NO 22 SPECIALE MARZO 2022
I’GIORNALINO
REDAZIONE ffi
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Direttrice GIULIA AGRESTI (VB) Vicedirettrice MARGHERITA ARENA (VB) Redattori CATERINA ADEMOLLO (IVB), RAVEN BEEL (IIC), GEMMA BERTI (IVB), NICCOLÒ BETTINI (IVB), MARIANNA BEZZENGHI (IVB), CATERINA CARAVAI (IVB), ELENA CASATI (IVB), GIOVANNI CAVALIERI (IIIA), LETIZIA CHIOSTRI (IVB), FRANCESCO GIOVANNUZZI (IVB), GIOVANNI GIULIO GORI (IIIB), GIOVANNI GUIDI (IIIB), ELETTRA MASONI (IIIB), MARGHERITA MOLFETTA (IVB), RACHELE MONACO (IIIB), FRANCESCA ORITI (VB), SARRIE PATOZI (VB), SOFIA VADALÀ (IVA), GIORGIA VESTUTI (IVB) Social Media GEMMA BERTI (IVB), ELENA CASATI (IVB), MARIA VITTORIA D’ANNUNZIO (IVB) U cio Comunicazioni ELENA CASATI (IVB) Impaginatori GEMMA BERTI (IVB); MARIANNA CARNIANI (VB) Referenti PROFESSOR ANGELO CASTELLANA, PROFESSORESSA ELISABETTA TENDUCCI
FARE O NON FARE TEATRO? 10 EFFETTI BENEFICI DELLA RECITAZIONE…………….4 LA PRIMA ATTRICE PROFESSIONISTA…….9 LE ORIGINI DEL TEATRO……………………10 YOUNG, SCRAPPY AND HUNGRY….……..12 MAGGIO MUSICALE FIORENTINO…….…..16 I GIOVANI E IL TEATRO………………………18
INDICE
IL TEATRO E LA SCIENZA…………………..20
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FARE O NON
FARE TEATRO? 10 effetti benefici della recitazione di Letizia Chiostri Già gli antichi Greci avevano appreso il grandioso potere del teatro. Ritenevano, infatti, che la tragedia avesse una funzione catartica, purificatrice. Attraverso la visione dello spettacolo, il pubblico era in grado di tirar fuori le proprie emozioni, avere modelli con i quali confrontarsi e, dunque, imparare. Per questo, tutti dovevano andare a teatro: era lo Stato stesso a pagare il biglietto per chi non se lo poteva permettere, mentre il pagamento della liturgia – una tassa particolare imposta ai tre cittadini ritenuti più ricchi per finanziare l’allestimento e, soprattutto, per sostenere le spese del coro – era ritenuto un grande privilegio. Con il tempo, il modo di fare teatro si è modificato ed evoluto. Tuttavia, ha sempre mantenuto questa sua capacità di guarigione, non solo per lo spettatore, ma anche – e oserei dire soprattutto – per l’attore stesso. Purtroppo, spesso sottovalutiamo questo aspetto: è luogo comune pensare che un attore pratichi questo mestiere solamente per la ricerca della fama o per una sorta di esagerata megalomania. Invece, ignoriamo tutti i benefici, fisici e psicologici, che esso produce. Proverò a indicarli in dieci punti principali. Uso corretto della voce e della respirazione Questo è un punto estremamente importante, ma troppo sottovalutato. Uno dei primi esercizi che si svolge in un corso di teatro è quello della respirazione. Spesso, infatti, presi dalla frenesia di una vita sempre di corsa, ci dimentichiamo di respirare, o comunque di farlo correttamente. L'esercizio che si propone, in genere all'inizio della lezione, è respirare profondamente e lentamente, con gli occhi chiusi, per un minuto. Oltre che essere utile per il sistema respiratorio, questa attività riduce l'ansia e lo stress e rilassa i muscoli. Per quanto riguarda l'uso della voce, la questione si fa più interessante. Tutti coloro che cantano sicuramente lo sapranno meglio di me. Ognuno di noi possiede diversi tipi di voce, a seconda di dove si spinga l'aria quando si parla (per esempio esiste la voce di petto o di naso); ma le più importanti sono tre: la voce di testa - quella acuta, in falsetto -, di diaframma - banalizzando, è quella che utilizziamo anche per fare il verso a Babbo Natale - e di gola, cioè quella che usiamo normalmente. In teatro - e in realtà anche nella vita di tutti i giorni - bisogna utilizzare la voce del diaframma: questa ci permette di aumentare il volume della voce senza sforzarsi. Se usassimo quella di 4
gola, infatti, non solo dureremmo molta fatica, ma anche dopo una, due repliche ci ritroveremmo con un bel mal di gola! Imparare ad approcciarsi allo spazio circostante Molti ritengono che recitare sia soltanto un esercizio vocale: in realtà un attore deve prima di tutto saper usare il proprio corpo e i propri movimenti in relazione allo spazio. Ciò che si compie sul luogo sul quale ci troviamo, il palco, è un’azione, un gesto, e tutto deve tornare perfettamente dell’immensa costruzione della scena. Muoversi troppo può distrarre l’attenzione dello spettatore o sminuire il personaggio; muoversi troppo poco, invece, rischia di non coinvolgere abbastanza il pubblico nella vicenda o inchiodare il ruolo che si interpreta senza dargli modo di esprimersi. Alcune delle attività più frequenti quando si segue un corso di teatro sono quelle che riguardano il concetto di spazialità. Per esempio, si mette della musica e si chiede ai partecipanti di camminare per tutto lo spazio disponibile seguendo l'andamento musicale. Ogni volta che la musica viene stoppata, anche noi dobbiamo fermarci. Può sembrare un gioco banale, ma in realtà è molto utile per attivare la nostra capacità di ascolto. Un altro esercizio che trovo molto significativo strettamente legato alla spazialità è il cosiddetto “gioco della zattera”. Esso consiste nel muoversi occupando ogni spazio, immaginando di trovarsi sopra una zattera: se tutto il peso si concentra su un lato dell’imbarcazione, questa affonda. Imparare ad approcciarsi alle persone circostanti Questo punto è strettamente collegato a quello precedente. Essere capaci di approcciarsi allo spazio intorno a noi significa inevitabilmente potersi approcciare a coloro che occupano questo spazio, nel senso di migliorare le proprie abilità comunicative nell’accezione emotiva del termine. Significa diventare in grado di dialogare con gli altri. Insomma, in poche parole, il teatro è uno strumento di socializzazione e ci insegna a relazionarsi con maggiore libertà. Rafforzamento dell’autostima Il teatro è un’attività che viene quasi sempre consigliata a tutte quelle persone che soffrono di ansia, che sono state vittime di bullismo e/o che in generale hanno poca fiducia in sé stesse. In questo senso, recitare rappresenta una cura per molti. Forse all’inizio potrebbe sembrare strano: parlare ad alta voce, davanti ad un pubblico, con tutti i riflettori puntati addosso non parrebbe proprio il miglior modo per affrontare la timidezza. In realtà si tratta di un percorso lungo, non certo immediato. Anche io stessa ho dovuto fronteggiarmi con una grande insicurezza, ma ora sono una persona molto più aperta ed estroversa. Questo è possibile grazie al fatto che recitare serve per superare l’ansia da prestazione. Una volta che sei sul palco, tutto può succedere e non si può tornare indietro, non si può cancellare niente. Si potrebbe, dunque, affermare che recitare stimoli anche una certa capacità di adattamento. E, in aggiunta, fare teatro è anche un modo per esprimere la propria interiorità. Un insegnamento che ho imparato e che mi porterò sempre dentro è che ogni tanto è 5
giusto avere i riflettori puntati su di sé. A volte, essere “egocentrici”, nel significato di pensare a noi stessi, è positivo. Curarsi solo e soltanto degli altri, per quanto sia un gesto magnanimo e generoso, può essere dannoso per la nostra stessa salute perché ci dimentichiamo di prenderci cura di noi. Ecco, il corso di teatro ha anche il compito di riportarci su un piano personale e soggettivo. In quell’ora o in quelle due ore che siamo sul palcoscenico, per una volta, godiamoci l’applauso del pubblico e le luci che illuminano. Rafforzamento del senso di identità personale Inutile dirlo: recitare ci permette di trovare noi stessi. Si tratta di un punto forse facile da individuare ed immediato, ma non per questo meno importante. Le persone sono chiamate a calarsi nei panni di diversi personaggi e diversi anche da sé stesse. Esistono svariati metodi di recitazione; due dei più famosi sono quello di Stanislavskij e quello di Brecht. Il primo sistema di recitazione si basa sull’immedesimazione dell’attore nei confronti del proprio ruolo, il secondo, il più complesso, sull’estraniamento. Penso che entrambi i metodi, sebbene completamente agli antipodi, diano una grandiosa consapevolezza di sé stessi. L’attore deve essere capace tutte le volte di abbandonare il proprio Io e diventare qualcun altro. Deve saper indossare tante maschere differenti e per farlo deve avere consapevolezza del suo modo di essere e di atteggiarsi.
Benefici fisici La parola “dramma” deriva dalla radice del tema dell’aoristo del verbo τρέχω, ovvero -δραµ, che significa “correre”. In qualche modo, potremmo considerare la recitazione uno sport, tanto che è stata definita una tipologia di danza. Il teatro mette in movimento tutti i muscoli e le articolazioni del corpo ed è anche un perfetto esercizio per i muscoli facciali. Inoltre, è scientificamente provato che migliori la capacità di memorizzazione e la reattività dei neuroni. 6
Inoltre, quando l’attore è sul palco vengono rilasciate endorfine, ormoni che provocano una sensazione di piacere. Per questo spesso chi recita afferma che il teatro regala emozioni indescrivibili. Quasi si forma un dialogo non solo fra il pubblico e l’attore, ma anche fra questo e il palcoscenico stesso. Apertura mentale e creatività Il fatto che l’attore debba sempre cambiare pelle gli permette di essere una persona dalle ampie vedute. A volte, per interpretare un personaggio si cerca di trovare quali sono le motivazioni che lo guidano. Questo permette di vedere la situazione da diversi punti di vista e ci spinge a contestualizzare ogni evento. Un’altra conseguenza di ciò è che l’attore tende ad avere una mente continuamente in movimento e sottoposta a stimoli diversi. Chi recita per definizione è curioso e desideroso di mettersi in gioco. Sì, il teatro è un vero e proprio gioco – di ruolo – tanto è vero che gli attori rimangono un po’ sempre bambini. Lo ha notato anche Orazio Costa, ideatore del metodo di recitazione mimico: tutti noi abbiamo un istinto mimico, soprattutto da piccoli. È per questo che se i bambini mentre giocano si immaginano qualcosa si comportano come se questa fosse vera. Da questo punto di vista, si può tranquillamente affermare che recitare è un’attività per tutte le età, ma che ci consente di non invecchiare mai. Imparare a parlare Il teatro sicuramente ci insegna ad acquisire una certa sicurezza tale da permetterci di parlare senza difficoltà in pubblico. Ma in particolare, da un punto di vista linguistico, l’attore impara anche ad ampliare i propri discorsi e quasi a trasformare in modo plateale qualsiasi conversazione in un monologo shakespeariano. Un altro aspetto del quale mi sono resa conto interpretando vari ruoli è che a volte, quando non si recita in vernacolo, bisogna imparare a parlare in italiano standard, quindi abbandonando ogni traccia del proprio dialetto. E per esperienza personale posso riferirvi che non è molto facile! 7
Arricchimento del proprio bagaglio culturale Andare a teatro è un modo per imparare sempre più informazioni. Ma anche fare teatro è fonte di conoscenza. Dopotutto, non è possibile interpretare un testo senza conoscerne l’autore e gli antefatti. Recitare ha un fortissimo valore educativo, per questo sarebbe così importante abituare le persone fin da giovani ad assistere ad uno spettacolo o, ancora meglio, a prenderne parte in prima persona. Creazione di ricordi indimenticabili Come ogni altra esperienza nella vita, il teatro regala grandi emozioni e memorie indissolubili. In nove anni di recitazione, mi ricordo di tanti momenti di commozione, come la prima volta in cui mi sono esibita sul palco con la compagnia “Namastè Teatro”. Ma mi ricordo anche di altrettanti – e forse più numerosi – aneddoti sulla vita da attrice. Per esempio, nello spettacolo di Benvenuti in casa Gori, verso la fine del secondo atto doveva essere portato in scena un panettone. Il problema è che da diversi anni veniva utilizzato sempre lo stesso panettone; ormai aveva iniziato a emanare odori non molto gradevoli, che, fortunatamente non venivano sentiti dalla platea, ma da noi in scena sì. Durante una delle repliche nel novembre 2021, una volta entrato in scena il vassoio del panettone, uno degli attori sussurra ad un’altra, con un gergo tipicamente fiorentino: «Mamma mia, che puzzo!» La sera seguente, allora, abbiamo avuto l’idea di spruzzargli sopra la lacca per capelli, che era profumata, per vedere se il buon odore riuscisse a sconfiggere quello cattivo. Ma dal momento che nemmeno questa strategia sembrava funzionare siamo stati costretti a comprare un nuovo panettone e buttare via l’altro, non senza averlo onorato con i più sinceri saluti e i più commossi ringraziamenti per averci accompagnato in scena per tanti anni. Speriamo solo il prossimo panettone non debba fare la stessa fine!
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LA PRIMA ATTRICE PROFESSIONISTA di Margherita Molfetta Margaret Hughes è considerata la prima attrice professionista sul palcoscenico inglese. La Hughes è famosa anche per essere stata la compagna del principe Rupert del Palatinato, generale della Guerra civile inglese e poi ammiraglio della Restaurazione. Durante il Rinascimento alle donne era severamente vietato comparire come attrici in scena e sono molte le storie di imbarazzanti incidenti che si verificarono per i soggetti di sesso maschile coinvolti in ruoli femminili. Ne ricordiamo uno a cui lo stesso Carlo II ha assistito. Durante una commedia, improvvisamente la scena si bloccò. Quando Carlo II mandò un servitore a vedere quale fosse il problema si trovò l'attore, che interpretava uno dei ruoli femminili, ancora a radersi. Carlo decise di emanare un decreto reale nel 1662 che dichiarava che tutti i ruoli femminili dovevano essere interpretati solo da attrici donne. Così, le donne cominciarono ad apparire professionalmente sul palcoscenico al principio del 1660 è subito vinsero l'accettazione rapida. Grande testimonianza di ciò ce la dà Killigrew, drammaturgo e impresario teatrale britannico, che rappresentò una produzione con un cast tutto al femminile nella sua commedia “Le Nozze di Parson” nel 1664 e nel 1672. L'occasione della prima rappresentazione della Hughes fu l'8 dicembre 1660, in una messa in scena dell'Otello di Shakespeare,
quando interpretò il ruolo di Desdemona nella produzione della nuova Compagnia del Re di Thomas Killigrew nel loro teatro a Vere Street. In questa occasione, Rupert, duca di Cumberland, si innamorò di lei, nonostante fosse risaputo che la Hughes era solita tenere sulle corde i suoi pretendenti, con l'obiettivo di negoziare una soluzione adatta. Il principe Rupert era uno degli esponenti maggiori della famiglia reale a corte e la Hughes rapidamente ricevette la promozione attraverso il suo patrocinio; divenne un membro della Compagnia del Re dal 1669, il che le garantiva lo status e l'immunità dall'essere arrestata per debiti. Per quanto riguarda l’eredità nella letteratura e nel teatro, ricordiamo una commedia da un atto unico su Margaret Hughes, dal titolo “The First Actress”, messa in scena nel 1911 al Kingsway Theatre di Londra da un gruppo di attrici suffragette che si definivano “Pioneer Players”. Margaret Hughes è anche il personaggio principale del libro "The Vizard Mask", scritto da Diana Norma, che la raffigura come una donna americana, puritana e balbuziente, Penitenza Hurd, che diventa poi attrice di successo della Restaurazione. 9
Le origini del teatro di Giulia Agresti
Il teatro è ad oggi messo in secondo piano, come se non fosse una delle più alte forme di espressione umana. Andando indietro nel tempo, possiamo vedere quanto fosse fondamentale nelle società antiche. Nell’antica Grecia il teatro era un momento di vita cittadina importantissimo: lo sviluppo della tragedia è infatti tipicamente attico. Tutti i cittadini partecipavano alle rappresentazioni teatrali e lo Stato pagava addirittura il biglietto per i più poveri. La tragedia greca era strettamente legata all’ambiente religioso (anche le tragedie latine erano connesse ai ludi, ma l'avvicinamento alla religione fu più artificiale), in particolare al culto di Dioniso, infatti si svolgevano durante le Grandi Dionisie, feste panelleniche che sancivano l'inizio della primavera e l'inizio di tutte le attività, le Nemee, aggiunte attorno al 440, diventarono poi le feste tipiche della commedia, e le Piccole Dionisie, che si svolgevano in piccoli paesi rurali. Le rappresentazioni si svolgevano durante un ἀγών. Le Grandi Dionisie duravano 4 giorni: nei primi tre si rappresentavano le tetralogie (3 tragedie e 1 dramma satiresco di contenuto mitologico ironico per concludere la giornata), mentre nell’ultima le commedie. L’ambiente era molto rozzo: si mangiava pane e cipolle e coloro che facevano confusione venivano frustati. La tragedia aveva uno scopo educativo in quanto prendeva in considerazione i comportamenti dell’uomo e poteva portare un messaggio politico da parte del tragediografo. Ad esempio, nell’Orestea Atena istituisce l’Areopago come tribunale dei delitti di sangue, chiaro simbolo di sostegno alla politica di Efialte da parte di Eschilo, mentre Euripide scrive contro la politica bellica negli anni della guerra. Il teatro antico affrontava anche problemi di carattere universale, come nell’Antigone, in cui vediamo lo scontro tra la legge umana e la legge divina. Creonte infatti emana un κήρυγµα (decreto) con cui vieta di seppellire Polinice perché è venuto in armi contro la città di Tebe e non merita la sepoltura. Antigone per due volte infrange l’ordine di Creonte, rispettando invece gli ἄγραπτα νόµιµα, ovvero la legge non scritta degli dei, secondo la quale un morto va sempre seppellito. La tragedia mostrava anche l’uomo davanti al destino e davanti alle sue passioni: l’Elettra sofoclea, così come la Medea euripidea, sono impostate sull’odio. Anche nel mondo latino il teatro assume grandissima importanza. Aristotele scrisse nella Poetica che ogni rappresentazione tragica, “mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo dalle passioni”: dalla vicenda rappresentata sulla scena derivava per lo spettatore un effetto di catarsi. Assistendo a 10
queste rappresentazioni, gli spettatori finivano per interrogarsi sul senso del proprio destino individuale e collettivo, sul mistero della vita e della morte, sulla presenza del male e del dolore, sulle responsabilità umane. La commedia invece nasce all’incirca 50 anni dopo la tragedia. I filologi alessandrini distinguono tre fasi, cronologicamente successive: la ‘commedia antica’, la ‘commedia di mezzo’ e la ‘commedia nuova’. Della commedia antica conosciamo solo un esponente: Aristofane. Era una commedia politica, grazie alla παρρησία (libertà di parola) dell’Atene democratica: criticava fortemente i problemi della πόλις, scagliandosi contro le istituzioni o contro personaggi politici. Elemento centrale era la componente biotica, ovvero fisica (cibo, sesso, meteorismo), che oggi risulterebbe volgare, ma che era dovuta al fatto che la commedia si sviluppò in un contesto agreste e serviva per alleviare le tensioni della giornata. La commedia di mezzo andò sempre più verso una poesia d’evasione di argomento mitologico che aveva come personaggi dei tipi con caratteristiche enfatizzate e che sarebbero poi stati ripresi nel teatro latino. Facevano parte della commedia di mezzo le ultime opere di Aristofane: Le Donne al Parlamento e Il Pluto. Non conosciamo molto della commedia nuova, si è avuto un grande progresso con la scoperta di un frammento nel ’57 con l’unica commedia intera di Menandro. Fu l’unica forma letteraria che permase ad Atene in età ellenistica, anche se venne meno il forte legame tra l’individuo e l’attività politica. Confluì qui l’eredità euripidea: i personaggi erano quotidiani, il linguaggio era realistico, la trama era estremamente intrecciata, anche se lo scioglimento dell’intreccio era sempre prima interno ( i personaggi riconoscono il proprio errore) e poi esterno (grazie alla Τύχη, in quanto non erano presenti divinità). Minore importanza rispetto alla tragedia e alla commedia rivestiva il dramma satiresco, di cui ci è pervenuto un solo esemplare: il Ciclope di Euripide. Il dramma satiresco era nato come un genere misto, una sorta di ‘tragedia allegra’ per creare un momento di distensione e di allegria alla fine delle rappresentazioni tragiche. Il soggetto era mitico, ma trattato in chiave farsesca. Il nome era dovuto al coro, composto da satiri, creature semiferine con code, zoccoli e orecchie di capro che facevano parte del culto di Dioniso.
Rappresentazione di Antigone al teatro greco di Taormina. Foto da: Taobuk 11
YOUNG, SCRAPPY AND HUNGRY di Francesca Oriti
Hamilton è un musical scritto da Lin Manuel-Miranda e rappresentato per la prima volta nel 2015 che narra la vicenda del padre fondatore degli Stati Uniti Alexander Hamilton. La storia ha inizio quando il protagonista lascia l’isola caraibica dove è nato per sbarcare a New York e prendere parte alla Guerra d’Indipendenza dall’Impero britannico, in cui svolge principalmente il ruolo di segretario di Washington. Alla vita pubblica si intreccia quella privata, infatti
John Trumbull, Ritratto di Alexander Hamilton, olio su tela, 1806 12
nel bel mezzo della Rivoluzione Hamilton sposa Elizabeth Schuyler, figlia di un importante generale e politico newyorkese, tuttavia la politica pervade ogni momento della sua vicenda e l’unione con la giovane moglie diventa il simbolo dell’Unione delle tredici colonie sotto la bandiera a stelle e strisce (all’assolo della damigella d’onore “To your union” risponde il tutti “To the Union, to the Revolution”). Dopo la Rivoluzione la carriera di Hamilton incontra maggiori ostacoli, infatti quando assume il ruolo di segretario del tesoro e propone la creazione di un debito unico federale, incontra la resistenza degli Stati del Sud, che tuttavia riuscirà a vincere accettando di spostare la capitale da New York a Washington DC. La sua abilità politica gli permette perfino di sopravvivere a uno scandalo sessuale, che però si riflette
tragicamente sulla famiglia: per difendere la sua reputazione, il figlio maggiore Philip accetta un duello in cui troverà la morte. Distrutto dall’avvenimento, avendo ormai perso lo scopo della propria vita, Hamilton si avvia a una fine analoga a quella del figlio accettando uno scontro con il nemico di sempre Aaron Burr. Aaron Burr è la nemesi del protagonista, è il primo e l’ultimo personaggio a comparire sulla scena e svolge il ruolo di voce narrante dell’intera vicenda. Il musical si apre con le sue parole:“How does a bastard, orphan, son of a whore and a Scotsman…grow up to be a hero and a scholar?” (“Come può un figlio illegittimo, orfano, figlio di una prostitua e di uno scozzese crescere fino a diventare un eroe e un docente?”). I due personaggi sono accomunati dalla condizione di orfani, tuttavia Burr connota Hamilton con toni dispregiativi che sottolineano la sua invidia latente, infatti lui come Alexander si laurea in giurisprudenza e poi partecipa alla Guerra d’Indipendenza, tuttavia non riesce ad ottenere un ruolo di importanza nell’entourage di Washington e sul versante della vita privata non può vantare una famiglia solida come quella del collega. I due personaggi vengono nettamente distinti da una canzone cantata
dallo stesso Burr, in cui lamenta di non essere stato presente all’incontro segreto tra Hamilton, Jefferson e Madison, in cui è stato deciso di spostare la capitale da New York a Washington DC. La ripetizione ossessiva delle stesse frasi con la medesima melodia, sintomo di sospetto e paranoia, dimostrano come la sua ambizione politica sia stimolata solo dal desiderio di rivincita su Alexander e non dal desiderio di conquistare progressi significativi per la democrazia che caratterizza il protagonista. Oltretutto Lin Manuel-Miranda esplora in maniera brillante l’accecamento dato dall’invidia, infatti Burr si fa corrodere dall’illusione che Hamilton sia esente da dolori e frustrazioni, quando in realtà lo vediamo in momenti tragici, come quello in cui piange il figlio morto per difenderlo. A Burr si contrappone Alexander Hamilton, rappresentazione dell’ambizione in tutta la sua complessità, infatti il suo desiderio di avere un peso decisivo sulla Storia è evidenziato dai suoi cari che gli chiedono preoccupati “Why do you write like you are running out of time?” (“Perché scrivi come se non avessi abbastanza tempo?”) e dal brano cantato da Washington “History has its eyes on you” (“La Storia ti osserva”). C’è un riferimento testuale 13
addirittura al simbolo dell’ambizione per eccellenza, il Macbeth di Shakespeare, tuttavia nello scontro con Thomas Jefferson emerge l’umanità e l’ispirazione alla giustizia sociale di Hamilton, che si batte affinché gli Stati Uniti istituiscano un debitounico federale e gli Stati del Sud non si trovino più avvantaggiati ripagando i debiti di guerra con la manodopera schiavile. Capiamo la genialità di tale idea dal fatto che gli Stati europei stanno iniziando a discutere la creazione di un debito unico solo nel XXI secolo, più di 200 anni dopo la trovata di Hamilton e con le numerosissime resistenze che sono state opposte nell’ambito del Next Generation EU. Dunque l’ambizione di Hamilton non è impulso verso un potere personale, ma è il sogno di un mondo migliore, come spiega cantando con i rivoluzionari: “I may not live to see our glory, buy I will gladly join the fight” (“Potrei non vivere abbastanza per assistere alla nostra gloria, ma prenderò volentieri parte alla battaglia”). La riflessione sul potere viene ulteriormente approfondita nella figura di Washington, 14
un militare a capo di uno Stato che concentra su di lui il fulcro del sentimento patriottico, una situazione che potrebbe preludere a scenari ben poco democratici. Tuttavia Washington rimane fedele ai principi che l’hanno guidato nella lotta contro la Corona britannica e stabilisce il precedente storico dei due mandati presidenziali, reso obbligatorio con il 22º emendamento solo nel 1951. Washington spiega a Hamilton “If I say goodbye, the nation learns to move on, it outlives me when I’m gone” (“Se mi ritiro, la nazione imparerà ad andare avanti, mi sopravviverà quando sarò scomparso”). Questo è forse il punto focale del musical, infatti possiamo percepire in questa frase il peso storico degli eventi, cioè la creazione della carica del tutto originale del presidente di una Repubblica, la caratterizzazione dell’eroe americano che si sacrifica di fronte al bene della nazione e la morale della vicenda di Hamilton, ovvero che l’ambizione non deve tendere a un obbiettivo personale e contingente, ma alla memoria e alla posterità. Il musical si propone come un affresco
energico ed estremamente coinvolgente della nostra epoca in quanto supera le barriere stilistiche del genere, imponendo una preponderanza delle canzoni rap, e le barriere sociali della misoginia e del razzismo. Angelica Schuyler, la cognata di Alexander, ha un ruolo di primo piano nella narrazione, infatti enuncia il principio base della Rivoluzione Americana “I hold this truth to be selfevident, that all men are created equal” (“Ritengo questa una verità autoevidente, che tutti gli uomini sono stati creati uguali”), ed è interpretata da un’attrice afroamericana, ad evidenziare che i nobili principi dei padri fondatori non si sono ancora tradotti in un’uguaglianza sostanziale. Angelica è un alter-ego di Alexander come simbolo di ambizione, infatti lui le canta “You’re like me, I’m never satisfied” (“Tu sei come me, io non sono mai soddisfatto”), tuttavia la condizione femminile la vincola a un matrimonio opportunistico con un lord inglese. Questo rafforza la carica di critica sociale insita nella narrazione, infatti per quanto una donna possa essere forte, la società patriarcale cerca dalla notte dei tempi di ridurre il suo potere assoggettandola a uomini che la deprivano dei suoi ideali. Il messaggio
rivoluzionario del musical tuttavia sta nella rappresentazione di una donna in cui ambizioni politiche e passione amorosa si intrecciano e coesistono per formare un personaggio straordinariamente forte, che invita le giovani donne e tutto il pubblico in generale a perseguire il sogno di un mondo migliore con la stessa ambizione che ha unito Angelica e Alexander.
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di Giovanni Guidi Come ormai da tradizione, anche quest’anno assisteremo al Festival del Maggio Musicale Fiorentino, un evento che possiamo considerare ormai storico e che, dal 12 aprile al 14 luglio, in questa sua 84° edizione, alternerà sei opere e dieci concerti sinfonici seguendo il fil-rouge della mitologia, dell’amore e della fabula. Le opere Il primo titolo che incontriamo è “Orphée et Eurydice” di Christoph Willibald Gluck, un’opera che ci verrà proposta al Maggio dal 12 al 23 aprile nella sua versione francese caratterizzata da un clima di chiarezza ed equilibrio favorito dalle lunghe scene animate e dai versi sciolti e lirici. Dal 27 aprile al 10 maggio verrà rappresentata l’opera di Charles Gounod intitolata “Roméo et Juliette”, che, fin dal suo primo debutto, ottenne un incredibile successo e fece molto scalpore poiché, a differenza della tragedia Shakespeariana, il tema della rivalità tra famiglie scompare quasi completamente e lascia la supremazia a quello dell’amore tra i due protagonisti. La terza opera di questo festival, a cui avremo la possibilità di assistere dal 9 al 20 maggio, è “Le nozze di Figaro”, il conosciutissimo capolavoro di Wolfgang Amadeus Mozart contraddistinto da colpi di scena e rivelazioni inaspettate che danno origine ad un vortice di emozioni forti e contrastanti che si racqueta solo con il finale. “I due Foscari” di Giuseppe Verdi, quarta opera in programma, sarà rappresentata dal 22 maggio al 3 giugno; questo «bel dramma, bellissimo, arcibellissimo», come lo definì Verdi stesso, è costruito interamente sul contrasto tra amor paterno e amor di patria del Doge Francesco Foscari e sulle pene di suo figlio Jacopo, accusato ingiustamente di omicidio e di aver tramato contro la Repubblica di Venezia. Il quinto titolo in programma per questo 84° Festival, “Ariadne auf Naxos” di Richard Strauss, andrà in scena dal 7 al 18 giugno con il suo organico orchestrale inconsueto che prevede un’orchestra barocca a cui si aggiungono strumenti estranei come l’arpa, il pianoforte e le percussioni. Per finire, dal 4 all’11 luglio, l’ultima opera che avremo occasione di vedere sarà “Acis et Galatée” di Jean-Baptiste Lully che, ispirata al libro XIII delle Metamorfosi di Ovidio, ci farà compiere un viaggio attraverso l’episodio mitologico di Aci e Galatea. I concerti Dei dieci concerti a cui potremo assistere, il primo sarà quello d’inaugurazione del 26 aprile affidato a Daniele Gatti. Il tema principalmente trattato sarà quello della mitologia classica, che troveremo nell’Orpheus di Franz Liszt, nel Lamento d’Arianna, SV 107 di Claudio Monteverdi e, per finire, nel Perséphone di Igor Stravinskij. 16
Il 28 aprile troveremo in trasferta al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino l’Orchestra Filarmonica nazionale di Russia diretta da Vladimir Spivakov, che ci proporrà i compositori Nikolaj Rimskij-Korsakov con alcuni estratti della fiaba dello zar Saltan, op. 57; Konstantin Boyarsky con la Suite per violoncello, soprano e orchestra; Pëtr Il'ič Čajkovskij con Romeo e Giulietta, ouverture-fantasia in si minore ed infine Sergej Prokof'ev Romeo e Giulietta, suite n. 2, op. 64 ter. Il terzo concerto in programma si terrà il 30 aprile e vedrà l’Orchestra del Maggio Musicale, diretta da Zubin Mehta, alle prese con la Sinfonia n. 1 di Gustav Mahler e con Also sprach Zarathustra op. 30, uno dei più noti poemi sinfonici di Richard Strauss. Con il suo esplicito omaggio a Mozart, il 26 maggio assisteremo al quarto concerto del festival che, diretto da Zubin Metha, affronterà le tre ultime sinfonie di Mozart: n.39 K. 543, n.40 K. 550, n.41 K. 551. Il 17 giugno, Daniele Gatti dirigerà il quinto dei dieci concerti in programma, concerto che sarà un ulteriore omaggio agli sfortunati amanti di Verona con un programma che comprenderà alcuni estratti della sinfonia drammatica Roméo et Juliette op.17 di Berlioz seguiti dalla Suite dalle musiche di scena op.80 Pelléas et Mélisande di Fauré e dalla Suite n. 2 del balletto Daphnis et Chloé di Ravel. Avremo l’occasione di ascoltare Prélude a l'après-midi d'un faune, l'egloga per orchestra di Debussy ispirato all'omonimo poema di Mallarmé; Daphnis et Chloé, la suite per orchestra n. 1 di Ravel e, per finire, la Sinfonia n. 6 op. 74 Patetica di Čajkovskij sotto la direzione del maestro Myung-Whun Chung, che il 22 giugno sarà protagonista di questo sesto concerto. Nel calendario sinfonico, fissato in data 30 giugno, troviamo il settimo concerto del festival, che, diretto da Daniele Gatti, affronterà il più mitologico dei programmi visti finora con: tre preludi sinfonici per l'Edipo re di Sofocle di Pizzetti e Oedipus rex di Stravinskij. Il 7 luglio, sotto la direzione di Manfred Honeck, verrà riservato larghissimo spazio a Beethoven, del quale, in questo ottavo concerto, verranno suonate l’Overture in do minore Coriolano; la cantata per coro Meeresstille und glückliche Fahrt, op. 112 e la Fantasia Corale in do minore op. 80 per pianoforte, soli, coro e orchestra. In aggiunta, verrà eseguita anche una Suite dall’Elektra di Richard Strauss trascritta da Honeck stesso. Nel nono concerto, in programma per il 13 luglio, Zubin Mehta ci darà l’occasione di ascoltare nuovamente Beethoven dirigendo l’orchestra del Maggio nell’esecuzione della monumentale Sinfonia n. 9 in re minore op. 125 per soli coro e orchestra. A chiusura dell’intero Festival, il 14 luglio, il Maggio ci proporrà, ancora una volta sotto la guida di Mehta, Beethoven con l’Ouverture ed estratti da Die Geschöpfe des Prometheus e Čajkovskij con le Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra, op. 33 e la Sinfonia n. 4 in fa minore, op. 36. Per chi fosse interessato, può essere utile sapere che il Maggio mette a disposizione la “Maggio card under 30”, una carta che dà la possibilità di acquistare biglietti a 10 € e 15 € per gli spettacoli delle Stagioni del Maggio Musicale Fiorentino e dà diritto anche a sconti sulle mostre di Palazzo Strozzi. Ulteriori dettagli al seguente link: https:// bit.ly/3L8iidx. 17
I GIOVANI E IL TEATRO di Gemma Berti Si diventa attori in tanti modi, anche dalle aule di un liceo. Così, nella nostra scuola, ha intrapreso questa strada un giovane appassionato dell’arte drammatica: Andrea Yuki Parigi, della 2B dell’indirizzo classico. Abbiamo rubato un po’ del suo tempo allo studio delle materie e dei copioni, per una breve intervista. Quando e perché ti sei avvicinato al mondo del teatro? Avevo circa sei anni, frequentavo le Elementari, quando mi sono avvicinato a questo ambiente: la scuola aveva organizzato un progetto teatrale. Ma non fu quello a far nascere la mia passione. L’idea di cominciare a recitare è nata quando, vedendo un bambino della mia età ad un programma in Tv, ho pensato che sicuramente sarei riuscito a fare di meglio! Così ho iniziato teatro con questa idea e, sempre più affascinato da questo mondo, continuo ancora oggi a recitare! -
Come coltivi oggi la tua passione? Faccio parte di un gruppo teatrale di Scandicci e della compagnia Stabile del teatro del Cestello, a Firenze. Lo scorso anno, inoltre, ho preso parte al corso di Teatro della scuola, organizzato dal professor Vezzosi, in cui abbiamo realizzato il cortometraggio “Angeli Caduti”. È stata davvero una bella esperienza, tanto che parteciperò allo stesso progetto anche quest’anno! - E i tuoi progetti futuri per il palco scenico? Con la compagnia del Cestello metteremo in scena una reinterpretazione della Divina Commedia, dal 23 al 25 Marzo. La rappresentazione, in chiave comica, è tratta da “La Divina Commedia in Cento Sonetti Fiorentineschi” di Venturino Camaiti. A giugno poi torno in scena con la stessa compagnia, per rappresentare un dramma, ambientato nella Firenze del ‘600, i cui i protagonisti sono
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due giovani innamorati. Con la compagnia di Scandicci, invece, faremo uno spettacolo a fine maggio e per l’occasione abbiamo scritto noi un testo. - Puoi farci qualche anticipazione? La vicenda è ambientata negli anni ’70. Alcuni ragazzi si trovano in un treno che improvvisamente si blocca. Dovranno trascorrervi tutta la notte, cercando di mantenere la calma ed uscire incolumi da questa stravagante esperienza! Di più non posso dire! - Che parte ti piace avere sul palcoscenico? La mia filosofia è “non dire mai di no”, anche quando mi assegnano il ruolo di semplice comparsa: è tutta esperienza, che non fa mai male e poi, un attore bravo lo si riconosce anche in un ruolo marginale! - Raccontaci di un’esperienza teatrale indimenticabile. L’anno scorso, durante la pandemia, abbiamo interpretato, a distanza ovviamente, dei monologhi, scritti da noi. Io dovevo rappresentare un pastore rozzo e sporco. Volevo immedesimarmi in questo personaggio al meglio ed è stato un’esperienza molto particolare, ma davvero divertente e sono sicuro che non la scorderò mai. - La pandemia avrà reso difficile la pratica della tua passione teatrale… È stato un periodo davvero brutto, abbiamo continuato a vederci per via telematica, così da buttare giù delle idee e fare qualche prova. Purtroppo però è stato noioso, a tratti persino triste, perché si è perso uno degli aspetti più belli della recitazione: il contatto. - Che cosa pensi possa dare il teatro ai giovani d’oggi? Il teatro è un mondo fantastico! Ti permette di instaurare rapporti con persone estremamente diverse da te che però condividono la tua stessa passione. Inoltre, è una grande occasione che hai per parlare di te stesso, di quello che sei e quello in cui credi, attraverso una maschera: recitando puoi diventare qualsiasi persona tu voglia, senza sentirti criticato né giudicato…che ci può essere di più bello? 19
IL TEATRO E LA SCIENZA di Margherita Arena
Teatro e scienza hanno degli elementi in comune? Sono due forme di conoscenza lontane? Possiamo notare che sono entrambe forme di analisi della realtà, che utilizzano modi diversi di studio, ma si influenzano a vicenda. Fin dall’antichità il teatro era uno dei luoghi in cui si racchiudeva gran parte della conoscenza del tempo, basta pensare ai tragediografi greci come Eschilo, Sofocle ed Euripide, poi ripresi da autori latini, considerati tra i più sapienti della loro epoca. Tradizionalmente siamo portati a pensare che l’arte, e quindi anche il teatro, sia un qualcosa che susciti emozioni basandosi sull’humanitas, ovvero sulla sensibilità e sulla sfera umana. Al contrario, è comune l’opinione che la scienza si basi soltanto su rigide leggi e che porti quasi a una disumanizzazione. La scienza spesso spaventa le persone, ma in realtà è nata proprio insieme all’arte. La letteratura, la musica, le arti visive, e, più moderni, il cinema e la fotografia, sono basati su regole scientifiche più o meno rigide. Per prima cosa possiamo osservare l’etimologia della parola spettacolo: questa ha la stessa radice del verbo latino spectare “osservare” e del sostantivo speculum “specchio”,
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quindi possiamo dire che il significato etimologico della parola è “osservare come in uno specchio”, che può avere una duplice interpretazione con valore sia in ambito artistico, sia anche in quello scientifico. Per di più, molti dei termini appartenenti all’ambito teatrale sono ancora usati per parlare di luoghi specifici dell’ambito medico. Il teatro ha sempre utilizzato un metodo scientifico: l’autore racconta i fatti, anche se apparteniti al mito o alla fantasia umana, sulla base delle reazioni del pubblico. Per fare ciò il tragediografo ha osservato il pubblico, e sulla base dei risultati delle reazioni ha fatto scelte stilistiche. Dopo la Commedia dell’Arte caratterizzata dall’improvvisazione degli attori, la riforma del teatro di Goldoni riportò un ordine “scientifico” con l’introduzione del copione e l’attenzione alla società contemporanea. Anche se intendiamo il teatro puramente come luogo fisico, l’utilizzo della scienza è alquanto scontato, dall’architettura, all’acustica e all’illuminazione. La scienza all’interno di una tecnica drammaturgica vera e propria forse è presente solo nelle opere di Pirandello. Infatti nel suo caso la scienza si identifica con il teatro stesso: la matematica moderna è basata su sistemi ipotetici-deduttivi, quindi una proposizione che risulta vera per uno, può risultare falsa per un altro. Tale “relativismo oggettivo” della matematica moderna sfocia nel “relativismo soggettivo” dei personaggi teatrali. La grande e vera differenza che possiamo individuare tra teatro e scienza è che la prima non racconta necessariamente la verità, al contrario della scienza. Ma pensiamo all’evoluzione della scienza, oggi riusciamo a raccogliere le conseguenze di molti fenomeni che ci circondano, ma ancora le cause ci sono ignote. Esistono molte teorie che nel tempo saranno confermate o confutate, come è successo dalla redazione del metodo scientifico di Galileo, ma non risposte specifiche. Quindi sono sempre presenti punti di domanda che ancora oggi affascinano e sconvolgono gli scienziati: alcuni si affidano completamente alla razionalità, cosa però difficile dal momento che non si possono individuare le cause, perciò altri si affidano alla spiritualità. Questo non è così lontano dalla fantasia dei miti antichi, che davano una spiegazione attraverso punizioni o favori da parte di divinità, spesso molte delle catastrofi naturali erano giustificate con i capricci delle divinità, le sfortune di una famiglia invece con il peccato di ὕβρις «hỳbris», ovvero la tracotanza, di un antenato. Quindi scienza e teatro sono due forme di conoscenza apparentemente quasi opposte, invece in realtà hanno molte analogie e sono sempre state collegate. 21
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