InArte luglio/agosto 2011

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Associazione di Ricerca Culturale e Artistica

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Rivista mensile a diffusione nazionale - anno VII - num. 7/8 - Luglio/Agosto 2011

Il conte di Cavour

Museo diocesano di Melfi

Il tesoro del Cremlino


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Redazione

Sommario Editoriale

Associazione di Ricerca Culturale e Artistica C.da Montocchino 10/b 85100 - Potenza Tel e Fax 0971 449629 associazionearca@alice.it

La pietra delle sirene di Angelo Telesca ......................................................... pag. 4

150° in Arte

Ritratti del Risorgimento: il conte di Cavour di Angela Delle Donne................................................... pag. 5-7

Persistenze

Redazione Largo Pisacane, 15 85100 - Potenza Mobile 330 798058 - 392 4263201 - 389 1729735 web site: www.in-arte.org e-mail: redazione@in-arte.org Direttore editoriale Angelo Telesca editore@in-arte.org Direttore responsabile Mario Latronico Caporedattore Giuseppe Nolé Impaginazione Basileus soc. coop. – www.basileus.it Stampa Ars Grafica - Villa d'Agri (PZ) Concessionaria per la pubblicità Associazione A.R.C.A. C/da Montocchino, 10/b 85100 Potenza Tel e fax 0971-449629 e-mail: informazioni@in-arte.org Iscrizione al ROC n. 19683 del 13/5/2010 Autorizzazione Tribunale di Potenza N° 337 del 5 ottobre 2005 Chiuso per la stampa: 25 luglio 2011

La redazione non è responsabile delle opinioni liberamente espresse dagli autori, né di quanto riportato negli inserti pubblicitari.

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Santa Maria dell'Episcopio a Montalbano Jonico di Franco Torraca.......................................................... pag. 8-9 Campomaggiore tra utopia e realtà di Giuseppe Damone..................................................... pag. 10-11 Archeologia a Banzi tra continuità e innovazione di Michele Scalici........................................................... pag. 12-13

Forme

La fontana Fraterna a Isernia di Fabrizio Corselli......................................................... pag. 14

RiCalchi

Mistiche atmosfere foto Gerardo Caputi ...................................................... pag. 16-17

Eventi

Arte ed editoria al festival Artelibro di Francesco Mastrorizzi............................................... pag. 19 Il Palazzo vescovile ed il Museo diocesano di Melfi di Giuseppe Nolé........................................................... pag. 20-22 Il tesoro del Cremlino di Sonia Gammone........................................................ pag. 24-25

Giro del mondo in 12 musei

Il Museo egizio del Cairo di Fiorella Fiore.............................................................. pag. 26-27

Ritagli

Foja, un mix di fumetto e musica di Maria Rosaria Compagnone...................................... pag. 28-29

Art Tour

a cura di Francesco Mastrorizzi.................................... pag. 30


La pietra delle sirene di Angelo Telesca

L’estate è la stagione delle vacanze, ma è anche la stagione in cui in ogni angolo del nostro paese si danno vita ad iniziative culturali e di intrattenimento: mostre, spettacoli, feste, cortei storici, sagre gastronomiche. In tutto questo pullulare c’è un colore che, a nostro giudizio, fa da sfondo ad ognuno di questi momenti: l’azzurro. L'azzurro è il colore di un cielo limpido o del mare vicino alle coste, creando una gamma di tonalità fra il celeste e il turchese, o anche più chiare. L’azzurro è uno dei colori base: esso sta al blu come il rosa sta al rosso. E vi è una pietra che forse più richiama lo splendore dell’azzurro e la leggerezza dell’estate: l’acquamarina. È una pietra dura dal colore azzurro intenso e profondo da cui si ottengono magnifiche gemme. La leggenda vuole che fosse la pietra delle sirene, per questo i marinai la indossavano come amuleto portafortuna quando andavano per mare. Ma è stata ritenuta anche una pietra portatrice di successo, molti la portavano allacciata alla cintura in un sacchetto di seta azzurra, credendo che aiutasse a sbaragliare i nemici nelle contese. Nella speranza che queste settimane di vacanza siano per tutti un periodo di relax e ristoro, vi lasciamo con l’immagine bellissima di questa acquamarina e vi auguriamo buona lettura!

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Ritratti del Risorgimento: il conte di Cavour di Angela Delle Donne

Abbandoniamo le pagine dedicate ai grandi temi del Risorgimento, per scoprire i ritratti di personaggi illustri che la storia ci ha restituito come protagonisti dell’Unità d’Italia. Iniziamo con Camillo Benso Conte di Cavour. Nato all’inizio dell’Ottocento a Torino, Cavour, come notoriamente viene ricordato, fu promotore dell’interazione tra sviluppo delle libertà economiche e sviluppo delle libertà politiche, formatosi

negli ambienti liberali europei, supportò i propri studi e le proprie idee attraverso le pagine del giornale che aveva fondato: Il Risorgimento. Stratega e intuitivo, Cavour lavorò dietro le quinte per intessere relazioni e per predisporre le fila della rivoluzione di campo. Cercheremo di scoprire questo arguto statista attraverso il mondo dell’arte, che sa trasformare una biografia in immagine. Durante le celebrazioni del centenario dell’Unità d’Italia (1961), le copertine del settimanale la Domenica del Corriere hanno raccontato il risorgimento con stampe e disegni. La Biblioteca Nazionale di Potenza ne possiede diversi esemplari, restaurati e conservati in ottimo stato e per il restauro della copia del 1 gennaio 1961 ha ricevuto una menzione speciale da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. La copertina di questo numero è stata affidata alla matita di Walter Molino. Illustratore di origine emiliana e morto a Milano nel 1997; inizia in adolescenza ad illustrare riviste fino ad approdare nel 1941 a La domenica del Corriere e a Il Corriere dei piccoli; raggiungendo una fama che ha sconfinato il suolo nazionale. Molino nella copertina racchiude in un’unica scena “i quattro artefici delle fortune d’Italia”: Vittorio Emanuele II, Garibaldi, Cavour e Mazzini. Cavour ancora una volta è rappresentato con i suoi inconfondibili tratti: ciglio inarcato, occhialini che non nascondono la lungimiranza dello sguardo, fronte stempiata, un filo di barba a contorno del viso. Tratti reiterati delle immagini dello statista torinese; che troviamo a ritroso nel tempo. In virtù del ruolo rivestito, Cavour è stato rappresentato attraverso quadri,

Vincenzo Vela, Cavour, bozzetto conservato nel Museo Vela di Ligoretto, Svizzera.

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stampe, schizzi, monete, sculture. Ed è proprio l’arte scultorea il mezzo che scegliamo in questa sede per “raccontare” il conte torinese. L’eleganza del personaggio, l’alterigia del portamento, ben si sposano con la materia marmorea che, anche quando Augusto Rivalta, Statua di Cavour, 1870.

è modellata, continua a conservare un’aura impenetrabile. Nel palazzo della Banca d’Italia di Firenze è conservato un monumento celebrativo realizzato da Augusto Rivalta, subito dopo il 1861. Brillante sculture, nato ad Alessandria nel 1834, si forma nello studio dello scultore Duprè e frequenta i Macchiaioli, fino ad arrivare nel 1861 a vincere il concorso per la realizzazione di una statua monumentale di Cavour per la città di Torino, ma fu ritenuto troppo giovane, per cui l’incarico fu affidato al maestro Duprè. Il monumento, conservato a Firenze, mostra tutta la forza realista dello sguardo del conte, ne rivela la fierezza, l’eleganza; seppur sorpreso in una pausa dalla lettura, Cavour appare sicuro, riflessivo, con lo sguardo lungimirante che va oltre lo spettatore. Il complesso marmoreo rivela accuratezza dei dettagli, purezza delle linee, maestria nel creare le forme. Non è da meno lo scultore Vincenzo Vela nato nel 1820 a Ligoretto, in Svizzera, dove oggi si trova un museo dedicato alla sua produzione artistica. Vela realizza intorno al 1861, per La Borsa Merci di Geneva, un monumento a Cavour, che aveva avuto modo di conoscere di persona. Il monumento nel 1942 verrà distrutto, così è rimasto il solo bozzetto conservato nel museo svizzero. Il gesso rappresenta Cavour seduto in poltrona, come nella scultura di Rivalta, ma Vela lo coglie nell’atto di firmare un documento di libero scambio, così come indica l’incartamento stretto fra le mani. Anche se di gesso, il monumento rivela forme pulite, nette, precise e ricercate. Ancora una volta ritorna lo sguardo riflessivo, lungimirante, intuitivo e sicuro dello statista che poté presiedere il Governo per appena tre mesi.

Pagina a fianco: Copertina della Domenica del Corriere del 1 gennaio 1961 illustrata da Walter Molino per commemorare il primo centenario dell'Unità d'Italia. Immagine riprodotta su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Direzione regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Regione Basilicata - Biblioteca Nazionale di Potenza. È vietata ogni ulteriore riproduzione con qualsiasi mezzo.

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Persistenze

Santa Maria dell'Episcopio a Montalbano Jonico

Montalbano Jonico è una cittadina della collina materana, le cui origini risalgono al III secolo a. C. Nel corso del Medioevo è stata terra di conquista, subendo le sopraffazioni e le violenze di Bizantini, Svevi, Normanni, Francesi, Spagnoli, Borboni, come del resto tutto il sud dell’Italia. Il suo territorio fertile ne ha fatto per molti decenni uno dei centri più ricchi e prosperi dell’area, tanto che nel 1735 Carlo III di Borbone gli conferì il titolo di “città” e i vescovi di Tricarico ne fecero la loro privilegiata residenza estiva. Nel centro storico del paese è ubicata la Chiesa Madre di Santa Maria dell'Episcopio, la cui facciata appare semplice nelle linee classicheggianti tipiche del Cinquecento. La consacrazione dell’edificio avvenne nel 1534, come attesta una iscrizione in latino incisa su una lastra in pietra. Nel Settecento un devastante terremoto rese necessaria la demolizione della chiesa e con la successiva ricostruzione si decise di riordinare le navate, murando l’ingresso principale originario, che si affacciava sul lato occidentale in corrispondenza di Piazza Savonarola, e spostando la porta maggiore presso la cupola e la crociera.

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di Franco Torraca

L’edificio è a tre navate e presenta al suo interno alcuni elementi molto interessanti sotto il profilo artistico. Nella navata centrale è ancora ben conservato un fonte battesimale del Cinquecento. Altro dettaglio rilevante è un imponente organo decorato con motivi dorati, che fu trasportato dietro l’altare nei primi anni del Novecento. Dietro l’altare maggiore si trova il coro, realizzato alla fine del Seicento. Anche le navate laterali sono ricche di opere sacre che meritano un cenno. Nella navata di destra si trovano l’altare di Santa Maria e quello dell’Addolorata. Poco più avanti la cappella di S. Maurizio, patrono del paese, conserva un bellissimo paliotto di marmi policromi. La navata di sinistra ospita l’altare di S. Maria ad Nives e quello di S. Maria di Costantinopoli. Spicca una tela del Seicento, attribuita al pittore Mattia Preti, definito “il Caravaggio di Napoli”, raffigurante la Madonna con Gesù bambino che offre la Croce a San Giovannino. Conserva, inoltre, una statua lignea risalente al XIII-XIV secolo raffigurante una Madonna con Bambino. L'effige proviene dall'antico cenobio cistercense di San Nicola in Sylva, oggi ridotto a pochi ruderi e situato sulla sponda sinistra del fiume Agri, in territorio montalbanese fuori dall'abitato.



Persistenze

di Giuseppe Damone

Ad ogni abitante che stabiliva la sua dimora in Campomaggiore i Conti riconoscevano un terreno da coltivare, un lotto di venti palmi per edificare una casa, oltre al legname per le travi da prendere nei boschi di proprietà dei Rendina e con l’obbligo di piantare tre piante da frutto per ogni albero reciso. La disposizione a scacchiera delle case tutte uguali per dimensioni e tecniche costruttive ruota intorno a Piazza dei Voti delimitata dal Palazzo Baronale, dalla chiesa neoclassica di Santa Maria del Carmelo che con il suo campanile ancora integro dalla frana oggi è divenuta il simbolo di Campomaggiore, e da altri edifici ad uso pubblico come la Caserma dei Carabinieri, la sede del Municipio ed altre attività. Il primo, costruito sul disegno del Patturelli, si caratterizza per la sua pianta rettangolare, con un cortile interno munito di cisterna e con quattro torri nei quattro angoli di cui oggi se ne conservano solo tre. In netta contrapposizione è la chiesa con il suo impianto elegante a due navate e con un prospetto intonacato di bianco e disegnato a ricordare un tempio classico con due ordini di lesene, un rosone e un timpano sommitale. foto Gerardo Caputi - Basileus

Nel cuore della Basilicata, lungo la Valle del Fiume Basento, sono le rovine di una città abbandonata sul finire del XIX secolo. Passeggiando per i sentieri ordinati si è subito affascinati dai ruderi immersi nella vegetazione che lentamente riconquista i suoi spazi, quasi ad inghiottire le testimonianze del passaggio dell’uomo in questi luoghi. È la città utopica di Campomaggiore Vecchio, voluta dai Conti Rendina e costruita sul progetto di Giovanni Patturelli, allievo del Vanvitelli. La disposizione e l’organizzazione urbana ancora oggi leggibile nei ruderi, anche se notevolmente espoliati per il recupero di materiale lapideo da reimpiegare in nuove costruzioni, oltre ad elementi architettonici di pregio, è quella fatta costruire dal Conte Teodoro Rendina che con grande audacia seppe trasformare Campomaggiore da feudo disabitato in una città fiorente ed autosufficiente. Basti pensare che dagli 80 abitanti del 1741 si passò ai 1525 del 1885. La ragione della rinascita del paese è da ricercarsi nella politica perpetuata dallo stesso Teodoro e intrapresa dai suoi avi sin dalla prima metà del XVIII secolo.

Campomaggiore tra utopia e realtà

Il Casino della Contessa, Campomaggiore Vecchio (PZ).

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foto Gerardo Caputi - Basileus

foto Gerardo Caputi - Basileus

Palazzo Cutinelli-Rendina, Campomaggiore Vecchio (PZ). In alto: Panoramica 360° di Campomaggiore Vecchio con al centro Piazza dei Voti. A piè di pagina: una veduta a volo d'uccello del centro di Campomaggiore Vecchio.

principale. Sul prospetto opposto, invece, è un avancorpo centrale, una torre colombaia all’interno della quale è stata realizzata la scala monumentale di collegamento tra i due livelli. Poco distante dal Casino sono il Laboratorio del Vino, una struttura ipogea, e la Masseria Cutinelli Rendina che all’interno custodisce un antico frantoio. Tra il 9 e il 10 febbraio 1885 una violenta frana fa calare il silenzio su questa vitale e prospera cittadina. Il paese sarà trasferito a 4 km di distanza. È così costruito Campomaggiore Nuovo che se pur progettato ed eretto guardando il precedente sito non ne ha mai raggiunto l’originalità e il fascino. foto Gerardo Caputi - Basileus

Appena fuori l’abitato era la fontana pubblica con annesso lavatoio, mentre più a valle il cimitero chiuso da mura perimetrali e con all’interno una piccola chiesa. Domina, invece, il paese dall’alto il Casino della Contessa, la residenza estiva dei Conti, dichiarato Monumento Nazionale nel 1992, ma oggi ancora cadente e soggetto a continue ruberie di elementi architettonici e decorativi di pregio. Anche se espoliato è ancora possibile apprezzarne le fattezze architettoniche. Si caratterizza per una scansione ritmica dei prospetti con aperture disposte simmetricamente e un porticato sulla facciata

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Persistenze

Archeologia a Banzi tra continuità e innovazione

Il sito archeologico di Banzi sorge su un’altura pianeggiante che si affaccia sul torrente Banzullo, affluente del Brandano. Il suo comprensorio si caratterizza come un’area di cerniera tra il territorio apulo-peuceta da un lato e quello lucano dall’altro tanto che l’antica Bantia viene collocata dalle fonti alternativamente in Lucania ed in Apulia (Plinio, Nat. Hist., III, 98; Orazio, III, 4, 15; Livio, XXVII, 25, 13 ; Plutarco, Marc., XXIX, 1). Anche se il popolamento, in tutte le sue fasi, fu meno intenso rispetto ad altri centri del comprensorio, l’importanza dei rinvenimenti archeologici danno al sito Banzi un ruolo preminente nella ricostruzione storica della regione. Per le fasi più antiche le presenze insediative risultano assai scarse mentre tra età arcaica e IV sec. a.C. l’abitato bantino (559 m s.l.m.) è già il fulcro di un sistema insediativo più ampio. Le attestazioni archeologiche più antiche sembrano risalire all’VIII-VII sec. a.C., con una grande vitalità in età arcaica e classica. L’organizzazione del sito in epoca preromana risulta complessa ed articolata. I primi rinvenimenti occasionali si ebbero già nel 1920 ma le campagne di scavo sistematiche iniziarono soltanto a partire dal 1977. I dati più rilevanti provengono dalla necropoli in loc. Piano Carbone dove le tombe appaiono disposte per piccoli nuclei con quelle infantili nelle immediate vicinanze delle strutture abitative (semplici capanne fino al V sec. a.C.). All’interno della tomba il defunto è deposto in posizione rannicchiata su di un fianco secondo il tipico rituale delle popolazioni indigene del comprensorio. Se il defunto aveva, in vita, rivestito particolari incarichi all’interno della società o del suo clan la sua sepoltura poteva essere accompagnata da un corredo molto ricco.

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di Michele Scalici

È il caso della tomba 421 (databile entro la metà del IV sec. a.C.) il cui proprietario viene rappresentato come capo militare attraverso l’ostentazione di armi. In particolare spicca la spada, con impugnatura rivestita da lamina in oro, completa di fodero decorato a sbalzo con scene di caccia al cinghiale, danzatori e musici, delfini guizzano sulle onde, a fianco di una creatura marina. I vasi in ceramica e suppellettili legate al mondo aristocratico rimandano al consumo del vino: sul cratere a figure rosse si nota una scena “dionisiaca” con danza, allusiva della sfera erotica, di una menade (elemento femminile) e satiro (elemento ferino maschile). Da un’altra sepoltura illustre proviene il bellissimo scudo in bronzo che conserva, sull’impugnatura interna, una fascia decorata con scene tratte dalla mitologia greca. Nel novero dei “beni di prestigio” ostentati durante i funerali, un posto di rilievo hanno i pendenti in ambra a protome umana, prodotti di grande pregio mediati probabilmente dalla Campania. Se in età preromana assume i connotati di un insediamento daunio con numerosi nuclei di abitato e di sepolture diffusi su un ampio sistema collinare, inizialmente privo di sistema difensivo e successivamente cinto da un aggere, in epoca successiva il territorio è popolato da piccole fattorie e villaggi rurali. Il sito meglio conservato si trova in loc. Mancamasone: un complesso abitativo alla periferia della città moderna, che rappresenta un interessante documento per l’edilizia rurale nel passaggio dalla fattoria preromana a quella romana. Della struttura originaria si conserva solo un ambiente adibito ad attività produttive ed una piccola fornace. In età successiva il complesso, ampio 170 mq, si articola in una serie di vani aperti su una corte centrale; in uno spazio aperto, esterno all’area abitativa, venne individuato in buono stato di conservazione una edicola di culto con statuette in terracotta raffiguranti divinità femminili, Eros ed il Sole.


Persistenze

Al momento della fondazione della colonia Venosa, promossa da Roma, la città di Banzi è l’unico centro dell’area melfese, insieme a Lavello, a sopravvivere entrando nell’orbita romana pur conservando una propria autonomia. In questo periodo il centro assume sempre più l’aspetto di una città organizzata su assi viari regolari con una evidente definizione funzionale degli spazi. Un importante documento epigrafico, conosciuto come Tabula bantina, redatto in latino e osco, ci ragguaglia circa la definizione del municipium al momento della sua istituzione (80-60 a.C.). Nell’area della Badia sorge un templum augurale ispirato alla tradizione romana: si tratta di un recinto costruito secondo precise regole religiose che consentiva al magistrato/sacerdote di osservare il volo degli uccelli e trarre gli auspici. Recenti scavi hanno messo in luce strutture a carattere abitativo più antiche alle quali si sovrappongo una domus ed un complesso termale di età imperiale: è stato individuato l’ambiente con funzione di calidarium, riscaldato da una fornace. L’ingresso, pavimentato con mattonelle in terracotta conformate a losanga, ha restituito un interessante mosaico che reca l’iscrizione (…) Romanius figlio di Marco della tribù Camilia sacerdote curò la costruzione delle

terme con il suo denaro. La domus presenta rivestimenti pavimentali di un certo interesse, commisurato all’importanza dell’ambiente. Tra gli oggetti di particolare interesse, rinvenuti nell’area si annoverano un unguentario in alabastro e argento, un’applique in bronzo conformata a conchiglia e una statuetta in terracotta raffigurante Artemide. Le attestazioni archeologiche di Banzi si riferiscono, dunque, ad un arco temporale molto lungo, che va dall’età del Ferro all’età medievale. La loro eccezionalità risiede anche nella continuità che ha contraddistinto il centro nonostante le trasformazioni di spazi e modi di vita. Questo permette, meglio che altrove, di comprendere la storia nella sua complessità; invitiamo, pertanto, il lettore a visitare i tesori di Banzi sia nella città stessa, dove sono state rese fruibili alcune aree descritte sopra, che nel Museo Nazionale di Melfi dove sono conservati i ricchi corredi delle necropoli. In alto: Banzi, Tomba 421, armi in ferro e bronzo. Pagina a lato: Banzi, tomba 164, vago in ambra in forma di testina. Immagini riprodotte su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Direzione regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Regione Basilicata - Soprintendenza per i beni archeologici della Basilicata. È vietata ogni ulteriore riproduzione con qualsiasi mezzo.

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fOrme

La fontana Fraterna a Isernia di Giovanna Russillo

Nei mesi scorsi abbiamo attraversato insieme splendidi borghi e piazze d’Italia alla scoperta delle fontane più interessanti da conoscere sotto il profilo artistico, storico e urbanistico. Questa volta ci fermiamo ad Isernia. La cittadina molisana custodisce fieramente il suo passato ricco di storia che affonda le sue radici in epoca romana. Qui si trova uno dei monumenti più singolari e meglio conservati fra quelli osservati finora, la Fontana Fraterna. In origine il monumento si trovava nell’omonima piazza, vicino alla chiesa della Concezione. Durante la Seconda Guerra mondiale fu poi spostata in Piazza Celestino V dove si trova tuttora. Impossibile non notarla al primo sguardo appena arrivati in piazza in quanto risalta in tutta la sua imponente bellezza. Il grande loggiato in pietra calcarea dalle eleganti forme è un gioiello tra i moderni edifici che delimitano lo spazio della piazza. I sei archi che lo compongono sono sorretti da capitelli con decori tutti diversi tra loro che riproducono motivi fogliacei e figure antropomorfe. Le colonne sono per metà a pianta circolare e per la restante parte a pianta ot-

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tagonale. Ben poco si conosce delle origini del monumento ma i materiali sembrerebbero provenire da altri edifici e da epoche diverse. A confondere ancora di più le acque contribuiscono le grandi lastre sui cui sono incise alcune epigrafi, in particolare una alla base della fontana recante l’incisione “AE PONT” che rimanderebbero a costruzioni di età romana. Uno dei blocchi, quasi certamente proveniente da un monumento funebre, è posizionato nella parte centrale inferiore della fontana e ritrae due delfini in movimento e un grande fiore. Sono interessanti anche le decorazioni della cornice superiore, composta da dodici archetti pensili con motivi ornamentali tutti diversi che riproducono fiori, foglie e animali. Forse un’altra incisione, uno stemma in rilievo con scudo e croce uncinata potrebbe aggiungere un importante tassello alla ricerca della datazione della Fontana Fraterna. Lo stemma apparterrebbe alla famiglia Rampino e permetterebbe di collocare l’origine dell’opera intorno al XIII secolo. Ma intorno alla fontana restano ancora molti i misteri da svelare.



Mistiche atmosfere

RiCalchi

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foto di Gerardo Caputi


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Eventi Ogni anno nel mese di settembre Bologna ospita un importante appuntamento con l’editoria legata all’arte, intesa in senso ampio e nelle sue varie forme: dal libro strenna al catalogo di mostra, dalla guida turistica alla rivista scientifica, dal libro scolastico al libro d’arte per l’infanzia, senza dimenticare i libri di fotografia, design, architettura e moda. Si tratta di Artelibro Festival del Libro d’Arte, che giunge quest’anno alla sua ottava edizione, in programma dal 23 al 25 settembre 2011 presso le sale di Palazzo Re Enzo e del Podestà, nel cuore della città felsinea. Artelibro è una grande mostra mercato che riunisce librai antiquari ed editori di libri di pregio, libri d’artista, riproduzioni facsimilari, riviste specializzate. La manifestazione, che punta a valorizzare un settore dotato di identità autonoma, è il punto di incontro annuale di chi si interessa e tratta di libri e di arte, il luogo dove esperti, collezionisti e bibliofili possono entrare in contatto con gli operatori del settore: autori, editori, librai, stampatori, grafici, artisti. Tanti sono gli eventi collaterali previsti in vari spa-

Arte ed editoria al festival Artelibro di Francesco Mastrorizzi

zi pubblici della città, a partire dalla grande “Libreria dell’Arte” allestita in Piazza Nettuno, dove sarà esposta la produzione dei maggiori editori italiani. Arricchiranno il programma, inoltre, importanti mostre a tema, letture e presentazioni di libri, cicli di conferenze per il largo pubblico, incontri per gli addetti ai lavori. Quest’anno il tema-guida di Artelibro è “Archeologia/ Archeologie”, ad indicare le molteplici declinazioni di un metodo di studio del passato indispensabile per interpretare il nostro presente. La scelta non è casuale, in quanto nel 2011 ricorrono i 2.200 anni dalla fondazione della colonia romana di Bononia, ma anche i 130 anni dall’istituzione del Museo Civico Archeologico, una delle più significative realtà culturali della città. Ecco perché è stato ideato il progetto parallelo Archeopolis, che negli stessi giorni del festival proporrà mostre, rievocazioni storiche, visite guidate, laboratori didattici per i ragazzi, conferenze e importanti eventi serali, tutti dedicati all’affascinante disciplina dell’archeologia.

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Eventi

Il Palazzo vescovile ed il Museo diocesano di Melfi

intorno al 1093 - come attesta la Pergamena di Ruggero - è stata ampliata da mons. Gaspare Loffredo (vescovo di Melfi dal 1472 al 1480), da mons. Mario Rufino (1547-1559) e da mons. Matteo Brumano (1591-1594). Successivamente, in seguito agli interventi dei vescovi Antonio Spi­nelli (1696-1724) e Pasquale Teodoro Basta (1748-1763), fu in parte rifatto in stile barocco. Molti sono coloro che, soffermandosi dinanzi alla bellezza di questo edificio, ne sono rimasti rapiti; riportiamo qui la testimonianza del 1846 di Cesare Malpica che afferma: "L’Episcopio con la sua lunga facciata, col grandioso cortile, con la maestosa scala, con le vastissime sale, colle adorne stanze va certo posto fra i primi del Regno, e forse, ancora non ha uguali". La visita al Museo si apre con una statua in pietra della Pietà, datata intorno al 1400 e proveniente dalla Cattedrale di Melfi. Il percorso poi si snoda su due piani: al piano terra la Sala degli Argenti, al primo foto Mario De Luca

Affreschi, sculture, argenti, manufatti liturgici, testimonianze di un passato ricco di storia; un patrimonio culturale conservato e pronto alla fruizione nella splendida cornice del Palazzo vescovile di Melfi. Un episcopio sontuoso, con oltre venti sale, che ospita il Museo diocesano, inaugurato lo scorso 6 luglio dal Vescovo di Melfi-Rapolla-Venosa mons. Gianfranco Todisco, alla presenza del card. Angelo Bagnasco, presidente delle Conferenza Episcopale Italiana. Per consentire l’allestimento del Museo si sono dovuti completare i lavori di restauro del bellissimo palazzo; l’intero progetto di restauro e di allestimento museale, realizzato con il contributo della Regione Basilicata, è stato curato dalla Direzione regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Basilicata e le rispettive Soprintendenze competenti per i Beni storico-artistici e per i Beni architettonici. L’originale struttura architettonica normanna del Palazzo vescovile di Melfi, con tutta probabilità eretto

di Giuseppe Nolé

In alto: Sala del Trono, Palazzo Vescovile, Melfi. A fianco: la sala del Palazzo Vescovile di Melfi che ospitava l'antica biblioteca.

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foto Mario De Luca


Sala degli Argenti, Museo diocesano, Melfi.

piano la Sala del Trono, il Salone degli Stemmi di Melfi e quello degli Stemmi di Rapolla, la Biblioteca e la Pinacoteca allestita negli ambienti adibiti alla rappresentanza ed agli appartamenti dei vescovi. Sontuosi e dal gusto raffinato i due Saloni degli Stemmi, in cui sono raffigurati, sopra il cornicione della volta, le rappresentazioni araldiche dei vescovi che hanno guidato le due diocesi di Melfi e Rapolla. Nel secondo salone e nelle successive sale trovano posto numerose opere d’arte: per iniziare il trittico smembrato Madonna con Bambino e santi Vescovi di Francesco Tolentino realizzato negli anni trenta del XVI secolo; di Cristiano Danona di Anversa due pregevoli tele, San Giovanni Battista e Santo Stefano e Cristo ed Angeli con i simboli della Passione, realizzate alla fine del ’500. Tra i dipinti settecenteschi vogliamo segnalare la sontuosa tela della Vergine con Bambino tra i Santi Agostino, Arcangelo Raffaele e Tobiolo attribuita ad Andrea D’Aste, la Crocefissione e Santi di Andrea Miglionico e numerose tele di Nicola Federici da Forenza. Molto scenografiche la Sala del Trono e due stanze che anticamente ospitavano la Biblioteca: in esse

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si sviluppa un ricco apparato decorativo di affreschi con temi figurativi dottrinali e bellissimi giochi di prospettive. Nella Sala del Trono, in seguito ai lavori di restauro, sono stati rimossi gli affreschi più recenti, per portare alla luce quelli oggi visibili, di indubbio valore artistico: composizioni allegoriche e mitologiche che narrano della lotta tra i Vizi e le Virtù e che furono commissionati agli inizi del 1700 dal vescovo Antonio Spinelli. La ricca rassegna di suppellettili sacre e paramenti liturgici comprende tra l’altro il Reliquiario della Spina Santa, in rame dorato della metà del XV secolo; la Collezione de Vicariis, donata dall’omonimo vescovo alla fine del ’700 che comprende un Tronetto con Ostensorio, la Croce astile e la Croce d’altare oltre che la bellissima Gloria di Sant’Alessandro. Singolare e molto evocativa la statua in argento di scuola napoletana di un trionfante Cristo risorto, datata 1778. La splendida cornice del Palazzo vescovile e le magnifiche raccolte d’arte che esso conserva rappresentano una della più alte testimonianze artistiche e di culto presenti non solo in Basilicata, ma in tutta l’Italia meridionale.



Eventi In occasione dell’anno delle celebrazioni Italia – Russia 2011, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed il Ministero degli Affari Esteri di concerto con le corrispondenti Istituzione russe, hanno realizzato la mostra Il Tesoro del Cremlino, che fino al prossimo 11 settembre presso Palazzo Pitti a Firenze, permetterà ai visitatori di fare un suggestivo viaggio tra i tesori custoditi presso il Palazzo dell’Armenia. Sono circa 150 i capolavori in mostra che vanno dagli oggetti dell’oreficeria russobizantina, alle armi, agli argenti, per arrivare alle stoffe e agli abiti, e ancora le carrozze e i finimenti equini da parata. L’antico palazzo dell’Armenia, oggi vero e proprio museo, aveva già in sé la struttura del Tesoro; infatti, Elmo “Berretto di Gerico”, Iran, XVI, oro, acciaio, tessuto, perle, pietre; forgiatura, cesello, intaglio in oro, smalto

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Il tesoro del Cremlino di Sonia Gammone

a partire dalla seconda metà del XV secolo, il Gran Principe di Mosca, signore di tutto lo stato russo, si circondò di questa raccolta di oggetti preziosissimi realizzati in luoghi e tempi diversi che diventarono così il tesoro statale. Con la fama di essere tra le più fastose corti del mondo, quella moscovita si arricchì sempre più di opere; sono molti, infatti, i doni ricevuti dalle ambascerie degli stati stranieri e dai diplomatici. Nel XVII secolo inizia una grande fioritura delle botteghe del Cremlino dove venivano realizzati veri e propri capolavori dell’arte russa. Alcuni dei pezzi in mostra provengono dalla cattedrale dell’Assunzione che, collegata al palazzo da un particolare passaggio, veniva utilizzata come cappella di corte e serviva anche come deposito per il tesoro. Risalente al XV secolo è il prezioso corredo dell’Icona Madonna Bogoljubskaja. In mostra troviamo fra gli altri la corona e l’aureola dell’icona che si presentano finemente lavorate con le tecniche della filigrana, del cesello e dei granuli, e per la cui realizzazione sono stati impiegati materiali pregiati e rari: oro, perle di fiume e pietre preziose. Successivamente, nel XVII secolo, con l’avvento della dinastia dei Romanov, la svolta in politica estera comincia a produrre nel paese un avvicinamento alla cultura europea. Fu così che la Russia iniziò ad uscire dal suo isolamento e questo è visibile anche nei manufatti che lentamente vanno ad integrare gli oggetti d’uso quotidiano. Le coppe sulla tavola degli zar acquistano un carattere barocco che le rende più vicine alla cultura europea: realizzate in oro e decorate con motivi applicati dipinti a smalti di più colori e pietre preziose danno un’idea della ricchezza della corte russa. Un altro filone della mostra è dedicato alle armi. Il palazzo dell’Armenia del Cremlino, infatti, possiede una delle più belle collezioni al mondo di armi orientali. Si possono ammirare uno splendido elmo di fattura persiana mirabilmente damascato in oro, dei bracciali con turchesi di origine turca, una piccola ascia da cerimonia, una sciabola e molti altri. Nelle parate solenni queste armi rappresentavano il corredo dello zar, degli uomini del suo entourage e dei capi militari. Una mostra, questa del Tesoro del Cremlino, che merita di essere visitata perché porta con sé le tradizioni e i valori di una Russia che le vicende storiche hanno tenuta per molto tempo lontana e che aspetta solo di essere scoperta nei suoi tesori nascosti.


In alto: Corona della cornice dell’icona “Madonna Bogoljubskaja”, Russia, Mosca, XIV–XV sec., oro, perle (russe di fiume), pietre preziose; filigrana, cesello, granuli. Sotto: Botteghe del Cremlino di Mosca, Tazza con coperchio, 1694, oro, pietre preziose, smalto, cesello, fusione, 10x10 cm, Mosca, Musei del Cremlino.


Il Museo egizio del Cairo di Fiorella Fiore

Il museo del Cairo è stato protagonista delle recenti cronache relative alle sommosse popolari avvenute in Medio Oriente ed in particolare in Egitto. Come testimoniato dalle immagini e dalle riprese audiovisive, molto del suo patrimonio è stato danneggiato e saccheggiato, scatenando una "sommossa nella sommossa", portata avanti da gran parte di quel popolo pronto a difendere non solo un simbolo fondamentale della propria storia, ma anche un patrimonio di inestimabile valore per l'intera umanità, da sempre affascinata dal mito dei Faraoni. Eppure, nonostante la fama e il fascino che si raccoglie da sempre intorno a questa civiltà millenaria, lo studio dell'Egittologia esiste da tempi relativamente recenti. In seguito alla campagna d'Egitto, effettuata da Napoleone Bonaparte nel 1798, iniziarono a circolare sin da subito notizie sulle scoperte allora avvenute, che catapultarono l'attenzione del mondo occidentale su questo pezzo d'Africa, in particolare quella di illustri studiosi tra i quali Jean-François

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Champollion, William Petrie e Howard Carter, scopritore della celeberrima tomba di Tutankhamon. Fu proprio grazie a questi uomini, estremamente preoccupati per il destino dei reperti, oggetto di una vera e propria trafugazione selvaggia, grazie alla quale molti dei maggiori musei del mondo posso vantare nuclei di arte egizia notevoli, che nel 1835 fu aperto il Servizio delle Antichità d'Egitto, destinato ad una prima catalogazione del materiale rinvenuto, e che fu anche una prima sede di raccolta. Dopo una prima residenza temporanea, presso il giardino di Azbakiah, il nucleo di opere fu spostato, sempre grazie ad un francese, Auguste Mariette, allora soprintendente agli scavi archeologici, presso il palazzo di Isma'il Pasha a Giza. Considerato troppo rischioso per le condizioni micro-climatiche, soprattutto in seguito ad un'esondazione del Nilo, all'inizio del nuovo secolo fu poi avviata la costruzione di un edificio ex novo, nel cuore della città del Cairo, in Piazza Tahrir. La prima pietra del futuro museo fu


posata il 1 aprile del 1897; in puro stile neoclassico, esso fu inaugurato il 15 novembre 1902, sotto la direzione di Gaston Maspero, uno dei piĂš grandi egittologi mai esistiti. Sede di capolavori celeberrimi,come la statua di Ramesse II e la tomba di Tutankhamon, scoperta nel 1923 nella Valle dei Re, il museo segue per le collezioni il criterio cronologico voluto dal primo curatore, che nel secondo piano si evolve in un criterio tematico. Decisamente all'avanguardia per l'epoca, con sistemi molto moderni di conservazione e predisposto per essere ampliato nel tempo, ad

oggi il Museo, pur investito di molti progetti destinati non solo a migliorare la fruizione della collezioni, ma anche a divenire un ponte ideale con il complesso di Giza, ha perso molto di quell'anima innovativa, anche a causa di una politica non sempre attenta ad investire in un patrimonio di immenso valore. Si spera che la nuova spinta innovatrice che ha investito il Paese possa concentrarsi anche su una nuova gestione tesa a difendere uno dei patrimoni piĂš importanti che raccontano una civiltĂ millenaria e mitica, troppo spesso oggetto di saccheggi e noncuranza.

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Foja, un mix di fumetto e musica di Maria Rosaria Compagnone

Non esiste una parola italiana che possa rendere nella sua pienezza il termine napoletano “foja”. A grandi linee ‘a foja potrebbe essere definita un impeto, una furia nel fare, una foga creatrice, qualcosa che brucia dentro ma non consuma anzi accende e questa è sicuramente l’essenza e la caratteristica principale che contraddistingue una delle più giovani e dinamiche band napoletane che ha scelto di chiamarsi per l’appunto Foja, band composta da Dario Sansone (autore dei testi, voce e chitarra), Ennio Frongillo (chitarra), Giovanni Schiattarella (batteria) e Giuliano Falcone (basso). Oggigiorno assistiamo al prevalere di una tendenza generale diffusa un po’ in tutti i campi, dal pittorico al musicale passando per quello cinematografico e letterario, che porta ad adeguarsi alle maggiori correnti e alle pressioni sociali più forti determinando così una rinuncia al pensiero più curioso e critico. Già Socrate aveva intuito che la letteratura, l’arte e la musica aiutavano a raffinare lo spirito interiore e

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a sviluppare un’elasticità mentale che consentivano un ragionamento individuale e critico. E i Foja sono proprio questo, un gruppo che produce rock folk in lingua napoletana arricchendo questo caleidoscopio di suoni e parole con immagini provenienti dal fumetto e dall’illustrazione firmati Alessandro Rak, uno dei più promettenti e talentuosi artisti napoletani che con estrema sensibilità ha disegnato 12 illustrazioni piene di vita, dolcezza, rabbia, malinconia, passione e speranza e che accompagnano il booklet del cd. Musica e fumetto sono del resto un binomio indissolubile nella vita di Dario Sansone, voce dei Foja, che nasce e si afferma come fumettista attingendo a una Napoli viva e schietta, una Napoli che non pone limiti al colore e al frastuono ma che consente a chi sa osservarla e ascoltarla, di tradurre tali elementi in immagini e melodie. Il sound e le illustrazioni prodotte dai Foja e da Rak esprimono un amore verso questa città e la sua gente, una fierezza di esser venuti su in quartieri popo-


lati da onesti operai e furfantelli, avvocati e artigiani e in fondo il fascino della città partenopea consiste proprio nel sapere che ogni uomo a Napoli vive accanto allo stimato professionista e all’umile artigiano e che in nessun’altra città la popolazione è così riccamente assortita. I Foja hanno saputo fondere sound e illustrazioni un po’ come Socrate un tempo esortava gli ateniesi a coltivare le arti, e probabilmente è proprio questo il significato del bello, ascoltare un brano o guardare un’illustrazione al punto da avvertirne il desiderio di riascoltare o contemplare senza mai stancarsi. Il fu-

metto e l’illustrazione sono alimento, sostegno, forza per i Foja in un rapporto di osmosi continua che diffonde gioia di vivere, di girovagare, comunicare e cantare ad alta voce. E a pensarci bene fumetto e musica non rappresentano due universi così distanti fra loro: dal segno della matita all’inchiostrazione, dalle note degli strumenti al timbro della voce, linguaggio e comunicazione si sono da sempre evoluti insieme e i Foja sono proprio questo… il sorriso di una città il cui significato più profondo non risiede nel dettaglio ma nelle sue mille sfaccettature.

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art Tour a cura di Francesco Mastrorizzi Pietrasanta (LU) Arnaldo Pomodoro

Fino al 30 settembre 2011 Flora Bigai, Petrasanta (LU) Info: www.florabigai.it La grande arte di Arnaldo Pomodoro è la protagonista della mostra a cura di Danilo Eccher, ospitata negli spazi di Flora Bigai Arte Contemporanea. Diciotto opere che ripercorrono la ricerca creativa dello scultore italiano contemporaneo più conosciuto e apprezzato a livello internazionale. L’asse portante della mostra è costituito dall’opera Continuum I, un insieme di sei pannelli, ciascuno costituito da tasselli di circa 10 cm di lato, che complessivamente formano un’opera di 160x450 cm. L’imponente lavoro altro non è che l’alfabeto del linguaggio espressivo dell’artista, una sorta di sintesi della sua ricerca stilistica e formale. Raccoglie, infatti, tutti assieme, gli elementi base della scultura di Pomodoro: il cuneo, il disco, la sfera, l’osso di seppia, la piramide, il pettine, la colonna, il prisma. Continuum – titolo della serie dei lavori recenti dello scultore – richiama la natura della scrittura, la continuità che sta alla base della calligrafia, grazie alla quale, mediante un susseguirsi di linee, si creano simboli e significati che generano messaggi e storie. Completa l’esposizione un maestoso obelisco, alto quasi 6 m, esposto in via Garibaldi.

Catanzaro BerlinOttanta. Pittura Irruente

Genova Mordillo

Fino al 9 ottobre 2011 Museo Marca, Catanzaro Info: www.museomarca.com Gli anni Ottanta furono un decennio cruciale per Berlino, una città dagli infiniti risvolti storici, politici, ideologici ed esistenziali, in cui si attuò una profonda trasformazione dell’arte. A compierla un gruppo di giovani artisti, che proposero una pittura dai tratti fortemente provocatori, spesso caratterizzata da toni violenti, in netta opposizione rispetto al linguaggio allora dominante. I loro nomi erano Rainer Fetting, Helmut Middendorf, Salomé, Bernd Zimmer, che già nel 1977 avevano istituito la Galerie am Mortizplatz, una galleria autogestita. La loro ricerca estetica si distingueva per l’importanza che veniva data alla visione soggettiva, per cui fondamentale era l’influenza che l’artista riceveva dalle esperienze personali vissute all’interno del particolare contesto sociale della Berlino di quegli anni. La mostra del Marca presenta 70 opere, selezionate da Alberto Fiz, tra grandi dipinti, disegni e tecniche miste, oltre che una serie di testimonianze multimediali su Berlino, che abbracciano la fotografia, il cinema e la musica underground.

Fino all’8 gennaio 2012 Museo Luzzati, Genova Info: www.museoluzzati.it Allestita per la prima volta in Italia una grande mostra dedicata alle opere di Guillermo Mordillo. L’antica struttura di Porta Siberia, nel Porto Antico di Genova, sarà popolata nei prossimi mesi dai colori, dai personaggi e dagli animali del celebre fumettista argentino. I disegni e le strisce di Mordillo sono stati riprodotti su libri e giornali in tutto il mondo, ma anche su quaderni, diari scolastici, biglietti d’auguri, magliette, tazze e ogni possibile gadget. Il suo personalissimo stile, fatto di disegni senza parole, gli permette di comunicare con tutti e dovunque. Universali sono anche le ambientazioni e i temi dei suoi disegni: il rapporto tra l’uomo e la donna, il mondo degli animali, l’anonimato delle città, le situazioni dello sport, specialmente calcio e golf. Il suo è un umorismo profondamente umano e tocca corde comuni a tutti gli uomini e a tutte le culture.




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