Associazione di Ricerca Culturale e Artistica
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Rivista mensile a diffusione nazionale - anno VII - num. 9 - Settembre 2011
Uno scrigno tra i monti
Gino Severini
Panini 1961-2011
Redazione
Sommario Editoriale
Associazione di Ricerca Culturale e Artistica C.da Montocchino 10/b 85100 - Potenza Tel e Fax 0971 449629 associazionearca@alice.it
Redazione Largo Pisacane, 15 85100 - Potenza Mobile 330 798058 - 392 4263201 - 389 1729735 web site: www.in-arte.org e-mail: redazione@in-arte.org Direttore editoriale Angelo Telesca editore@in-arte.org Direttore responsabile Mario Latronico Caporedattore Giuseppe Nolé Impaginazione Basileus soc. coop. – www.basileus.it Stampa Ars Grafica - Villa d'Agri (PZ) Concessionaria per la pubblicità Associazione A.R.C.A. C/da Montocchino, 10/b 85100 Potenza Tel e fax 0971-449629 e-mail: informazioni@in-arte.org Iscrizione al ROC n. 19683 del 13/5/2010 Autorizzazione Tribunale di Potenza N° 337 del 5 ottobre 2005 Chiuso per la stampa: 7 settembre 2011 In copertina: Lorenzo Lotto, Pala di San Bernardino, 1521 olio su tela, 300x275 cm, Bergamo, Chiesa di S. Bernardino in Pignolo. La redazione non è responsabile delle opinioni liberamente espresse dagli autori, né di quanto riportato negli inserti pubblicitari.
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Contenitori e contenuti di Giuseppe Nolé .......................................................... pag. 4
150° in Arte
Ritratti dal Risorgimento: Giuseppe Garibaldi di Angela Delle Donne................................................... pag. 5-7
Persistenze
Calvello: uno scrigno adagiato tra i monti di Francesco Mastrorizzi............................................... pag. 8-11
Mythos
Il mito di Issione di Fabrizio Corselli......................................................... pag. 12-13
Ritagli
Jean Giraud e Moebius: un solo uomo, due artisti di Maria Rosaria Compagnone...................................... pag. 14-15
RiCalchi
Sky mirror foto Gerardo Caputi ...................................................... pag. 16-17
Cromie
Sulle tracce dell’irrequieto Lorenzo Lotto di Andrea Carnevali....................................................... pag. 18-20
Eventi
Gino Severini a Parigi e Rovereto di Piero Viotto................................................................ pag. 21-23 Lo specchio del giudizio di Maria Pia Masella...................................................... pag. 24-25 Panini 1961 – 2011. Una storia italiana di Sonia Gammone........................................................ pag. 26-27
TecnoCromie
Dracula e i vampiri di celluloide di Giovanna Russillo...................................................... pag. 28-29
Art Tour
a cura di Fiorella Fiore................................................... pag. 30
Contenitori e contenuti di Giuseppe Nolé
Cari lettori, da questo numero l'onore e il piacere di intrattenersi in diretto colloquio con voi lettori passa a me che sono, indegnamente, il caporedattore della rivista. Normalmente questo compito spetta all'editore o al direttore di un giornale, ma in questo caso si è voluto dare un riconoscimento a chi svolge un ruolo un po' più oscuro nella redazione, ma operativamente delicato e indispensabile. Sono trascorsi circa cento anni da quando l'Italia decise di “darsi” delle leggi in materia di tutela di beni culturali; in questo tempo si è assistito ad un totale stravolgimento del modo di rapportarsi al “bene culturale”, da molti considerato la vera ricchezza del nostro paese. Si è passati dall'esclusiva preoccupazione per la tutela dei beni culturali delle leggi Bottai, sul finire anni ’30, alla progressiva consapevolezza di una necessaria interazione tra beni culturali e società civile, culminata con il Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004. In questi ultimi anni, in particolare, si sta assistendo ad una proliferazione di musei, pinacoteche e istituzioni museali, la maggior parte dei quali gestiti dagli enti locali. Ci sorgono diverse domande a proposito di questo fenomeno: quanti di questi “contenitori” svolgono realmente i compiti assegnati loro dal Codice dei Beni culturali all'art. 101 e cioè di essere “una struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio”? Quanti di questi perseguono le finalità che l'International Council of Museums presso l'UNESCO assegna ai musei e cioè: “...è aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone ai fini si studio, educazione e diletto”. In troppi casi si assiste ad operazioni di “pura” occupazione di spazi di un determinato contenitore – magari dall'importante valenza artistica – con un contenuto non sempre all'altezza del contenitore o di cui non se ne conosce a pieno il valore perchè, purtroppo, non si è svolto un adeguato lavoro di catalogazione e studio. E che dire poi della gestione? L'apertura al pubblico è caratteristica fondamentale del museo: ma quanti di noi si sono imbattuti in musei o gallerie chiusi il sabato o nei periodi di maggior flusso turistico? È sicuramente questo un problema tutto italiano! Buona lettura!!!
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Ritratti dal Risorgimento: Giuseppe Garibaldi di Angela Delle Donne
Continuiamo con le pagine dedicate ai ritratti risorgimentali per incontrare la figura di Giuseppe Garibaldi. Uomo eclettico ed instancabile, non a caso è stato definito l’eroe dei due mondi. Nato a Nizza nel primo decennio dell’Ottocento, muore nel 1882 sull’isola di Caprera. Figura poliedrica, a tratti quasi mitica, ha fatto parlare di sé in Europa, come in America meridionale, facendo riecheggiare il suo temperamento e le sue imprese. Fin dall’adolescenza emerse il suo spirito avventuroso e impavido, fino a renderlo icona di molti episodi fondamentali e decisivi del Risorgimento italiano. La figura di Garibaldi si rispecchia in quella della compagna Anita, all’anagrafe Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, anch’essa spesso descritta attraverso tratti fantasiosi, rafforzando la fama leggendaria dell’eroe dei due mondi. Accanto alle immagini pittoriche delle grandi battaglie combattute da Garibaldi, molto spesso troviamo riproduzioni fotografiche che lo ritraggono in pose plastiche, ritratti a mezzo busto o a cavallo come nei monumenti equestri; ciglio fiero, barba incolta, tratti iconografici dell’eroicità. Prima di soffermarci sull’analisi di due opere a lui dedicate, continuiamo con i racconti delle copertine de la Domenica del Corriere, conservate nella Biblioteca Nazionale di Potenza. Nel numero del primo maggio 1960 (Anno 62, numero 18) sia la copertina che un inserto speciale all’interno raccontano il nostro eroe. In prima pagina Garibaldi viene rappresentato nell’atto di incitare l’esercito, interpretando così la celeberrima frase: “qui si fa l’Italia o si muore”. La scena è concitata, corpi riversi, spari e Garibaldi in primo piano che non si lascia intimorire da nulla, lui stesso nelle sue memorie aveva definito la propria vita “tempestosa, composta di bene e di male”. Come nelle altre copertine, anche in questa è la mano di Walter Molino ad animare i personaggi risorgimentali. Emiliano di origine, Molino ha illustrato le più famose riviste nazionali. Tra le tante rappresentazioni ci soffermeremo sulle opere di Antonio Licata e di Tranquillo Cremona. Antonio Licata è un pittore ottocentesco agrigentino, precocemente incline alla produzione artistica, si trasferisce adolescente a Napoli per frequentare l’Accademia di Belle Arti e per partecipare alle esposizioni delle Biennali. Frequenta artisti quali Domenico Morelli e Filippo Palizzi; artisti che hanno contribuito a costituire il linguaggio figurativo nazionale attraverso la sperimentazione di nuove forme pittoriche,
sulla spinta delle movenze d’oltralpe. Licata per lo più rappresenta temi religiosi e storici, e sceglie di rappresentare Garibaldi mentre entra a Napoli nel settembre del 1860. Tra gli spigoli di due palazzi che fanno da sipario si apre la scena, sullo sfondo il Maschio angioino, un cielo, dominato da nuvole rigonfie, abbassa la linea dell’orizzonte ed al centro Garibaldi, su un cavallo bianco, in camicia rossa, la bandiera tricolore sventola chiara e netta. Giuseppe Garibaldi in una celebre fotografia del 1861.
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La scena è dominata da una folla a tratti indefinita. Il tema storico si mescola al dato naturalistico, pennellate nette definiscono gli abiti di una figura in primo piano, il bianco intrecciato al rosso, il nero del cappello ed il rosa del viso, quasi impercettibilmente fanno dimenticare l’eroe schiacciato fra le nubi e la folla. La figura dell’eroe emerge dallo sfondo ma allo stesso tempo si confonde tra le figure in primo piano, restituendo allo spettatore l’immagine come fosse testimone della realtà. Tranquillo Cremona è uno dei maggiori esponenti della corrente della Scapigliatura in pittura, originario di Pavia, muore a Milano nel 1878. Pur avendo un accento romanticamente lezioso, la sua opera pittorica è vicina anche agli ambienti dei macchiaioli, fino a dedicarsi alla caricatura politica, seguendo gli Antonio Licata, Giuseppe Garibaldi entra a Napoli il 7 settembre 1860, olio su tela, Museo Centrale del Risorgimento, Roma. Tranquillo Cremona, Giuseppe Garibaldi, 1875, carboncino su tela di juta con ritocchi in biacca e rosso, Museo Centrale del Risorgimento, Roma.
esempi dei disegnatori francesi. A Garibaldi dedica un ritratto. Fronte stempiata, capelli lunghi, barba incolta, occhi infossati e rivolti altrove dallo spettatore. Lontano dalla dissolvenza delle forme tipica del Cremona, questo disegno presenta tratti precisi, netti e puliti. La lucentezza della fronte emerge tra i capelli ondulati, emergono gli occhi precisamente disegnati e nascosti dal sopracciglio. Non è il volto dei ritratti fotografici e delle scene celebrative delle battaglie, è uno sguardo pensieroso e lontano; Tranquillo Cremona ci restituisce una dimensione intima, lontana dalle fastose celebrazioni, ci restituisce la dimensione umana di una figura storica che facilmente si è persa nelle pieghe della leggenda.
Pagina a fianco: Copertina della Domenica del Corriere del 1 maggio 1960 illustrata da Walter Molino. Immagine riprodotta su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Direzione regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Regione Basilicata - Biblioteca Nazionale di Potenza. È vietata ogni ulteriore riproduzione con qualsiasi mezzo.
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Persistenze
Quando alle bellezze paesaggistiche e naturalistiche si uniscono quelle storiche, architettoniche e artistiche, si ha una combinazione perfetta capace di affascinare un pubblico quanto mai ampio e di attrarre ampi flussi turistici. Una realtà lucana che racchiude tutto ciò è il piccolo paese di Calvello, non ancora adeguatamente apprezzato, ma il cui patrimonio andrebbe scoperto e valorizzato il più possibile. Posto in una vallata fertile e ricca d’acque, è circondato dai fitti boschi degradanti dal monte Volturino, la cima più elevata dell’Appennino Centrale Lucano. L’abitato si snoda in forte salita, per un percorso contorto, reso affascinante dai vicoli stretti e dai piccoli larghi. Per lungo tempo le origini di Calvello sono state fatte risalire all’epoca medievale (1150), durante la quale i monaci benedettini fondarono i cenobi di Santa Maria de Plano e di San Pietro a Cellaria. Tuttavia recenti ricerche storico-archeologiche hanno accreditato la tesi di un’origine più antica, testimoniata dal ritrovamento di vasellame e altri reperti risalenti alla prima e alla seconda età del ferro. Fonti documenta-
Calvello: uno scrigno adagiato tra i monti di Francesco Mastrorizzi
rie, inoltre, attestano l’esistenza di un centro abitativo già nell’XI secolo Il fiume La Terra tiene separato dal resto del paese il rione di Sant’Antuono, a cui è possibile giungere attraversando un ponte in pietra con arco a sesto ribassato. Tale ponte con il tempo è diventato uno dei simboli più noti del paese. Chi collega le origini di Calvello al cenobio dei benedettini, attribuisce ai monaci la costruzione del ponte. È probabile, invece, che esso sia stato ricostruito su preesistenti strutture romane dagli abitanti del luogo, sotto la guida attenta dei benedettini. Il ponte, infatti, denota una chiara impostazione di stile romano. Nella sua semplicità è un manufatto tecnicamente perfetto, nonché funzionale e armonioso, qualità che gli hanno permesso di resistere nei secoli ai continui flussi delle acque, abbondanti nelle frequenti piene, dovute in inverno alle piogge e in primavera allo scioglimento delle nevi accumulate sui monti vicini. La chiesa madre di Calvello, intitolata a San Giovanni Battista, fu edificata agli inizi del ‘400, in un
Foto di Giovanni Larocca
Calvello, chiesa madre intitolata a San Giovanni Battista. Pagina a fianco in alto: il Ponte di Sant'Antuono.
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Foto di Giovanni Larocca
periodo in cui l’abbazia benedettina di Santa Maria de Plano era in uno stato di completo abbandono. L’edificio è stato ricostruito due volte a seguito di altrettanti disastrosi terremoti, il primo verificatosi nel 1646, il secondo nel 1857. Gravi danni li ha subiti anche nel 1980. Dopo l’evento sismico dell’Ottocento, che ne provocò il crollo, la chiesa fu riaperta soltanto nel 1896. Di fronte all’edificio fu allora aperta l’attuale piazza principale, su cui affacciano i tre portoni di accesso. Dal 2005 il portone centrale è stato arricchito da un bassorilievo in bronzo realizzato dall’artista Antonio Masini, in cui sono descritte scene della vita di San Giovanni Battista. La chiesa, di stile romanico-lucano a croce latina, è articolata in tre navate sorrette da robuste colonne. Nella parte sinistra del transetto è presente una pregevole tela raffigurante S. Giovanni giovinetto,
Foto di Giovanni Larocca
Ignoto, San Giovanni giovinetto, XVIII sec., olio su tela.
databile alla prima metà del Settecento, di scuola napoletana. Il Battista, seduto su alcune rocce in atteggiamento di riposo, parzialmente coperto da un manto rosso, indica con la mano destra verso il fondo del quadro. Presso di lui è accovacciato un agnello. L’opera fu donata alla chiesa dal Duca de La Tour intorno al 1891. Sulla facciata frontale della navata di destra campeggia il dipinto di gusto tardomanierista della Madonna di Costantinopoli con Bambino, attribuito a Giovan Vincenzo Forli, (pitt. doc. 15921639). Nella sagrestia si trova la tela L’ultima cena, opera della prima metà del ‘600. Al centro dell’abitato si erge la chiesa di Santa Maria degli Angeli, costruita alla fine del ‘500. Il grosso edificio custodisce cinque affreschi datati 1616 e firmati da Girolamo Todisco. Ognuno di essi è racchiuso all’interno di una nicchia con il medesimo schema compositivo: un portale ad arco sormontato da un medaglione. All’interno di quattro delle cinque nicchie è individuata una lunetta superiore, con una fascia di trabeazione che la separa dal registro inferiore. Questo, a sua volta, è ripartito da una lesena centrale in due pannelli ospitanti figure di santi. Nelle lunette sono raffigurati la Madonna delle Grazie, la Visita a Santa Elisabetta, Tobia e l’Angelo, S. Michele Arcangelo, mentre nell’unica nicchia che non rispetta lo schema compositivo è affrescata la Madonna della Pace. Nella parte ovest del paese, là dove il territorio comincia a inerpicarsi verso il massiccio del Volturino, è ubicata una piccola cappella dedicata a S. Giuseppe, la cui costruzione è da porsi all’inizio del ‘600. All’interno è conservato un ricco altare maggiore scolpito in legno in stile barocco, datato 1657. L’alzata è costituita da due colonne tortili con capitelli corinzi. L’architrave sorregge un timpano curvilineo aperto in alto. Al centro dell’altare è collocata la tela La fuga in Egitto. In un paesaggio di mitica arcadia S. Giuseppe porge a Gesù Bambino una ciliegia appena raccolta, mentre la Madonna è intenta ad attingere l’acqua dal ruscello con una ciotola. C’è chi attribuisce l’opera a Federico Barocci da Urbino (1535-1612), che più volte riprodusse la scena. La tela potrebbe essere stata acquistata dai monaci della Certosa di Padula, che gestivano la cappella. Fra le numerose opere d’arte custodite nella chiesa di Santa Maria de Plano, la più importante è la statua
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lignea della Madonna in trono con Bambino. In puro stile bizantino, raffigura, in impostazione frontale, la Vergine con il capo scoperto e una piccola sfera nella mano destra, mentre siede in trono con in grembo il Bambino, poggiato sulla gamba sinistra e nell’atto di benedire. La statua è stata scolpita tra il 1240 e il 1260. In età barocca erano stati aggiunti dei riccioli a entrambe le figure, poi rimossi dal restauro effettuato nel 1974. L’aspetto e il portamento del simulacro sono solenni e maestosi. I lineamenti sono anatomicamente perfetti: le dita affusolate, il viso leggermente allungato, la chioma raccolta al modo delle donne regali del tempo. Il Bambino, dell’apparente età di 5-6 anni, è straordinariamente somigliante a Maria. Il suo atteggiamento è soave, lo sguardo innocente e confortante. Il convento adiacente alla chiesa di Santa Maria de
Plano può essere considerato il luogo di origine della comunità calvellese, lì dove i monaci benedettini posero la prima pietra. Per il suo notevole pregio artistico può costituire un legame ideale tra passato e presente, legame che ha bisogno di essere costantemente rinsaldato. È da questo presupposto che l'amministrazione comunale, grazie anche ai proventi ottenuti dall'estrazione del petrolio, ha scelto questo luogo come destinazione ideale per eventi di tipo artistico e culturale. Il primo appuntamento, che inaugurerà anche il chiostro appena restaurato, sarà la mostra antologica Hyle. La materia di un nuovo realismo dell'artista Franco Corbisiero, che ha voluto omaggiare il suo paese natio con una personale che raccoglie le sue opere dal 2009 ad oggi e che sarà visitabile per tutto il mese di ottobre.
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Foto di Giovanni Larocca
Foto di Giovanni Larocca
Chiesa di Santa Maria degli Angeli. Due degli affreschi di Todisco: a sinistra Madonna del Latte e a destra la Madonna dell'Olivo. Pagina a fianco: l'antica Madonna in trono con Bambino del convento di Santa Maria De Plano.
11 Foto di Giovanni Larocca
Di amori controversi, intorbidati da inganni e crimini di ogni sorta, ne abbiamo visti in numero considerevole, ma di uno in particolare voglio parlarne in questo numero di Mythos. Oggetto della discussione è Issione, del quale daremo soltanto un veloce accenno sulla vicenda che precede la storia di particolare interesse per la nostra trattazione. Issione era un re tessalo, esattamente dei Lapiti; figlio di Flegias e di Piritoo, è ricordato come uno dei più truci assassini, senza pietà alcuna nel portare a
compimento i propri propositi; tale crimen così forte nasce dal contesto familiare in cui si consumano le sue nefande azioni. Sposò Dia, figlia di Deioneo, ma tali nozze furono come un sistematico e preciso intervento del fato, ragione della propria disfatta. Delle grandi promesse fatte al suocero prima di ricevere Dia in sposa, non ne fu mantenuta nemmeno una; così dopo il matrimonio, Issione si rifiutò di consegnare a Deioneo i regali pattuiti, praticamente i doni nuziali, costringen-
Jules-Élie Delaunay, Issione precipita negli Inferi, 1876, olio su tela, Musée des Beaux-Arts, Nantes.
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Il mito di Issione di Fabrizio Corselli
do quest’ultimo a rubarli, ed esattamente dei cavalli; il re tessalo, fu anch’egli costretto a riottenerne la proprietà in qualche maniera, ricorrendo ad un ben preciso espediente: lo invitò a casa sua e durante un banchetto lo fece precipitare con astuzia e pari inganno dentro un pozzo occultato, in cui ardeva tra i carboni un grande fuoco. Questo fu il primo delitto commesso fra parenti, e perciò bandito, costretto ad errare a lungo evitato da tutti. Non contento del grave delitto compiuto, egli fu pure accusato di spergiuro, ma giustamente l’omicidio di un membro della famiglia ne divenne il marchio indelebile per la sua persona, poiché nessuno ancora, aveva prima di lui, commesso un tale atto. A tutto questo si aggiunge ulteriormente la contravvenzione al legame religioso che univa tutti i componenti della famiglia – poiché addirittura operavano sacrifici alle stesse divinità protettrici – e per questo imputato come sacrilego; mai nessuno si macchiò di così tante colpe. Issione si avviò verso una tremenda follia, e l’inquietudine che egli suscitò nelle persone fece sì che nessuno lo purificasse in alcuna maniera, mantenendo a lungo questo stato di insanità mentale (come si è visto prima, sorte diversa invece toccò all’eroe Teseo, anch’egli macchiatosi di gravi colpe, ma purificato da alcuni uomini della stirpe dei Filatidi, prima di far la sua entrata ad Atene). Solo Zeus ebbe pietà di lui, lo purificò dalla follia che l’aveva tenuto schiavo, e lo assunse in cielo, ammettendolo alla mensa degli déi. Issione con gran tempismo e coerenza di chi tiene fede al proprio carattere ed indole criminosa, anche dopo una discolpa che però mai ebbe il gusto di una totale redenzione, seppur divina nel suo compiersi, fece il passo falso: osò innamorarsi di Era; ma Zeus, consapevole di tutto, decise di modellare magicamente una nuvola con le stesse fattezze della consorte, in modo da illudere gli intenti criminosi e i sacrilegi di Issione. Avuto il tempo di unirsi a Nefele, questo il nome del magico nembo, il re tessalo generò un figlio di nome Centauro, considerato il principio della stirpe dei mezzi uomini e mezzi cavalli. Secondo altre versioni del mito, Issione innamoratosi di Era la chiese in sposa. Il re degli déi, pur iratosi per essere stato offeso da colui che aveva ricevuto la benevolenza di un olimpio, modellata Ne-
Pierre Paul Rubens, Issione con la ninfa Nefele nelle sembianze di Era, 1615, Musée du Louvre, Parigi.
fele, gliela diede con la promessa che non venisse rivelata a nessuno tale unione. Issione invece se ne vantò e Zeus, tonante, lo condannò come solo sa fare una divinità dell’Olimpo, abbastanza contrariata: lo fulminò all’istante e lo confinò nelle profondità del buio Tartaro, dove Ermes lo legò ad una ruota fiammeggiante che girava eternamente, nell’attesa che il giorno finisse una volta per tutte, ma che non sarebbe mai terminato, poiché Zeus nel purificarlo impiegò l’ambrosia, nota per il conferimento dell’immortalità a chi ne avesse bevuto un sol sorso. Così annientò di Issione ogni possibilità di concludere la lenta agonia, ciclica nel suo manifestarsi come il giro della ruota che lo teneva incatenato. Di questa vicenda cito un momento idilliaco ed uno fortemente tragico, in modo da far notare come una stessa vicenda possa incarnare in sé due dimensioni antitetiche. Nel primo caso, seppur celato l’inganno (Nefele travestita d’Era), vi è il quadro di Peter Paul Rubens. Nel secondo, sul quale mi soffermo, invece lo straordinario dipinto Issione precipita negl’Inferi di Jules-Élie Delaunay, pittore accademico francese. Qui, è quasi palpabile il tormento d’Issione, la brutalità e la violenza di un tale confinamento, circoscritto oltremodo all’interno delle spire d’un serpente che ne definiscono meglio lo spasmo, il suo agonizzare. Quale rafforzamento di tale sofferenza, l’oscurità presente diviene quasi un’aura, un corrispettivo psicologico del tessalo, di modo che l’efficacia espressiva venga amplificata a dismisura. Inoltre, le fiamme che adornano la ruota sulla quale è assiso Issione, richiamano quelle del Tartaro, accrescendo di conseguenza il senso della condanna eterna.
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Jean Giraud e Moebius: un solo uomo, due artisti di Maria Rosaria Compagnone
Jean Giraud nasce l’8 maggio del 1938 a Nogentsur-Marne, nella periferia est di Parigi. I suoi genitori si separano quando lui ha solo tre anni, cosa piuttosto rara per gli inizi degli anni ’40. Cresciuto dai nonni materni, con una madre emigrata in Messico e un papà presente a momenti alterni, il piccolo Jean comincia da subito a riempire i quaderni di scuola di disegni cattivi e sinistri rappresentanti indiani, cowboy e uomini sanguinari, anticipando così il mondo del luogotenente Blueberry. La vera rivelazione avviene però all’età di quattordici anni quando il padre gli regala una rivista di science-fiction. A partire da quel momento Giraud resterà profondamente legato all’immaginario della science-fiction. Nel 1954, all’età di sedici anni entra nella scuola d’arte applicata. Lavora per la pubblicità e svariate riviste. Incomincia anche a collaborare come illustratore per la casa editrice Hachette e a pubblicare per la rivista satirica Hara Kiri brevi storie sotto il nome di Moebius. Giraud incontra in seguito lo sceneggiatore Michel Charlier allora alla ricerca di un disegnatore per una serie western da pubblicare nel settimanale Pilote. Charlier, affascinato dal talento di Giraud,
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crea con lui il mitico personaggio del luogotenente Blueberry, protagonista alquanto discutibile ispirato alla figura di Jean-Paul Belmondo. Dopo un breve soggiorno negli Stati Uniti Giraud comincia, parallelamente alla produzione degli episodi di Blueberry, a pubblicare illustrazioni di sciencefiction come Arzach o Il garage ermetico, opere che influenzeranno generazioni di lettori, disegnatori, artisti e sognatori al punto di rivoluzionare il fumetto e il fantastico internazionali. Un disegnatore, quindi, a due facce ma quale influenza l’altra? La risposta è nessuna. Jean Giraud e Moebius sono due io indipendenti. Secondo lo stesso artista Blueberry è il lato cartesiano, realista, perfezionista, legato allo sceneggiatore Charlier fino alla sua morte che avverrà nel 1989. Moebius invece è una nuova identità, un artista che agisce in piena libertà quasi sotto dettatura del proprio inconscio. Lo pseudonimo Moebius è preso dal nome dello scienziato che inventò la “figura impossibile” dell’anello costituito da una strisciolina di carta unita alle sue estremità dopo che esse erano state ruotate di 180°: uno dei più noti paradossi della geometria tipologica, in quanto,
Sopra: una tavola di Moebius tratta da Angel Face, Edition Dargaud, 1975. A sinistra: illustrazione da 40 jours dans le désert B.
pur apparendo a prima vista con una superficie interna e una esterna, in realtà ha una sola faccia. E tale nome sintetizza bene la personalità artistica di Jean Giraud diviso letteralmente in due tra uno spirito critico e attento alla realtà oggettiva e uno spirito fantastico divenuto l’ispiratore di molte visioni del futuro. Creatore di universi come nessun altro prima di lui, Moebius ha influenzato arti grafiche e
spettacolo (il cinema, con cui ha collaborato a più riprese, gli deve moltissimo) a partire dalla metà degli anni Settanta, mentre non v'è disegnatore che non abbia studiato il suo stile di disegno, non fosse che per distaccarsene. In Italia i suoi lavori arrivano sulla rivista Alter Linus per passare poi alle riviste più famose degli anni ’70 e ’80. È con molta probabilità il fumettista contemporaneo più famoso al mondo.
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RiCalchi
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Sky mirror foto di Gerardo Caputi
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Cromie
Sulle tracce dell’irrequieto Lorenzo Lotto
Lorenzo Lotto lasciò presto la sua città natale, Venezia, per inseguire ovunque numerose ed importanti commissioni ricevute a Recanati, Jesi, a Roma, a Bergamo ad Ancona ed infine nei paesi più piccoli della Val Brembana o delle Marche (Cingoli, Mogliano, Monte San Giusto). Documentò tutto, ogni incarico ed ogni incontro, dal 1538 al 1556, nel Libro di spese diverse (esposto in copia anastatica nella Pinacoteca dell’Antico Tesoro di Loreto). L’oblio in cui era caduto dipese in parte anche dalla scarsa considerazione di Vasari e di Aretino che lo fecero
di Andrea Carnevali
sprofondare nell’assoluto oblio fino ad un secolo fa, quando Bernard Berenson ne ricompose un primo corpus di opere e ne ricostruì i tratti della personalità originale (sono state curate mostre sul pittore: Pietro Zampetti 1954; per i cinquecento anni dalla sua nascita 1980 e la grande mostra di Bergamo 1997). Il carattere del pittore, ribelle ed inquieto, si era trasformato negli anni, dopo le diverse difficoltà di sopravvivere con il suo lavoro nel Veneto e nelle Marche, in malinconico. La sua vita era diventata raminga e amareggiata dai continui insuccessi che
In basso: Lorenzo Lotto, Pala di Santa Lucia, 1532, olio su tavola, Pinacoteca Civica, Jesi. Pagina a fianco: Lorenzo Lotto, Madonna del Rosario, 1539, olio su tela, 384x264 cm, Pinacoteca Comunale, Cingoli.
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lo portarono a sentire la fede in modo profondo ed a considerarsi uomo della Controriforma tutto proteso alla ricerca spirituale. Il sentimento religioso di Lorenzo Lotto assume rivolti morali come nei dipinti de La Sacra famiglia e il San Michele precipita Lucifero dal cielo dove il sentimento cristiano appare in tutta la sua profondità e la fede in continua lotta tra il bene ed il male. La commissione dei frati Domenicani di Recanati per la realizzazione del Polittico d’altare era stata accettata dal pittore perché desiderava avvicinarsi al cantiere di Loreto ed in seguito a quello di San Pietro a Roma. Sta di fatto che Donato Bramante, impegnato nei lavori di progettazione del Santuario di Loreto, lo presentò alla corte Pontificia dove papa Giulio II lo volle per le Stanze Vaticane. Il Polittico di San Domenico di Recanati è il punto di arrivo delle esperienze giovanili marchigiane. La Madonna in conversazione consegna all’angelo le bende nelle quali sarà avvolto il corpo di Cristo. Di grande originalità sono le facce degli angeli impauriti dalla presenza di San Domenico i quali chiudono il cerchio con gli strumenti musicali, simboli della comunicazione celeste. Molto evidente è il rinnovamento del linguaggio figurativo, dopo il suo viaggio a Roma, che ci appare dal dipinto La trasfigurazione di Recanati. È il segno di una nuova tendenza pittorica che gli proviene da Raffaello. I personaggi sono delineati tra pennellate intense che, attraverso gli sguardi dei personaggi, diffondono la parola di Cristo ed il messaggio della Resurrezione. Tale cambiamento culturale si accompagna con la necessità di riscoprire il paesaggio (soprattutto nelle tipologie antiche come il polittico) ed utilizzare l’Adriatico come appare nel Ponteranica della chiesa dei Santi Vincenzo e Alessandro dove si riconosce il tratto di costa che va da Porto Recanati al Monte Conero. Opposta è invece la scena dell’Annunciazione di Recanati che si svolge all’interno di una loggia aperta su un giardino: una specie di hortus conclusus in cui le piccole cose sono percepite come “maestosa elegia classica”. La pala è tra quelle che richiamano di più il cromatismo veneto che gli fece aprire temporaneamente bottega a Venezia per eseguirvi incarichi lontani prima di tornare definitivamente nelle Marche, a Loreto. Così come ci immergono in un’atmosfera plumbea e serafica i Santi Cristoforo, Rocco e Sebastiano e il Battesimo di Gesù che escono dalla scena – dall’oscurità e dal male morale – e devono essere liberati da Dio dai dolori fisici e spiritua-
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li. Dall’esperienza romana, dove lavorò accanto ai massimi pittori Sodoma, Bramantino, Peruzzi, Lorenzo Lotto riuscì a cogliere la teatralità e la monumentalità dell’impostazione raffaellesca. Sono difatti la Trasfigurazione di Recanati e poi nella Deposizione di Jesi del 1512 ispirate al Trasporto del Cristo morto dipinto dell’Urbinate per la chiesa di San Francesco a Perugia nel 1507. Evidente l’influenza che ha avuto la pittura tosco-romana su lui. Nella Pala di Santa Lucia del 1532 si vedono gli inutili sforzi di tre uomini, ruffiani in abiti cinquecenteschi, che cercano di portare via dalla vista di Pascasio la Santa. La donna con un abito giallo elegante spezza la scena: l’intensità del colore diventa un grido contro la psicologia dell’opportunismo del tempo e la ricchezza apparente nell’idolatria pagana. La Crocefissione, commissionata da Niccolò Bonafede, trasmette un senso di coralità: la composizione è costituita per vie convergenti che ne accentuano la profondità, mettendo in primo piano il racconto. La presenza di riquadri ne danno uno schema astratto di luci e di ombre. È una tipica scena lottesca. Però nell’impianto compositivo sembra ricordare una scena medioevale di gusto gotico. I personaggi assolvono la funzione narrativa disposta su piani diversi. Addirittura la Madonna sembra, quasi, uscire dalla tela. D’impianto monumentale è la tela Madonna con il bambino e i santi di Cingoli. In questa nota giocosa c’è il messaggio popolare delle celebrazioni alla Madonna nel mese di maggio quando le vengono offerti fiori nelle processioni religiose. La Presentazione di Gesù al tempio è forse l’ultima delle opere autobiografiche di Lorenzo Lotto. L’immagine è divisa in due registri: nei gesti della Vergine e nel sacerdote che umanizza l’altare – momento eucaristico dei cristiani – attraverso il contatto con la mano sul marmo. La pala della chiesa di San Francesco alle Scale di Ancona S. Maria Assunta – anche se poco apprezzata dalla critica – rifletta la sensazione di dolore che accompagna il pittore negli ultimi anni prima della morte. La grande tela però “intorpidisce” l’effetto emozionato e rapito della Madonna col Bambino e i Santi di Santa Maria di Piazza di Mogliano perché il passaggio dalla vita terrena a quella celeste è descritto con l’immagine di Maria torsa in volo. Tuttavia Lotto aveva dipinto nel 1538 per la chiesa di Sant’Agostino la scura Pala dell’Alabarda, di recente riunita alla sua cimasa a cherubini, dove ancora la Vergine sul trono a gradini curvi, animati da tagli luce e ombre, è rivestita solo d’azzurro.
Eventi Il Museo di Arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (MART), ha realizzato un grande evento culturale. Pubblica, in edizione francese, nei testi originali, e in traduzione italiana, la corrispondenza intercorsa tra l’artista Gino Severini (1883-1966) e il filosofo Jacques Maritain (1882-1973), curata da G. Radin. I due volumi sono editi da Leo S. Olschki di Firenze. Accompagna questa corrispondenza un secondo volume curato da G. De Marco e P. Pettenella, con l’inventario del Fondo Severini, che attraverso la documentazione raccolta permette di conoscere nei dettagli le multiformi relazioni culturali dell’artista. Due mostre si affiancano a questa
Gino Severini a Parigi e Rovereto di Piero Viotto
operazione editoriale, la prima a Parigi, in collaborazione con il Musée de l’Orangerie, si è tenuta dal 27 aprile al’ 25 luglio; la seconda a Rovereto in Trentino dal 17 settembre al’ 8 gennaio 2012 con numerose integrazioni rispetto alla prima. I due cataloghi, con la riproduzione a colori di tutte le opere e numerosi saggi critici, sono editi da Silvana Editoriale di Milano, a cura di G. Belli e D. Fonti. La corrispondenza è fondamentale per seguire le vicende di questi due protagonisti della cultura europea, e constatare come l’estetica di Maritain non sia l’estetica di un particolare movimento artistico e come Severini, pur passando attraverso diverse esperienze, dal divisionismo al futurismo, dal cubismo al neoclassicismo, abbia conservato la sua identità originale. La poetica di Severini, all’artista si debbono numerosi libri, Dal cubismo al classicismo (1921), Ragionamenti sulle arti figurative (1942), Arte indipendente, arte borghese, arte sociale (1944), Tutta la vita di un pittore (1946), Testimonianze, 50 anni di riflessioni (1963), si ispira alla filosofia di Maritain, secondo cui l’arte è insieme intuizione ed espressione, non pura intuizione come in Benedetto Croce, non pura comunicazione sociale, come in John Dewey . Severini è così convinto del valore di questa estetica che in un certo qual senso diventa l’ambasciatore di Maritain in Italia. Infatti Ardengo Soffici, Carlo Carrà, Tullio Garbari, Giovanni Papini, Giuseppe Ungaretti proprio grazie a Severini entrano in contatto con il pensiero maritainiano. Ma veniamo alle due mostre che permettono al visitatore di seguire lo svilupparsi della creatività dell’artista. Fanno quasi da introduzione due autoritratti giovanili del 1905 e del 1908 di un delicato realismo poetico, che si possono confrontare con quello futurista del 1913, che distrugge e ricostruisce l’immagine e con quello del 1936, con la moglie Jeanne, e la loro figlia Gina, la cui fissità delle figure e la policromia dei vestiti ricorda i mosaici bizantini di Ravenna; la figlia ha tra le mani un giornale, la moglie sulle ginocchia un libro Severini è uomo di lettere, a Meudon a casa di Maritain incontra poeti con Jean Cocteau e Pierre Revery, romanzieri come François Mauriac e Georges Bernanos, e legge le loro opere. Tra le carte del Fondo Severini si trova un disegno con un ritratto che l’artista ha fatto allo scrittore René Schwob. Nel 1930, Severini illustra alcune poesie di suo suocero Paul Fort, considerato “il principe dei poeti”; non solo ma si tiene aggiornato anche sulla ricerca teoretica intorno alla natura della poesia, che è l’anima profonda di tutte le arti. Legge Frontiere
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Pagina precedente: Gino Severini, Autoritratto con pipa e panama, 1908, pastello su carta, 50x34 cm. Sopra: Gino Severini, La chitarra, 1912. Pagina a lato: Gino Severini, Maternità, 1916, carboncino con guache.
della poesia di Jacques e Raїssa Maritain (1935) e La chiave della poesia di Jean Paulhan (1945) Si interessa anche di musica, con Cocteau nel 1955 lavora ad un breve filmato dal titolo Una melodia e quattro pittori su musiche di Bach. Severini a Parigi era stato attratto dal divisionismo ed in mostra si incontrano alcuni paesaggi sono costruiti con questa tecnica, poi esplode il periodo futurista con alcuni capolavori come Le boulevard del 1911, che bene si contrappone ai paesaggi divisionisti o la Ballerina blu del 1912, Sono molte le composizioni che cercano di cogliere il movimento, il divenire, delle persone, come alcuni ritratti che vogliono percepire la simultaneità di diversi punti di vista, e delle cose, come i treni in corsa e i cavalli in battaglia. Il nome di Severini è stato inesorabilmente associato al futurismo, che per lui è stato soltanto un momento della sua esperienza creativa, tanto da entrare in conflitto con Marinetti a proposito di un “Manifesto futurista per l’arte sacra”. Poi l’influenza di Pablo Picasso e di Georges Braque spinge il nostro artista a cercare di esprimersi secondo le regole del cubismo, realizzando poche opere, ma che stanno alla pari con le opere dei due promotori di questo nuovo indirizzo come La chitarra del 1912 e la Natura morta,
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omaggio a Flaubert del 1913, Qui pur nella pluralità dei punti vista assemblati sembra che l’artista miri più all’essere che al divenire, quasi per scoprire la realtà sottostante la percezione visiva. Finalmente negli anni venti-trenta Severini approda al neoclassicismo ed ad una pittura più narrativa, si veda Colpo di fulmine del 1929, dove tra le rovine romane Pulcinella, complice Arlecchino, dichiara il suo amore a Colombina. In questo stile l’artista aveva già affrescato nel 1922 la Sala delle maschere nel castello di Montefugoni. Ma prima ancora il capolavoro di questo stile realistico neo-classico è la celebre Maternità del 1912. Queste precisazioni cronologiche dimostrano che non è stato Maritain a spingere l’artista verso il neoclassicismo, si esprimeva già in quella maniera prima di incontrare il filosofo. Severini, attraverso una lunga sperimentazione ha attraversato i più diversi movimenti, e Maritain l’ha accompagnato in questa evoluzione intellettuale. D’altra parte tracce delle diverse esperienze persistono anche nelle ultime opere dell’artista; basti ricordare l’olio Primavera del 1954 che ha modulazioni che richiamano il futurismo. L’arte, come la filosofia, trascende la sua storia, perché la bellezza è la ricerca dell’Assoluto
Eventi
Lo specchio del giudizio
La prima monografica di Michelangelo Pisoletto a Londra è un viaggio: tempo illimitato, itinerario libero, lo spazio circoscritto alle quattro gallerie rettangolari della Serpentine- pareti a vetri a vista sui prati curati dei giardini di Kensington, soffitti alti e, in basso: Labirinto, un circuito a spirale in cui confluiscono arrivo e partenza. Un lavoro composto da fogli di cartone che si addensano contro i muri ed occupano l’intero spazio espositivo, come frange sinuose attraverso cui il visitatore nuota, attento a non urtare le creste che subito vibrano ai rumori troppo forti, ai passi troppo pensanti e sembra che si ripieghino in dentro quando i bambini si avvicinano. Nel viaggio, i bambini corrono, i genitori li inseguono, le coppie si
di Maria Pia Masella
tengono per mano e occupano troppo spazio ed è una tale fatica proseguire che viene voglia di abbandonare se non ché, a una leggera ondulazione del cartone, ci si arresta: una tappa: Pozzo Specchio. “Ho attraversato il labirinto e, a un certo momento della vita, mi sono trovato a confrontarmi con me stesso e con la religione” spiega l’artista. Lo strumento utilizzato da Pistoletto per generare il confronto è un suo classico: lo specchio. Pozzo Specchio è formato da fogli di cartone avvolti uno dentro l’altro intorno a uno specchio circolare in cui l’uomo- che è sempre un po’ curioso, si affaccia e: cosa vede?, la propria piccola faccia in un lago di vetro che riflette anche il pezzo di cielo del lucer-
Michelangelo Pistoletto, Labirinto, 1968-2011, cartone, Galleria Continua, San Gimignano.
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Eventi
Michelangelo Pistoletto, Le trombe del giudizio, 1968, alluminio, cm 200x100, Palazzo Fabroni, Pistoia.
naio tondo come il pozzo. Nelle stanze successive le grandi religioni sono esposte come coppie di elementi: quello di preghiera e quello di confronto, ovvero lo specchio in cui il simbolo essenziale di ogni religione si riflette. Il tempo del giudizio, Buddista è la scultura in pietra di un Buddha che si guarda allo specchio; Il tempo del Giudizio, Cristiano, è un inginocchiatoio di fronte allo specchio; quello mussulmano è un tappetino di preghiera rivolto verso la Mecca. Il tempo del giudizio, Ebraico, due specchi identici, ad arco, messi uno accanto all’altro. “Le religioni che ho rappresentato sono monoteistiche (….) - dice l’artista - L’idea del monoteismo è assolutista e non può essere democratica”. Un’affermazione forte che sembra trovare un parallelo in Trombe del giudizio, lavoro in cui una delle tre trombe del giudizio è rivolta verso il basso, messa a testa in giù, in poche parole: zittita. “Quando andavo a scuola, a 8 anni, sui muri delle strade c’era scritto: Credi, obbedisci e combatti era lo slogan fascista.
Ma era anche lo slogan della religione. Devi credere, obbedire e combattere…. Per me la religione e l’educazione di quegli anni erano la stessa cosa. (…) Era come stare in una grande gabbia di metallo! Il momento in cui ho scoperto l’arte moderna, mi sono detto: Ora la gabbia è rotta! Ora la possibilità di un cambiamento c’è!” Un cambiamento che è anche quello di ritrovarsi riflessi in uno specchio accanto a un Buddha, dietro un inginocchiatoio, con le punte delle scarpe su un tappetino di preghiera, tanto che viene da chiedersi se non sia semplicemente questo ritrovarsi insieme dell’uomo e Dio l’idea d’inizio a cui pensava Pistoletto: “si gira e si gira, si va avanti cercando qualcosa e alla fine, quando si scopre lo specchio, ci si accorge che quello che stavamo cercando era noi stessi. Ma si vede anche la cultura che ci portiamo dentro, che è essenzialmente di religione. E la religione stessa si specchia, responsabilizzata quanto lo siamo noi”.
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Eventi
La copertina dell'album di Nick Carter, personaggio creato da Bonvi, anch'egli modenese.
A Roma, nelle sale del Palazzo Incontro, da 14 settembre al 23 ottobre, sarà possibile immergersi in un’atmosfera nostalgica e colorata fatta dei ricordi più cari che hanno animato la vita di tantissimi bambini per mezzo secolo. La Panini, la casa editrice modenese, festeggia i suoi 50 anni e lo fa con questa splendida mostra che si propone come un vero e proprio viaggio nell’universo delle figurine. La numerosa famiglia Panini, con otto figli, gestiva una piccola edicola nel centro storico di Modena, e ben presto si fece largo l’idea di dover fare di più. Così, alla fine del 1961 la grande trovata di trasformare una fotografia in bianco e nero in una coloratissima figurina. Arriva la prima edizione della raccolta Calciatori della quale troviamo esposta la prima figurina dell’album 1961-62, e il successo è immediato. Da allora i Panini si ritrovarono proiettati in tutte le edicole italiane, e proprio grazie al positivo riscontro avuto con i calciatori, ampliarono ben
Panini 1961 – 2011. Una storia italiana di Sonia Gammone
presto la loro gamma di proposte: arrivano le fiction televisive con Sandokan e Pinocchio di Comencini, i cartoni animati, da Heidi a Remì, le grandi manifestazioni sportive internazionali dalle Olimpiadi di Monaco del 1972 fino ai Mondiali di calcio del Sudafrica dello scorso anno, ci sono le saghe hollywoodiane da Guerre Stellari a Harry Potter, i telefilm americani come Happy Days, senza dimenticare l’importante ausilio per le ricerche scolastiche che le raccolte di figurine didattiche hanno rappresentato negli anni Sessanta e Settanta come quella del 1969 dedicata alle vicende del Risorgimento. Un mondo fatto di mille passioni quello che emerge dalle centinaia di titoli curati dalle figurine Panini. Artefici del grande successo i quattro fratelli Panini, dotati ciascuno di un
Nel 1972 con Le avventure di Pinocchio inizia la pubblicazione di album legati alle fiction televisive.
Umberto e Benito Panini nell'edicola di Corso Duomo da cui prese il via già negli anni Quaranta l'attività della famiglia Panini.
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talento proprio: Giuseppe, curatore dei progetti editoriali, Benito della distribuzione, Umberto che creava macchine per automatizzare i processi industriali e Franco che riuscì a diffondere il marchio anche all’estero. Uomini dagli interessi poliedrici e multiformi, figli di quel boom economico degli anni Sessanta che ha permesso al loro dinamismo di emergere e di realizzarsi. Una mostra da non perdere soprattutto per chi ha ancora voglia di provare la magica emozione di aprire una bustina Panini sognando di trovare l’ultima figurina per completare l’album.
La prima figurina realizzata per l'album Calciatori 1961-62.
Nel 1969, anche se il centenario è passato da un pezzo, Panini dedica una raccolta alle vicende del Risorgimento.
Pagina dell'album Aerei e missili del 1965, una delle prime raccolte didattiche Panini.
Con Happy Days del 1979 iniziano anche le pubblicazioni legate ai telefilm americani. I giochi con le figurine hanno appassionato generazioni di bambini italiani.
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TecnoCromie Sono trascorsi quasi novant’anni dalla nascita del vampiro più longevo della storia del cinema. Pallido, glaciale, passo furtivo, Nosferatu - protagonista dell’omonima pellicola del 1922 di Friedrich Murnau - si ispirava a Dracula, romanzo di Bram Stoker scritto alla fine dell’Ottocento. Oggi il vampiro di Murnau conserva intatta quell’aura inquietante che ne fece un’icona del cinema horror di tutti i tempi e uno dei film simbolo dell’espressionismo tedesco. A renderlo immortale, l’inconfondibile profilo spettrale, l’alone di mistero che circondava l’attore che gli prestava il volto, e le atmosfere cupe come quella del bosco notturno, ingegnosamente ricavata dall’utilizzo di pellicola in negativo. Ambientato tra i Carpazi, Nosferatu attinge a piene mani dalle leggende popolari sorte intorno ai vampiri. Il conte Orlok, in cerca di nuove vittime, lascia il suo castello su cui circolano strane leggende. Oscuri presagi, lutti e pestilenze accompagnano il viaggio della misteriosa creatura e si abbattono su quelli che incontra. Infine una donna si immola lasciandogli succhiare il proprio sangue aspettando le prime luci dell’alba, che annientano il
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Dracula e i vampiri di celluloide di Giovanna Russillo
vampiro e con lui tutto il male inferto agli uomini. Nosferatu non fu il primo tentativo dei cineasti di portare i vampiri sul grande schermo, ma fu il primo a lasciare una traccia indelebile nella storia del cinema al punto da ispirare in seguito un ben riuscito remake di Werner Herzog (Nosferatu: Phantom der Nacht, del 1979) e una sorta di making of (L’ombra del vampiro diretto da Elias Merhige nel 2001) che narra i retroscena della nascita del capolavoro di Murnau. Nei primi anni del Novecento, il senso di inquietudine e di minaccia imminente che attanaglia l’uomo, nel buio di una sala cinematografica assume le fattezze di questi esseri agghiaccianti, incarnazione dell’orrore proveniente da un universo imponderabile. Nel tempo, il profilo estetico e psicologico di queste creature perennemente sospese tra il mondo dei vivi e quello dei morti, si evolve nell’immaginario collettivo e in quello di celluloide. A poco a poco l’orrore abbandona le mura tetre di castelli medievali per annidarsi tra le pieghe soffocanti di una giungla urbana o nell’opprimente silenzio di una periferia. E i semivivi, sempre meno ammantati di misticismo, sempre
meno assetati di sangue (30 giorni di buio, di David Slade, 2007) si fanno biologicamente più umani, più romantici e tormentati (The Addiction di Abel Ferrara, 1995; Intervista col vampiro di Neil Jordan, 1994; Dracula di Bram Stoker di Francis Ford Coppola, 1992). L’horror veleggia verso il fantastico tratteggiando eroi da fiaba metropolitana (Twilight, di Catherine Hardwicke, 2008). Il Male per l’uomo non si cela più nell’Altro da Sé, ma può assumere i tratti
rassicuranti di chi ci vive accanto (Fright Night, di Craig Gillespie, 2011), o quelli innocui di una bambina (Lasciami entrare, di Tomas Alfredson, 2008) attraverso i quali raccontare storie di marginalità e solitudine. I vampiri di celluloide, immortali come le leggende che incarnano, si rigenerano e riscrivono ogni volta la propria storia, una storia attraverso cui lo spettatore potrà in ogni momento ricomporre i frammenti della propria.
art Tour a cura di Fiorella Fiore Matera Francesco Somaini
Fino al 18 ottobre Complesso Rupestre di Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci e MUSMA, Matera Info: www.musma.it Continua fino al 18 ottobre la mostra antologica dedicata a Francesco Somaini, protagonista del ciclo che il Musma continua ormai dal 1987, in collaborazione con il Comune di Matera. A cura di Giuseppe Appella e Luisa Somaini, (e allestita da Alberto Zanmatti) la mostra comprende circa 135 pezzi datati tra il 1943 e il 2005, anno della scomparsa dello scultore, protagonista nelle raccolte più prestigiose, nazionali ed internazionali. Il percorso espositivo, suddiviso tra le Chiese Rupestri Madonna della Virtù, S. Nicola dei Greci e il Museo MUSMA, comprende anche un'esposizione bio-bibliografica per approfondire la conoscenza dello scultore comasco. Dalle prime opere figurative a quelle che ne hanno distinto la poetica "informale" contaminata dall'influenza di Manzù, suo maestro nelle sporadiche frequentazioni accademiche a Brera, come Orizzontale IV del 1959 o Fortunia I; il percorso termina con le opere dedicate al paesaggio, tema non comune nell'ambito scultoreo, e che ha aperto il linguaggio di Somaini all' ambiente e allo spazio, al limite della Land Art.
Noto (SR) Alla ricerca del tempo venduto/ Il tempo violentato
Calvello (PZ) Franco Corbisiero. Hyle
Fino al 2 ottobre 2011 Centro di NOTOrietà, Noto Info: www.comune.noto.sr.it
Dal 2 al 30 ottobre Convento di Santa Maria del Plano, Calvello Info: www.comunecalvello.com
Lo scopo dell'arte contemporanea è quello di interpretare la realtà, diventare un mezzo per riflettere sul presente e a volte essere anche una finestra sul futuro. In un'epoca in cui siamo gravati dal così detto "bombardamento mediatico", e in cui la civiltà dell'immagine ha ormai preso il posto di quella del pensiero, il valore della memoria, pure così accessibile attraverso i più disparati supporti, scompare. Alex Munzone ed Adriana Protasi interpretano questo aspetto della nostra contemporaneità, ciascuno secondo il proprio stile, nella mostra che verrà inaugurata sabato 10 settembre a cura di Fiorella Fiore. Il primo utilizza nelle sue installazioni gli oggetti del quotidiano e, decontestualizzandoli, li fa rivivere in una dimensione altra, dando loro un significato completamente diverso. Adriana Protasi, invece, facendo proprio il linguaggio del grande Informale, squarcia la tela, la fa vivere di ferite reali e tangibili, in opere che diventano uno specchio dei nostri giorni. Questi due artisti, pur nella loro diversità, perseguono lo stesso scopo: invitare lo spettatore a soffermarsi su queste opere, andando al di là di uno sguardo superficiale che superi la difficoltà di una lettura non immediata, per invitare a riflettere sulla valenza del tempo e la sua proprietà intrinseca.
Verrà inaugurata domenica 2 ottobre la mostra di Franco Corbisiero, Hyle. La materia di un nuovo realismo, un'antologica che raccoglie la produzione dell'artista nativo di Calvello, dal 2009 ad oggi. L'evento inaugura, insieme ad altri eventi che prendono il via da sabato primo ottobre, anche il nuovo spazio espositivo destinato alle mostre temporanee sito nel chiostro di Santa Maria del Plano, fresco di restauro, in linea con la politica di recupero delle bellezze artistiche del Paese, adottato dall'amministrazione comunale. Proprio per questo Franco Corbisiero ha scelto questo luogo come "vetrina" ideale per esporre il nuovo ciclo della sua opera, ancorato alle certezze che ne distinguono la poetica (l'uso preponderante della materia, la pratica del levare per creare diversi strati di colore, l'utilizzo della spatola) ma in costante divenire, sia nella tecnica che nella scelta dei soggetti. Da qui il titolo della mostra che prende le mosse proprio dal concetto aristotelico di materia (in greco Hyle), come ciò che permane immutato nel sostrato del divenire. Protagonista di queste opere ancora una volta il paesaggio, in modo particolare quello di Calvello, e i ritratti, ispirati soprattutto all'universo femminile, raffigurato nelle più intime e liriche angolazioni.
A.R.C.A. Associazione di comunicazione editoria ed eventi Info 392 4263201 – 330798058 RICERCA FUNZIONARI DI VENDITA AREA DI LAVORO: BASILICATA, PUGLIA, CALABRIA E CAMPANIA REQUISITI RICHIESTI
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Diploma di scuola superiore Patente B Automunito Spiccata attitudine alla vendita di prodotti e servizi evoluti Capacità di integrare efficacemente con il team L’azienda offrirà ai candidati prescelti una formazione strutturata sia tecnica che commerciale. Affiancamento sul campo con un piano provvigionale e di incentivazione particolarmente attrattivo.
Inviare curriculum dettagliato a: associazionearca@alice.it