Scritto e illustrato da Maria Letizia Budroni
Folas Scritto e illustrato da Maria Letizia Budroni
A nonno
f Capitolo 1
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ora viveva in un paesino nel centro della Sardegna, circondato da chilometri di una fitta boscaglia che poteva essere attraversata solo da persone adulte, in quanto considerata misteriosa e pericolosa. I pochi ragazzini che vivevano nel paese si sfidavano per gioco a chi aveva il coraggio di addentrarsi un pochino tra il fitto degli alberi del bosco proibito, ma, alle grida di una mamma infuriata, tutti correvano a sparpagliarsi per le vie del paese perché si sapeva che l’urlo di mamma faceva più paura di qualsiasi cosa vivesse in quella foresta. Nora però non aveva mai ricevuto un urlo od un rimprovero dalla sua mamma, perché non l’aveva mai conosciuta, se non vedendola nelle fotografie che suo padre aveva sistemato nella loro casa dopo l’evento che li aveva colpiti. Viveva con il suo babbo di nome Antonio, che per starle più vicino durante il giorno, aveva anche rinunciato al suo lavoro di sempre, decidendo di fare il pastore notturno, almeno finché Nora non fu abbastanza grandicella per poter badare un pochino a se stessa. Il padre usciva di casa al tramonto, dopo aver preparato la cena, e tornava nella tarda mattinata del giorno seguente in tempo per il pranzo, e quindi lasciava a casa la sua bambina, di notte e da sola. Solo Nora sapeva quanta paura aveva provato le prime settimane: era il vento ad ululare o erano i lupi? Qualcosa batteva contro i vetri della finestra e delle inquietanti ombre si muovevano in modo strano, erano solo i rami degli alberi o qualche strega? Ma crescendo ci aveva fatto l’abitudine. La mamma di Nora, morendo, le aveva lasciato dei piccoli quaderni nei quali aveva raccolto racconti fantastici, alcuni parlavano di creature che avevano dimora nei boschi sardi, ed erano raccontati così bene che Nora era convinta che li avesse vissuti di persona. Antonio le aveva sempre detto che la sua mamma era dotata di grande fantasia. 7
Il padre di Nora ogni sera, prima di uscire, chiudeva a chiave le finestre, riempiva di cera la serratura della porta principale e, spesso, lasciava dieci spighe di grano sotto il letto della figlia. Chiunque avrebbe pensato a tutto ciò come un comportamento bizzarro, ma la ragazza sapeva benissimo che quelli che il padre svolgeva erano dei rituali. Rituali che servivano a tenere lontano alcune creature presenti nei racconti della mamma. Il giorno prima che Nora compisse quattordici anni, decise di fare di tutto per visitare quel bosco misterioso, si affrettò a finire di mangiare la cena e aiutò il padre a lavare i piatti per poi precipitarsi ad infilare le scarpe. «Dove stai andando a quest’ora?» domandò Antonio finendo di abbottonare la camicia. «Ti accompagno sino al bosco» rispose Nora «solo sino al limite del paese, promesso.» aggiunse vedendo l’espressione contrariata del padre, che alla fine accettò, suo malgrado. Come al solito prima di uscire l’uomo controllò tutte le finestre, prese esattamente dieci spighe e le sistemò sotto il suo letto, e, come ultima stranezza, chiuse il colletto con dei bottoni dorati, un lascito della sua defunta moglie, che doveva farlo sentire protetto, anche quando di notte doveva attraversare quel bosco tanto misterioso ed inquietante. «Non metto la cera nella serratura, lo farai tu appena rientrata in casa, non dimenticarlo.» Nora annuì e lo seguì fuori. Il buio era piombato sul paese facendolo apparire ancora più vecchio e spaventoso di quanto fosse in realtà. Riusciva a vedere le altre case solo grazie alla fioca luce di qualche lanterna qua e là. Nora e suo padre si tenevano per mano, il buio sembrava aver inghiottito tutto e il silenzio tombale non aiutava la ragazzina ad ignorare quella sensazione di inquietudine che aveva addosso da quando era uscita di casa, al punto da sentirsi spiata. Eppure lei e Antonio erano gli unici là fuori a quell’ora. «È ora di tornare per te. Corri subito a casa, e ricordati di chiudere bene la porta.» il padre le baciò la guancia, ed anche Nora si raccomandò con lui mentre lo vedeva sparire fra la boscaglia. La sua vista si era abituata al buio e ora poteva vedere gli alberi, si fermò ad osservarli. Pensava e si chiedeva quanto le storie raccontate nei quaderni della mamma fossero vere, e quanto invece frutto della sua fantasia. Comunque ne era spaventata, al minimo rumore sarebbe corsa via, e quella sensazione di essere osservata tornò ad invaderle il corpo di brividi. Le sue orecchie ormai erano ben aperte per ricevere qualsiasi tipo di rumore e fu in quel momento che sentì qualcosa che non avrebbe mai e poi mai immaginato di riuscire ad udire. Si voltò e i suoi occhi sfrecciarono da una parte all’altra del villaggio ma non riuscì a vedere nessuno: all’improvviso si era creata una fitta nebbia. Strinse il vestito con le mani sudate cercando in qualche modo di calmarsi. Doveva tornare subito a casa ma non fece neanche in 8
“Foglia sopra foglia, tre ore per andare, tre ore per tornare”
tempo a fare un passo che sentì nuovamente qualcuno canticchiare, questa volta era più vicino a lei. Sollevò lo sguardo verso i rami di un albero e finalmente vide da dove provenisse quel suono: un barbagianni la stava osservando. Non era insolito vederne uno in quella zona, anzi, ma quello in particolare aveva qualcosa che non andava. Per quanto potesse sembrare bizzarro, a Nora sembrava proprio che il rapace stesse cantando. Era paralizzata dalla paura e non riusciva a distogliere lo sguardo da quegli occhi tetri e profondi. Il barbagianni planò a qualche metro di distanza da lei e la luce della luna non riusciva più a raggiungere le sue piume. Tutto quello che vedeva era una sagoma. Quest’ultima però cominciò in una manciata di secondi ad ingrandirsi di più, sempre di più, sino a superare l’altezza di Nora. Ora vedeva solo un’enorme figura, alta almeno quanto suo padre, e l’unica cosa che riuscì a catturare la luce, furono i suoi occhi. Quella cosa la stava ancora guardando.
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f Capitolo 2
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ra una donna, se così si poteva definire. La sua pelle era di un grigio violaceo e i suoi capelli neri come il carbone erano arruffati e fluttuanti. Aveva i canini affilati come lame, grazie ai quali riusciva a penetrare la tenera carne dei bambini per berne il loro sangue puro. Legate in vita vi erano delle fiale di vetro contenente un liquido luminoso, su qualche libro aveva letto che serviva per tramutarsi e volare. A Nora bastarono pochi secondi per riconoscere l’entità che le sbarrava la strada per tornare a casa, era una figura sulla quale aveva sentito tanti terribili racconti: quell’essere così tremendo viene chiamato koga. Le si attorcigliò lo stomaco dalla paura e il cuore sembrò pulsarle nella testa, impedendole di sentire qualsiasi altra cosa. Non aveva altra via di fuga se non alle sue spalle: il bosco. Sfrecciò fra gli alberi mentre l’adrenalina si faceva sentire sempre di più. Correva così veloce che persino il vento riusciva a stento a starle dietro. L’erba copriva alcuni fossi che sembravano aspettare il momento giusto per catturare uno dei suoi piedi e farla cadere. Ad un certo punto, ruzzolando giù dalla collina, portò le ginocchia al petto coprendosi il viso con le braccia per proteggersi dai rovi. Strinse forte le palpebre come se ciò servisse a sentire meno il dolore che le piante spinose le stavano provocando a gambe e braccia e, dopo quella che sembrò un’eternità, smise di rotolare. Riaprì gli occhi e la strega stava piombando direttamente su di lei tendendo un braccio, pronta ad afferrarla con la sua mano ossuta. Era come se potesse già sentire il dolore lancinante e il cuore le sembrò fermarsi.
Poi successe tutto velocemente: chiuse gli occhi ancora una volta pronta a sentire quella creatura afferrarla e portarla via. Ma niente di tutto questo accadde, anzi, piombò il silenzio. Anche il vento e gli animali si ammutolirono. Nora si sentì chiamare per tre volte da una voce che non aveva mai sentito prima. Aprì gli occhi e vide una donna davanti a sè, sicuramente non era la strega. La sua pelle era del colore della luna e sembrava quasi emanare luce, era di una fascino indescrivibile che la lasciò senza fiato. La fanciulla si abbassò all’altezza della ragazzina e le sorrise. I suoi occhi erano dello stesso colore del bosco e Nora non riuscì a distogliere lo sguardo neanche per un secondo. «Stai bene?» chiese. La voce combaciava perfettamente con il suo aspetto gentile. Ma l’altra non riusciva a parlare. «Sono quasi sicura che Altea non ti abbia mangiato la lingua.» aggiunse. Quello doveva essere il nome della koga. Forse si conoscevano? Perché sembrava così tranquilla nonostante quello che era successo? Mentre molte altre domande cominciarono ad accumularsi nella sua testa, osservò meglio il modo in cui era vestita: era molto simile al modo in cui si vestivano le donne del suo paese ma i colori erano ben diversi. Il rosso della gonna contrastava con i ricami dorati e il corpetto riprendeva gli stessi motivi. Notò anche che indossava i tipici gioielli sardi, ma uno in particolare catturò la sua attenzione. «Sai che cosa è?» chiese ancora. Questa volta Nora annuì: quell’amuleto si chiama kokku e lo conosceva bene. Era famoso per il suo potere di proteggere il proprietario dalla sfortuna e, in questo caso, anche dalle streghe vampiro. La fanciulla la aiutò ad alzarsi prendendole le mani, e per quanto il colore della sua pelle potesse far pensare alla neve, le sue erano calde e morbide. Attraversarono una serie di cespugli per poi ritrovarsi all’entrata di quella che sembrava una grotta. Aveva un aspetto bizzarro e l’ingresso era sicuramente troppo piccolo per entrambe. «È pericoloso girare per i boschi di notte, soprattutto per i bambini.» le disse «Vieni, qui sarai al sicuro.» Nora non sapeva cosa fare. È vero, era stata salvata da lei, ma era ancora più strano trovare una figura così misteriosa che, aggirandosi nel bosco da sola, la invitava ad entrare in una grotta. Notando la sua evidente espressione dubbiosa, aggiunse: «Somigli davvero tanto a Iliana...» Conosceva anche sua madre? Lei era stata qui? «Mi chiamo Ines, di me ti puoi fidare.» disse avvicinandosi all’entrata e si rimpicciolì. Non poteva credere ai suoi occhi, ora era diventata minuscola, almeno quanto il palmo della sua mano. Quella che adesso sembrava una piccola fata, entrò e sparì nel buio. Per farsi coraggio Nora si disse che niente l’avrebbe fatta tremare più del ritorno di quella strega e decise di entrare.
Nonostante dovette gattonare per riuscire a varcare l’entrata, all’interno riusciva tranquillamente a stare in piedi. Un focolare posto al centro della stanza illuminava le pareti e notò che il soffitto era più alto di quello che pensava. Quel posto le sembrava familiare. Vicino al fuoco era seduta una signora anziana che indossava gli stessi vestiti di Ines. «Avvicinati e scaldati un po’, fuori fa davvero freddo.» disse Ines per poi farla sedere vicino a lei tornando alla sua normale statura. «Siete janas..?» chiese Nora capendo di trovarsi dentro una domus de janas. «Vedo che Iliana ha trovato comunque un modo per tenerti informata su tutto.» sorrise l’anziana che sino ad ora non aveva mai staccato gli occhi da uno specchio che teneva in mano. «Voi dovete essere la Sabia Sibilla. Mia madre ha scritto dei racconti su di voi, la conoscete?» Un’altra jana si unì a loro e porse a Nora del pane: «Attenta, è ancora caldo» la avvertì «tua madre veniva spesso a trovarci. Passava molto tempo qui con noi, ci è dispiaciuto molto quando abbiamo saputo quello che le è accaduto.» A quelle parole le venne un nodo alla gola. Avevano avuto la fortuna di conoscere sua madre e si sentì ancora più dispiaciuta per non essere riuscita a farlo anche lei nonostante, ovviamente, non fosse colpa sua. Il brontolio del suo stomaco le permise di distrarsi da quei pensieri per qualche istante e concentrarsi sul cibo offerto: quello fatto dalle janas era il pane più buono che avesse mai assaggiato. Il fatto che fossero tutte gentili con lei, la faceva sentire più a suo agio e piano piano quel nodo si sciolse. Le fate sarde sono delle creature molto particolari. Sono di natura buona, diventano esseri davvero ostili solo se le si manca di rispetto. Aveva letto che in passato era possibile vederle in mezzo alla gente, ma da quando alcuni cittadini avevano commesso il grave errore di tentare di derubarle, loro andarono via e decisero di nascondersi per sempre portando con sé i loro tesori. Solo chi ha la fortuna di sentirsi chiamare per tre volte da una di loro può avere accesso alla loro dimora e non è affatto facile ottenere la loro fiducia. Era così felice di vivere quell’esperienza che si sentì sopraffatta, finalmente, da una felicità quasi incontenibile. Purtroppo, però, quel piccolo 13
momento positivo di quella serata stava per terminare bruscamente. Sabia Sibilla sembrò agitarsi mentre osservava lo specchio: doveva aver visto qualcosa di davvero sgradevole a giudicare dalla sua espressione. La jana più anziana è capace di vedere ciò che succede a distanza da lei, non imposta quanto lontano. «Qualcosa non va?» chiese Ines notando anche lei il comportamento dell’altra. «Antonio è in grave pericolo.» e, solllevando lo sguardo dallo specchio, continuò «Nora, devi sbrigarti a trovare tuo padre o le cose si metteranno male per lui. Ho visto che il diavolo Olla lo sta per raggiungere. Deve aver commesso un grave peccato e se non lo trovi in tempo, non credo che il Diavolo sarà molto gentile con lui.» Nora fu travolta dall’ansia e dalla paura. «Che cosa devo fare? Io non conosco questi boschi, non mi hanno mai permesso di stare qui! Come faccio a trovarlo? E se la koga mi insegue di nuovo?» era sul punto di mettersi a piangere, ma Ines le strinse una mano:
«Ti condurrò io da lui, con me non dovrai avere paura di niente. Conosco i boschi come le mie tasche e riporteremo Antonio al sicuro.» con queste parole si alzò e sfilò dal collo quel gioiello che aveva attirato l’attenzione di Nora appena l’aveva vista. Glielo mostrò e disse: «Su kokku ti proteggerà da qualsiasi strega.» Glielo fece indossare, ma nonostante si sentisse più protetta, non riusciva a calmarsi. Salutò in fretta la Sabia Sibilla e le altre janas prima di uscire dalla domus sperando di tornare presto. Prese per mano la giovane jana e si incamminarono verso la parte più fitta del bosco.
f Capitolo 3
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ora si sentiva più confusa di prima: «Mio padre era a lavoro come sempre, non capisco come sia possibile tutto questo. Non so neanche cosa intendeva la Sabia Sibilla per “grave peccato”. Non farebbe del male ad una mosca, che cosa avrà mai fatto?» Ma neanche Ines sapeva rispondere a questa domanda. Non potevano fare altro se non seguire le indicazioni della jana anziana. Il bosco cominciò ad aprirsi appena, permettendo alla luna di illuminare i dintorni. La ragazzina, sentendosi ancora nervosa, strinse con una mano su kokku che pendeva dal suo collo. «Sai, in realtà quello non è mio.» disse la jana «Tua madre lo diede a me esattamente quattordici anni fa, ma non come regalo. Mi chiese di custodirlo e di non darlo a nessuno sino al suo ritorno. Se guardi bene, pur avendo gli stessi materiali, è ben diverso dall’amuleto tradizionale e questo lo avrai già notato. Apparteneva prima a tua nonna che lo costruì con le sue mani per proteggere sua figlia. Iliana a sua volta avrebbe dovuto darlo a te.» «Ma mia madre lo consegnò a te, come faceva a sapere che non ce l’avrebbe fatta a darmelo di persona? La Sabia Sibilla aveva visto anche questo?» chiese Nora. Ines la prese per mano e continuò: «Purtroppo no, ma avrei tanto voluto. Gli ultimi anni è stata davvero male, si indebolì sempre di più e non riusciva neanche a fare quattro passi per venire a trovarci. Ogni tanto andavo a trovarla appena calava il sole, ma lei dormiva sempre. Credo di averla vista sveglia solo un paio di volte negli ultimi mesi. La osservavo spegnersi e non fui neanche in grado di fare qualcosa per lei, mi sento ancora in colpa per essere stata del tutto inutile...» non riuscì a continuare. Nonostante fosse abbastanza coraggiosa e forte da affrontare una koga, non lo fu abbastanza per superare il peso che si portava dietro da anni. «Mamma ha scritto molto su di te. Non ha mai scritto il tuo nome, ma so che parlava di te.» Ines la guardò perplessa «Nei suoi racconti parlava di una jana in particolare con cui aveva stretto un forte legame sin da subito. Per qualsiasi cosa era sempre lì pronta a darle una mano. Ti voleva tanto bene, si capiva dal modo in cui raccontava di te. Sono sicura che lei non prova rancore nei tuoi confronti, 15
molto probabilmente non voleva neanche che tu la vedessi in quello stato, se di solito era una persona energica e allegra, per te sarà sicuramente stato un brutto colpo vederla così sfinita. Ines...» le strinse di più la mano e la guardò «quello che voglio dire è che se mia madre venisse a sapere che ti senti in colpa, starebbe male anche lei. Non è facile per nessuno, neanche se all’apparenza sembra tutto normale, ma ti assicuro che per nessun motivo al mondo devi pensare che lei ce l’abbia con te. Parlava di come non avrebbe mai potuto ringraziarti abbastanza per tutto quello che hai fatto per lei, non si riferiva sicuramente ad una persona egoista ed indifferente come credi di apparire ora, e sono certa che le cose non siano cambiate anche se non la puoi vedere.» Aveva solo quattordici anni ma poteva immaginare i sentimenti di coloro che avevano avuto la fortuna conoscere sua madre. «Prima hai detto che lei ti chiese di non dare il suo amuleto a nessuno sino al suo ritorno, giusto? So che prima o poi me lo avrebbe regalato, ma non sarebbe più giusto tenerlo tu? È l’unica cosa che ti è rimasta di mamma, perché me lo hai dato?» Ines le accarezzò una guancia sorridendo: «Sono sicura di aver fatto la scelta giusta, dopotutto lei è tornata da me proprio stanotte.» Nora iniziò a capire perchè Ines fosse così preziosa per sua madre. Camminarono per quella che sembrò un’eternità quando, all’improvviso, il silenzio del bosco venne spezzato da una voce:
“Due bacche di belladonna così il buio non mi inganna, tre radici di mandragola perché il mio aspetto sia una trappola, di datura due fiori affinché l’incantesimo funzioni.”
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Si voltarono in cerca di qualcuno e notarono una fioca luce poco lontano da lì. Nora cercava di camminare il più lentamente possibile e stava attenta a non calpestare alcun ramo, ma era difficile riuscire a stare in silenzio quando anche solo il suo respiro sembrava riecheggiare fra gli alberi. Era curiosa di vedere chi stava cantando ma allo stesso tempo avvertiva una strana sensazione. Ben nascosta dietro a un pioppo, sbirciò verso la radura che si apriva davanti a lei e quello che vide non le piacque affatto. Al centro vi era un calderone al cui interno stava bollendo qualcosa e una figura era intenta a mescolare per bene. Era sicurissima di aver sentito ben due voci, ma riusciva a vedere una sola persona, sempre che quella cosa avvolta nelle vesti scure fosse qualcosa di umano. Continuava a buttare dentro al calderone delle erbe che non aveva mai visto e quel liquido cominciava ad emanare una fioca luce. Il canto si interruppe e piombò un silenzio spaventoso. Qualcosa non andava in tutta quella quiete e, mentre lo stomaco di Nora fu attanagliato dall’ansia, i brividi cominciarono a correre sulla sua schiena sino alla nuca. Si voltò per cercare Ines ma il cuore le saltò in gola dal terrore: nonostante il buio pesto riusciva a vedere il riflesso di luce negli occhi della koga, vuoti quanto lo era il senso di compassione e pietà per lei. Un sorriso raccapricciante si aprì sul volto della strega mostrando i denti affilati che avrebbero fatto rabbrividire anche i più coraggiosi. Il grido carico di orrore della ragazzina si espanse per tutta la radura e non ebbe neanche il tempo di scappare perché venne spinta in avanti e cadde sulle ginocchia. L’altra strega si alzò lasciando perdere l’intruglio che stava preparando: «Altea da sola non è riuscita nel suo compito, ma sapevo che saresti tornata. Mi chiedo cosa ci sia di così difficile visto quanto sei fragile.» A stento riusciva a sentirla talmente forte le stava battendo il cuore. Una di loro iniziò ad avvicinarsi mentre l’altra agguantò Ines, lo sguardo di Nora saettava da tutte le parti: sulle loro unghie affilate, che avrebbero potuto afferrarla da un momento all’altro, sui loro denti, che le facevano provare dolore ancora prima che l’avessero sfiorata Quell’essere così tremendo viene chiamato koga.. La confusione si stava impadronendo della sua mente e il capogiro non la aiutava a pensare lucidamente. Poi però una parte di lei si ricordò che sapeva benissimo come proteggersi. Si sfilò l’amuleto dal vestito e si rialzò prima che la koga potesse avvicinarsi troppo a lei. La strega sapeva benissimo cosa stava per accadere e afferrò il braccio della ragazzina, ma l’ossidiana si spezzò sprigionando una luce così intensa che per qualche secondo
sembrò pieno giorno. Quel fascio luminoso fu così potente da pietrificare completamente le due streghe e quando Nora tirò via il braccio dalla presa della creatura, quest’ultima si ridusse in cenere. Ines si liberò da ciò che ormai rimaneva della strega e, nonostante avesse il braccio segnato dagli artigli di quella creatura, ringraziava di essere ancora viva. «Mi dispiace...» disse Nora guardando la ferita «Se avessi ragionato più in fretta, non sarebbe successo tutto questo. Guarda cosa ho combinato...» continuò aprendo la mano per mostrarle l’amuleto rotto. Ines le accarezzò i capelli quasi come per rassicurarla: «Su kokku è l’amuleto più potente che esista e in caso ti succeda qualcosa a causa di una maledizione o, in questo caso, delle kogas, esso si spezza proteggendo il proprietario affinché rimanga illeso. È proprio il suo scopo, Nora, non essere dispiaicuta. E questo poi» disse sollevando appena il braccio «è solo un graffio, io guarisco in fretta!» Nora infilò la collana in tasca: si sentiva ancora mortificata, ma era grata della presenza di Ines. Ripresero il loro cammino e pochi minuti dopo cominciarono a sentire dell’acqua scorrere in lontananza. «Ci basterà seguire il torrente per essere sicure di andare dalla parte giusta.» disse Ines. Come previsto, a qualche metro da loro, vi era un fiume che spaccava la boscaglia a metà. Nora si avvicinò per bere un sorso ma si accorse subito che lei e la jana non erano da sole. Guardò verso l’altra sponda e vide una donna dalla pelle pallidissima che era intenta a lavare una veste bianca. Sembrava non accorgersi della presenza delle due, forse era troppo concentrata a cercare di togliere la grossa macchia scura che aveva sporcato il suo vestito? Strofinava e strofinava ma non sembrava proprio andare via. La donna poi spostò i capelli dal proprio viso e a Nora quasi cedettero le gambe. Era un’allucinazione? Impossibile, Ines stava guardando verso la stessa direzione. Non credeva a quello che vedeva e quando aprì bocca fuoriuscì solo una parola che a malapena lei stessa riuscì a sentire: «Mamma..?»
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f Capitolo 4
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ora era sconvolta. Come faceva sua madre ad essere viva? Cosa stava facendo al fiume a quest’ora? Perché tutti le avevano mentito riguardo la sua morte? Guardò ancora una volta Ines e sentiva che c’era sicuramente qualcosa che non andava in lei. La jana non sembrava affatto sollevata o contenta di rivederla, ma era sul punto di piangere e l’unico motivo per cui non lo stava già facendo era perché non voleva peggiorare le cose per la ragazza. Quest’ultima, più confusa di prima, continuava a far rimbalzare lo sguardo da sua madre ad Ines, indecisa su cosa chiedere per prima e a chi. Anche se il comportamento della jana era parecchio strano, non riusciva comunque a contenere la sua felicità. Aveva anche lei una mamma, era proprio a qualche metro di distanza. Non vedeva l’ora di raccontarle tutto quello che aveva fatto durante questi anni, di quanto le piaceva leggere i suoi libri e, forse più di ogni altra cosa, quanto le era mancata. Qualsiasi cosa l’avesse allontanata da lei e dal suo babbo, in quel momento l’avrebbe perdonata, aveva tantissime domande da farle. Sollevò un braccio per farsi notare da Iliana, ma quando provò a chiamarla la sua bocca venne coperta dalla mano di Ines che la prese in braccio allontanandosi dalla sponda del fiume. Nora cominciò a scalciare e a dimenarsi cercando di liberarsi dalla presa della donna che la stava portando via da sua madre. Ora che finalmente aveva potuto vederla di persona, non voleva perderla nuovamente. Se Iliana l’avesse vista, l’avrebbe sicuramente salvata. Le grida disperate di Nora ruppero il silenzio, ma niente fece voltare sua madre. Neanche le sue suppliche verso Ines che non sembrava voler mollare la presa, anzi, la strinse in un abbraccio che non sembrava più rassicurante, né caldo.
Ma la stanchezza della ragazzina era tanta e non riusciva più a dimenarsi con forza. Si arrese ad un pianto straziante di chi aveva perso la madre per la seconda volta. Poteva ancora vederla in lontananza ma più la guardava e più piangeva. Un dolore al petto le spezzò il respiro e non riusciva neanche a sentire quello che Ines cercava di dirle. D’un tratto muoversi le risultava così faticoso, divenne tutto ancora più buio e all’improvviso perse i sensi. Se prima pensava di aver superato il peggio, si sbagliava di grosso. Ora sapeva cosa aveva dovuto passare il padre che si era ritrovato a badare a lei senza la persona che amava di più. Con quale coraggio
guardava in volto Nora e riusciva a sorriderle? Somigliava così tanto a Iliana che anche le janas l’avevano scambiata per lei. Come faceva a vivere e andare avanti con un dolore così grande? C’erano tante cose che Nora non si spiegava. Si risvegliò sentendo le carezze di Ines. Era ancora confusa e furiosa, ma non aveva le forze per parlare, così poggiò la testa sulla spalla della fata che finalmente le diede delle spiegazioni. «Lo so che fa male. So che fa malissimo vedere una persona che credevi scomparsa per sempre a cui vorresti raccontare un sacco di cose ma non lo puoi fare. E ti assicuro che mi sono dovuta trattenere anche io dall’andare ad abbracciarla.» le accarezzò piano la testa e continuò «Quello che stai guardando è lo spirito di Iliana. Neanche lei aveva mai visto una pana, non credo ci sia scritto nei suoi racconti. Quando una donna muore di parto, il suo spirito è costretto a lavare le sue vesti per sette lunghi anni. E sai cosa sarebbe successo se tu fossi corsa da lei? Per quanto mi sia difficile pensare che lei possa fare una cosa del genere, avrebbe cercato di farti del male. Molte persone sono morte a causa delle panas. Persone che non riuscivano ad accettare la morte delle loro mogli, sorelle, madri, figlie o amiche. L’unico motivo per cui questi spiriti sono così ostili è perché quando vengono interrotte sono costrette a ricominciare sette anni daccapo. È come se stessero purificando la loro anima, ma loro non riescono a riconoscerti. E per quanto mi si spezza il cuore a vederla e non poterle parlare, o doverti portare via da lei, lo faccio perché mi ero ripromessa di proteggerti in caso fosse successo qualcosa a lei o ad Antonio» Ora era tutto più chiaro. Nora capì che non era da sola, il dolore per la perdita della madre non era solo suo. Era compresa dal padre e da Ines. Anche quest’ultima aveva perso una parte importante della sua vita, non aveva più un’amica piena di curiosità che lei aveva sempre il piacere di soddisfare, non aveva più qualcuno con cui confidarsi, parlare o anche solo camminare fianco a fianco in cerca di qualche segno di magia che sarebbe servita a Iliana per riempire un’altra pagina dei suoi appunti in cui annotava ogni minima stranezza presente in quei boschi. Era dura per chiunque avesse conosciuto
sua madre. Era amata e benvoluta da tutti, sempre gentile e disponibile verso il prossimo, così tanto che a volte si domandavano se anche lei fosse uno spirito buono arrivato direttamente dal cuore della foresta. Tanto bella quanto amorevole verso la sua famiglia e i suoi amici che tutt’ora ne piangevano l’assenza, come se una parte di loro fosse svanita lasciando al suo posto una voragine nel petto che continuava a provocare un dolore inimmaginabile. Nora però voleva trasformare quella voragine in calore. Il calore di una mamma che fisicamente non c’era più, ma che spiritualmente vegliava su di lei standole vicina anche nei momenti più difficili. Guardò ancora una volta lo spirito della madre ma niente sembrava sciogliere quel nodo alla gola. Poi però un brivido di paura le attraversò la schiena. Se questo rito durava sette anni e Nora ne aveva quasi quattordici, allora perché la madre si trovava lì? Doveva essere già scomparsa da tempo. Ines sembrò fare lo stesso ragionamento «Forse tuo padre è venuto tante volte a cercarla, forse non ha resistito dal parlarle, e così il rituale non è mai arrivato alla fine» disse. Pensarono allora che forse anche quella notte si era recato da lei, perciò avrebbe potuto trovarsi ancora nel bosco, magari ferito o peggio? Questo non le risollevava di sicuro il morale ma dovevano sbrigarsi. Guardarono un’ultima volta Iliana per poi decidere di riprendere il loro cammino. Allontanarsi era più difficile del previsto, sembrava avere i piedi di piombo. A ogni passo si sentiva sempre più pesante e non riusciva ancora ad accettare tutto questo, ma il pensiero del padre la aiutava a sforzarsi ad andare avanti. Dopo qualche minuto di silenzio, Ines si decise a parlare: «Dev’essere questo il peccato di cui parlava la Sabia Sibilla. Se sono già passati quattordici anni, significa che la prima volta l’ha fatta franca. Aveva rischiato moltissimo sette anni fa e stanotte ha deciso di rifarlo. Al diavolo non dev’essere piaciuto molto e sarà difficile riuscire a persuaderlo.» Eppure davanti a Nora era sempre felice e tranquillo, non si era mai mostrato triste davanti a lei. Era sempre lui a consolare la figlia quando piangeva dal dispiacere di non poter vedere o parlare con la mamma. Le tirava sempre su il morale quando invece lui era a pezzi e neanche poteva sfogarsi. Non osava immaginare quanto potesse aver sofferto durante tutti questi anni per aggrapparsi in quel modo allo spirito della moglie che neanche lo riconosceva.
Prese per mano la jana e si mise a pensare ad un modo per convincere il diavolo a lasciar andare suo padre. Ormai si trovavano al di fuori della foresta e potevano vedere le vaste pianure illuminate dalla luce della luna. Numerosi puntini luminosi si alzarono in volo circondando Ines e Nora. «Non ho mai visto così tante lucciole in vita mia!» esclamò la ragazza guardandosi attorno. Riusciva a stento a credere che tutto ciò fosse naturale e non frutto di qualche magia. Le brillavano gli occhi tanta era la meraviglia che provava guardando quei piccoli insetti danzare attorno a lei come leggiadre ballerine luminose. L’erba, gli alberi e i fiori erano invasi da lievi luci gialle e a Nora sembrava di essere entrata in una fiaba. Ines la guardava sorridendo, felice di vederla un po’ più tranquilla. Pensava ancora a quanto somigliasse a Iliana quando aveva la sua età e più che madre e figlia sembravano sorelle. Guardò le lucciole pensierosa ed era quasi sicura che era stata la sua amica a farle incontrare. Il momento in cui incontrò Nora, si trovava fuori per puro caso. Qualcosa dentro di lei le aveva detto di uscire dalla domus, proprio come accadde la notte che incontrò per la prima volta Iliana. Quest’ultima non solo non aveva mai lasciato la figlia da sola, non lo aveva fatto neanche con Ines e quasi sicuramente aveva fatto in modo che si incontrassero affinché la figlia potesse vedere con i suoi stessi occhi quello che aveva vissuto prima della sua nascita. La giovane jana promise a se stessa che più tardi si sarebbe presa del tempo per raccontarle ancora di quando erano piccole come lei, avrebbe risposto a tutte le sue domande sul suo mondo e su sua madre. Non poteva però concentrarsi su questo ora, dovevano fare di tutto per ritrovare Antonio. «Le lucciole stanno andando via, forse dovremmo andare anche noi.» Nora la risvegliò dai suoi pensieri. Proseguirono il loro cammino e si allontanarono dalle luci immergendosi nuovamente nel buio. A poca distanza da lì videro un enorme albero di fichi sotto al quale sembrava esserci qualcuno che dormiva. Si avvicinarono con cautela e con non poca sorpresa si accorsero che entrambe conoscevano quell’uomo. Il padre di Nora si trovava a un palmo dal suo naso e non riusciva a credere di averlo trovato. Forse il diavolo non era riuscito a prenderlo e si era perso finendo
per addormentarsi lì. Ines lo svegliò scuotendolo piano e Antonio quasi balzò in piedi. Nora non ci pensò due volte e lo abbracciò forte felicissima di averlo ritrovato, ma la reazione del padre la lasciò interdetta. Si liberò dal suo abbraccio e disse incamminandosi: «Meglio tornare a casa, si è fatto tardi.» Tutto qui? Dopo aver rischiato la pelle per andare a cercarlo ed aver attraversato l’intero bosco non era minimamente preoccupato per lei? Non solo quello le sembrava strano ma non aveva né rivolto la parola a Ines né l’aveva guardata ed era sicura che lui fosse capace di vederla dato che i due si conoscevano bene. Entrambe lo seguirono mentre lui camminava a passo svelto fra gli alberi. «Non sei contento di vedermi? O arrabbiato?» chiese la ragazza che a stento riusciva a stargli dietro. Antonio sembrava confuso da quella domanda: «Devi essere molto stanca, lascia perdere quella» disse riferendosi ad Ines «e torniamo a casa.» Non conosceva quel bosco ma era certa del fatto che quella non fosse la strada di casa. Subito dopo Nora sentì la stanchezza piombarle addosso come un macigno e il cuore ricominciò a battere all’impazzata. Non riusciva neanche più a guardarlo negli occhi, era terrorizzata e confusa. Non capiva cosa stava succedendo e Antonio si comportava in modo strano. Poi la jana la tirò dietro di sé e con delle semplici parole lasciò l’uomo spiazzato:«Togliti le scarpe.»
f Capitolo 5
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L
a ragazzina si ricordò improvvisamente le parole della Sabia Sibilla a cui forse non aveva prestato abbastanza attenzione. Ines era livida di rabbia, non l’aveva mai vista così. Aveva lasciato la ragazzina affrontare la koga ma questa volta si era messa in mezzo proteggendola con il suo stesso corpo. Ricordava di aver letto che i due torti più gravi che si possono fare ad una jana sono proprio rubare il loro tesoro e ingannarle. E se le fate sarde erano conosciute soprattutto per la loro gentilezza, questa volta Ines la stava mettendo da parte. Antonio, o quello che ne aveva preso le sembianze, indietreggiò appena cercando di evitare lo sguardo della donna non sapendo né cosa fare né come rispondere. «Non te lo sto chiedendo, togliti le scarpe.» ordinò. L’altro sembrò pietrificarsi e, come un bambino che viene sgridato dalla madre, eseguì l’ordine in silenzio e levò quindi gli scarponi. Con neanche troppa sorpresa notarono che al posto dei piedi aveva degli zoccoli. L’uomo poi cambiò forma prendendo le sue vere sembianze. Era più basso di Nora e il suo aspetto era tutt’altro che spaventoso, quasi gli faceva pena. «Non ho mai visto un maskinganna così terribile, Drullio.» disse Ines incrociando le braccia ancora stizzita. Un maskinganna era un demone che si divertiva a prendersi gioco dei malcapitati prendendo sembianze di animali o persone ma, come disse la jana più anziana, i piedi sono l’unica parte che non cambia aspetto e una volta smascherati di solito hanno più paura loro della vittima stessa. Era come se stessero guardando un ragazzino con indosso un costume da caprone. Ines aveva pieno potere su di lui: non solo lo aveva smascherato ma sapeva il suo nome. Prima che Nora potesse chiedere se si erano già incontrati, la jana parlò ancora: «Sono certa del fatto che non sia stato tu a prendere Antonio. Che si sia perso nel bosco? Non c’è nessun demone così forte da poter ingannare un uomo troppo a lungo, questo è risaputo visto quanto mi ci è voluto per capire che eri tu.» Drullio sembrava bollire fra vergogna e rabbia, ma era proprio questo l’obiettivo della donna. Il maskinganna sogghignò:«Olla di certo non lascerà andare uno come lui. Sono già lontani e per voi sarà impossibile persuaderlo.» La jana sembrò soddisfatta della risposta e il demone si accorse del prezioso indizio che si era lasciato sfuggire e guardò Ines con stupore per quanto sciocco era stato. «Monte Arquerì, non possiamo sbagliare. Siamo sulla strada giusta, basterà uscire da questo bosco. Ora và, per questa notte hai creato abbastanza scompiglio.» disse guardando Drullio che scomparve nel buio con la coda fra le gambe. Uscirono nuovamente dalla foresta e si ritrovarono davanti a un sentiero che conduceva ad un particolare monte di cui già si potevano intravedere le crepe profonde 26
che avrebbero condotto la ragazza direttamente dal diavolo in persona. Ines si fermò all’inizio del sentiero:«Vorrei tanto poterti accompagnare di persona ma dobbiamo separarci. Il sole sorgerà a momenti e se mai dovessi ritrovarmi esposta alla luce del giorno..» Nora la interruppe:«La tua pelle si trasformerebbe in carbone, lo so.» sorrise appena per tranquillizzarla «Ce la posso fare, Ines. Hai fatto abbastanza per me.» La jana la strinse in un caldo abbraccio e quasi veniva da piangere a entrambe. Si abbassò all’altezza della ragazza e le baciò una guancia per poi guardarla come se stesse per lasciar andare la cosa più preziosa del mondo. Entrambe avrebbero voluto restare lì un po’ più a lungo, parlare ancora, ma non c’era più tempo. Ines le infilò in tasca un sacchettino grande quanto la sua mano:«Usali in caso Olla sia troppo difficile da persuadere, ma stai attenta a cosa chiedi, intesi? Sei più forte di quanto credi, Nora..proprio come tua madre. Sono sicura che in questo momento sarebbe tanto orgogliosa quanto lo sono io. Ci rivedremo un’altra volta, ho ancora tante cose da mostrarti.» la strinse ancora al petto. «Grazie per tutto quello che hai fatto per me e per mamma. Grazie per avermi permesso di conoscerla tramite i tuoi ricordi, sono certa del fatto che ti voleva un gran bene e che ancora te ne vuole tantissimo. Sono sicura che mio padre si ricordi ancora di voi e farò di tutto per venire a trovarvi, devo ringraziare di persona anche la Sabia Sibilla per avermi aiutata. Non so come avrei fatto senza di te e ti sarò grata a vita per avermi accompagnata fin qui.» era come se un macigno si fosse poggiato sul petto di Nora. Era difficile voltarsi e allontanarsi da Ines, sentiva che i suoi piedi erano come incollati al terreno mentre dentro di lei cercava le forze per muovere anche solo un passo. La jana la fece voltare e poggiò una mano sulla sua schiena spingendola gentilmente. L’ultimo aiuto che avrebbe ricevuto da lei quel giorno. Nora quindi cominciò a salire per il sentiero e a ogni passo il macigno si faceva sempre più pesante. Il sole stava quasi per sorgere, il cielo si era schiarito. Arrivata a metà strada si voltò per guardare Ines ancora una volta e sembrò volesse dirle qualcosa e, nonostante non riuscisse a sentire la sua voce, capì le parole più importanti:«Non dimenticarmi» Queste furono le ultime parole che Ines le rivolse.
La ragazza le sorrise e in un battito di ciglia la jana scomparve nel nulla. Non vi era più traccia di lei. Mai e poi mai avrebbe potuto dimenticarla. Versò tutte le lacrime che le erano rimaste, pianse così tanto che non riusciva neanche a vedere la strada davanti a sé, ma continuò il suo cammino. Arrivata ai piedi di una delle crepe del monte Arquerì, una folata di vento sembrò accarezzarle il viso asciugandole le guance. Qualcuno le stava dando forza da lontano, forse la Sabia Sibilla, forse Ines o la mamma. Probabilmente tutte loro le stavano trasmettendo il coraggio necessario per affrontare qualcosa che, ancora una volta, era più grande di lei. Fece un lungo respiro ed entrò. Man mano che scendeva iniziava a sentire dei lamenti. Scese ancora più in basso. Le grida strazianti dei condannati le riempirono la testa e a malapena riusciva a sentire i suoi stessi pensieri. Il solo pensare che una di quelle grida poteva appartenere a suo padre, la faceva stare ancora peggio. Quel posto era invaso da sensazioni e suoni orribili, chissà quali orripilanti creature si nascondevano in quelle gole che sembravano arrivare sino al centro della terra. Tutto era illuminato da una lieve luce calda che sembrava provenire direttamente dalle fiamme che molto probabilmente si trovavano alla fine di quella stradina. Le urla strazianti e le grida che quasi sembravano disumane, erano sempre più forti e dovette tapparsi le orecchie per riuscire a proseguire. Il cuore le batteva all’impazzata e cercava di scendere alla svelta. Un metro, due, tre, sembravano diventare chilometri. Poteva sentire il calore del nucleo della Terra, era come averlo proprio sotto ai piedi. Forse erano passati minuti, forse ore. Aveva perso la cognizione del tempo e se provava a voltarsi indietro, non riusciva neanche più a vedere l’uscita. Solo in quel momento si rese davvero conto di star entrando nella dimora del diavolo. Aveva quasi perso tutte le sue forze quando si accorse che le calde pareti stavano iniziando ad allargarsi sino ad aprirsi in un’enorme grotta. Al centro vi era una voragine dal cui interno si innalzavano delle potenti fiammate che illuminavano tutto intorno. Una voce riecheggiò nella caverna:«Ti stavo aspettando.» Dei brividi le corsero sulla schiena sino ad arrivare alla nuca. Era una voce terribile che le scosse ogni osso che aveva in corpo. Un senso di angoscia la pervase e sentiva il bisogno di urlare più forte che poteva. Non sapeva neanche lei come riusciva a stare così calma. Si guardò attorno in cerca del diavolo e su una delle pareti notò con non poco terrore un’enorme ombra che si estendeva sempre più minacciosa. La stava raggiungendo. Si infilò una mano in tasca e strinse il sacchettino che le aveva dato Ines. Il diavolo Olla emerse dalle fiamme: «Sapevo che saresti venuta a riprendere tuo padre, ma il tuo è stato un viaggio inutile. Resterà qui sino alla fine dei suoi giorni per essere stato così egoista ancora una volta. Non ha imparato la lezione sette anni fa, non vedo perché dovrebbe riuscirci adesso. Vattene se non vuoi fare la sua stessa fine.» Ma Nora sapeva che avrebbe potuto far ragionare il padre:
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«Ho fatto tutta questa strada ormai, almeno permettimi di parlargli!» Il diavolo la squadrò da testa a piedi e scomparve inghiottito dalle fiamme. Dopo neanche una decina di secondi risalì dalla voragine buttando fuori anche Antonio. La ragazza lo guardò: sembrava invecchiato di almeno dieci anni. Le sembrava così stanco e senza speranze che le ci volle un po’ per riconoscerlo. Il padre aveva lo sguardo vuoto e fisso a terra, non aveva il coraggio di guardarla. Nonostante passò anni a preparare e provare ogni metodo possibile per proteggerla dalle streghe, dal diavolo e da tutte le entità malvagie affinché non perdesse anche lei, fu lui stesso a metterla in pericolo. Si vergognava così tanto di mostrarsi a lei in quello stato e si sentiva in colpa per aver agito alle sue spalle facendole credere che suo padre era perfetto, che tutto stesse andando bene. Nasconderle la verità su ciò che succedeva dentro e fuori dal bosco non era servito a niente, anzi, forse aveva peggiorato le cose. Non aveva neanche più lacrime da versare, si stava semplicemente arrendendo. Non riusciva a trovare le forze per riemergere dal buio in cui era sprofondato sempre di più negli ultimi anni, ormai non vedeva più una via di fuga, un’uscita.
f Capitolo 6
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P
« atetico.» disse il diavolo con disprezzo «E pensare che la prima volta ti ho lasciato andare. Come puoi pensare di proteggere tua figlia e prendertene cura se non lo sai fare neanche con te stesso?» Quelle parole continuavano a trafiggergli il petto, era come sentire a voce alta i suoi stessi pensieri e Antonio si sentiva sempre più in colpa. Si era creato un peso su di lui che non riusciva più a sostenere da solo. Aveva cercato di soffocare, mascherare la sofferenza per mostrare a Nora una falsa felicità solo per non renderla partecipe di quel dolore. Immaginava la delusione della moglie nel vedere tutto quello che stava succedendo e questo lo faceva sprofondare ancora di più nella vergogna. Quel fiume di pensieri venne fermato proprio dalla figlia. Lo stava abbracciando così forte che quasi gli faceva male. Prima che lui potesse scusarsi, Nora iniziò a parlare di come durante tutti questi anni non lo aveva mai visto piangere davanti a lei, né le aveva mai parlato di quanto stesse male. «Non puoi stare aggrappato ad una pana, non ti vedrà mai come ti vedeva prima. È stato difficile anche per me ritrovarmela davanti e non poterle neanche parlare o toccarla. Per la prima volta ho visto mamma e l’unica cosa che ho potuto fare è stata piangere e gridare perché Ines mi ha dovuta trascinare via. Se fossi stata da sola in quel momento, probabilmente non sarei mai arrivata qui.» prese il viso del padre affinché potesse guardarla negli occhi «Se non fosse per l’aiuto delle janas, stanotte avresti perso anche me. Ma lo avrei fatto pur di trovarti e riportarti a casa. Ho accettato l’aiuto di Ines perché sapevo che da sola non ce l’avrei mai fatta e nonostante tutto non mi sono mai sentita una codarda per questo. Mi ha insegnato che chiedere aiuto o accettarlo richiede un grande coraggio. Coraggio che forse non sei riuscito ad avere in tutti questi anni ma ormai non si torna indietro. Per quanto mi faccia ancora più male dire questo ad alta voce, niente e nessuno riporterà mamma da noi. Gli spiriti come lei vanno liberati, non condannati per il nostro egoismo. Sei finito qui per averla fatta dannare per altri sette lunghi anni e non oso immaginare quanto dev’essere frustrante. Ma parlarne» venne interrotta dal padre che finalmente si decise a guardarla «Parlarne non servirà a dimenticare quello che è successo» anche la sua voce suonava insicura e tremava. Mai lo aveva visto così vulnerabile. Era come vedere una solida montagna sgretolarsi davanti ai suoi occhi e lei poteva solo restare a guardare, giusto? Sbagliato. 33
Nora era fortemente convinta di poter fare ancora qualcosa. «Nessuno potrebbe mai dimenticare cosa è successo, ma parlarne aiuterebbe tutti noi ad accettarlo. Non sto dicendo che passerà tutto con una chiacchierata, ma stare zitto per tutti questi anni ti ha portato a questo e fare il contrario non potrà di certo peggiorare la situazione. Dovresti vedere il modo in cui Ines parla di lei..era come se fosse ancora lì al suo fianco, come se non avesse mai lasciato quel bosco. Riportare alla luce i bei ricordi che ha di lei mi ha aiutata a conoscerla un po’ di più. Mamma non vorrebbe che tu stessi così, lo sai meglio di me.» Antonio le prese le mani e le accarezzò piano continuando ad ascoltarla. Anche il diavolo si era ammutolito affascinato dal modo in cui Nora parlava pur essendo così piccola. «Ha scritto tutti quei libri su ciò che si cela nelle nostre foreste, sono sicura che le farebbe piacere se tu mi insegnassi tutto quello che sai. Lo so che non hai davvero dimenticato quello che avete visto, janas comprese. Sembrano conoscervi da tanto tempo, la Sabia Sibilla vegliava anche su di te e sai che per loro significa tanto. Non posso vivere rinchiusa fra quattro mura, mi sento soffocare, mi sento come se fossi esclusa dal mondo esterno. Mi vuoi proteggere e questo lo apprezzo, ma cosa succederà quando crescerò e dovrò badare a me stessa? Perché devo sempre dipendere da qualcuno? Se mi vuoi proteggere, insegnami come posso farlo da sola, insegnami ad essere forte come lo sono stata oggi. Ho bisogno di conoscere nuove persone, di vedere ancora Ines perché..» la sua voce si spezzò e si rese conto che delle lacrime stavano scivolando sul suo viso da un bel po’. Se già non era facile pensare a tutte queste cose, dirle a voce alta le faceva capire a pieno come si sentiva. Tremava come una foglia e cercava di fare lunghi respiri per calmarsi ma Antonio finì per lei:«..perché hai paura di restare da sola?» Scesero ancora più lacrime. Ora sapeva come si era sentito il padre nonostante ci fosse sempre lei al suo fianco. Una sensazione di solitudine che non va via neanche quando si è circondati da una folla di persone. Antonio, se possibile, si sentì ancora più in colpa a vederla così. Avrebbe dovuto aiutare sua figlia a crescere e superare anche questo insieme, ma era praticamente cresciuta da sola e sembrava lei l’adulta in quel momento. Stava cercando con tutte le sue forze di fargli comprendere tutti gli errori che aveva commesso senza buttarlo giù ancora di più. Nora si alzò in piedi e guardò Olla che per tutto quel tempo era rimasto a guardarli:«Libera mio padre, ti prego.» Il diavolo però scosse la testa impassibile:«Pensi che quattro parole riescano a convincere quest’uomo? Non lo ha capito la prima volta, né la seconda e allora perché dovrebbe funzionare alla terza?» poi guardò lui «Ti senti pronto a lasciare lo spirito di tua moglie?» Distolse lo sguardo e Nora sentì che quello che aveva detto non era abbastanza. Prima che il diavolo potesse riprendere, disse:«Sono certa che mio padre possa riuscirci.» Olla rise come se la ragazza avesse appena detto la barzelletta più divertente che avesse mai sentito:«Riponi troppa fiducia in uno come lui, ne rimarrai delusa ancora una volta. Cosa ti fa credere che questa volta starà alla larga da Iliana?» «Correrò il rischio» rispose Nora «per lui sarà difficile resistere, ma mio padre non è da solo.» gli strinse una mano e finalmente Antonio si tirò su. 34
Sapeva che poteva aiutarlo, sapeva che avrebbero superato tutto questo. Purtroppo, però, il diavolo non era facile da convincere e persuadere, come aveva detto Ines. Pensando a lei, Nora si ricordò del sacchettino che le aveva dato prima di andarsene e infilò una mano in tasca: era ancora lì. Lo tirò fuori, lo aprì e capì che era arrivato il momento di stringere un patto, ma anche se il contenuto del sacchetto avrebbe fatto una grossa differenza, doveva comunque pensare bene alle parole che avrebbe detto ad Olla. Svuotò il contenuto sulla propria mano e la porse al diavolo:«Facciamo un patto.» gli occhi della creatura brillarono alla vista di quei sette chicchi di melograno. Aveva catturato la sua attenzione come sperava. «Ti porgo questi per stipulare il nostro patto. Lascerai andare me e mio padre, io mi assicurerò che non faccia niente di pericoloso che possa disturbare lo spirito di mia madre e fra sette anni esatti ci rivedremo al fiume per dimostrarti che avremo tenuto la promessa.» Sembrava finalmente ammorbidirsi un po’ alla vista di quel frutto e con riluttanza si vide costretto ad accettare:
«Ma se oserà farlo ancora, sarete entrambi condannati.» Nora annuì e lasciò che il diavolo prendesse i chicchi di melograno. Le fiamme della voragine si alzarono e Olla li guardò un’ultima volta:«Andatevene e non commettete altri errori o verrò a cercarvi. Sapete di non potervi nascondere.» non aspettò neanche una risposta e si immerse fra le fiamme sparendo insieme ad esse. Dopo quelle che sembrarono ore, riuscirono finalmente ad intravedere la luce del sole. Era pieno giorno quando raggiunsero l’uscita. Scesero il sentiero in silenzio, entrambi stavano ancora metabolizzando cosa era successo. Nora non poteva credere di essere davvero riuscita a liberarlo. «Mi dispiace» Antonio ruppe il silenzio «ho fatto così tanti sbagli che non so come tu sia riuscita a perdonarmi.» «L’importante è accorgersi di aver sbagliato e cercare di non commettere gli stessi errori, no? Non lo hai fatto per fare del male a me o a mamma, volevi solo passare altro tempo con lei e lo capisco. È stata sicuramente un gesto da egoista, ma te ne sei reso conto, insomma..meglio tardi che mai.» rispose. Il padre sorrise e questa volta lo fece spontaneamente:«Grazie.» Una semplice parola che bastò a Nora per sentire un peso sparire dal suo petto, uno dei tanti che si erano creati quella notte. Si presero per mano e attraversarono il bosco. Era strano ripercorrere quel tragitto alla luce del sole, ma era ancora più strano non farlo con Ines. Erano passate solo poche ore ma avrebbe voluto raggiungerla e raccontarle cosa era riuscita a fare e ringraziarla ancora. Guardarono il fiume dove entrambi avevano visto Iliana ma in quel momento non vi era alcuna traccia di lei, decisero in silenzio di non fermarsi. Passarono anche per la radura dove Nora era stata attaccata dalle due kogas ma non era rimasto niente di loro o del calderone, né delle loro erbe e unguenti. Quello della notte precedente sembrava un sogno, ma era sicurissima del contrario. Non riuscì ad individuare la domus in mezzo alla boscaglia e forse era la cosa che più le dispiaceva. Uscirono dal bosco e nel paesino non si vedeva ancora nessuno, era ancora troppo presto. Andarono dritti a casa e chiudersi la porta alle spalle non sembrava vero, ma purtrpppo non era finita. Avevano una promessa da mantenere e se uno dei due avesse commesso anche un solo piccolo sbaglio, sarebbero finiti in mezzo alle fiamme del diavolo.
f Capitolo 7
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E
rano quasi passati sette anni esatti e non avevano ancora infranto la promessa anche se più volte c’erano andati vicini durante i primi anni. Nora aveva deciso di andare a vedere la madre ogni sera insieme a suo padre e aveva avuto modo di parlare di più con lui, ascoltando con attenzione i bei ricordi che aveva di Iliana. Era davvero dura vedere sua madre ma non poterle parlare, eppure si sarebbe sentita peggio se fosse rimasta a casa e pensava a quanto potesse sentirsi sola mentre scontava i suoi anni in quel posto buio e freddo. Dunque, restando a debita distanza, lei e Antonio si sedevano sull’erba e restavano ad osservarla e a parlare a voce bassa per tutta la sera, stando ben attenti a rientrare prima di mezzanotte perché chissà quali altre creature poteva ospitare quel bosco. Eppure, in tutti questi anni, non aveva più rivisto Ines, la Sabia Sibilla o qualsiasi altra janas. Nemmeno le kogas erano riapparse, né qualche maskinganna aveva cercato di fare loro qualche scherzo, ma si sentivano sempre osservati. Forse era il diavolo che li teneva d’occhio? Chiunque fosse, la ragazza non aveva intenzione di rompere il patto e questa volta anche suo padre era determinato a liberare Iliana dalle sue sofferenze. Ogni tanto si chiedeva se lo avrebbe mai perdonato per quello che le aveva fatto. Nora non rimaneva più chiusa in casa e ogni tanto si inoltrava nel bosco nella speranza di incontrare Ines ma non accadde mai, non trovò più neanche la domus. Non è facile trovare le fate sarde, tanto meno se l’unico momento in cui le si può incontrare è di notte. Più si avvicinava il suo ventunesimo compleanno e più si rendeva conto di quello che stava per accadere e si domandava se fosse stata una terribile idea andare a trovare la madre ogni sera dato che, molto probabilmente, dopo sarebbe stata
ancora più dura lasciarla andare. Quei pensieri, però, sparivano appena la vedeva. Era sempre uguale, anche i suoi movimenti, sembrava come guardare ogni giorno la stessa scena, ma né a lei né ad Antonio dispiaceva. Volevano entrambi essere certi di non scordare quel viso. Aveva anche perso su kokku, erano anni che lo cercava ma con scarsi risultati. Ricordava di aver messo i pezzi in tasca dopo essersi scontrata con la kogas per l’ultima volta, eppure quando tornò a casa non lo trovò più. Ripercorse di giorno la strada che portava al fiume più e più volte ma sembrava sparito nel nulla. Si sentiva così triste ad aver perso quel prezioso amuleto che non riuscì a perdonarselo. In compenso aveva ancora il sacchettino che Ines le aveva dato e se all’inizio pensava semplicemente di custodirlo con cura nella sua stanza, parlando con il padre decise di utilizzarlo per qualcos’altro. Le raccontava sempre di come Iliana avesse lo stesso profumo del ginepro perché passava molto tempo nel bosco e tornava sempre a casa con qualche ago impigliato fra i capelli e anche dopo averli lavati più e più volte, sembrava che la sua stessa pelle avesse assorbito quell’essenza. Antonio si era così abituato a sentirlo che non ci fece più caso se non quando lei venne a mancare e così anche il suo profumo. Nora, quindi, decise di riempire il sacchetto di aghi di ginepro così da poter sempre sentire la mamma vicina anche quando non si trovava nella foresta. Ogni tanto lo svuotava dagli aghi ormai secchi e ne raccoglieva altri per riempirlo nuovamente. Così fece anche quando, la sera prima del suo ventunesimo compleanno, si ritrovò a percorrere la solita strada. Svuotò il sacchetto all’uscita del paese e, insieme al padre, si incamminarono verso il fiume sapendo che questa volta sarebbe stata l’ultima.
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Arrivarono davanti al fiume e mancavano solo dieci minuti alla mezzanotte. Si sedettero sull’erba come al solito, ma questa volta nessuno dei due parlò. Era un silenzio pesante e Nora sapeva che suo padre stava iniziando a pensare troppo. Gli strinse una mano per fargli capire che, anche se era faticoso, lei era comunque lì con lui. «Pensa a come si sentirà meglio fra poco, sarà finalmente libera di poter tornare a casa ogni tanto e venirci finalmente a trovare, no?» gli disse. Il padre rise appena: «Quindi sarà il suo turno? Di tormentarci, intendo. Magari non ne può più di vederci ogni sera.» Sentirlo scherzare un po’ la tranquillizzava, sapeva che ce la stava mettendo tutta per pensare positivo. «Metterà aghi di ginepro ovunque dopo questa giornata.» disse. Antonio la guardò sollevando un sopracciglio: «Succede già per colpa tua, anche in questo siete uguali.» e Nora rise cercando di contenersi per paura di disturbare Iliana, ma la sua risata si fermò quando notò degli occhi che brillavano nel buio poco distanti da loro. Il padre seguì il suo sguardo e abbassò il tono della voce:«Olla di certo non si è dimenticato del patto.» Ebbene sì, non erano soli. Avrebbe voluto che anche Ines potesse vedere Iliana per l’ultima volta ma non vi era traccia delle janas. La sua attenzione fu attirata dallo spirito della mamma che per la prima volta si alzò in piedi stringendo il panno che era finalmente diventato di un candido bianco. Guardò verso Antonio e Nora, era la prima volta che i loro sguardi si incrociavano e rimasero spiazzati, non sapendo neanche loro cosa fare. La donna sorrise dolcemente quasi come a ringraziarli per aver atteso sino alla fine insieme a lei per poi svanire nel nulla. «Ce l’ha fatta..» disse Nora che quasi non ci credeva, era finalmente libera. Guardò ancora gli occhi del diavolo che ora erano puntati su di loro ma né lei né il padre avevano più paura. Sparì anche lui nel buio. Il sorriso della madre le rimase impresso nella mente anche se durò pochissimi secondi, era sicura che non lo avrebbe mai scordato. Il padre la prese per mano e si misero in cammino per tornare al paese. Quel peso che avevano avvertito negli ultimi sette anni stava lentamente scomparendo. Arrivati a casa appuntò su un foglio tutto quello che era successo quella notte. Nora sapeva che la gente stava dimenticando gli spiriti e le creature sarde e per impedirlo decise di seguire le orme della madre iniziando a scrivere anche lei tutto quello che le era accaduto cercando di non tralasciare alcun dettaglio. C’era così tanto da raccontare che era quasi riuscita a racchiudere tutto in un libro non senza l’aiuto di suo padre. Quella notte Nora si ricordò di dover riempire ancora il sacchetto che teneva in tasca e quando decise di tirarlo fuori, 39
sentì che dentro c’era qualcosa. Era certa di averlo svuotato prima di inoltrarsi nel bosco, perciò lo aprì con cautela pensando che qualche insetto si fosse infilato al suo interno, ma con sua grande sorpresa conosceva benissimo l’oggetto che trovò dentro: era proprio l’amuleto. Se l’ultima volta l’ossidiana si era spaccata in mille pezzi, questa volta qualcuno li aveva perfettamente riattaccati riempiendo le crepe con dell’oro e l’unica persona in grado di fare una cosa del genere, era Ines. Neanche il tempo di elaborare quello che era successo che un forte rumore la fece sobbalzare: la finestra si era spalancata di colpo a causa del vento che portò dentro un leggero profumo di ginepro. Guardò subito fuori e quasi giurò di aver sentito qualcuno chiamarla per tre volte.