addirittura risolvere il mistero di un ignoto essere mostruoso con tendenze omicide che mina la sicurezza della scuola.

CURIOSITÀ

-Jenna Ortega, la protagonista, ha dichiarato di aver coreografato personalmente il celebre ballo di Mercoledì durante la scena della festa

- Uno dei membri del cast è Christina Ricci, che negli anni novanta, da bambina, aveva preso parte ai due film sulla famiglia Addams proprio nei panni di Mercoledì. La Ortega ha voluto evitare

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categoricamente di discutere con la collega del personaggio allo scopo di rendere più personale la sua interpretazione

- Il nome "Mercoledì" allude all'antica credenza secondo la quale esso sia un giorno tutt'altro che allegro: ben si confà, dunque, al carattere di un personaggio perennemente con il musone e smisuratamente cinico

OPINIONE

Uno dei migliori prodotti Netflix degli ultimi tempi, per svariate ragioni: in primo luogo la sceneggiatura di Tim Burton, il quale non si fa scrupoli nello sbizzarrire la sua inventiva surreale e fantastica con patine di macabro a cui ci ha abituato sin dagli anni ottanta; in secondo luogo la caratterizazione di Mercoledì, allegoria di quelle persone bollate come "strane" e/o "diverse" (i due aggettivi, spesso e volentieri, vanno a braccetto) che preferiscono starsene per conto loro proprio in quanto emarginate, pur dimostrando dentro di loro una grande sensibilità emotiva e un forte senso di giustizia. In terzo luogo per il mix di generi, che spaziano dall'horror al giallo, passando dal thriller al noir. In quarto luogo, per la recitazione degli interpreti, in primis Jenna Ortega nel title role; ma anche Catherine Zeta-Jones nella parte di Morticia Addams, la madre, Christina Ricci nei panni della bizzarra professoressa Thornhill, Emma Myers su Enid, la compagna di stanza di Mercoledì, licantropa vivace e solare ma anche lei con una sua diversità che rischia di isolarla rispetto agli altri licantropi.

Un altro elemento riuscitissimo della serie sono i numerosi rimandi e citazioni a film e/o serie che hanno segnato la storia del genere fantasy/horror: la scena in cui, durante il ballo, alcuni bulli fanno cadere sul vestito della protagonista una colata di sangue (finto, ovviamente) è un rimando alla scena simbolo del film "Carrie-Lo sguardo di Satana" (1976) diretto da Brian De Palma. E il perno intorno a cui ruota tutta la vicenda, ovverosia dei ragazzi che decidono di risolvere un mistero intricato affrontando un mostro terribile che minaccia la comunità, non può che rimandare alla saga di Harry Potter e alla nota serie "Stranger Things", uno dei prodotti più noti del catalogo Netflix.

Per farla breve, possiamo dire che ci troviamo di fronte a una produzione di ottima fattura, che riesce a catturare fino in fondo lo spettatore per la caratterizzazione dei personaggi e per l'atmosfera a tratti lugubre, a tratti divertente con una giusta dose di cinismo.

E adesso... aspettiamo il prosieguo!!!

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Le ali della lettura

Gennaio è stato un mese molto impegnativo e in qualche modo stressante, ricco di verifiche, interrogazioni ... che forse ci hanno in qualche modo privati del tempo da dedicare ad un buon libro. Per questo, dopo tanto stress una bella pausa lettura è più che meritata!

Andiamo allora subito a vedere i migliori titoli per il mese di febbraio.

A un metro da te, di Rachael Lippincott, pubblicato nel 2019 e tratto dall'omonimo film. Il romanzo racconta la storia di Stella, malata di fibrosi cistica e con un disturbo ossessivo-compulsivo in attesa di un trapianto di polmoni, che incontra Will, con la stessa malattia ma che ha contratto il B-Chepacha, un batterio che gli ha precluso le possibilità di avere dei polmoni nuovi, e che per questo vive ogni giorno come fosse l'ultimo, convinto che non ci siano possibilità per il suo futuro. Da un primo incontro alquanto burrascoso, nascerà un grande legame tra i due, che ammansirà e avvicinerà le due personalità apparentemente opposte. 《Sono stanca di vivere senza farlo veramente, sono stanca di desiderare e basta. Non possiamo avere tante cose, ma possiamo avere questo》Stella - a un metro da te. 《Nei film dicono sempre - se ami davvero qualcuno devi lasciarlo andare - ho sempre pensato che fosse una gran cavolata, ma quando ti ho vista quasi morire ... in quel momento nient'altro contava per me. NIENTE apparte la tua vita.

L'unica cosa che voglio è stare con te, ma ho bisogno che tu sia al sicuro, al sicuro da me. Non voglio lasciarti ma ti amo troppo per restare. Accidenti a quei film, avevano ragione! Ti amerò per sempre. Puoi chiudere gli occhi per favore? Non riuscirò mai ad andarmene con te che mo guardi.》 Will - a un metro da te.

Il bambino con il pigiama a righe, di John Boyne, pubblicato nel 2013. La storia affronta un tema molto discusso in questi giorni, la deportazione degli ebrei da parte dei tedeschi.

La tragica vicenda viene vista con gli occhi di un bambino ariano figlio di un importante generale chiamato a dirigere il campo di Auschwitz, che prende consapevolezza degli

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orrori comandati dal padre poco a poco, facendo amicizia con un bambino ebreo internato. Il romanzo è scorrevole ma commovente, dal finale spiazzante, che lascia il lettore con un senso di disillusione e disperazione. <<C'era una cosa a cui Bruno cercò di non pensare. Le innumerevoli volte che sua madre e suo padre gli avevano ripetuto che era vietato andare da quella parte. Che era vietato in qualunque modo avvicinarsi alla recensione o al campo. E che soprattutto, le esplorazioni erano bandite da Auschwitz.>> Il bambino con il pigiama a righe.

Concludiamo con Cime Tempestose, di Emily Brontë, pubblicato per la prima volta nel 1847. La storia racconta di una famiglia inglese oggetto di innumerevoli disgrazie, vista con gli occhi di un nuovo coinquilino, un gentiluomo educato, ma allo stesso tempo arguto. Sarà proprio grazie a lui che si ripercorrà la storia di due fratelli, Catherine e Hindley, a cui poi si aggiungerà un trovatello, trovato per strada dal padre dei bambini e subito adottato. Da qui partiranno tutte le disgrazie della famiglia che la porteranno fino al deterioramento morale ed economico del presente. Un archetipo della letteratura inglese che nonostante tutto affronta temi molto attuali, attraverso le scelte di Catherine, che non sa se seguire il proprio cuore o la razionalità, attraverso Heitcliff, costretto dalla società e dell'etica ad una vita infelice, attraverso Hereton e Linton, due ragazzi, uno con un potenziale ed uno con grande disponibilità economica, ma solo uno dei due ha speranze nella rigida società inglese dell'Ottocento. <<Non gli dirò quanto lo amo, non per essere attraente, ma perchè è per me più di quanto lo sia me stessa>> Catherine Ernshaw, Cime Tempestose.

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CRAZ Y

A pochi passi da Piazza Navona, a Roma, si è scatenata la follia: al Chiostro del Bramante, meraviglioso palazzo rinascimentale, è stata allestita la mostra Crazy, la follia nell’arte contemporanea, a cura del critico d’arte Danilo Eccher. Un titolo eccentrico ma che denota perfettamente il tema della mostra; Eccher, attraverso un’attenta e laboriosa ricerca, ha voluto trasmettere varie definizioni della parola “follia” servendosi di opere con il chiaro messaggio di rompere gli schemi della normalità. Il percorso inizia proprio nel chiostro interno del palazzo, le cui colonne riflettono la loro immagine su un enorme specchio, come alberi su un laghetto cristallino. La realtà, però, non è mai limpida ma formata da molte discrepanze che la rendono diversificata: e così lo specchio è in frantumi, e non riflette perfettamente lo spazio circostante, perché follia è imperfezione, significa rendere uniche le nostre crepe. Mostrato il biglietto, il viaggio alla scoperta della follia continua negli spazi interni. Attraversando le stanze si possono osservare mondi controversi: il crollo di un soffitto e reti da pesca che calano da esso, luminarie distese sul pavimento invece che posizionate verticalmente, fiori di cera appesi come lampadari, fino ad arrivare al famoso squarcio nella superficie di Lucio Fontana. Crazy ci invita ad entrare nel mondo disordinato e folle che si cela dentro ciascuno di noi, di cui non dobbiamo avere paura ma, al contrario, esserne fieri e mostrare la nostra diversità con

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orgoglio, utilizzando la nostra pazzia per “illuminarci d’immenso”, celebre frase di Ungaretti citata da una scritta led alla fine di questa prima parte della mostra.

Follia è la nostra mente: un vortice di pensieri incontrollabili, che a volte sembrano schiacciarci con il loro peso, ed è proprio questo il messaggio dell’opera Teenager

Teenager di Sun Yuan e Peng Yu, dove sono rappresentate due persone con al posto della testa due enormi macigni che impediscono loro di vedere, sentire e parlare. Questi pensieri, però, saranno pronti a spiccare il volo come farfalle nelle scale del Chiostro che portano al piano superiore. Uno sciame di questi piccoli insetti neri e delicati come carta ci accompagnano nell’ascesa alla follia, verso la scoperta della nostra intimità, in un armadio di abiti vissuti e in una stanza soffice e colorata che ci accoglie e ci spinge a desiderare di sprofondare nella sua morbidezza.

La mostra si conclude scendendo le Poured Staircase di Ian Davenport, delle scale simbolo dell’esposizione perché sono metafora della follia artistica che rompe la tradizione, come i colori stesi in linea retta sulle scale che, finiti gli scalini, “rompono le righe” mischiandosi e prendendo forme incontrollate.

Questa mostra è un viaggio alla scoperta della nostra follia, ciò che ci rende unici. Questa pazzia risiede dentro di noi, nella nostra mente, un luogo oscuro agli altri e spesso anche a noi stessi, ma che dobbiamo attraversare per conoscere chi siamo veramente. Si tratta di un cammino a volte spaventoso, dove dobbiamo confrontarci con i nostri demoni, come quello che Dante affrontò. E come il sommo poeta, toccato il fondo dell’animo umano, ritornò fuori a osservare il cielo, lo stesso noi, dopo aver esplorato la nostra follia all’interno del museo, “uscimmo a riveder le stelle” o perlomeno il led blu che cita il famoso verso dantesco.

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UNA PAUSA A BRUXELLES

Cittadini del mondo

Durante queste vacanze di Natale, dopo lunghe chiamate e chat per organizzare il tutto rigorosamente last minute, io e tre care amiche siamo riuscite ad atterrare in Belgio per trascorrervi quattro giorni del breve periodo di pausa dalla scuola. Tra Bruxelles, Bruges e Gent (o “Gand”) abbiamo passato una vacanza davvero interessante dal punto di vista culturale, che tuttavia sarebbe risultata piatta e insignificante senza l'allegria e il divertimento di trovarsi in (buona) compagnia, anche se non senza qualche inconveniente...proprio per questo motivo, ho deciso di raccontarvi non solo i meravigliosi luoghi che ho avuto l'opportunità di visitare in questa zona, ma anche alcuni aneddoti e curiosità sull'esperienza del viaggio!

Bruxelles

Prima di andare a Bruxelles, personalmente non mi era mai capitato di vedere foto di questa città, né le avevo cercate, così da conservarmi l'effetto sorpresa; in precedenza avevo sempre pensato a Bruxelles solo in relazione al Parlamento Europeo, ma ho invece trovato un centro storico di impianto quasi completamente Gotico nel quale si respira un'aria très française, dove tutti gli edifici sono di dimensioni a dir poco imponenti e dove le guglie e i dettagli dorati (lucidati e splendenti a regola d'arte) non si fanno mancare.

Il luogo che meglio incarna queste caratteristiche è senza dubbio la Grand Place, la piazza più importante dove risiede il municipio e molti altri palazzi meravigliosi, seguito dalle numerose Chiese tra cui la Cattedrale (intitolata a San Michele e Santa Gudula), Notre-Dame du Finisterre, Saint Catherine e Saint Nicolas, nella quale sono cuoriosamente incastonate delle case.

Questa città, però, è anche conosciuta per essere ricca di arte ed ospita infatti un affascinante Museo des Beaux-Arts (delle Belle Arti) - che vanta

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numerose opere di artisti fiamminghi ed europei, datate dal medioevo al XX secolo - nonché il museo di tre piani interamente dedicato a René Magritte, contenente la più grande collezione di opere dell'artista.

Infine, impegnandosi in una passeggiata un po' più lunga, è possibile arrivare anche al quartiere dove ha sede il noto Parlamento Europeo, che ha davvero l'aspetto imponente che sembra avere in televisione e raggruppa intorno a sé un gran numero di edifici (tutti uffici) dall'aspetto moderno che trasmettono a tutti gli effetti un respiro “europeo”.

Bruges

Bruges è senza dubbio una delle cittadine belghe più nota, soprattutto per l'atmosfera che si percepisce per le strade: non solo, infatti, è attraversata da numerosi canali, motivo per cui viene anche chiamata la piccola Venezia, ma tutte le vie, le case e gli edifici pubblici o religiosi sono talmente coerenti l'uno con l'altro nello stile, che la sensazione percepita è quella di camminare in un villaggio costruito su misura per il visitatore; specialmente sotto Natale, sembra di aver subito un incantesimo di rimpicciolimento e di trovarsi in uno di quei villggi decorativi che vengono esposti nelle case e nei negozi! Anche gli spunti culturali sono molti, dal Beghinaggio, ovvero le ex abitazioni delle Beghine belghe, oggi patrimonio dell'UNESCO, alle Chiese, che all'interno delle loro mura Gotiche nascondono tesori come una Madonna col bambino scolpita da Michelangelo (unica sua opera venduta personalmente da lui ad un acquirente straniero).

Gent

Per ragioni di tempo, Gent è, purtroppo, la cittadina che abbiamo potuto visitare per meno tempo. Anch'essa è senza dubbio conosciuta per la sua magica atmosfera ma, oserei dire, soprattutto per la Pala dell'Agnello Mistico di Van Eyck, che si trova all'interno della Cattedrale ma che, purtroppo, noi non abbiamo potuto vedere perché arrivate all'orario di chiusura (e quando l'assistente museale ce l'ha comunicato, io, stanca dopo una giornata di chilometri e chilometri di treno ho gridato “Nooooo I can't see the Mystic Lamb!”). Ad ogni modo, questa cittadina presenta anche altre Chiese enormi ed esclusivamente Gotiche, tra cui la più rilevante è quella di San Michele e l'antichissimo castello dei Conti di Fiandra, risalente al XII secolo. Senza, però, dilungarmi ulteriormente in informazioni da guida turistica, vi dirò invece una cosa a mio parere molto importante da sapere perché mi ha spaventata e sconvolta: nonostante, infatti, sul suolo di ogni strada vi siano binari del tram, non vi sono linee che delimitino l'inizio o la fine della careggiata, perciò i pedoni si aggirano, incuranti di ogni pericolo, al centro della strada e nemmeno si soprendono di doversi spostare all'improvviso per far passare una macchina o un mezzo pubblico! Effettivamente la tramvia va piuttosto lenta, ma mi

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ha fatto davvero impressione la tranquillità con la quale queste persone si vedono comparire un treno alle spalle e, dopo che è passato, tornano indisturbati nel mezzo. Nonostante siano oggettivamente dei luoghi bellissimi, penso che queste tre città mi siano piaciute così tanto grazie alla forte presenza della festività natalizia: essendo particolarmente sentita in tutto il Paese, infatti, non vi è una strada dove manchino luminarie (anche di forme piuttosto fantasiose come lampadine, lampadari, fiocchi, stelle....) ed è impossibile trovare una piazza considerata “importante” non corredata di un mercatino natalizio. Ci sono divetimenti per tutte le età e certamente non ci siamo fatte mancare un giro in giostra o un bicchiere di Vin Chaud.

Il trauma delle valige Chi, partendo da un aeroporto, non si è mai trovato a dover far fronte a problemi di valige? Al ritorno, il nostro aereo era (stranamente) in ritardo e, già spazientite, abbiamo atteso circa due ore in più a Bruxelles Charleroi (ore impiegate in una sessione di shopping turistico nel reparto souvenir); successivamente, non solo la sicurezza ha voluto fare il controllo anti droga alla nostra povera valigia, aprendola nel mezzo un corridoio e costringendoci a mosse di contorsionismo per richiuderla, ma, arrivate al momento di pesarla e misurarla prima dell'imbarco, risultava più alta rispetto alle misure previste, dopo che all'andata non aveva dato alcun problema! Illuminate da un vero colpo di genio, però, ci siamo ricordate che a questa valigia si potevano rimuovere le ruote e, fortunatamente, abbiamo risolto la situazione! Purtroppo però, per il resto del tempo ho dovuto portare il bagaglio in giro di peso, tanto che ho avuto male al braccio per due giorni!

Curiosità culinaria

A coloro che avessero paura di soffrire di fame in questo Paese, dico che non c'è assolutamente nulla da temere: in tutti, e dico TUTTI i ristoranti, anche se non è esplicitamente scritto nel menù, con ogni secondo piatto vi sarà portata anche una porzione delle famose frites (patatine fritte) tipiche di questa zona!

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Foto di Nora Campagni 41
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Ah, la France di

Sofia Moricci

L’inizio dell’anno è ricco di festività adatte a chi ama mangiare. In Francia, dopo l’Epifania, il 6 gennaio, per la quale viene cucinata la galette des rois, una torta nella quale viene nascosta al suo interno una figurina e chi la trova diventa il re della giornata; il 2 febbraio, 40 giorni dopo Natale, si riscaldano le padelle per preparare delle deliziose crêpes in occasione della Chandeleur. La Candelora deriva da una festa dedicata al dio Pan in cui i credenti percorrevano le strade delle varie città agitando delle torce per tutta la notte. Più tardi la festa divenne più cristiana: durante le processioni i credenti dovevano recuperare un cero in chiesa che doveva essere tenuto acceso lungo tutta la durata della processione.

Nello stesso periodo, però, si stava sviluppando un’altra tradizione: quella delle crêpes! Quest’altra tradizione è legata ad un mito lontano che dice che se non si fossero preparate les crêpes il giorno della Candelora avremmo vissuto un anno sfortunato poiché privati dei soldi e della felicità. Per farle, inoltre, era necessario seguire vari riti: i contadini facevano saltare la prima crêpe con la mano destra tenendo nell’altra mano una moneta d’oro, che veniva poi arrotolata dentro la crêpe e portata in processione da tutta la famiglia fino ad una camera in cui veniva riposta sopra un armadio sino all’anno seguente. Si recuperavano i resti della crêpe dell’anno precedente e si dava la moneta al primo povero che passava. Ovviamente le crêpes, mentre venivano cucinate, non dovevano né cadere né arrotolarsi o si era destinati a passare un anno molto triste e brutto.

Esiste anche una credenza legata a questa festa, cioè che se questo giorno un orso esce dalla tana e vede il sole, corre in fretta a ibernarsi nuovamente, perché sa che se il 2 febbraio è bel tempo il freddo sta per tornare. Questa credenza è rimasta in molti proverbi come: “ Soleil de la Chandeleur, annonce hiver et malheur”, sole alla Candelora annuncia inverno e sfortuna.

Adesso non mi resta che augurarvi un buon appetito e un sereno e prospero anno!

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@i_giornalino I’Giornalino dell’Alberti Dante ilgiornalinodellalbertidante@gmail @

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