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Il valore degli interni nella storia Leonardo Di Mauro
Il valore degli interni nella storia
Leonardo Di Mauro Presidente dell’Ordine degli Architetti di Napoli
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Gli storici dell’architettura e dell’arte sanno bene quanto sia importante osservare un interno ben conservato in tutti i suoi elementi. Una cosa infatti è vedere le tele di Veronese nelle sale intatte del Palazzo Ducale di Venezia o quelle di Tintoretto nella Scuola di San Rocco, sovrastanti i dossali intagliati di Francesco Pianta, e altro è vedere opere simili in un museo. Vi è la stessa differenza che passa tra la visione di un animale nel suo habitat e quella che si può avere in uno zoo. Nelle chiese l’integrità estetica è spesso mantenuta; meno frequente lo è negli edifici pubblici e rara nelle dimore storiche e negli ambienti domestici. Ma le opere e i giorni degli uomini sono trascorse negli interni; è qui che si registra il mutare delle abitudini e dei comportamenti sociali, prima ancora che del gusto. Riprendendo quanto scritto da Filippo Alison, in un breve testo del 2005, In difesa di uno spazio disciplinare, l’architettura ci appare «quale sintesi concreta delle virtù biologiche primarie di espressione plastico-spaziale, matematica ed estetica, esercitate perciò principalmente in funzione del benessere soggettivo» 1 . Gli ambienti domestici del passato, quando non sono ricostruiti in un museo, sono perduti, ma tanti quadri ce ne mostrano forme ed evoluzione. Quante camere da letto ci vengono restituite dalle Annunciazioni dipinte: letti, baldacchini, cassepanche, leggii, tappeti, lampadari, mensole, caminetti, imposte di finestre, soffitti lignei... e quanti studioli! Tutti hanno in mente il box ligneo abitato da san Gerolamo nella tavoletta di Antonello, ma altrettanto elegante è il san Gerolamo nello studio, un po’ disordinato, di Colantonio, e il tavolo su pedana circolare del san Gerolamo di Carpaccio: nitore ed essenzialità delle forme. Forme che in parte ritroviamo in alcuni studioli rinascimentali che, proprio per l’esiguità delle dimensioni oltre che, immagino, per la loro bellezza, sono sopravvissuti, come quelli dei Montefeltro di Urbino e Gubbio e il più tardo studiolo di Francesco I a Palazzo Vecchio. Ma sono ancora i dipinti che ci restituiscono la quotidianità degli ambienti domestici, come si vede in esempi innumerevoli nella pittura olandese del Seicento, che sembra votata a raffigurare gli interni delle abitazioni stesse più che le persone. Lo dice bene Mario Praz:
[...] non solo un interno, ma il modo in cui quest’interno si articola con le altre stanze: onde le vedute di scorcio e d’infilata che questi quadri offrono su altre camere e cortili contigui; e anche il modo in cui quest’interno è in rapporto col mondo circostante, con la natura che s’intravede per porte e finestre, e soprattutto con la luce. 2 Parole, detto per inciso, che mi rimandano al Padiglione barcellonese di Mies van der Rohe. Tra XVIII e XIX secolo gli architetti si concentrano sull’architettura degli interni, e penso ad Adam e alla Malmaison di Percier e Fontaine, ma credo che per uno studente del 2020 niente sia più utile, per capire la necessità di pensare alla progettazione di uno spazio interno nella sua organicità, dell’analisi delle opere di alcuni maestri: Henry van de Velde (Casa Bloemenwerf), Charles Rennie Mackintosh (Hill House), Victor Horta (Casa Tassel), Antoni Gaudí (Casa Batlló), Frank Lloyd Wright (Casa Robie), Josef Hoffmann (Palazzo Stoclet), Adolf Loos (Kärnter Bar). È utile ricordare quanto affermava Wright:
L’arredamento dovrebbe essere coerente, sia nel disegno che nella realizzazione; e dovrebbe essere usato con stile, vale a dire, come estensione del significato dell’edificio che arreda. 3
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Concetti che da tempo non sembrano più abitare l’Università, quasi che gli spazi progettati possano esserlo senza pensare al disegno degli interni, come spazi vuoti da “arredare” con i migliori prodotti del design. Un fatto che diventa eclatante quando si entri in un museo progettato su misura per le opere che deve contenere, come quello del Tesoro di San Lorenzo a Genova di Franco Albini, o invece nel Jüdisches Museum di Daniel Libeskind a Berlino, uno spazio straordinario e commovente in cui però non sempre vi è un perfetto legame con i materiali esposti. Ritornando a citare Alison,
[...] non vi può essere cesura, né distinzione di ordine o di prevalenza funzionale, quindi di importanza, tra arredi, spazio articolato ed espressione estetica, rafforzando altresì la convinzione che l’arredo, per quanto alta e autonoma sia la sua conformazione plastica, si invera compiutamente solo in significativi contesti ambientali di loro genesi, che tutto si tiene e prende senso nell’atto creativo della progettazione. 4
NOTE
1
F. Alison, In difesa di uno spazio disciplinare, in Architettura degli interni, atti del convegno (Venezia, Iuav, 26 ottobre 2005), a cura di A. Cornoldi, Padova, Il Poligrafo, 2005 (“Iuav-Interni”, 1), p. 12. 2 M. Praz, La filosofia dell’arredamento, Milano, Longanesi, 1987, p. 63. 3 Le parole di Frank Lloyd Wright sono tratte da G. D’Amato, L’arte di arredare. Storia di un millennio attraverso gusti, ambienti, atmosfere, Milano, Bruno Mondadori, 2001, p. 482. 4 F. Alison, In difesa di uno spazio disciplinare, cit., p. 12.
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