Fiore la strega_ Sara Ninniri

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FIORE LA

STREGA






FIORE LA

STREGA Sara Ninniri


Questa storia comincia con una fuga, una di quelle che stringono il cuore. Non temete il lieto fine ci sarà, ma dovremo pazientare un po’ per arrivarci.

La nostra fuggitiva si chiama Fiore. Viveva in un villaggio ai piedi di una foresta composta da alberi centenari e la sua vita era semplice ma felice: passava le giornate arrampicandosi, correndo a piedi nudi o giocando a nascondino assieme agli altri bambini. Trovava sempre i punti più inaspettati in cui nascondersi, era il suo gioco preferito ma purtroppo anche uno dei motivi per cui sua madre la rimproverava spesso, non potendo sopportare di avere una casa e soprattutto una figlia imbrattate di terra. 6



Fin qui tutto bene, penserete. È la storia di una bambina vivace, perché sarà dovuta scappare? È importante sapere che gli abitanti del villaggio di Fiore avevano una caratteristica che in comune: odiavano le streghe, e per loro chiunque poteva esserlo: un guaritore, un indovino… ogni persona un pò fuori dal comune veniva tacciata di stregoneria e allontanata seduta stante. «Riconoscere una strega? Facilissimo!» Spiegava qualche saggio «Ha squame su tutto il corpo.» «Ma che dici!?» ribatteva uno «Le streghe si riconoscono perchè hanno canini grandi quanto la mia mano!» «Ma no! Basta guardarle fisse negli occhi, hanno pupille affilate come quelle di un gatto.» Obiettava un altro. Insomma sul loro aspetto nessuno era mai d’accordo, ma di una cosa erano assolutamente certi: la magia era pericolosa e proibita. Purtroppo per lei anche Fiore era una strega (o perlomeno aveva poteri fuori dal comune), lo scoprì un giorno per puro caso. Mentre giocava vide cadere un vaso che sicuramente sarebbe andato in mille pezzi e istintivamente urlò “fermati!”... e quello obbedì, rimanendo sospeso a mezz’aria, per poi posarsi intatto a terra. Fiore iniziò a pensare che presto le sarebbero comparsi segni evidenti sul corpo e se l’avessero scoperta, lei e la sua famiglia avrebbero rischiato la pellaccia, non c’era più posto per lei! Afferrata la borsa e scritta una lettera d’addio, fuggì nel cuore della notte, salutando silenziosamente tutto ciò a cui teneva. Giurò a sé stessa che non avrebbe detto a nessuno cosa era realmente, neanche sotto tortura, così cominciò la sua avventura.

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Per diverso tempo Fiore vagò senza meta, spostandosi da un paesino ad un altro, guadagnando qualche moneta aiutando chiunque si trovasse in difficoltà. Una sera stava cercando un luogo dove fermarsi per la notte quando un temporale improvviso la spinse a cercare riparo presso una torre altissima, così alta che non riusciva a vederne la cima. Una porticina si aprì di scatto e un profumino la invitò a entrare, incuriosita e mossa anche da un pò di fame si spinse a salire una scala che sembrava infinita. Arrivò a fatica all’ultimo piano, e si trovò davanti all’ingresso dell’unico appartamento dell’edificio. Entrò, il pavimento era freddo e coperto da una strana polvere che ostinatamente le si attaccava ai piedi, in fondo alla stanza spiccava una porta d’ottone, materiale insolito per una porta.


All’improvviso sentì una voce fredda e imponente, che risuonò per tutta la stanza: «Dimmi il tuo nome e cosa cerchi in questa casa!» «Mi chiamo Fiore» replicò timidamente «fuori piove a dirotto e non ho un posto dove andare. È tanto che cammino, sono stanca e affamata… per favore, mi faccia riposare qui stanotte.» «Per caso ti sei persa? Oppure sei scappata?» Domandò la voce, ma la bambina era troppo infreddolita per dare una risposta. «Mi sembra di capire che hai davvero bisogno di una mano, per questo ti propongo un patto: potrai rimanere qui quanto vorrai però in cambio dovrai lavorare per me. Ti chiedo solo di cucinare e pulire, nulla di più. Potrai fare ciò che vorrai ad una condizione: ti è proibito entrare nella mia camera, nemmeno per le pulizie, è chiaro?» Fiore non aveva intenzione di diventare la domestica di qualcuno, ma era stanca di viaggiare e non avendo nessuno su cui contare, era completamente sola. Temeva di perdere la propria libertà tuttavia, anche se a malincuore, decise di accettare l’offerta.


Fiore iniziò così uno strano sodalizio, con una donna che non poteva neanche vedere. Solo dopo alcuni giorni riuscì a farsi dire il suo nome: si chiamava Delia. Per lei spazzava, puliva e preparava da mangiare. Si chiedeva spesso come fosse l’interno di quella camera nella quale non poteva entrare e un paio di volte aveva provato a sbirciare dalla serratura, ma non era riuscita a vedere niente, solo una totale oscurità. Allora aveva provato a chiedere alla donna, ma come risposta aveva ricevuto solo rimproveri: «Ma quanto siamo curiosi, un brutto vizio che non ho mai sopportato! Odio le persone che non stanno al loro posto, quindi torna a lavorare!»




Fiore scoprì presto che in quella casa, oltre a lei e a Delia, vivevano anche altre strane creature, le quali, fra l’altro, potevano entrare ed uscire liberamente da quella stanza che a lei era proibita. C’era un corvo dalle piume argentate... pareva l’orecchio di Delia! Oltre a disturbare la bambina col suo gracchiare, se a lei scappava un lamento a voce alta, lo riferiva subito alla padrona. Fiore cercava di trattarlo con gentilezza, anche se non provava simpatia per lui, aveva paura che le avrebbe fatto passare dei guai. Poi c’era Mano il muta-forma, il peggiore di tutti. Era sua la polvere scura che copriva il pavimento, tutto il suo corpo ne era composto. Poteva rimpicciolirsi e allargarsi a suo piacimento fino a rivestire completamente le pareti della casa. Fiore lo chiamava così perché era solito prendere le sembianze di una mano per afferrare il vassoio di cibo lasciato davanti alla porta. Certe notti strisciava fuori dalla camera posandosi silenziosamente sopra il letto della bambina, trascorrendo il tempo a fissarla. Quando accadeva, Fiore faceva incubi terrificanti.


La vita nella casa era dura, finite le faccende Fiore si rifugiava in balcone per pensare ai vecchi tempi. Ora che aveva un tetto sopra la testa, si sentiva più sola di quando si era trovata a vagare per i boschi, senza una meta. Certo sarebbe potuta scappare, ma per andare dove? Era gelosa degli uccelli che volavano felici, e liberi. Si sentiva un animaletto in gabbia, immaginava di avere le ali e di poter nuovamente viaggiare, rivedere i luoghi che amava e la sua famiglia.


Non riusciva a non pensare a quell’episodio che l’aveva costretta a scappare dal suo villaggio, così ogni mattina controllava che il suo aspetto fosse come sempre: denti, occhi, pelle, tutto doveva essere perfetto. Ogni tanto si chiedeva se avesse dovuto raccontarlo alla signora Delia il giorno del suo arrivo, ma all’inizio aveva avuto paura di non essere accolta, e adesso aveva paura che la mandasse via.

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Un giorno, finite le faccende, si affacciò dal balcone come al solito, quando vide qualcosa che la sconvolse! Rimase per un pò senza credere ai suoi occhi e provò persino a disegnare ciò che vedeva, ma l’emozione era troppa e non poteva tenerla solo per sé, così corse a bussare alla padrona di casa: «Signora Delia! La torre è circondata da pesci che volano come uccelli tra le nuvole, venga a vedere!» La donna rispose irritata: «Certo che racconti proprio strane storie, mi hai presa per stupida? Non sei solo una ficcanaso ma anche una bugiarda!» Bugiarda... Fiore non aveva mai detto una bugia in vita sua, era famosa per questo! E poi si era pizzicata le guance fin troppe volte per verificare se tutto potesse essere frutto della sua immaginazione.

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«Non è una bugia, ci sono davvero dei pesci che volano! Ho fatto anche un disegno!» Passato il foglio sotto la porta, tornò verso il terrazzo ad ammirare lo spettacolo: i raggi del sole colpivano le scaglie dei pesci, trasformandoli in un enormi arcobaleni vivente. Poi al tramonto, forse ormai stanchi, si tuffarono in mare schizzando di qua e di là, sparendo tra le onde. 19


Passò qualche settimana e dei pesci non c’era più alcuna traccia. «Che noia!» Sospirò Fiore una mattina «sarebbe bello poter organizzare una festa di tanto in tanto, proprio come quelle che facevo al villaggio!» Ma era sicura che non avrebbe mai convinto la padrona di casa a lasciarglielo fare, tanto meno a prenderne parte.

Il giorno seguente ci fu un altro strano episodio, che corse subito a riferire: «Signora Delia, un gruppo di Fate balla e canta a ritmo di musica e vogliono che ci uniamo a loro, esca dalla stanza e danziamo insieme.» Una fragorosa risata ruppe l’entusiasmo della bambina. Era il corvo, a cui piaceva dire sempre la sua: «Questa è buona! Piccoletta non hai visto come si muove questa qui, è come guardare un elefante camminare su una fune!» «Prepariamoci al terremoto!» Aggiunse Mano. Da parte di Delia non ci fu alcuna risposta, il che era strano, visto che con la bambina faceva spesso la voce grossa. Fiore le fece anche questa volta un disegno di quello che c’era fuori e, passato sotto la porta d’ottone, tornò dalle fate e ballò con loro fino allo sfinimento. 20


Mentre volteggiava, continuava a pensare a quello che il corvo e Mano avevano detto della loro padrona: non era la prima volta che la schernivano, ma non si spiegava perché lei non ribattesse mai! A Fiore non piacevano le ingiustizie. “Fossi al suo posto, avrei dato loro una bella lezione” pensava. Era tenuta prigioniera? Oppure temeva la luce del sole? Finalmente dopo l’ennesima piroetta la piccola Fiore puntò i piedi e con voce decisa espresse la sua decisione: «Convincerò la signora Delia a uscire da quella stanza, così anche lei potrà divertirsi insieme a me!»

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I giorni passavano, ed il mondo che circondava la casa continuava ad animarsi di tanto in tanto. Una volta Fiore si sentiva particolarmente sola, così le piante che si arrampicavano sulle pareti della torre diventarono enormi, avvicinandosi così tanto alla bambina che sembrava volessero rincuorarla e fare amicizia con lei. Per ringraziarle Fiore cucinò per loro delle buonissime frittelle.




Qualche tempo dopo la bambina si vide comparire davanti un daino enorme, alto quasi quanto il palazzo, quella volta un pochino si spaventò!


Sembrava che tutto il mondo si occupasse della solitudine di Fiore. Un giorno mentre leggeva un libro in terrazzo, improvvisamente i protagonisti della storia presero vita e, seppur per poco, le sembrò di avere di nuovo intorno i suoi amici. Le mancavano tutti terribilmente. Per Fiore non erano più coincidenze, ciò che pensava diventava realtà: erano i poteri che aveva rinnegato, i suoi poteri. Non riusciva ancora a controllarli, ma non erano pericolosi come le avevano raccontato per anni. Le davano sicurezza, tant’è che la notte non temeva più le visite di Mano, il quale era solito divertirsi tantissimo a guardarla dimenarsi tra le lenzuola, cercando di scappare dall’ennesimo incubo. Ormai controllava sempre più raramente il suo aspetto, sicura che non sarebbe spuntato nessun segno particolare.

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Il tempo passava, i disegni si accumulavano e Fiore ormai capiva di essere riuscita a rendere Delia sempre più curiosa. Che animali erano? Le piante erano tornate alla normalità? Aveva più visto le fate? Certe volte la donna rispondeva con altri disegni e quel piccolo gioco riempiva le tante ore di solitudine. La barriera formata dalla pesante porta d’ottone sembrava ogni giorno più sottile. A poco a poco la signora cominciò ad affezionarsi alla bambina e a raccontarle di come tanti anni prima amasse passare il tempo aspettando il tramonto che a volte era del suo colore preferito: l’arancione. «Se lei uscisse dalla stanza anche solo una volta, potrebbe divertirsi proprio come faceva prima!» Le ripeteva Fiore «Non si annoia a stare sempre dentro quella stanza, da sola? Il corvo e Mano non sono di grande compagnia!» Ma Delia rispondeva sempre di no: «Non me la sento» oppure «sai che non posso!» Ma perché non poteva? Cambiava sempre discorso di fronte a questa domanda.


Parlavano anche di magia. O meglio, era Fiore a parlarne. Delia stava spesso zitta ma la bambina aveva imparato a riconoscere la curiosità nei suoi silenzi. «Signora Delia, ha mai incontrato una strega in carne ed ossa?» le domandò la piccina una sera «Dalle mie parti sono viste come pericolose, ma secondo me non è così!» La donna non parlava, anche se Fiore sapeva che la stava ascoltando. «Mi chiedevo: e se fosse tutto un malinteso? Anch’io ne avevo paura fino a poco tempo fa, ma dopo tutti quegli strani episodi che le ho raccontato, la trovo una possibilità affascinante!» Nel frattempo aveva finito un altro disegno, lo passò sotto la porta e diede la buonanotte alla signora. «Vorrei incontrare una strega come me» sussurrò tra sé e sé prima di andare a dormire, sperando che il suo desiderio potesse esaudirsi al più presto.



Quella conversazione tenne Delia sveglia tutta la notte e così fu anche per molte notti seguenti. Era la prima volta che sentiva qualcuno difendere le streghe. Sempre più pensierosa, non ascoltava più le due creature, che continuavano invano a farsi beffa di lei. Se non reagiva che gusto c’era? «Non ti riconosciamo più, non fai altro che ignorarci! Siamo tuoi amici, lo sai che questi sono solo scherzi innocenti!» Tentavano di attirare la sua attenzione in tutti i modi, ma niente da fare. Delia continuava a fissare il mondo dalla serratura e la voglia di uscire cresceva.


Un giorno Fiore ebbe un’idea, così bussò come sempre alla porta della donna: «Signora Delia, questa volta sono sicura che vorrà vedere quel che c’è qua fuori. Non le dirò cos’è, ma è qualcosa che conosce e che ama tanto, me l’ha detto lei!» Questa volta Delia era decisa: a tutti i costi sarebbe uscita dalla stanza. Si sporse verso la maniglia ma ancor prima di poterla afferrare venne acciuffata da Mano, che espanse il suo corpo di polvere per tutta la stanza. Era talmente tanta da fuoriuscire da ogni fessura della porta, spaventando la bambina.


«Siamo stanchi di te e di quella mocciosa! Se non hai intenzione di ascoltarci, allora prenderemo noi il comando in questa casa!» gracchiò il corvo. Fiore tentò di aprire la porta, ma proprio in quel momento si alzò un vento fortissimo che la costrinse ad aggrapparsi alla maniglia con tutte le sue forze: se avesse mollato la presa, sarebbe volata via. «Ragazzina» sibilò Mano «ti sarai chiesta mille volte perché Delia non è mai uscita dalla sua stanza, vero? Ti ha raccontato tante cose ma non la più importante, la più terribile!» E rivolgendosi alla padrona disse minaccioso: «Ti consiglio di parlare, se non vuoi che lo faccia io per te!»


Delia, rassegnata, rispose con un filo di voce: «Fiore mi dispiace di non essere stata sincera con te, avevo paura scappassi via. Ero talmente felice di non essere più sola, dopo così tanto tempo, che non potevo lasciarti andare! La verità è che sono una strega»


«Volevo aiutare le persone con i miei incantesimi, invece sono stata cacciata dalla mia terra, così mi sono rifugiata qui. Mano e il corvo dicevano che se fossi rimasta rinchiusa in questa stanza non avrei fatto male a nessuno e così ho fatto. Se vorrai andartene, non ti fermerò ma ti prego... non odiarmi come hanno fatto gli altri.»


Fiore vedeva in lei la paura che tanto tempo prima l’aveva trattenuta dal raccontarle la sua vera identità: non avrebbe lasciato Delia in balia di quegli esseri, soprattutto di Mano, rivelatosi il più pericoloso: «Anch’io sono una strega, e allora? Siamo nate così, è ciò che ci rende uniche! Alcune persone sono alte quanto gli alberi, altre parlano un’altra lingua, siamo tutti diversi ma è proprio questo il bello!» La incoraggiò Fiore cercando di convincerla. «Non tutti comprenderanno o vorranno capire e questo può far paura, lo so… ma si ricordi che non è più sola e non potrei mai odiarla per questo!» «Non ascoltarla, buone o cattive intenzioni, una strega rimane sempre una strega!» ripetevano il corvo e Mano come una cantilena, ma ormai le loro parole non avevano più nessun potere e Delia era libera dal loro giogo: «Basta! Per tutti questi anni non avete fatto altro che rendermi infelice, siete voi i veri mostri qui. D’ora in poi vivrò ascoltando solo me stessa, non siete più i benvenuti nella mia camera, né in questa casa né nei dintorni, via!» Urlò. Una luce abbagliante avvolse la stanza, talmente forte da accecare persino Fiore che ne era fuori.



Il vento cessò e la porta si aprì di scatto: il corvo, mezzo spennato, volò via verso il balcone, Mano si dissolse nel nulla e per terra rimase solo polvere inanimata. Una voce raggiunse la bambina: “Puoi aiutarmi a uscire?” Dopo tanto tempo, poteva finalmente entrare nella stanza: era buia e fredda con ragnatele e polvere ovunque. Acceso un fiammifero Fiore si avvicinò a Delia, la toccò dolcemente, la prese per mano e uscirono dalla camera. La bambina poteva finalmente ammirarne l’aspetto.



Proprio come pensava, Delia non aveva alcuna squama, artiglio o dente affilato. Era una donna altissima e il viso le ricordava tanto quello amorevole di sua madre. “Chissà se le manco, o se pensa a me, ogni tanto” si chiese la bambina, fu difficile fermare le lacrime che piano piano le rigavano il viso. Forse era arrivato il momento di tornare a casa. Si diressero verso il balcone per ammirare il tramonto dalle tinte rosse e arancioni, il momento preferito di Delia.

«Ora cosa farai?» Chiese Delia alla piccola Fiore. «Se rimarrai qui potrai imparare a usare i tuoi poteri ed essere libera di utilizzarli ogni volta che vorrai.» Fiore ci pensò un po’ su, era un’idea allettante, ma la nostalgia di casa era troppo forte: «Mi piacerebbe, ma voglio prima tornare al mio villaggio, sono sicura che vorranno sapere dove sono finita per tutto questo tempo» sospirò «Non so se riuscirò a far cambiare loro idea sulle streghe o sulla magia, ma voglio provarci!» Delia sorrise, ed ispirata dal coraggio di Fiore pensò che anche per lei era arrivato il momento di tornare ad essere libera: «Allora farò il giro del mondo e vedrò i posti che mi hai raccontato, spero di incontrare persone gentili come te… forse un giorno visiterò il tuo villaggio e mi farai conoscere tutti.» Fiore entusiasta le promise che avrebbe fatto di tutto per farla sentire a casa. Quella era una promessa e Fiore era brava a mantenerle.




Sdraiate sul pavimento del terrazzo parlarono per ore, finché il cielo non si tinse di blu e venne occupato da stelle e costellazioni, di cui Delia conosceva i racconti. Si era fatta ormai notte ed era arrivata l’ora di andare a dormire. La donna si alzò, diede a Fiore un bacio sulla fronte e, ringraziandola per tutto quel che aveva fatto per lei, tornò dentro la stanza. Questa volta, socchiudendo la porta.

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