Associazione di Ricerca Culturale e Artistica
Poste italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% CNS PZ
â‚Ź 1,50
idee
arte
eventi
Rivista mensile a diffusione nazionale - anno VI - num. 05 - Maggio 2010
La biblioteca dei Papi
Le soglie dell'arte
Pont du Gard
L'Account è l'addetto commerciale della casa editrice, è un conoscitore di psicologia, è un buon parlatore, è dotato di gusto estetico, diplomatico e politico e soprattutto è una persona indipendente e ricca di spirito d'iniziativa. Se ti riconosci in questa descrizione contattaci senza esitare. Per maggiori informazioni telefonaci a uno di questi numeri 330 798058 - 392 4263201 - 389 1729735 o invia un e-mail a editore@in-arte.org
Redazione Associazione di Ricerca Culturale e Artistica C.da Montocchino 10/b 85100 - Potenza Tel e Fax 0971 449629 Redazione C/da Montocchino 10/b 85100 - Potenza Mobile 330 798058 - 392 4263201 - 389 1729735 web site: www.in-arte.org e-mail: redazione@in-arte.org Direttore editoriale Angelo Telesca editore@in-arte.org Direttore responsabile Mario Latronico Impaginazione Basileus soc. coop. – www.basileus.it Stampa Arti Grafiche Lapelosa - tel. 0975 526800 Concessionaria per la pubblicità Associazione A.R.C.A. C/da Montocchino, 10/b 85100 Potenza Tel e fax 0971-449629 e-mail: pubblicita@in-arte.org informazioni@in-arte.org Autorizzazione Tribunale di Potenza N° 337 del 5 ottobre 2005
Sommario Editoriale
Spazio d'arte di Angelo Telesca ......................................................... pag.
4
Persistenze
Potenza e l'antico sacello di San Rocco Confessore di Sonia Gammone........................................................ pag. 5-7 La biblioteca dei Papi di Giuseppe Nolé........................................................... pag. 8-9 Noyon e il tempo delle cattedrali di Gianmatteo Funicelli.................................................. pag. 10-11
Cromie
L’evoluzione del colore nel mondo classico di Monica De Canio....................................................... pag. 12-13
Forme
Sassari: la Fontana del Rosello di Giovanna Russillo...................................................... pag.
14
Eventi
Il sogno italiano dei Preraffaelliti di Francesco Mastrorizzi............................................... pag. 18-21 Il giovane Murillo di Angela Delle Donne................................................... pag. 22-23 Incontri d’arte sulla soglia di Limen: otto9cinque di Agnese Miralli............................................................ pag. 24-25
TecnoCromie
La città proibita di Zhang Yimou di Chiara Lostaglio......................................................... pag. 26-27
Architettando
Un ponte da 5 Euro di Mario Restaino.......................................................... pag. 28-30
Chiuso per la stampa: 10 maggio 2010 In copertina: Marie Stillman, Il giardino incantato di Messer Ansaldo, 1889, acquerello su carta, cm 72.3 x 102.8, Londra, Collezione PreRaphaelite Inc., courtesy Julian Hartnoll artmonger. La redazione non è responsabile delle opinioni liberamente espresse dagli autori, né di quanto riportato negli inserti pubblicitari.
Abbònati alla rivista “In Arte”. Solo 12 Euro per avere ogni mese a casa tua una finestra privilegiata su un mondo di arte e cultura. Abbonarsi è semplicissimo: basta compilare un semplice bollettino postale così come nel fac-simile a lato ed effettuare il versamento in qualsiasi Ufficio Postale.
3
Spazio d'arte di Angelo Telesca
Cari lettori, In Arte Multiversi nasce da una passione condivisa, quella per l'arte; non è una semplice rivista ma è un'officina dell'arte. Questo spazio, prodotto dei sogni e delle energie di tanti amanti dell’arte vuole essere uno luogo di sintesi, in cui si rispecchiano e si alimentano le espressioni più interessanti, seducenti ed innovative dell'arte classica, moderna e contemporanea; è un luogo da vivere, con gli occhi e con il cuore. Ed è proprio con gli occhi e con il cuore che vi invitiamo a leggere e sfogliare le pagine di questo numero in cui abbiamo cercato di raccogliere le pagine più belle ed emozionanti dell’arte di questi mesi. A partire dalla bellissima rassegna di opere sul sogno italiano della corrente pittorica dei Preraffaelliti, in mostra al Museo d’Arte della città di Ravenna. Uno sguardo a cosa accade sulle altre sponde del Mediterraneo, con la mostra di opere del giovane Bartolomé Esteban Murillo in corso al Museo di Belle Arti di Siviglia. Senza dimenticare un tocco di modernità e contemporaneità con la curiosa esposizione di Roma, San Lorenzo: Limen - Le soglie dell’Arte. Un tuffo nei luoghi più segreti dell’arte, con una interessante focus sulle ricchezze d’arte della Biblioteca Apostolica Vaticana ed i misteri, prima nascosti e poi svelati, della Città proibita del glorioso Impero cinese. È un sogno, una sfida, che non chiede altro che il vostro sguardo, per il solo e semplice gusto della bellezza. Buona lettura!!!
4
Persistenze
Potenza e l'antico sacello di San Rocco Confessore
La chiesa di San Rocco Confessore di Potenza è da sempre oggetto di grande interesse popolare poiché legata ad uno dei Santi più amati e venerati dalla tradizione religiosa potentina. L’edificio, risalente alla seconda metà del XIX secolo, fu realizzato sulle rovine di una precedente cappella edificata tra il 1400 e il 1500 a seguito della pestilenza che colpì la città, detta “delle Ghiandole”. A questo periodo risale anche l’istituzione della Confraternita omonima, il cui statuto fu riconosciuto nel 1789 da Ferdinando IV di Borbone. Logorata dal tempo, la cappella crollò del tutto nel 1832 e solo nel 1860 la Confraternita diede inizio alla costruzione della nuova chiesa e fu grazie al sostegno economico dei fedeli che nel giro di un biennio il nuovo edificio fu riaperto al culto. In tal senso si legge su una lapide celebrativa presente all’interno della chiesa “L’antico sacello/dedicato al glorioso S. Rocco/in più ampia e nobil forma ri-
di Sonia Gammone
edificavasi/della pietà dei potentini/nell’anno di grazia/1862./Era priore Domenico Albanese/procuratore Gerardo Mancino”. L’impianto, a forma di croce latina, presenta tre navate. L’abside e i due cappelloni laterali sono uguali nelle dimensioni e presentano una copertura a forma di calotta emisferica che viene impreziosita da riquadri ottagonali recanti al centro un motivo floreale. La facciata anteriore ci appare con un portale affiancato da due grandi lesene grigie che si innalzano fino al cornicione. Al di sopra troviamo una lunetta finestrata che termina con un timpano di forma triangolare. I prospetti laterali sono più bassi e rivelano la presenza delle due grandi cappelle semicilindriche. Al centro dell'architrave del portale d'ingresso si trova una formella in marmo recante in rilievo l'effigie di S. Rocco, databile al 1857 ed attribuibile allo scultore lucano Michele Busciolano. Sul lato sinistro,
5
adiacente all’abside, si eleva il campanile a tre livelli che culmina in una cuspide tronco-piramidale in cui si conserva una campana, non più in funzione, risalente al 1565 e dedicata a S. Lorenzo da Padula. Sul lato destro possiamo ammirare una statua in bronzo raffigurante il Santo di Montpelier, realizzata nel 1969 su progetto di don Salvatore Vigilante. Un altro elemento estremamente interessante, situato sulla parete sinistra della chiesa, è un rilievo funerario di epoca romana. La stele funeraria, racchiusa in una piccola nicchia, rappresenta un busto femminile ritratto fino all’altezza dell’addome. La donna, rappresentata nel consueto gesto della Pudicitia, indossa una tunica con scollo arrotondato ed un mantello caratterizzato da profonde e fitte pieghe che le copre in parte il capo; con la mano destra, sollevata all’altezza del petto, trattiene un lembo di mantello, mentre nel-
Il Crocifisso ligneo del XV sec. prima e dopo il restauro.
6
la mano sinistra regge quello che sembra essere un ventaglio, accessorio piuttosto ricorrente in tali rappresentazioni. All’interno colpisce l’abbondanza degli stucchi dorati che appaiono quasi in contrasto con il sobrio rivestimento basamentale in pietra di Trani. Nel cappellone di destra possiamo ammirare la statua lignea di San Rocco realizzata nel 1859 dal Busciolano: il Santo è raffigurato come un giovane con la barba, nelle vesti e con il bastone da pellegrino, nell’atto di indicare il bubbone della peste presente sulla gamba sinistra, modello iconografico questo, molto diffuso. Sempre al Busciolano si devono anche altre due pregevoli opere presenti nella chiesa, una statua lignea del Sacro Cuore e una di San Vito. Attenti lavori di restauro hanno anche riportato a nuova luce uno splendido crocifisso ligneo di uno scultore ignoto datato intono al XV secolo che è ora
Persistenze
possibile ammirare alle spalle dell’altare centrale. La scultura è stata scolpita in un unico blocco di legno, a cui sono state aggiunte testa e braccia; dell’originaria cromia, grazie all’intervento di restauro mirabilmente curato dal restauratore Domenico Saracino e dal suo collaboratore Nicola Del Vecchio, rimangono solo pochi frammenti. Nel corso dei secoli ha subito profonde modifiche: sono state evidenziate ferite e sangue, aggiunti i capelli e le mani in stucco, un perizoma in cartapesta e varie ricostruzioni. L’atten-
to studio anatomico, caratteristico dell’epoca, rivela il volto di un Cristo estremamente umano nei lineamenti, che nonostante il dolore mostra un sorriso sereno. Dopo anni di restauro la Chiesa di San Rocco Confessore ha riaperto lo scorso 7 marzo, con una messa solenne presieduta dall’arcivescovo di Potenza Mons. Agostino Superbo, che ha così riconsegnato ai fedeli lo storico edificio di culto del capoluogo di regione.
7
La biblioteca dei Papi Persistenze Le biblioteche sono il luogo deputato ad accogliere libri, manoscritti, periodici ed ogni altro tipo di materiale pubblicato: luogo di conservazione e di studio, ma molto spesso vero e proprio luogo d’incontro con l’arte. In Italia infatti si trovano alcune tra le biblioteche più antiche e più belle del mondo, oltre che naturalmente più ricche di libri, manoscritti e stampe. Iniziamo questo nostro viaggio alla scoperta di questi scrigni pieni di tesori dalla “biblioteca dei Papi”. Si deve al Papa Niccolò V, alla metà del XV sec., l’inizio della storia moderna della Biblioteca Apostolica Vaticana. Già nel IV sec. è attestato lo scrinium della Chiesa romana, che serviva tanto da biblioteca quanto da archivio; nell’VIII sec. compare la figura del primo bibliothecarius. Nei secoli successivi però la prima biblioteca e il primo archivio dei papi vennero dispersi, per ragioni non ancora ben conosciute. Fu poi Niccolò V, nel 1447, a stabilire che i codici latini, greci ed ebraici fossero aperti alla consultazione ed alla lettura degli eruditi: la biblioteca era costituita da un’unica sala, al piano terra di un edi-
di Giuseppe Nolé
ficio già ristrutturato, con ingresso dal cortile detto dei Pappagalli e prospetto sul cortile del Belvedere. Sisto IV successivamente ne fece decorare le aule: la Bibliotheca Latina e Bibliotheca Graeca (per le opere nelle due lingue), la Bibliotheca Secreta (per i codici di pregio), la Bibliotheca Pontificia (per gli archivi papali). Nel 1798-1799 e nel 1809 Roma fu invasa e presa dalle armate francesi e poi napoleoniche: questo portò a notevoli perdite. Con Leone XIII, verso la fine del XIX sec., la biblioteca fu aperta ad un pubblico più ampio di ricercatori e storici; nel 1892 fu aperta l’attuale sala di consultazione degli stampati, dove furono collocati numerosi volumi a diretta disposizione degli studiosi. Durante la seconda guerra mondiale, la biblioteca rimase chiusa per circa un anno e divenne luogo per ospitare varie collezioni librarie, religiose e non, che correvano gravi pericoli di distruzione. Nel settembre 2002 è stata aperta al pubblico una nuova sala di consultazione dei periodici, con il materiale più importante a disposizione negli scaffali. E questo 2010 sarà l’anno di riapertura dopo i tre lunghi anni di chiusura per lavori di ammodernamento. Al momento la Biblioteca Vaticana custodisce un ricchissimo patrimonio composto di circa 150.000 volumi manoscritti (fra cui 75.000 volumi d’archivio), 1.000.000 di libri stampati (di cui 8.400 incunaboli), 300.000 tra monete e medaglie, 70.000 stampe e incisioni. È a dir poco impossibile descrivere la bellezza e il pregio dei libri conservati in questa biblioteca. Ci limitiamo a segnalare la maestosità e la magnificenza del Salone di Sisto V, opera dell’architetto Domenico Fontana, che costituì lo spazio della biblioteca sino al rinnovamento voluto da papa Leone XIII alla fine dell'Ottocento. Tra i numerosi codici, manoscritti e stampati, riportiamo di fianco una miniatura del Menologio di Basilio II, raccolta di testi liturgici e agiografici usato nella Chiesa ortodossa e composto da Simeone Metafraste intorno all'anno 985 a.C.: un autentico capolavoro d’arte bizantina, formato da 12 volumi ed arricchito da preziose miniature, opera di diversi artisti guidati da Pantoleone. Un piccolo esempio dell’enorme ricchezza, culturale ed artistica, conservata nella biblioteca dei Papi. A sinistra: Santi Cirillo e Metodio, dal Menologio di Basilio II, 985 a.C., Biblioteca Apostolica Vaticana. Pagina a fronte: Domenico Ghirlandaio e bottega, Visione di Ezechiele, dal Commentarium in Ezechielem et in Danielem prophetam, 1450, Biblioteca Apostolica Vaticana.
8
Persistenze
Noyon e il tempo delle cattedrali
Il primario modello costruttivo precedentemente affrontato sulla cattedrale di Saint-Denis, verrà lietamente imitato e progressivamente mantenuto in Francia quasi a stereotipare un sistema intuitivo prima e di imitazione poi sul corpo di fabbrica gotico. La prova esplicita di questa ricercatezza architettonica è in Noyon, insigne città protagonista di arte, religiosità e promozione politica posta nel Nord di Francia. Essa ricalcherà modi e creerà novità di costruzione sacra in un'epoca di sicuro sviluppo continuo (1150-1235). I maggiori elementi di questo modus costruendi vanno al di là dello spazialismo e della luce: l’involucro sacro è un immenso mondo di pietra verticalizzante dove l’abbondanza materiale è preponderante rispetto alla semplicità di spirito del fedele. L’imponente sviluppo interno vede la possibile tripartizione in ordini simmetricamente convenzionali, quali saldi pilastri di base (in genere a fascio) tra cui si intervallano le spesse arcate longitudinali (in cui si modulano le relative campate), su cui poi sovrasta l’elegante ed articolato matroneo congiunto al triforio dal vivace motivo a loggette, sino a raggiungere l’ampia ed estesa fascia finestrata. Queste maggiori finestrature nella zona più alta dei pannelli murari (il cleristorio) conferiscono tecnicamente l’adeguata illuminazione interna che si scaglia sulle vele delle volte, ma soprattutto valgono a scandire un “senso del sacro” verso il fedele che rimane stranito, col capo rivolto verso le immense vetrate istoriate nonché sulle testate semicircolari del transetto, che in Noyon saranno le maggiori introduzioni innovative. Il matroneo, lo spazio di devozione femminile, perfora le possenti murature intermedie in un continuo ritmo di bifore, arcature e modanature articolate. Ad elementi innumerevoli corrispondono spazi che esigono maggiore monumentalità, raggiungendo le rilevanti proporzioni di 35 metri in altezza (rispetto le più antiche di 24 mt) mentre la longitudine interna sfiorerà in alcuni modelli i 140 mt di lunghezza e i 50 di larghezza. Ritornando sui cantieri di Noyon sarà opportuno evidenziare come i transetti diverranno alquanto sporgenti rispetto alle altre costruzioni chiesastiche di epoche precedenti, quasi a recuperare una più ampia autonomia planimetrica rispetto al transetto romanico. Gli esterni, soprattutto in facciata, ricorrono ancora alla tripartizione sia orizzontale che verticale delle impostazioni, in un continuo emergere di decorativismi scultorei che introdurranno la fortunata iconografia dei portali strombati con sculture che riempiono, ad horror
10
di Gianmatteo Funicelli
vacui, qualsiasi oggetto costruttivo, dalle lunette ai doccioni, per poi introdurre una salda scultura antropomorfa sui trumeau dei portali. Qui, ma anche nel resto della Francia, la scultura esige nuovi spazi di affermazione, sin dai primi intenti timidamente avanzati sullo strombo del portale maggiore della cattedrale di Saint-Denis nel 1140 (di cui non ne rimane alcuna testimonianza fisica). Trattasi delle prime elaborazioni delle “statue-colonna” che in alcuni esemplari primeggiano toni riccamente classicheggianti nei tratti espressivi dei volti e sui panneggi. Una scultura che avanza dal fondo in altorilievi dai temi teofanici e da precisi programmi politici: ai re della Santa Chiesa, patriarchi e profeti vengono affiancati i poteri dei sovrani contemporanei; un biunivoco rapporto politico, quello sacerdotale e quello regale, sostenitore e promotore di un’intesa comune: la valorizzazione del sacro.
Facciata occidentale della cattedrale di Notre-Dame di Noyon.
In alto: abside della cattedrale e l'edificio della biblioteca capitolare. In basso: il chiostro della cattedrale.
Cromie
L’evoluzione del colore nel mondo classico
La scoperta di Ercolano e Pompei, alla metà del XVII secolo e più tardi quella delle rovine preclassiche di Micene e Cnosso svelarono al mondo l’intensa policromia dell’arte antica, ma uno “schermo mentale” continuò a trasmettere immagini in bianco e nero dell’arte antica e in ciò venne supportato dalle testimonianze scritte di quelle epoche. Durante tutta l’Antichità e oltre, i critici hanno sempre considerato il significato e il ruolo del colore nella pittura in modo fortemente ambiguo: da una parte rappresentava il posticcio, il meramente decorativo, il falso, mentre dall’altra dava vita e verità alla pittura, ma solo se sottomesso alle leggi del disegno, affinché si realizzasse lo scopo dell’arte d’imitare la realtà, a sua volta mimesis del “mondo delle Idee”. Infatti una forma di cromofobia intellettuale, che rimarrà invariata da Platone a Kant, ha condannato il colore a una posizione di subalternità rispetto alla linea, in quanto artefice di una “pittura d’illusione”, esca dell’attrattiva sensibile, che può suscitare emozioni, sensazioni, ma non può diventare oggetto di un giudizio puro. Plotino dirà “Il colore è il primo visibile”, sottolineando quel senso di aìsthesis, di sensibilità, che lo rende inafferrabile. Il colore percepito è un attributo dell’esperienza visiva difficilmente definibile in modo assoluto, poiché comporta anche una componente soggettiva. Greci e romani hanno tramandato ai posteri una serie di assunti sul colore, sul valore di luce e ombra rispetto a quello della tonalità, che hanno subito modifiche lente. Essi ritenevano che il colore fosse una qualità degli Mosaico di Alessandro, Pompei, metà II sec. a.C.
12
di Monica De Canio
oggetti, percepibile attraverso quella luce che esce dagli occhi. Le prime teorie, scritte nel V secolo a.C. si soffermano in particolare sull’antitesi bianco/nero, luce/tenebre, da cui scaturirebbero tutti gli altri colori. Empedocle individua i quattro colori primari nel bianco, nero, rosso e ôchron – che designa un’intera gamma di sfumature dal rosso al verde al giallo. Del tutto assente è il blu, che viene sostituito dal nero o da una mistura di bianco e nero. Egli associa l’idea dell’armonia cromatica, raggiunta dal pittore quando mescola i colori a quella dei quattro elementi, secondo una formulazione in cui “il simile percepisce il proprio simile”: è la cosiddetta teoria quadricromatica. Di questa austera tecnica a quattro colori ne è mirabile esempio Il mosaico di Alessandro, accurata copia pompeiana di una pittura precedente eseguita, forse nel tardo IV secolo a.C. da Polignoto o dal grande Apelle. Oltre alle lumeggiature, alle ombre portate e allo scaglionamento in profondità, normali per l’epoca, il mosaico impiega anche innovazioni pittoriche quali il modellato tridimensionale in nero e il violento scorcio di un cavallo visto da dietro. Per il nostro discorso risultano interessanti le proprietà ottiche delle superfici riflettenti, accuratamente evidenziate dal persiano caduto in primo piano al centro, mentre guarda la piccola immagine di se stesso riflessa su uno scudo convesso. Nella romanità, che dispone di molta tradizione peninsulare ed etrusca, oltre che greca, si afferma enormemente il colos principalis dell’Ars purpuraria, attraverso la fornitura e il deposito di merci privile-
Villa dei misteri (particolare), Pompei, I sec. a.C.
giate e prodotti scelti dalle tessitorie – tintorie dei maggiori centri della Magna Grecia e della Sicilia; il porpora sarà il colore simbolo della divinità e della regalità, contrapposto al caeruleus color (colore barbarico), un blu scuro con il quale i Britanni (picti) usavano dipingersi il corpo per apparire più terribili in battaglia, «come eserciti spettrali». La fortuna dei rossi occidentali saranno oggetto di attenzione anche di Plinio il vecchio che li riassumerà in un sapere enciclopedico. Essi illuminano l’enigmatica Villa dei misteri a Pompei. In un fregio continuo che corre lungo le quattro pareti, sono racchiuse 28 grandi figure, mirabili esempi di tecnica, ombreggiatura, modulazione di colore ed espressione emotiva. Personaggi mortali si mescolano a figure mitologiche, ostacolandone l’interpretazione: si ritiene possa trattarsi di una scena d’iniziazione ai riti connessi alla maturità sessuale e probabilmente
al matrimonio, o di una scena riguardante i misteri dionisiaci. Risulta evidente ormai come la cromia si sia arricchita di nuove sfumature che mettono in soffitta l’antica tecnica quadricromatica. L’intensa policromia romana è ancora più evidente in una scena di Villa Livia a Roma, simbolo della simbiosi tra realtà e illusione pittorica. Dietro un graticcio e un muretto, gli uccelli volano liberamente posandosi su arbusti e alberelli, rigogliosi di frutti e fiori, che risaltano sul cielo azzurro in lontananza. Questa pittura, secondo il Boardman, non ha prototipi greci ed «evoca il riconoscimento della facoltà che la natura ha di fornire un’evasione dalle preoccupazioni umane». Oggi possiamo affermare con certezza che il linguaggio non può essere ritenuto segno unico e diretto della percezione e che il fenomeno del colore è polivalente.
Villa Livia a Prima Porta (particolare), Roma
13
fOrme
Sassari: la Fontana del Rosello di Giovanna Russillo
La fontana del Rosello, a Sassari, è un gioiello architettonico dal profilo inconfondibile e rappresenta uno dei monumenti più famosi della Sardegna. Le sue origini sono piuttosto incerte. Il nome, “Rosello”, deriva da “Gurusellu”, la fonte che già in epoca romana alimentava l’acquedotto. Il suo aspetto attuale risale al primo decennio del Seicento, quando due maestri genovesi la rimodernarono in stile tardorinascimentale. La fontana, realizzata interamente in marmo bianco e verde, è composta da due corpi quadrangolari sovrapposti sui quali si intersecano due archi baroccheggianti. In cima svetta la statua di San Gavino a cavallo. Si tratta purtroppo di una copia in quanto l’originale è andata perduta. Il parallelepipedo maggiore, che funge da base dell’opera, è ornato sui quattro lati da dodici teste leonine da cui sgorga l’acqua. Dodici come i mesi dell’anno, per ricordare agli uomini l’inarrestabile scorrere del tempo. Agli spigoli della base, grandi statue raffigurano le quattro stagioni. Tre delle sta-
14
tue originali furono distrutte nel 1795, nel corso dei disordini della cosiddetta Sarda Rivoluzione, scoppiati in segno di protesta contro i Savoia che governavano la città dagli inizi del secolo. Quelle che oggi adornano la fontana sono copie realizzate nei primi anni dell’Ottocento dallo scultore carrarese Perugi. L’unica originale salvatasi dalla furia delle contestazioni, raffigurante l’Estate, oggi è conservata nel giardino del Palazzo Ducale. Oltre ad essere uno dei simboli della Sardegna, la fontana del Rosello ha rappresentato per secoli un’importantissima fonte di approvvigionamento idrico per la popolazione sassarese. Nell’Ottocento, in particolare, ai cittadini era familiare la figura dell’acquaiolo, che, girava di casa in casa rifornendo le massaie. Purtroppo oggi questo monumento è poco valorizzato. Con il passare degli anni, infatti, intorno sono sorti palazzi moderni e un ponte di epoca fascista (il Ponte Littorio), che hanno finito per deturpare il panorama circostante.
foto archivio APT
Potenza
www.comune.potenza.it
Il Teatro di Taormina (foto G. Caputi)
Eventi Il MAR, Museo d’Arte della città di Ravenna, ospita fino al prossimo 6 giugno la mostra dal titolo “I Preraffaelliti e il sogno italiano”, primo evento nella nostra nazione dedicato a quel movimento artistico denominato “Preraffaellismo”, sorto in Inghilterra nella seconda metà dell’Ottocento e fondato sul recupero di un’arte spontanea e ispirata alla natura, identificata nei pittori del Quattrocento italiano attivi prima di Raffaello. Gli artisti appartenenti a questo movimento, i cui protagonisti principali furono William Holman Hunt, Dante Gabriel Rossetti ed Edward Burne-Jones, costituivano una vera e propria confraternita, fondata a Londra nel settembre 1848, e si consideravano dei rivoluzionari intenzionati a mutare il corso dell’arte inglese. Il movimento si contrapponeva alle scuole di pittura ufficiali: in particolare il suo bersaglio era la Royal Academy, strettamente legata a modelli e immagini convenzionali e che aveva come artista di riferimento Raffaello, capostipite dello stile classico. Al centro del rinnovamento dei Preraffaelliti vi era il rapporto con l’Italia, con la sua arte, la sua letteratura e i suoi paesaggi. In particolare della pittura precedente il Rinascimento maturo essi
Il sogno italiano dei Preraffaelliti di Francesco Mastrorizzi
apprezzavano la brillantezza dei colori, l’aderenza alla semplicità della natura, l’attenzione ai particolari, l’intensità e la semplicità dell’espressione. Nella sua volontà di cambiamento la Confraternita Preraffaellita (The Pre-Raphaelite Brotherhood) era supportata criticamente da John Ruskin, cultore e amante dell’Italia e sostenitore del principio della verità della natura. Le oltre 130 opere in mostra a Ravenna provengono dai principali musei inglesi e sono suddivise in due grandi sezioni tematiche: la prima volta a testimoniare il fascino che esercitò sui Preraffaelliti la letteratura italiana del Medioevo e del Rinascimento; la seconda dedicata alla loro rappresentazione del paesaggio naturale e storico italiano. Il percorso espositivo è introdotto da una sala in cui sono presentate opere di artisti del XIV-XVI secolo che hanno ispirato i Preraffaelliti, tra le quali la Natività e la Preghiera nell’orto del Beato Angelico, il San Giovanni Evangelista di Lorenzo Costa e il Gesù Bambino tra la Madonna e San Giuseppe adorato dai pastori del Perugino. Nella prima sezione della mostra, tra i soggetti letterari preferiti dai Preraffaelliti, spiccano quelli tratti
Sopra: Dante Gabriel Rossetti, Paolo e Francesca da Rimini, 1855, acquerello su carta, mm 254x449, ©Tate, London 2010. A lato: Arthur Hughes, Era Piemontese, 1862, olio su legno, cm 40.6x29.8, © Tate, London 2010.
18
Eventi
Dante Gabriel Rossetti, Visione di Dante. Rachele e Lia, acquerello su carta, mm 352x314, ©Tate, London 2010.
dalla Divina Commedia di Dante, come dimostra l’opera Francesca da Rimini di William Dyce, ispirata all’episodio più celebre del capolavoro dantesco a quell’epoca in Gran Bretagna, quello di Paolo e Francesca. Altri esempi della fama della vicenda dei due amanti galeotti sono la scultura marmorea di Alexander Munro, Paolo e Francesca, e il dipinto Dante medita l’episodio di Francesca da Rimini e Paolo Malatesta di Joseph Noel Paton. Anche Dante Gabriel Rossetti nutriva un profondo interesse per la poetica di Dante: ne è un esempio la magnifica serie di acquerelli e dipinti, che illustrano alcuni episodi chiave della Divina Commedia o avvenimenti immaginari della vita del poeta, come Dante disegna un angelo nel primo anniversario della morte di Beatrice e Beatrice a un ricevimento di nozze nega il saluto a Dante.
20
La seconda sezione espositiva è incentrata attorno alla figura di John Ruskin. Egli, convinto fautore della conservazione dei monumenti e fortemente preoccupato per l’opera di restauro degli stessi, a suo avviso dannosa, che veniva portata avanti all’epoca, prese a riprodurre in disegno, in modo da conservarne una testimonianza visiva, gli edifici che amava e che riteneva in pericolo. Ben presto la sua attività si fece più sistematica e finì per assoldare giovani artisti, che inviava in Italia per indagare e documentare attentamente l’architettura e le opere d’arte dei borghi e delle città della penisola. I discepoli di Ruskin, inoltre, si fecero ispirare dalle bellezze naturali della campagna e dei paesaggi tipici delle varie regioni, riproducendo splendide vedute, molte delle quali possono essere ammirate all’interno del museo.
Eventi
Dante Gabriel Rossetti, Dantis Amor, 1860, olio su pannello di mogano, cm 74.9x81.3, ŠTate, London 2010.
Altre incantevoli rappresentazioni paesaggistiche in mostra sono opera dei rappresentanti della cosiddetta Scuola Etrusca, fondata nel 1883 dal pittore e patriota italiano Nino Costa, che attraverso i loro dipinti volevano esprimere tutta la loro ammirazione per l’Italia.
La mostra si conclude con l’esposizione di cartoni e disegni preparatori relativi al ciclo di mosaici presente nella chiesa anglicana di San Paolo dentro le Mura a Roma. Realizzati da Burne-Jones nel 1880, essi costituiscono il momento conclusivo dei Preraffaelliti in Italia.
21
Eventi
22
Il Museo di Belle Arti di Siviglia ospita fino alla fine di maggio una mostra dedicata a Bartolomé Esteban Murillo (Siviglia 1617 - 1682), focalizzata sul giovane Murillo poichè si tratta della produzione che va dalla fine degli anni Trenta agli inizi del anni Cinquanta del secolo XVII. L’esposizione celebra il pittore sivigliano con una corposa raccolta di opere in parte giá conservate nel museo e in parte provenienti dal resto del mondo, che racchiudono diverse tematiche e soggetti. E’ possibile ammirare le opere realizzate per il claustro piccolo del convento di San Francesco di Siviglia, le opere di genere come il giovane mendicante del Louvre di Parigi, o ancora il tema iconografico della Vergine con Bambino o la Sacra Famiglia. Incarichi di lavoro che riceve mano a mano che acquista fama nella cittá natale che lascerá poche volte nella sua vita per brevi viaggi. Nella sua formazione emergono la produzione pittorica di Zurbarán, Ribera, Velásquez; si produce in un realismo immediato che traspare nei temi trattati, studia la luce e i contrasti luminosi, sceglie un naturalismo che rivela la sua conoscenza della produzione pittorica italiana, acquisita attraverso lo studio
di stampe. Ed é proprio in questi anni - esposti in mostra - che Murillo definiste i suoi elementi fondamentali di rappresentazione dei temi religiosi caratterizzati nel guidare le emozioni di chi contempla le sue opere, un esempio per tutti, le diverse rappresentazioni della Immacolata Concezione. Il percorso espositivo raccoglie sette sezioni. Si inizia con le prime produzioni tra cui anche un autoritratto. La seconda parte è interamente dedicata alle opere del Convento di San Francesco, in queste opere emerge tutta l’influenza di Zurbarán. Poi si incotrano i temi sociali attraverso la povertá e la semplicitá della vita vissuta ai margini. Ed ancora nel quarto gruppo troviamo le grandi opere a soggetto religioso come Ultima cena della chiesa di Santa Maria La Blanca di Siviglia o Immacolata Concezione di proprietá del museo. Un quinto gruppo è dedicato al tema dell’infanzia di Cristo, spettacolare intimitá mistica si scorge ne la Sacra famiglia dell’uccelino, concervata al Prado di Madrid, dove un insolito san Giuseppe si trattiene a giocare con il piccolo Gesú ed un cucciolo di cane, mentre Maria in un angolo tesse al filaio; emerge tutto il suo personale modo di
Bartolomé Esteban Murillo, Vecchia filatrice, 1650.
Bartolomé Esteban Murillo, La Sacra famiglia dell’uccelino, 1650.
Il giovane Murillo
Eventi
di Angela Delle Donne
intendere il tempo relgioso, poichè afferra l’intensa presenza umana dei personaggi. Succesivamente si incontrano opere dedicate a Maria Maddalena e a santa Caterina, come la Santa Caterina conservata nel Mie Prefecural Art Museum in Giappone. L’ultimo gruppo è tutto dedicato ai santi penitenti e alle visioni mistiche, come il Sant'Antonio di Padova, conserva-
to a Birmingham o le Stimmate di San Francesco del museo cittadino. Questa raccolta compiuta e dattagliata delle opere giovanili di Murillo permette di compredere la sua influenza su le seguenti generazioni di pittori della scuola spagnola e l’influenza che la cittá di Siviglia ha esercitato sull’artista.
Bartolomé Esteban Murillo, Ragazzi con meloni e grappoli d'uva, 1665-1675.
23
Eventi
24
Il titolo della mostra, che inaugura il nuovo centro per l’arte contemporanea a Roma, San Lorenzo: Limen – Le soglie dell’Arte, intreccia vari aspetti quali: la scelta degli artisti esposti, la loro connessione con il quartiere in cui ha luogo l’evento e il tema che accompagna l’evento. Limen: otto9cinque è il nome dello spazio espositivo, nato da un’idea di Massimo Riposati e inaugurato il 7 aprile, con la mostra di Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Marco Tirelli, Nunzio, Pizzi Cannella, artisti appartenenti al gruppo della cosiddetta "Scuola di San Lorenzo", formatasi proprio nel quartiere romano sede dello stesso Centro. Sito in Via Tiburtina, a pochi passi da Via degli Ausoni, la sede di 270 metri quadri, è prossimo allo storico Pastificio Cerere dove, all’inizio della carriera, gli artisti avevano collocato i loro studi.
Il curatore della mostra è il critico Achille Bonito Oliva, lo stesso che nel 1983, per primo aveva dedicato alla "Scuola di San Lorenzo" un’importante esposizione dal titolo Ateliers, durante la quale i sei artisti avevano aperto i loro studi al pubblico, facendoli diventare luogo di incontri internazionali. Il catalogo è edito, come allora, da Carte Segrete, questa volta arricchito con le immagini curate dal fotografo Claudio Abate e dai testi di Achille Bonito Oliva, dell’Assessore alle Politiche Culturali del Comune di Roma Umberto Croppi, e del Presidente del III Municipio Dario Marcucci. Il nome del nuovo spazio, deriva dalla parola latina limen. In latino limen è la soglia e limes è il confine. A riguardo il critico Bonito Oliva scrive: «Limen più che Limes, soglia più che linea di confine. Soglia che suggerisce il passaggio, invita ai rapporti, agli incon-
Bruno Ceccobelli, La finestra di spirito
Pizzi Cannella, La porta stretta, 1985
Incontri d’arte sulla soglia di Limen: otto9cinque
Eventi
di Agnese Miralli
tri. Se il Limes tollera le aperture, il Limen suggerisce l’arricchimento delle identità attraverso la pratica e la valorizzazione delle differenze. Distinguere per unire. Limen come inizio, principio, invito alla conoscenza.». Lo spazio, un tempo locale adibito ad attività commerciali per la vendita di porte, è oggi centro per la divulgazione e il confronto delle arti visive contemporanee, una sorta di platea in cui è possibile stimolare l’incontro e il confronto tra esperienze artistiche contemporanee. L’obiettivo è di studiare approfonditamente le differenze tra diversi luoghi e generazioni culturali e valutare possibili scambi e integrazioni. Il numero 895, invece, è la misura in centimetri del cancello/confine che separa e allo stesso tempo apre la galleria alla strada.
Questa prima mostra ha voluto consentire l’incontro tra artisti legati non tanto da una stessa linea di ricerca, quanto da un’esperienza artistica formatasi in un ambiente comune, che ha portato però a soluzioni artistiche singolari. In tema con lo spirito di Limen è il dipinto La porta, di Piero Pizzi Cannella, con cui l’artista ci invita ad entrare nel mondo dell’arte o La finestra di spirito di Bruno Ceccobelli, il quale ha realizzato anche un’installazione appositamente per l’occasione. Gianni Dessì espone tre grandi sfere realizzate nel 2008 per il film di Rubini Colpo d occhio, aperte a un diretto confronto con il passato attraverso un disegno dello stesso artista del 1974. Tra le future programmazioni espositive, lo spazio riserva una particolare attenzione per l’arte visiva internazionale.
Gianni Dessì, Tutto tondo, 2008
25
TecnoCromie Può un film contenere diverse discipline artistiche? Trattare di arte, di tragedia greca e di teatro; di arredi orientali ed arti marziali; di fotografia e scenografia; e di tecnologie digitali; fare di ogni inquadratura un affresco, talvolta con tagli obliqui. Tutto in un solo film: l’opera del regista cinese Zhang Yimou: La città proibita uscita nel 2006. Un autore fra i più celebrati e premiati che ci sia in circolazione, ormai da un paio di decenni, ci regala anche questa volta un film di sublimi visioni. Ci racconta la magnificenza attraverso gli intrighi della grande dinastia dei Tang nella Cina del decimo secolo. Questo terzo capitolo della trilogia estetizzante (insieme ad Hero e La Foresta dei Pugnali volanti) è uno straordinario tableau vivant dove la famiglia imperiale vive tra le carezze dei servitori e nel rispetto di rituali millenari, fino a svelare i misteri e sormontare la scena con un’epica battaglia. Yimou abbaglia lo sguardo scegliendo cromie dorate in primo piano che ci inoltrano nello splendore e nello sfarzo dei Tang (il titolo originale è Curse of the Golden Flower), ma pennella le scene anche con il verde, l’azzurro, il magenta. L’effetto finale è un qua-
26
La città proibita di Zhang Yimou di Chiara Lostaglio
dro sontuoso e immenso. L’imperatrice ribelle ha il volto di porcellana e altero di Gong Li che rifiuta i ruoli imposti dalla famiglia e sconvolge le geometrie del cerchio e del quadrato cambiando il corso della storia. Un’affascinante epopea dove il regista omaggia l’amata Cina ma irride nel contempo ancestrali tradizioni nella compiuta unione di racconto e cifra artistica. Esponente della Quinta generazione dei registi cinesi, (è nato nel 1951), è stato da giovane perseguitato con la sua famiglia dal regime maoista. Zhang Yimou rispecchia tutte le caratteristiche di un cineasta d’avanguardia che “intende reagire, almeno in senso ideale, non tanto contro la società liberale e democratica, capitalistica e borghese, tecnologica e industriale, quanto contro la civiltà che essa crea e rappresenta.” La realtà storica specifica contro cui egli insorge è proprio la cultura di massa, in cui vede una pseudo-cultura. Fedele ai valori qualitativi, l’artista si sente, di fronte ai valori quantitativi della civiltà moderna, in uno stato che è insieme d’esclusione e di ribellione, si sente derelitto, reietto, isolato. Da qui i suoi sogni di
reazione e di rivoluzione, le sue utopie retrospettive e anticipatorie, il desiderio egualmente impossibile d’instaurare ordini nuovi o di restaurare ordini antichi. Zhang Yimou aveva operato in Oriente (prima che venisse “scoperto” dal cinema mondiale, oggi è gra-
dito anche dalle major americane) con opere che mettevano in discussione la tradizione e la politica, pagandone un caro prezzo, in termini di censura e di esclusione. E continua a parlare di storia, cercando di carpirne il significante.
27
Architettando L'introduzione dell'euro ha permesso di fare qualche riflessione in chiave strutturale sull'architettura e sulla sua evoluzione storica. Quest'arte, a differenza della pittura e della scultura, è quella che più permea e definisce il paesaggio, che per sua natura si confronta con chi vive e chi vi si muove al suo interno, che la misura e la conosce. È questo uno dei motivi per cui le banconote di euro, scelte nel 1996 attraverso un sondaggio tra quelle selezionate da un precedente concorso, ripercorrono la storia dell'architettura europea presentando sul fronte porte e finestre (l'apertura dei popoli) e sul retro ponti (il collegamento tra le nazioni). Queste immagini, nella maggior parte dei casi, non rappresentano un ponte o un edificio specifico, bensì, per non creare disparità all'interno dei paesi dell'unione europea, costruzioni con elementi tipici del periodo storico rappresentato. I ponti, oggi come ieri, costituiscono l'avanguardia dell'ingegneria strutturale, dove si spendono le maggiori risorse ed energie per cercare di oltrepassare il limite che la gravità e le resistenze dei materiali ci impongono. Fino alla fine del '700 i materiali usati per la loro costruzione sono stati il mattone e la pietra che per la loro particolare natura, non resistenti a trazione, hanno generato l'unica forma strutturale possibile: l'arco. L'arco è una invenzione alquanto suggestiva; l'umanità ha tardato molto a capirne il funzionamento statico, tanto che alcune leggende ne attribuiscono l'invenzione addirittura al diavolo. I romani hanno usato l'arco a tutto sesto, il più semplice da realizzare, essendo i conci tutti uguali. In questo modo potevano costruire molto velocemente tutte quelle opere di urbanizzazione che la loro rapidissima espansione richiedeva. Nella banconota da 5 euro non si può non riconoscere il Pont du Gard, probabilmente il più bello e
28
celebre acquedotto romano esistente, inserito nel patrimonio mondiale dell'UNESCO dal 1985. Vers Pont du Gard, una vera oasi verde nel centro della Garrigue, praticamente a metà strada tra Nimes ed Avignone, ha conservato la sua caratteristica rurale, con le sue vigne, i giardini ben curati e le sue distese di frutteti. Famosa in Francia ed in Europa per la qualità del suo vino (Coteaux du Pont du Gard) e per le sue cave di roccia calcarea, da cui
Un ponte da 5 Euro di Mario Restaino
sono state estratte le pietre utilizzate per la costruzione dell'acquedotto romano. Pont du Gard, costruito verso il 19 a.C. da Agrippa, sotto l'imperatore Augusto, fa parte di un acquedotto lungo quasi 50 km che portava l'acqua dalle sorgenti di Uzès (il punto di captazione non è conosciuto) alla città gallo-romana di Nemauses, oggi Nimes. Nemauses aveva un discreto numero di pozzi ed anche una sorgente vicina: la costruzione di un ac-
quedotto non rappresentava pertanto una necessità vitale, ma piuttosto un'opera di prestigio, destinata all'approvvigionamento idrico di terme, bagni pubblici e numerose fontane della città. Proprio per superare il corso del fiume Gardon gli ingegneri romani superarono loro stessi creando una meraviglia architettonica che ancora oggi sorprende ed affascina i suoi tanti visitatori. La struttura, alta 49 metri, è disposta su tre piani. Partendo dal basso
29
si hanno 6 archi, alti 22 metri e larghi 6 metri, che formano l'ordine inferiore lungo 142 metri. Al di sopra troviamo un ordine intermedio, detto mediano, costituito da 11 arcate, alte 20 metri e larghe 4 metri, che si sviluppano per una lunghezza di 242 metri. Il coronamento dell'ordine superiore è formato da 35 archi, alti 7 metri e larghi 3 metri, che si estendono per 275 metri. La condotta, un rettangolo alto 1,80 metri e largo 1,20 metri, con una portata che poteva raggiungere i circa 20.000 metri cubi d'acqua al giorno, ha una pendenza di 34 centimetri per chilometro, ovvero 1/3000. Il dislivello tra la sorgente e l'invaso di ripartizione, chiamato Castellum Divisorum, ancora oggi visibile nella via Lampèze a Nimes, è di soli 17 metri: un successo tecnico davvero ragguardevole. Inoltre l'acquedotto segue un percorso particolarmente sinuoso per poter sfruttare al massimo i rilievi delle colline (in linea d'aria Uzès non è che a 20 chilometri da Nimes). Il ponte fu costruito senza l'impiego di alcun legante; le pietre, di cui alcune pesanti fino a 6 tonnellate, erano legate tra loro da elementi in ferro. I blocchi furono estratti da una cava a meno di un chilometro dal cantiere. Questi furono posti in opera grazie ad un argano azionato da una ruota che veniva fatta gi-
rare dagli operai. Inoltre una complessa impalcatura fu costruita per sostenere il ponte durante la sua costruzione. La facciata ne porta ancora i segni, come i sostegni dell'impalcatura e le cornici sporgenti sui pilastri che accoglievano le centine in legno che servivano a sostenere le volte durante la loro costruzione. Si suppone che la realizzazione abbia avuto una durata di 3 anni impiegando circa 800-1000 operai. Un enorme accumulo di calcare nei canali dell'acqua fa supporre che l'acquedotto sia stato usato con continuità per circa 500 anni. Tutti e tre i piani sono accessibili ed è possibile percorrere l'interno della canalizzazione superiore. Altre strutture visibili dell'acquedotto si trovano ad Uzès (Fontaine d'Ura, bacino regolatore), Bornègre, Vers du Gard (resti di due tronconi), Col de la Ratade (Pont Ménestière, 300 metri di arcate, Pont Roupt), Remoulins (nell'omonimo bosco si trovano resti di 6 parti dell'acquedotto), Sernhac (tunnel), Nimes (Castellum Divisorum). Oggi Pont du Gard si presenta al viaggiatore pallido ed armonioso, nei suoi tre livelli di archi che scompaiono nelle foreste che si aprono su entrambi gli argini del fiume, guardandoci ancora come se fosse stato costruito ieri.
Atella www.comune.atella.pz.it