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Rivista mensile a diffusione nazionale - anno VI - num. 3/4 - Marzo/aprile 2010
Antiquari fiorentini
Afrodite-Venus
La Fontana del Nettuno
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Sommario Editoriale
L'arte è donna di Angelo Telesca ......................................................... pag.
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Persistenze
Un viaggio nel mondo dell’antiquariato di Marina Volpi............................................................... pag. 5-7 Le ricchezze preistoriche del bacino di Atella di Anna Grazia Pistone.................................................. pag. 8-9 L’Afrodite-Venus di Rionero in Vulture di Michele Scalici........................................................... pag. 10-11 San Chirico e il monastero basiliano del Raparo di Giuseppe Nolé........................................................... pag. 12-13 Oliveto Lucano, un presepe nel Parco di Franco Torraca.......................................................... pag. 14-15
Cromie
La donna leonardesca di Sonia Gammone........................................................ pag. 18-19
Eventi
Le donne e l’arte alla GNAM di Agnese Miralli............................................................ pag. 20-21 Centro Andaluz de Arte Contemporáneo di Angela Delle Donne................................................... pag. 22-23 Gli sguardi di Romano Mussolini di Fiorella Fiore.............................................................. pag. 24-25
Risonanze
Perturbazione: la poesia della quotidianità di Francesco Mastrorizzi............................................... pag. 26-27
Forme
Bologna e la Fontana del Nettuno di Giovanna Russillo...................................................... pag. 28-29
Art Tour
a cura di Francesco Mastrorizzi.................................... pag.
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La redazione non è responsabile delle opinioni liberamente espresse dagli autori, né di quanto riportato negli inserti pubblicitari.
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L'arte è donna di Angelo Telesca
Sin dagli albori della civiltà la donna è fonte di ispirazione per il linguaggio dell’arte: corpo e spirito, passione e sentimento, amor sacro e amor profano, madre e amante. Le rappresentazioni artistiche hanno colto ogni sfaccettatura del suo intelletto, della sua bellezza, della sua eleganza. La donna è musa ispiratrice ed ha saputo conquistarsi nel corso del tempo un ruolo di protagonista, fino a diventare interprete privilegiata delle vicende artistiche e culturali del XX secolo. Anche noi vogliamo rendere omaggio alla donna con un percorso che, iniziato il mese scorso e curato da Sonia Gammone, ci porterà ad indagare come la donna sia stata rappresentata nel corso dei secoli; in questo numero Leonardo da Vinci e alcuni dei suoi meravigliosi ritratti. Spazio però anche all’arte contemporanea con Agnese Miralli che ci parlerà della mostra “Donna. Avanguardia femminista negli anni '70”: un vera full-immersion nell’arte femminista e in tematiche importanti quali il corpo, l'identità femminile e la differenza uomo-donna, il ruolo della donna e la ricerca di nuovi linguaggi. Una piccola, ma speriamo gradita novità per tutti voi il poster staccabile che trovate a metà della rivista; un piccolo ma semplice modo per continuare a godere delle bellezze artistiche. Buona lettura!!!
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Persistenze
A Firenze, nel quartiere di Oltrarno si trovano le botteghe antiquarie situate ai piani terra degli antichi palazzi appartenuti alle nobili famiglie vicine ai Medici. Gli antiquari ed i restauratori che oggi hanno le botteghe in via Maggio, davanti a Palazzo Pitti, hanno contribuito a formare questo quartiere, una “città nella città” ancora oggi abitata da persone che lavorano e vivono di arte. Sulla soglia delle loro botteghe, pronti ad accogliere i clienti, possiamo incontrare gli antiquari; i Gallori-Turchi, ad esempio, specializzati in armi antiche, i quali hanno reso celebre la loro attività tramandandosi di padre in figlio il gusto e l’amore per l’arte. Oppure potevamo conoscere Giovanni Bruzzichelli (morto a Firenze nel 1993), decano dell’antiquariato fiorentino, noto per la sua collezione di “curiosità” nella quale il gusto inconfondibile del collezionista era sempre evidente; oggetti non necessariamente antichi o pregiati, ma sempre rarità.
Un viaggio nel mondo dell’antiquariato di Marina Volpi
La sua bottega era spesso frequentata da artisti e registi come Franco Zeffirelli, divenendo un punto di riferimento per i fiorentini che hanno voluto arredare le proprie case con rarità di ogni tipo, spesso anche economicamente abbordabili. Ancora oggi, entrando in alcune delle abitazioni private di Oltrarno, lo “stile Bruzzichelli” resta ben distinguibile. Ma pochi luoghi sono più intimamente rappresentativi della Firenze antiquaria del palazzo Bellini, dal XIX secolo appartenente ad una famiglia di antiquari che abita sul Lungarno Soderini, in Oltrarno. La Galleria, oggi Museo Privato, è ancora in parte sconosciuta, non rientrando negli itinerari turistici convenzionali. Accedendovi, sembra che il mondo esterno venga cancellato dai marmi, i bronzi, le maioliche, e le terracotte invetriate posizionate a fianco di un busto di Donatello, un tondo di Piero di Cosimo, una veduta del Canaletto. Gli oggetti sono esposti a rotazione, per far “respirare” mese dopo mese opere
In alto: Francesco di Valdambrino, Annunciata, XV secolo, legno policromo, Museo privato Galleria Bellini, Firenze. Sotto: La Stanza Tonda di Madame Favard all'interno della Galleria Bellini di Firenze. Quando Napoleone III giunse in Toscana, venne ospitato all'interno del Palazzo Bellini insieme alla sua amante, Madame Favard, la quale pretese, come era sua abitudine, che la propria camera ed il proprio letto fossero tondi. Per questa ragione la stanza, in origine quadrata,venne resa tonda rivestendola interamente con pareti fittizie, ancora oggi presenti, che ne coprissero gli angoli.
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Persistenze
diverse, ed allestiti secondo il gusto dell’antiquario, non quello erudito dello storico dell’arte, vale a dire il gusto di colui che sa come valorizzare un oggetto, accostandolo a fianco di un altro magari di epoca e stile diverso. Tutto qui può essere toccato, sebbene tutto sia prezioso ed impreziosito dalla scelta espositiva. Niente ha poca importanza, così, anche un semplice spillatore per birra, in realtà non così antico, viene osservato con la medesima attenzione che il visitatore presta al Tondo con la Madonna e Bambino di Giovanni Della Robbia posizionato al suo fianco. Il vanto della collezione Bellini sono i piccoli bronzi esposti nella “Stanza Rossa” della galleria, e che il visitatore è pregato di toccare perché essi «dovrebbero vivere tra le mani» (L. Bellini, Nel mondo degli antiquari, Del Turco Editore, Firenze, 1947, p. 24) come sosteneva Luigi Bellini senior, il quale notava che i bronzetti delle gallerie private, rispetto a quelli esposti nei musei, avessero patine scure e lucenti, le più belle che si possa mai avere occasione di vedere: proprio perché possono essere toccati spesso. I Bellini hanno formato la loro collezione comprando specialmente all’estero, viaggiando in America ed in India; scovando manufatti rari, stilisticamente ben distinguibili ed attribuibili con certezza a varie scuole d’arte e di artigianato dal XV al XVIII secolo. È queStanza dell'Annunciata o Stanza delle Sculture, Galleria Bellini, Firenze.
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sto il merito degli antiquari: l’aver riportato in patria, ricomprandole, opere d’arte italiane finite sui mercati stranieri. Invece è opinione comune che l’antiquario sia un “rigatterie”, sempre alla ricerca del guadagno facile, pronto a spacciare senza alcun criterio un’opera di medio livello per un oggetto appartenente ad una scuola artistica di grande prestigio. Occorre entrare nella mente di un antiquario per capire che ciò che più gli interessa sia il possedere un’opera “rara”, qualcosa che gli altri non hanno. Essere antiquario vuol dire amare l’arte più di ogni altra cosa, ed esser pronti ad ammalarsi pur di possederne una minima parte. Si è antiquari dopo essere diventati collezionisti, quando non si ha un centesimo in tasca, ma si è “ricchi” solo di opere d’arte. Questo mondo raramente viene capito dagli storici d’arte, ed è per questo che ancora oggi a Firenze gli antiquari preferiscono restare in Oltrarno e custodire gelosamente le loro opere nei propri palazzi e botteghe; lontani da quella Firenze tirata a lucido, quella degli Uffizi e dell’Accademia di Belle Arti, che i fiorentini chiamano “la zona al di qua d’Arno”. Gli antiquari, come gli scultori ed gli appassionati d’arte hanno scelto di vivere “al di là d’Arno”, nel quartiere di Oltrarno,una galleria antiquaria all’aria aperta che merita maggior considerazione se si vuol visitare la Firenze davvero “storica”,dedicata ancora oggi alle arti.
Persistenze
Stanza dello Studiolo di Giuseppe e Mario Bellini, Galleria Bellini, Firenze.
Ingresso alla Galleria Bellini di Firenze.
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Persistenze
Le ricchezze preistoriche del bacino di Atella
Il bacino di Atella costituisce uno dei siti archeologici più interessanti e significativi per lo studio della preistoria e della geologia in Basilicata, collocandosi tra le più antiche testimonianze del Paleolitico inferiore della penisola italiana. Già tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, il geologo e paleontologo Giuseppe De Lorenzo aveva pubblicato i risultati delle sue ricerche sui depositi fluvio-lacustri e sulle frequentazioni degli antichi bacini pleistocenici dell’area di Atella. Successivamente il Segre individuò, sul riscontro dei materiali, significative analogie culturali con il Paleolitico inferiore di altri siti della Basilicata. Le prime ricognizioni sistematiche della zona negli anni Settanta si devono alla proficua collaborazione tra Francesco Ranaldi, Direttore del Museo Archeologico Provinciale di Potenza ed Edoardo Borzatti von Lowenstern, Direttore del Laboratorio di Ecologia del Quaternario dell’Università degli Studi di Firenze. Le testimonianze antropico-naturalistiche di questa area pongono in evidenza le associazioni tra le attività dei gruppi umani del Paleolitico inferiore e gli
di Anna Grazia Pistone
elementi di uno scenario naturalistico dominato dalle glaciazioni pleistoceniche e dagli interglaciali e caratterizzato da vari fenomeni (attività eruttiva del Vulture, costituzione dell’antico bacino lacustre, suo successivo svuotamento, massicce migrazioni di grossi mammiferi). In questo contesto cronologico si colloca l’Homo Erectus, o uomo di Atella, una forma di ominide in grado di fabbricare strumenti litici molto semplici ma, al tempo stesso, esperto conoscitore dei luoghi e delle risorse. Le sue interazioni con l’habitat sono legate, essenzialmente, alla sopravvivenza attraverso l’elaborazione di strategie sempre più efficaci per procacciarsi cibo. L’economia di sussistenza, pertanto, si basa sulle attività di caccia lungo le rive del paleolago, dove, secondo quanto attestano le evidenze archeologiche, i grossi mammiferi si recano in branchi per abbeverarsi. Gli strumenti litici associati ai resti di animali cacciati con una certa frequenza sono le amigdale, a forma di mandorla, usate come armi da lancio, ma sono presenti anche grattatoi e altri attrezzi utilizzati per la macellazione, con una corrispondenza, abbastanza inconsueta in altri contesti, ma peculiare di questo giacimento, tra materia prima e manufatto. Le testimonianze materiali ascrivibili al Paleolitico medio, superiore e Mesolitico evidenziano un’evoluzione tecnologica e tipologico-funzionale riscontrabile nell’ampliamento del repertorio dei manufatti, nella lavorazione di altri materiali come l’osso e il legno, nella sperimentazione di abilità tecniche anche in attività creative, artistico-espressive, non strettamente legate alla sussistenza. I protagonisti di queste facies culturali, l’Homo Neanderthalensis (con scarse attestazioni) e l’Homo Sapiens (con un vuoto tra fase più tarda del Paleolitico superiore e Mesolitico), realizzano strumenti più complessi, efficaci e diversificati attraverso tecniche di lavorazione meditate e non più spontanee e casuali, che discriminano orizzonti cronologici nell’ambito delle stesse facies culturali di appartenenza. Il repertorio litico include bifacciali, punte, raschiatoi, bulini, becchi, grattatoi, semilune, dorsi, denticolati, realizzati con tecniche perfezionate. A sinistra: Strumenti paleolitici. Museo Archeologico Provinciale – Sezione pre-protostorica “F. Ranaldi”. Pagina a fronte: Una conchiglia preistorica. Immagini realizzate su concessione della Provincia di Potenza – Museo Archeologico Provinciale – Sezione pre-protostorica “F. Ranaldi”. È fatto divieto di ulteriore riproduzione, parziale o totale, con qualsiasi mezzo.
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Foto Giuseppe NolĂŠ
Persistenze
La statua femminile di Rionero, oggi esposta al Museo Archeologico del Melfese, fu rinvenuta casualmente in località Torre degli Embrici. Successivi scavi sistematici, diretti da Richard N. Fletcher, hanno messo in luce una grande villa con almeno quattro fasi di vita dal II al VI sec. d.C. Risale già alla prima fase un articolato balneum con tepidarium e calidarium pavimentato in cocciopesto con un mosaico policromo; ad esso è associata una fontana. La statua, alta poco meno di 70 cm, in marmo bianco a grana fine, è mutila: la testa è spezzata all’altezza del collo, il braccio destro a metà dell’omero; manca la mano sinistra e la zona dei piedi. Il corpo, costruito per una visione di prospetto, scarica il peso sulla gamba sinistra mentre la destra, leggermente flessa, è portata indietro. La veste (himation), scivolando sui fianchi, lascia scoperti i seni, l’addome ed il pube, mentre si arrotola attorno all’avambraccio sinistro, piegato e portato in avanti. La posizione della spalla consente di immaginare il braccio mancante discosto dal fianco con la mano poggiante forse su un sostegno indiziato dall’abrasione di forma quadrangolare sul lato destro della statua. Due ciocche di capelli, sfuggite all’acconciatura, ricadono delicatamente sulle spalle. Per A. Capano nella figura sarebbe da riconoscere l’Afrodite del c.d. tipo Arles, che ebbe larga fortuna in età ellenistica. L’attribuzione risulta ancora la più attendibile in particolare per il confronto con una statua del Palazzo dei Conservatori proveniente dal Foro Boario di Roma con sensibili differenze nel trattamento della veste che, in questo tipo, forse essendo attaccata ad una corona portata sulla testa, copre parzialmente la schiena. Inoltre, differenza rilevante appare la mancanza delle ciocche ricadenti sulle spalle. A ben vedere, lo schema della figura è presente in altre statue come una variante del tipo Fréjus con identica resa della veste arrotolata sul braccio sinistro; identica, altresì, la disposizione delle gambe. Le ciocche sciolte, in parte sparse sulle spalle, invece, sarebbero caratteristiche della c.d. Afrodite Anadyomene, ritratta nell’atto di sollevare i capelli per annodarli dietro la nuca. Posizione del corpo e ciocche della capigliatura sono entrambe richiamate dal tipo della Venus Marina che differisce dalla dea di Rionero soltanto per la posizione del braccio sinistro, che qui non è portato in avanti ma indietro, poggiato sul fianco, appena sopra i glutei, con la mano nascosta dalle pieghe della
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L’Afrodite-Venus di Rionero in Vulture di Michele Scalici
veste. Il braccio mancante, allora, poteva poggiarsi su un supporto in forma di timone. Il tipo si riferisce ad una immagine che ben si presta al mondo marino spesso richiamato dall’apparato figurativo dei ninfei romani, rafforzando la convinzione che la statua possa provenire dall’area del balneum. La cronologia, già fissata al I sec. d.C., potrebbe pertanto venire abbassata di un secolo circa. A lato: L’Afrodite-Venus di Rionero in Vulture. In basso: La cosiddetta Venus Marina. Immagini riprodotte su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Direzione regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Regione Basilicata - Soprintendenza per i beni archeologici della Basilicata. È vietata ogni ulteriore riproduzione con qualsiasi mezzo.
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Persistenze
San Chirico e il monastero basiliano del Raparo
San Chirico Raparo è un piccolo comune della provincia di Potenza che domina dall’alto la valle del torrente Racanello, affluente dell’Agri. Quasi a volersi arrampicare sulla roccia, il paese si distingue per le sue strette viuzze, le piccole piazze e gli angoli che si aprono di tanto in tanto su un magnifico panorama. Ad una decina di chilometri da S. Chirico appaiono, circondati da una fitta rete di impalcature, i ruderi dell'Abbazia di S. Angelo. L’edificio fu la sede di un importante cenobio italo-greco, passato poi ai benedettini fino al 1700, quando fu definitivamente abbandonato. Il 2 dicembre 1996 il Consiglio Regionale di Basilicata, ha approvato l'acquisto dell'Abbazia di S. Angelo, nel Comune di S. Chirico Raparo. L'intento è quello di farne un centro di studi con particolare riguardo a quelli della storia del monachesimo basiliano del mezzogiorno, cercando, nel contempo, di valorizzare una struttura di grande rilevanza artistica. L'Abbazia è costruita su di una grotta naturale fra le
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di Giuseppe Nolè
più grandi della Basilicata; dell'intero complesso ci sono rimasti una dettagliata descrizione e molti rilievi e fotografie. La prima fase del culto si riferisce proprio alla vasta grotta sottostante, di formazione carsica: presenta infatti, formazioni di stalattiti e stalagmiti di grandissime dimensioni, vasche e sifoni alimentate dalle nevi del Monte Raparo oltre che l'insediamento della più grande colonia di pipistrelli della regione. All’interno sono conservati affreschi con pitture di santi dell'inizio dell'XI secolo. All'ingresso della grotta naturale vi è la raffigurazione di un Arcangelo; i resti di costruzioni sono della cappella di S. Vitale, di cui la grotta è stata la dimora quando, profugo dalla Sicilia nel X secolo, arrivò in Basilicata. La fondazione del monastero avvenne dunque in un epoca precedente al 984 d.C.. Nella grotta, oltre alla grande scala che conduce sul fondo dell’ipogeo, ci sono diverse strutture murarie, tra cui i resti di una torre. La chiesa, per le caratteristiche tipologiche e la probabile datazione è accostata ad analoghi impianti
calabresi. Ad essa appartengono gli affreschi più antichi individuati nella conca dell’abside, nonché i dipinti affiancati allo stesso abside che proseguono sotto la muratura. Proprio da qui provengono un numero consistente di frammenti di affreschi, in parte ancora in situ, in parte distaccati e conservati nel vicino paese. In Italia meridionale, più legata al mondo bizantino, iconografie tratte da episodi del Vecchio Testamento sono rare: anche per questo motivo la raffigurazione della Creazione e della Tentazione di Eva rappresentano un elemento di originalità e hanno indubbio valore artistico. Nel corso degli interventi archeologici e delle operazioni di consolidamento dell’edificio sono stati recuperati numerosi frammenti relativi a sculture realizzate in stucco: si tratta di elementi di arredo della chiesa, forse relativi a stipiti o cornici o archetti di finestre. I frammenti presentano motivi di decorazione islamica e bizantina e sembrano trovare i confronti più precisi con i numerosi stucchi rinvenuti in Gerace, ben inquadrandosi in quella produzione normanna del XII sec. che ha lasciato numerose testimonianze sia in Sicilia (Monreale, Palermo) sia nella vicina Calabria (Rossano, Gerace). Purtroppo, la volta e la cupola della chiesa crollarono nel primo dopoguerra cancellando una delle testimonianze più significative dell’architettura bizantina nel Meridione.
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Persistenze Il paesino di Oliveto Lucano sorge su una piccola altura circondata da boschi di cerri e querce sulle pendici orientali del Monte Croccia Cognato, lungo il lato sinistro del torrente Calandrella, nel territorio del Parco Naturale di Gallipoli Cognato e delle Piccole Dolomiti Lucane. Il fulcro architettonico del paese è costituito dalla chiesa madre intitolata a Maria SS. delle Grazie, situata alla sommità del paese e risalente al ‘500, con impianto basilicale romanico a tre navate. All’interno la chiesa custodisce la statua lignea della Madonna delle Grazie del XVIII secolo e soprattutto una pregevole tavola raffigurante la Madonna con Bambino ed i SS. Agostino e Francesco e le anime purganti di scuola napoletana, attribuita a Decio Tramontano e datata al 1596. Il dipinto, racchiuso in una ricca cornice lignea dorata e policromata, è completato in alto da una cimasa raffigurante Dio Benedicente ed in basso da una predella con Gesù e gli Apostoli. La tela principale presenta la Madonna seduta in alto sulle nubi, circondata da puttini intenti a sorreggerle la corona o a sollevare il mantello, mentre in basso, tra i due santi adoranti, trovano posto le anime purganti, avvolte dalle fiamme e immerse nell’acqua fino alla cintola.
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Oliveto Lucano, un presepe nel Parco di Franco Torraca
Un elemento che caratterizza il centro del paese sono i cosiddetti “Portoni di Bacco”, antiche porte in legno, finemente intarsiate e lavorate, realizzate tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 dai “maestri d’ascia” del posto. Il procedimento di fabbricazione di queste porte era lungo e complesso e richiedeva un tempo variabile da una settimana fino a 20 giorni, oltre che perizia e competenza da parte dell'artigiano. Il legno usato era prevalentemente quello di farna, un tipo di quercia specifica della zona, adatto per la costruzione di un portone esterno perché molto resistente all'acqua e all'umidità. Sui portali venivano intagliati disegni a moduli geometrici, che non erano fissi e ripetitivi, ma cambiavano secondo le esigenze dei clienti o in base alla fantasia del falegname stesso, che con abilità tagliava, limava, intagliava e rifiniva. Come serratura di sicurezza, i portoni venivano muniti di un lucchetto particolare, il “cardo", fatto anch'esso artigianalmente, fissato alle due ante delle porte con due chiavistelli, in cui si inseriva la chiave. Le porte, una volta terminate, venivano verniciate con olio di lino, che dava un colore più naturale e serviva a proteggere il legno dalle intemperie. Negli anni scorsi sono state portate avanti iniziative atte a sensibilizzare i cittadini al recupero dei portoni, attraverso incentivi comunali a favore di quei proprietari intenzionati a restaurare questi importanti beni storico-architettonici. Restituiti al loro originario splendore, possono essere ammirati lungo la via delle cantine, quali sintesi esemplare di arte, cultura e tradizione.
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Il Teatro di Epidauro (foto G. Caputi)
La donna leonardesca
Cromie
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di Sonia Gammone
Il Quattrocento volge al termine quando Leonardo da Vinci si trasferisce a Milano. Il periodo milanese (1482-1499) sarà il più significativo di tutta la sua vita. Alla corte di Ludovico il Moro egli potrà dedicarsi in maniera esclusiva alle sue opere e alle sue invenzioni, creando in pittura i suoi massimi capolavori. Per Leonardo il compito principale dell’artista è l’esplorazione della natura considerata come un immenso essere vivente e la pittura, la più importante delle arti, l’unica in grado di rappresentarla. Il sottile chiaroscuro e la capacità di cogliere gli affetti umani sono alla base del suo naturalismo pittorico; creatore di una tecnica sfumata, con delicati contrasti di luce e di ombra che fanno sparire i contorni e creano un’illusione di atmosfera e di vita nella scena rappresentata. Furono molte e stupende le opere a soggetto sacro nelle quali è possibile ravvisare il percorso di perfezionamento che egli intraprese fin da giovanissimo quando, a Firenze, passava le sue giornate nella bottega del Verrocchio. Ma altrettanto celebri rimangono i ritratti che a più riprese gli vennero commissionati. Al periodo milanese appartengono quelli di due donne aristocratiche vicine a Ludovico il Moro: il ritratto
di Cecilia Gallerani (l’amante di Ludovico il Moro), meglio noto come La dama con l’ermellino (14881490), e La Belle Ferronière (1495-1498) identificata da alcuni come Lucrezia Crivelli o la stessa Cecilia Gallerani in età più adula. L’ermellino oltre ad essere simbolo di purezza, allude al cognome della stessa Cecilia Gallerani e allo stesso Ludovico il Moro, di cui era emblema. Leonardo studia attentamente la luce, che cade sul viso e sulla spalla della dama, e la figura, dal viso voltato a guardare fuori campo. Sono stati curati tutti i dettagli, dai capelli ai gioielli, ai colori sgargianti del vestito. I suoi lineamenti sono dolci e delicati, gli occhi fieri, il sorriso accennato appena ricorda quello della Gioconda, le mani sono lunghe e affusolate. Il ritratto sembra essere lontano sia da connotati erotici, legati alla sua figura di amante, sia da quelli sacri che l’avrebbero voluta triste, in continuo rimando alla figura della Madre di Dio. Quello che emerge è una donna che sembra aver raggiunto una grande apertura mentale e intellettuale, che guarda all’uomo senza sottomissione. Per quanto riguarda La Belle Ferronière, oltre all’innovativo taglio dato alla figura, colpiscono la profondità e il fascino
Leonardo da Vinci, La Belle Ferronnière, 1490-1495, olio su tavola, 63×45 cm, Parigi, Museo del Louvre.
Leonardo da Vinci, Dama con l’ermellino, 1488-1490, olio su tavola, 55x40 cm.
Leonardo da Vinci, Gioconda, 1503–1506 , olio su tavola, 77x53 cm, Parigi, Museo del Louvre.
dello sguardo che sembra diretto allo spettatore. A distanza di anni, e lontano da Milano, Leonardo darà vita a quello che è considerata il suo capolavoro assoluto: la Gioconda (1503-1516). L’identità della donna è ancora motivo di dibattito, tuttavia i più ritengono si tratti di Monna Lisa, moglie di Francesco del Giocondo. Il mistero che avvolge l’opera, si riflette da sempre in quell’interesse collettivo per l’enigmaticità dello sguardo e del sorriso. Qui lo sfumato leonardesco raggiunge la perfezione, la luce che giunge dallo sfondo ha i toni del crepuscolo e rende tutto
quasi sfocato. L’immagine è misteriosa, ambigua, sfuggente, perché Leonardo ha volutamente lasciato indefinite alcune parti del volto immergendole in una morbida penombra. La figura è intimamente legata alla natura del paesaggio. La grande sfida di Leonardo di rendere con massima veridicità e naturalismo i propri modelli, giunge al culmine e ancora una volta, nella storia dell’arte, la donna ne è protagonista: “… la pittura…penetra dentro ai medesimi corpi, considerando in quelli le lor proprie virtù” (da Il trattato della pittura di Leonardo da Vinci).
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Eventi
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Le donne e l’arte alla GNAM di Agnese Miralli
L’idea di riunire in un’unica mostra i lavori di diciassette artiste donne, è derivata dalla bipolarità tematica della collezione del Sammlung Verbund di Vienna. È da qui che provengono, infatti, le 200 opere fotografiche esposte alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma. Le curatrici della mostra, Gabriele Schor e Angelandreina Rorro, di fronte ai due filoni intorno ai quali gravita la raccolta, quello di ricerca performativa e quello sullo studio degli spazi-luoghi, hanno condiviso una scelta che vede protagonista l’Avanguardia femminista. «L’omogeneità delle opere» come spiega Maria Vittoria Marini Clarelli, Soprintendente alla Gnam, «tutte riconducibili agli anni settanta, ossia al cuore della stagione femminista, l’attualità del tema, gli interessi del nostro museo». (Donna: Avanguardia Femminista negli Anni ’70 dalla Sammlung Verbund di Vienna, catalogo a cura di Gabriele Schor, Electa, Roma, 2010) sono state le ragioni di una scelta rivolta ad artiste impegnate su fronti e temi estendibili a livello internazionale. Gli anni Settanta hanno segnato dei cambiamenti ideologici importanti nella storia e nell’arte, tra questi l’affermazione del pensiero femminista che ha trovato, nel linguaggio artistico, un
importante mezzo d’espressione. Valie Export, in mostra alla GNAM, nel suo Manifesto scrive: “Il Futuro delle Donne sarà la Storia della Donna” (Valie Export, Women’s Art. A Manifesto, 1972).
Cindy Sherman, Untitled Film Still # 17, 1978, b&w photograph; © Cindy Sherman / Sammlung Verbund, Vienna. „DONNA: Feminist Avant-garde of the 1970s from Sammlung Verbund, Vienna“, Galleria nazionale d’arte moderna, Roma, 19/02/201016/05/2010
Ketty La Rocca, Le mie parole e tu?, 1971/1972, b&w photographs and ink on aluminium. © Galleria Emi Fontana / Sammlung Verbund, Vienna. „DONNA: Feminist Avant-garde of the 1970s from Sammlung Verbund, Vienna“, Galleria nazionale d’arte moderna, Roma, 19/02/2010-16/05/2010
Eventi Da questa consapevolezza nasce l’intento di rivendicare quella produzione artistica, la cui presenza è stata da sempre oggetto di emarginazione e noncuranza. Le artiste iniziano a parlare del loro ruolo e della loro posizione nel mondo, a dichiarare loro stesse la condizione femminile.Tali considerazioni portano alla definizione di “Avanguardia femminista”, senza necessariamente ricondurre all’idea di una cosciente omogeneità tra le artiste, anche se inevitabilmente emerge come, da diverse esperienze e nazionalità, siano derivate forme comuni per trasmettere sensazioni e considerazioni in risposta a determinate restrizioni sociali. Queste artiste scelgono di lavorare con il proprio corpo, con la propria immagine, attraverso la fotografia o il video, per affrontare concetti quali la violenza sessuale, il parto, l’oppressione delle convenzioni imposte. Nella serie fotografica, Le mie parole e tu?, di Ketty La Rocca, si evince la comune tendenHelena Almeida, Work- 32 (Entreda 1), 1977, silver gelatin print. © Helena Almeida / Sammlung Verbund, Vienna. „DONNA: Feminist Avant-garde of the 1970s from Sammlung Verbund, Vienna“, Galleria nazionale d’arte moderna, Roma, 19/02/201016/05/2010. Ana Mendieta, Untitled, (Glass on Body Imprints), 1972 / 1997, color photograph (from a series of 6). © Ana Mendieta / Sammlung Verbund, Vienna. „DONNA: Feminist Avant-garde of the 1970s from Sammlung Verbund, Vienna“, Galleria nazionale d’arte moderna, Roma, 19/02/2010-16/05/2010
za di ricorrere a un linguaggio primitivo, quello del corpo, della gestualità della mano, per distaccarsi da una tradizione artistica, prettamente pittorica e scultorea, e per reinventare un nuovo linguaggio. In tema di soprusi sul corpo femminile, Nil Yalter, per la prima volta esposta in Italia, presenta il video La Femme sans Tete ou La Danse du Ventre (1974), in cui si esibisce in una danza sensuale con scritto sul proprio ventre una profezia di Cassandra contro l’umiliazione sessuale della donna. Ana Mendieta in Glass on Body Inprints (1972-1997) critica l’ideale di bellezza distorcendo la sua immagine contro una lastra di plexiglas. Rilevanti per il tema della mostra sono inoltre i travestimenti di Cindy Sherman ritratti in lavori fotografici e in video dai quali, tra l’altro, prende avvio la collezione stessa della Sammlung Verbun. Simbolo della spasmodica ricerca della propria soggettività, risaltano Doll Clothes, Untitled Film Still (1978) e le ultime serie di Bus Riders (1976-2000) e di Murder Mystery People (1976-2000), nelle quali l’artista interpreta personaggi maschili.
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Eventi Il monastero della certosa di Santa Maria de las Cuevas di Siviglia è attualmente la sede del centro andaluso di arte contemporanea dove, a fianco dell’esposizione permanete, trovano luogo anche mostre temporanee. Il cento nasce nel 1990 con l’intendo di creare un spazio di ricerca, promozione
visitare due mostre: una fotografica ed una pittorica. La mostra fotografica è intitolata Años 70, fotografía y vita cotidiana. Si tratta di una collettiva composta da circa 200 opere che raccoglie parte delle suggestioni che hanno caratterizzato gli anni Settanta, un periodo nel quale il mezzo artistico diventa il tramite della relazione tra arte e vita, il quotidiano, l’intimo vengono svelati. E la macchina fotografica, per sua stessa natura, restituisce immagini immediate, come per esempio in Album fotografico della famiglia D, di Cristian Boltanski: una parete di immagini variegate che raccolgono momenti, sguardi, pose, pensieri. Ed ancora una sala è dedicata ad Allan Sekula, si tratta di una sequenza di diapositive, che scattano a pochi secondi di distanza l’uno dall’altra, mostrando flash di vita e di vite. Le immagini proposte variano per metodo e tipologia di realizzazione, e proprio la scelta di un tema comune – la quotidianità – permette
Herminio Molero, Mi hermano y yo, 1975, Madera troquelada, Colección particular, Colección Javier Lacruz
e diffusione dell’erte contemporanea e nel 1997 il monastero della certosa ne diventa sede, dando una svolta al suo percorso. In questi mesi è possibile Viktor Kolár, De la serie Ostrava, 1974-1980
Cindy Sherman, Sin título. De la serie Pasajeros de autobús, 1976
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Centro Andaluz de Arte Contemporáneo
Eventi
di Angela Delle Donne
di evidenziare le differenti personalità artistiche e le molteplici esperienze individuali. La mostra di pittura si intitola Los Esquizos de Madrid, ancora una volta sono protagonisti gli anni Settanta e la produzione madrilena di quegli anni, per lo più artisti andalusi che vissero a Madrid rievocando una pittura figurativa che si poneva ai margini delle convenzioni estetiche e politiche di quegli anni. Anni di fermenti culturali, che vanno ben oltre il limite cronologico del 1979 per raggiungere il decennio successivo, cambiando definitivamente la scena artistica spagnola. Il fermento artistico degli autori proposti, quali José Luis “Bola” Borrionuevo, Guillermo Pérez Villalta, Manolo Quejido, si esprime iconograficamente nell’assenza di inibizione nei comportamenti sociali e nelle immagini riprodotte, si raccoglie attorno ad un gruppo di lavoro coeso e variegato che andrà ad incidere nella posteriori suggestioni concettuali e artistiche.
Carlos Alcolea, Mickey Mouse, El laberinto, El interminable, 1978
Chema Cobo / Guillermo Pérez Villalta, La isla, 1978.
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Eventi
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Il jazz di Romano Mussolini è fatto di melodie soffuse, rassicuranti, piuttosto ordinate, che a volte esplodono nei virtuosismi del piano, allontanandosi da schemi preconcetti e abbandonando la musica alla libertà che solo questo genere musicale può offrire. Parlare di Romano Mussolini jazzista è parlare di Romano Mussolini pittore: non solo perché entrambi incarnano la figura totale dell’artista che, in due modi differenti, persegue lo stesso fine, quello di interpretare la realtà. Ma anche perché le sue tele sono l’espressione visiva di quella musica. I soggetti da lui raffigurati sono quasi sempre gli stessi: paesaggi, gli angoli intimi della sua esistenza; le sue donne, affascinanti e lussuriose ma anche maliziose e innocenti; e i pagliacci, che tanto lo hanno reso noto. Anche in queste tele i toni sono rassicuranti, complice un figurativismo che rende l’immagine familiare a chi la guarda e una tavolozza fatta di tinte calde, anche quando prevalgono i blu cobalto che
sono una costante delle sue opere. Eppure, a volte, esattamente come nella sua musica, esplode il colore, i contorni si sfumano, quella rassicurante familiarità viene traslata in una realtà onirica, mai inquietante, ma pur sempre appartenente ad un mondo altro, proprio dell’artista, di cui il pagliaccio diventa simbolo. Lontano dall’immagine ridicola o sciocca che caratterizza questa figura, il clown di Mussolini è sovente pensieroso, riflessivo, deus ex machina che osserva il mondo e si fa demiurgo di una dimensione tra realtà e sogno: un dualismo comunicato dall’espressione malinconica che spesso stride con i colori sgargianti delle tele, che diventano le quinte di questo universo. Una contraddizione che possiamo provare a spiegare con le parole di Federico Fellini, che diceva di questa emblematica maschera, cui rese omaggio nel film “I clown”: “le due figure sono il clown bianco e l’augusto. Il primo è l’eleganza, la grazia, l’armonia, l’intelligenza, la lucidità, che si pro-
Romano Mussolini, Maternità, olio su tela, cm. 50x70
Romano Mussolini, Nackte Schînheit, olio su tela, cm. 50x70
Gli sguardi di Romano Mussolini
Eventi
di Fiorella Fiore
pongono moralisticamente come le situazioni ideali. L’augusto, che è il bambino, si ribella a una simile perfezione; si ubriaca, si rotola per terra e anima, perciò, una contestazione perpetua. Il clown bianco
e l’augusto sono la maestra e il bambino, la madre e il figlio monello; si potrebbe dire, infine: l’angelo con la spada fiammeggiante e il peccatore”. Viene da chiedersi, a leggere queste parole, se non sia da cercare proprio lì la chiave di lettura per comprendere non solo Romano Mussolini pittore e musicista, ma soprattutto uomo, la cui vita è stato duro muoversi con il peso del passato sulle spalle, a cui a volte ha cercato di sfuggire (ricordiamo l’utilizzo di uno pseudonimo nei primi anni della sua carriera) ma che ha sempre raccontato, in quei paesaggi, in quelle donne, ma soprattutto in quei pagliacci, i cui sguardi raccontano le note del suo piano e, forse, quel contrasto perpetuo tra “il clown bianco e l’augusto” presenti nella sua vita. Dal 28 marzo fino all’8 maggio 2010, le opere di Romano Mussolini sono in mostra presso la “Galleria 25” di Venosa; un appuntamento da non perdere per poter ammirare le opere qui descritte.
Romano Mussolini, Pagliaccio, olio su tela, cm. 40x60
Romano Mussolini, Pagliaccio, olio su tela, cm. 40x60
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A dispetto del nome che portano, i Perturbazione, gruppo del panorama indipendente italiano stanziato nella provincia torinese, sanno farsi apprezzare per la leggerezza del loro stile e per il suono gentile delle loro canzoni. Sulla scena da oltre dieci anni, hanno sempre portato avanti il loro progetto con passione e dedizione, in modo onesto e in grande autonomia, giungendo poche volte all’attenzione del grande pubblico, ma comunque raccogliendo dietro di sé un largo numero di fedeli ammiratori. Pur essendo una band indie, i Perturbazione da sempre tentano un approccio personale al pop, a metà strada tra la commercialità e il cantautorato, fatto di ricerca e cura dell’arrangiamento, con una grazia e un senso della misura davvero incantevoli. Cercando il proprio linguaggio, hanno finito per diventare unici, stabilendo coordinate chiare e ben precise e ottenendo un sound riconoscibile al primo ascolto, così come inconfondibile è il canto confidenziale e monotematico di Tommaso Cerasuolo. Le loro melodie, armoniose e discrete, riescono a trasmettere una tranquillità coinvolgente e commovente, attraverso pochi tratti di chitarra, un delicato violoncello che sottolinea costantemente i momenti
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intensi delle canzoni e una voce agrodolce che si insinua piano dentro chi ascolta. Nelle loro canzoni i Perturbazione raccontano con spontaneità i fatti della vita quotidiana, in tutta la loro semplicità e normalità. Vengono sviscerati i rapporti tra le persone, le emozioni più comuni, tralasciandone volutamente gli aspetti più banali, analizzando di volta in volta le inquietudini esistenziali, le paure, le debolezze, le insicurezze, ma anche le piccole gioie e i momenti di serenità. Questo intimismo parte dalla ricerca sulle proprie esperienze, all’interno del proprio microcosmo, al quale cercano di conferire un valore emotivo universale, qualche volta riuscendo ad assumere un sapore generazionale. I loro testi nascono dall'urgenza di comunicare e sono arditamente sentimentali, poiché sanno guardare le cose con lo sguardo intenso, attento, timido, disilluso, a volte ironico, di chi si innamora dei dettagli e trova la bellezza frugando nei posti più impensati, cercandola anche negli oggetti che ci stanno sotto gli occhi tutti i giorni. Le loro storie possono diventare, così, patrimonio di chi ha la pazienza di andare oltre la superficie delle cose, per trovarne l’essenza più pura e autentica.
Perturbazione: la poesia della quotidianità di Francesco Mastrorizzi
Questa ricerca di senso delle cose quotidiane si attua senza artificiali intellettualismi, ma con profondità e sincerità intellettuale, grazie a una capacità di catturare immagini vivide del reale e presentarle con grazia e dolcezza. Una tematica che spesso viene messa in gioco, lungo l'intera produzione del gruppo, è quella del tra-
scorrere del tempo, percepito nei piccoli frammenti quotidiani, la quale è in costante amalgama con le molteplici e mai banali declinazioni del tema d'amore. Si viene a creare, così, un’atmosfera di malinconia mista a romanticismo, che non sfocia, però, nella nostalgia più opprimente, ma è legata fortemente al presente e alla pressante voglia di normalità.
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fOrme
Bologna e la Fontana del Nettuno di Giovanna Russillo
Continua il nostro viaggio tra le più belle fontane italiane. Dopo la Fontana Pretoria di Palermo è la volta di un altro capolavoro dell’architettura cinquecentesca: la Fontana del Nettuno di Bologna. Si trova nel centro storico del capoluogo emiliano, in Piazza Nettuno, a pochi passi da Piazza Maggiore. Fu papa Pio IV, nel 1563, a commissionare il progetto all’architetto e pittore Tommaso Laureti. L’opera, completata nel 1567, avrebbe dovuto riqualificare l’area della piazza e rappresentare al tempo stesso un omaggio al potere pontificio. Per realizzarla furono demolite molte abitazioni e botteghe del circondario. L’impianto è composto da una grande vasca con rivestimenti esterni in marmo che poggia su una bassa gradinata. Al centro si eleva un massiccio piedistallo decorato ai quattro angoli da grandi statue raffiguranti sensuali nereidi. I piccoli getti d’acqua che sgorgano dai loro seni si intrecciano con quelli provenienti dalle bocche dei quattro delfini posti nella parte superiore della colonna, ciascuno stretto tra le braccia di un putto che, adagiato sul bordo, lascia penzolare le gambe nel vuoto. Le statue rappresen-
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tano i quattro grandi fiumi dei continenti allora conosciuti - Danubio, Nilo, Gange e Rio delle Amazzoni - e costituiscono la base della magnifica statua in bronzo che domina l’intero monumento. L’immagine è quella di Nettuno, dio del mare. La divinità tiene in pugno il tridente ed è ritratta nell’atto di placare la furia delle acque. L’opera è alta più di tre metri e per questa ragione fu detta dai bolognesi “il Gigante”. A realizzarla fu lo scultore fiammingo Jean de Boulogne da Douai, detto Giambologna, che fu chiamato dal Laureti ad eseguire le parti scultoree dietro il compenso di mille scudi d’oro. La figura del “Gigante”, fiera e possente, si caratterizza per uno straordinario dinamismo dovuto alla torsione della postura. Questo fa si che, nell’osservare la statua da diverse angolazioni, essa appaia in posizioni sempre nuove. Un tempo nella piazza del Nettuno si teneva il mercato cittadino e l’acqua della fontana veniva spesso utilizzata per lavare gli ortaggi. L'alimentazione idrica giunse nel 1565.
art Tour a cura di Francesco Mastrorizzi Reggio Calabria Egitto mai visto
Romano di Lombardia (BG) Passio Christi. Passio Hominis
italiana, Mario Schifano e dal San Sebastiano di Luigi Ontani, artista poliedrico che da circa trent’anni esibisce il proprio corpo, inteso come opera d’arte, attraverso l’uso di tableaux vivants o di autoritratti fotografici nelle vesti di personaggi storici.
Venosa Pittura in strada
Fino al 20 giugno 2010 Villa Genoese Zerbi, Reggio Calabria Info: www.civita.it Una grande esposizione, già allestita nel Castello del Buonconsiglio di Trento, viene ospitata alla Villa Genoese Zerbi di Reggio Calabria fino al prossimo 20 giugno. La mostra presenta al pubblico i materiali archeologici recuperati dalla Missione Archeologica Italiana diretta da Ernesto Schiaparelli durante le campagne di scavo effettuate nella valle del Nilo fra il 1908 e il 1920. Sono circa 400 i reperti esposti, conservati per decenni nei depositi del Museo Egizio di Torino e per lo più mai esposti al pubblico. Ritrovati nelle città di Assiut e Gebelein, costituiscono una ricca testimonianza della vita sociale e del contesto culturale della provincia egiziana fra il 2100 e il 1900 a.C. I pezzi più importanti sono rappresentati da dodici sarcofagi a cassa in legno stuccato e dipinto, con iscrizioni che tramandano formule d’offerta e rituali funerari magico-religiosi. Alcuni di essi contengono ancora la mummia e sono arricchiti da tutti gli elementi del corredo funerario che accompagnavano il defunto.
Fino al 23 maggio 2010 Museo d’Arte e Cultura Sacra, Romano di Lombardia (BG) Info: tel. 0363 902507 - fax 0363 913868 www.arteculturasacra.com La mostra Passio Christi. Passio Hominis vuole essere un’opportunità per riflettere su una condizione esistenziale umana che si presenta sempre più fragile e che porta molti artisti a calarsi visceralmente e senza ombra di indulgenza all’interno delle vestigia “decadenti” del vivere, per svelare e denunciare i simboli di un’epoca dove predominano incertezza e finzione, un’epoca appunto di passione. La rassegna permette di ammirare artisti tra i maggiori del Novecento e del Duemila, messi a confronto tra di loro. Si va dal realismo esistenziale degli anni Cinquanta con Ferroni, alle esperienze dell’Arte Povera rappresentata da Ceroli. Punte di eccellenza sono espresse dalle opere di Lucio Fontana, Pablo Picasso, Arnulf Rainer e Manzù, da quelle di uno dei maestri della Pop Art
Luglio - agosto 2010 Infoline: 3471241178 - 3939762387 3398357918 Info: www.artistinstrada.com E-mail: info@artistinstrada.com azalai@tiscali.it L’Associazione culturale “Il Circo dell’Arte” di Venosa (PZ) organizza la prima edizione dell’estemporanea di pittura Pittura in strada, nell'ambito di Artistinstrada 2010, festival internazionale itinerante di arte di strada in programma nei mesi di luglio e agosto 2010. L’estemporanea verterà attorno al tema dell’arte di strada, sul quale dovranno cimentarsi tutti gli artisti partecipanti, prendendo spunto dal mondo che ruota attorno ad essa e dalle emozioni e dalle suggestioni che è capace di suscitare negli spettatori di ogni età, dai bambini agli adulti. Tra tutte le opere in gara, una giuria appositamente predisposta selezionerà quella che verrà inserita sul manifesto ufficiale della manifestazione Artistinstrada per l’anno 2011.
ARCA Academy
Corso di Scultura info: 330 798058
foto archivio APT
Ruvo Del Monte
www.comune.ruvodelmonte.pz.it