Il ramo d'oro

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La nostra associazione culturale, “Il ramo d’oro”, si è costituita nell’estate del 2000 con l’obbiettivo di confrontarci con realtà culturali geograficamente lontane ma con cui volevamo condividere entusiasmo e spinta per una crescita comune. Dopo l’11/9/2001 non si riusciva più a credere nel cosmopolitismo e nel pro-


gresso. Si è aperta un’epoca di costante crisi e guerre. Tutt’oggi appare difficile progettare un futuro. Il nostro lavoro è stato quello di organizzare una resistenza culturale, di man-


tenere i contatti, contrastare il razzismo dilagante. Particolare importanza abbiamo dato ai giovani di origine straniera che erano impegnati nella lotta per il riconoscimento dei diritti degli immigrati di seconda generazione. Abbiamo avuti ospiti Marco Wong, Khalid Chaouki e Fred Kuwornu, Takoua Ben Mohamed, Yacoubou Ibrahim, Mohamed Malih nonché rappresentanti di organizzazioni impegnate nel napoletano sui temi dell’immigrazione, come la cooperativa Dedalus e il centro Jerry Essan Masslo. Abbiamo insomma cercato di affrontare il tema dell’interculturalità anche qui da noi e non solo entrando in contatto con artisti lontani. Forse siamo rimasti prigionieri di un’illusione ma, come dice Freud, illusione ed errore sono cose diverse, anzi un’illusione può benissimo non essere un errore. Non crediamo d’aver sbagliato anche, se la nostra tensione verso una dimensione cosmopolita e multiculturale è a tutt’oggi lungi dall’aver raggiunto un obiettivo. Il fatto di guardare da un salotto un’ epoca di drammatici sconvolgimenti è cosa che lascia sicuramente interdetti, dà la sensazione di danzare sul Titanic. Non è semplice coniugare un genuino interesse per quanto avviene lontano col senso di inadeguatezza rispetto a situazioni che vanno ben oltre i mezzi che



abbiamo per affrontarle. Alla ricerca di pi첫 sincere emozioni, in un mondo in cui ideologie in crisi sono state sostituite da integralismi religiosi altrettanto sanguinari ci siamo messi a percorrere quei sentieri del pensiero che la ragione non riesce a indagare.


Esiste una regione della mente che è sede d’inesprimibili impulsi, intuizioni, desideri. Il ragionamento è un continuo impegno a tradurli in parole e, traducendo, spesso tradisce. È più proficuo di questi tempi un viaggio nell’interiorità per sfuggire la nostra impotenza pratica e comunque sviluppare il nostro percorso intellettuale. Di qui l’ “autocoscienza estetica” oggetto di ricerca degli ultimi anni per le persone che ci seguono. Ci siamo confrontati con la produzione artistica che avevamo a disposizione, delle più varie provenienze geografiche e delle più diverse tecniche di realizzazione. Così abbiamo cercato di leggere i nostri sentimenti, il percorso che lo sguardo faceva nel percepire, quello che saltava agli occhi e quello che non veniva


visto e soprattutto ci siamo confrontati tra di noi. Ci si è resi conto che essere soli di fronte a un’opera d’arte può essere un’esperienza intensa ma incompleta. Come guardare allo specchio la nostra immagine e vedere solo quello di cui si è consapevoli. Nel confronto ci si allontana da una lettura troppo personale, si acquisisce una visione stereoscopica e si comprende cosa un certo lavoro possa rappresentare in un certo contesto. E’ una consapevolezza che può metterci in discussione. C’è una dimensione relazionale dell’estetica che si costruisce attraverso i rapporti interpersonali e che si deposita nei luoghi attraverso abitudini, divenute rituali, che un certo gruppo sviluppa nel tempo. Domande o provocazioni interrompono il rito portando in luce una trama nascosta, generando consapevolezza, autocoscienza estetica. Dal considerare il nostro rapporto con le singole opere d’arte siamo poi passati a valutare gli insiemi scegliendo opere che componessero mostre. Si è studiato come giustapporre le opere in maniera che ne risultassero enfatizzate le qualità e si sono studiate maniere, giochi per coinvolgere le persone in un’interazione. Nel far questo ci si è resi conto che il catalogo ragionato offriva maggiori pos-



sibilità espressive svincolando dai limiti imposti dalla logistica. Un catalogo è un elenco illustrato di opere ed è a tutti gli effetti una mostra, svincolato dai limiti dello spazio espositivo, permette di seguire l’itinerario mentale che ha percorso il curatore nell’assemblarle. In questa maniera il catalogo viene a svincolarsi dalla sua funzione di documentazione. Non tutti i lavori presenti in una mostra


vengono riprodotti anzi si possono enfatizzare singoli particolari di opere ma il tutto è organizzato come un libro che illustri al meglio le scelte curatoriali e il discorso critico sotteso. Inoltre un catalogo può anche essere un libro d’artista, fatto artigianalmente, in copia unica o in poche copie. Può essere uno strumento con cui interagire


con altre persone, quasi un gioco da tavolo con cui si coinvolgono, direi si reclutano osservatori altrimenti distratti e li si conduce più facilmente per i sentieri del nostro pensiero. C’è a questo punto un distacco anche dall’opera fisica, il rapporto con la sua riproduzione, inserita nella trama concettuale del curatore diviene un’opera in


sé. L’interazione diviene performance. È un sentiero forse già battuto ma nondimeno scivoloso. La quotidianità si allontana sempre di più. Il gioco con cui si affronta l’arte diviene sempre più un gioco intellettuale che ci salva sì da spiacevoli imprevisti ma ci trascina in una dimensione del tutto immaginaria con ciò rivelando un’ insicurezza che è solo nostra, che non può essere giustificata da alcun contrattempo, mancanza di mezzi, di abilità tecniche o altro. Di qui l’ultimo passo che abbiamo compiuto. Guidati dall’esigenza di confrontarci con altri abbiamo deciso


di stare a guardare, di invitare altri a raccontare le proprie esperienze, a coinvolgerci nelle loro esistenze e di stare a guardare, divenendo collezionisti d’eventi, scegliendo le situazioni in cui farci coinvolgere e costruendo con esse la trama della nostra stessa esperienza, Ci siamo goduti lo spettacolo, ora con maggior consapevolezza., con la capacità di costruire griglie di lettura e di usare questi eventi come uno strumento di lettura nei confronti della quotidianità. Un’autocoscienza estetica che si è in qualche modo trasformata in una maggiore consapevolezza esistenziale. Vincenzo Montella




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