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NUMERO 37 | MARZO 2019
STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE
L’ITALIA NELL’ARENA DELL’IMPRESA 4.0 STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE
La trasformazione digitale è un passaggio obbligato, ma molte aziende sono ancora ferme. Le misure della manovra 2019 e gli impegni del governo.
TENDENZE HI-TECH MARZO 2019
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Dal 5G all'intelligenza artificiale, fino al quantum computing: che cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi anni?
FINTECH, È BOOM
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Dopo la crescita esplosiva delle startup è arrivato il momento della collaborazione tra soggetti nuovi e tradizionali.
GDPR E SICUREZZA L'adeguamento alle nuove regole europee sulla privacy è ancora in corso. Già si vedono i primi benefici, ma anche criticità.
SOMMARIO 4 STORIE DI COPERTINA STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE
N° 37 - MARZO 2019 Periodico mensile registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012 Direttore responsabile: Emilio Mango Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Alessandro Andriolo, Piero Aprile, Valentina Bernocco, Roberto Bonino, Vincenzo D'Appollonio, Giuseppe Donvito, Gianandrea Ferrajoli, Carlo Fontana, Valentina Frediani, Marco Gay, Massimiliano Magrini, Riccardo Manzini, Roberto Masiero, Alice Mordonini, Alessio Pennasilico, Elena Vaciago Progetto grafico: Inventium Srl Foto e illustrazioni: Istockphoto, Adobe Stock Images, Martina Santimone
Agenda digitale 2019: ultima chiamata
La sfida da vincere? Mobilitare il Paese
11 IN EVIDENZA
Intelligenza artificiale, verso una strategia comune
Il computing trasloca in periferia
Gli smartphone torneranno a correre. Ma tra qualche anno
Il laser italiano alla conquista degli Usa
Perché il settore It (a partire dal software) non è una bolla
20 DIGITAL TRANSFORMATION
Percorso a ostacoli
Orientarsi nell’innovazione
27 SPECIALE SICUREZZA
Gdpr, la compliance è solo il primo passo
Come investire in cybersecurity
Viviamo in un’epoca meravigliosa, ma…
36 EXECUTIVE ANALYSIS Editore e redazione: Indigo Communication Srl Via Correggio, 48 - 20149 Milano tel: 02 36505844 www.indigocom.it Pubblicità: Economy Srl tel: 02 89767777 Stampa: Rotolito - Pioltello (MI) © Copyright 2019 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati. Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto. Pubblicazione ceduta gratuitamente.
Sicurezza, il fattore umano non aiuta
La parola ai manager
42 STARTUP & PMI INNOVATIVE
Fintech e insurtech al decollo
La carica delle diecimila
48 INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Se il business chiama, l’AI risponde
52 BLOCKCHAIN
Nella logistica la sfida è l’integrazione
57 ECCELLENZE.IT Axa Italia - Salesforce Flou - Fortinet General Cavi - Zebra 62 VETRINA HI-TECH
STORIA DI COPERTINA
Con la manovra di bilancio e con gli ultimi emendamenti il quadro dei progetti in corso a carico dell’esecutivo è delineato. Ora serve attuarli, evitando il rischio di un ulteriore stallo. Perché questo deve essere un anno decisivo per l’innovazione italiana.
AGENDA DIGITALE 2019 ULTIMA CHIAMATA
L’
ultima puntata della lunga storia del progetto varato nell’ottobre del 2012 dall’allora esecutivo Monti sono gli emendamenti al decreto legge “Semplificazioni”, approvati dalle commissioni Affari costituzionali e Lavori pubblici del Senato a fine gennaio. Nella lista delle mozioni spiccano voci che toccano da vicino i temi contenuti nell’Agenda Digitale. Proviamo a riassumerli: un iter più snello per la posa della nuove reti a banda larga (soprattutto in caso di utilizzo di tecnologie di scavo a basso impatto 4
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ambientale), l’esenzione degli operatori sanitari dall’obbligo della fatturazione elettronica, l’esclusione dalla Web Tax (pensata per gli “over the top” come Google, Amazon e Facebook) di alcuni soggetti, tra cui Borsa Italiana, la “certificazione” di blockchain e smart contract quali tecnologie per l’aggiornamento e l’archiviazione dei dati. In ultimo c’è il passaggio, previsto a partire dal 2020, dei poteri e delle funzioni del Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale: diventeranno prerogativa del presidente del Consiglio.
Al di là della disquisizione sulla bontà del travaso di competenze, è interessante mettere a fuoco che cosa ci sia oggi sul tavolo dell’esecutivo e delle figure deputate a gestire i progetti legati al digitale, a partire da quello di Luca Attias, l’erede di Diego Piacentini nel ruolo di Commissario, e del direttore generale dell’Agid, Teresa Alvaro. Le misure ci sono. Serve visione
A detta di molti, il 2019 potrebbe essere l’anno del tanto atteso cambio di passo per la trasformazione in chiave tecnologica del Paese, ma non sono
in ottica strategica e di lungo periodo, non solo in termini di provvedimenti di utilità contingente, suona altrettanto forte: è necessario infatti definire in modo chiaro e programmatico un piano di crescita organica legata a questi settori. Se la diffusione delle reti 5G è il leitmotiv che accompagnerà molte iniziative in materia di telecomunicazioni, è necessario evidenziare che sullo sviluppo delle nuove reti aleggia qualche ombra, sia di carattere normativo sia legata ai grandi operatori coinvolti, così come non sembra del tutto cristallino il futuro prossimo del piano per la banda ultralarga. C’è poi la “new entry” dell’obbligo della fatturazione elettronica fra imprese, introdotto all’inizio del 2019 e su cui è troppo presto per fare bilanci. E ci sono naturalmente tutti i provvedimenti legati alla Pubblica Amministrazione, quali PagoPa, Spid e quelli per i progetti di scuola e sanità digitale. La sfida da affrontare, come si può ben intuire, contiene elementi importanti per il futuro dell’Italia. Giocarla con troppa superficialità sarebbe deleterio per tutti: cittadini, aziende e l’intero sistema Paese. Gianni Rusconi pochi coloro che, lecitamente, scorgono elementi di preoccupazione legati a una possibile (e molto pericolosa) empasse nell’attuazione dei progetti definiti sulla carta. Autorevoli rappresentati dell’ecosistema italiano dell’innovazione (ne ospitiamo alcuni in questo numero di Technopolis) plaudono alle misure contenute nella legge di bilancio 2019: in particolare le agevolazioni fiscali a sostegno degli investimenti in materia di Industria 4.0 e gli strumenti di supporto e di incentivo per startup e venture capital. Ma l’invito a ragionare
ULTRABROADBAND ALL’EUROPEA Accelerare la realizzazione delle reti a banda ultralarga nelle aree grigie dei singoli Paesi per raggiungere un duplice obiettivo: potenziare i collegamenti di imprese e interi distretti e colmare i “gap” che nel corso degli anni hanno prodotto connettività a macchia di leopardo. È questa la mission del Cebf (Connecting Europe Broadband Fund), il nuovo fondo che finanzierà progetti di piccolamedia entità in fatto di reti ultrabroadband fisse e mobili. Voluto dalla Commissione europea, il Cebf vede fra i suoi “investitori” (oltre all’organismo di Bruxelles e all’Efsi, European Fund Strategic Investment) anche la nostra Cassa Depositi e Prestiti, che ha messo a disposizione circa 50 milioni di euro. Nelle intenzioni del Cebf la disponibilità di fondi dovrebbe raggiungere 600 milioni e a beneficiarne direttamente saranno gli operatori telco interessate ad avviare nuove iniziative in aree ancora tutte da cablare, come le zone ad alta concentrazione industriale.
UN PIANO RITAGLIATO PER LE PMI È stato riaperto a inizio febbraio lo sportello online per le piccole e medie imprese interessate agli incentivi previsti dalla nuova legge Sabatini (inserita nella Manovra 2019 e finanziata dal governo per 480 milioni di euro) per l’acquisto di software, hardware e tecnologie digitali. Dal Ministero dello Sviluppo Economico fanno sapere che sono oltre 63mila le domande già
presentate, per un ammontare di contributi concessi superiore a un miliardo di euro, e che è in corso una revisione del piano Impresa 4.0 a favore delle Pmi. Nella lista degli acquisti agevolati sono comprese soluzioni di cloud computing e Big Data, cybersecurity, realtà aumentata, robotica e manifattura 4D, oltre alla banda ultralarga.
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STORIA DI COPERTINA
SCOMMETTERE SULL’INNOVAZIONE, MEGLIO SE "APERTA" Il mercato digitale italiano è in buona salute, ma serve una politica di sviluppo di sistema. I pro e i contro della manovra di bilancio 2019.
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n un quadro economico critico, con l’Italia in recessione tecnica e l’eurozona in forte rallentamento, il settore dell’Information & communication technology è in controtendenza e il mercato del digitale cresce a un tasso di quasi tre volte il Pil. Il 2018 si è chiuso infatti con un incremento anno su anno del 2,3% e si stima che raggiungerà nel 2020 un valore complessivo di 75 miliardi di euro. Dal cloud all’IoT, dalle piattaforme per il Web alle applicazioni mobili, i “digital enabler” trainano la domanda e permettono di innovare imprese e filiera, modelli di interazione, servizi pubblici e cittadini. Alla base di questo trend positivo ci sono tre fattori: il primo è la vitalità e la qualità delle aziende che offrono soluzioni tecnologiche, con il consolidarsi di un Made in Italy del digitale. La quota di fatturato che le imprese innovatrici attribuiscono alla vendita di prodotti nuovi è pari al 17,7%; un effetto che raggiunge punte del 64% nelle telecomunicazioni, del 39% nella ricerca e sviluppo e del 35% nell’informatica. Il secondo elemento è la domanda di innovazione da parte di aziende, anche di settori più tradizionali, che stanno digitalizzando i processi produttivi, di vendita e di customer care. Il terzo fattore, infine, sono le politiche pubbliche per sostenere gli investimenti, la crescita
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dimensionale e l’internazionalizzazione. Perché è il fermento di sistema che stimola gli investimenti, non la scommessa di pochi. I servizi in rete si diffondono quanto più i provider di questi servizi possono contare su connessioni veloci e su una produzione crescente di funzionalità e contenuti; consumatori e imprese li chiedono quanto più l’offerta è ampia e i pagamenti sono sicuri. È la spinta condivisa dal più ampio numero di produttori e utilizzatori che crea innovazione vera e diffusa. L’open innovation, a mio avviso, è la principale carta da giocare: il 7% delle imprese It la pratica e il 33% la vuole realizzare a breve. Ma perché il “rinascimento digitale” non si interrompa serve continuità nelle politiche pubbliche, nel livello degli incentivi e nel quadro regolatorio. Il piano Impresa 4.0 funziona se è decennale, perché consente alle aziende di abbattere il costo degli investimenti con iper e super ammortamento. Idem la formazione dei lavoratori per dare loro competenze avanzate, la creazione di progetti di ricerca applicata con le Università, lo sviluppo dei servizi 5G. Sono processi di rinnovamento che costano e che le aziende possono pianificare e attuare solo se certe che le aliquote fiscali a beneficio di chi innova non cambiano ogni anno o che la banda ultralarga colmerà il gap digitale entro i tempi previsti. Una sfida ancora da vincere
La legge di bilancio per il 2019 e gli ultimi provvedimenti hanno apportato modifiche rilevanti al sistema pubblico per l’innovazione. Da un lato ci sono
Marco Gay
stati importanti progressi come l’ammissione all’incentivazione del cloud, un regime ancora più favorevole per chi investe in startup, il voucher per i digital manager e i nuovi progetti dedicati a intelligenza artificiale, IoT e blockchain. Dall’altro, invece, su credito di imposta per ricerca e sviluppo, Industria 4.0 e web tax si sono fatti passi indietro. Ma è soprattutto l’incertezza di quando e come verranno attuate le normative, unita alla contrazione del Pil, che può determinare uno stallo sul fronte degli investimenti. Ecco perché serve un dialogo costante con chi fa impresa. Le istituzioni hanno una responsabilità ancora più forte rispetto al passato ed è quella di prefigurare l’evoluzione del sistemapaese e di definire un quadro d’azione che non sia oggetto di continue rimesse in discussione. La sfida della trasformazione digitale non è vinta, anzi si ripete ogni giorno, e investire in innovazione tecnologica conviene a tutti. Marco Gay, presidente, Anitec-Assinform
STORIA DI COPERTINA
Per Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale, è tempo di ragionare in grande. La strada verso la digitalizzazione dell'industria è fatta di tecnologie, ma anche di incentivi e centri di competenza.
LA SFIDA DA VINCERE? MOBILITARE IL PAESE
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al giudizio, assai positivo, sulle nuove misure a favore dell’industria a tutte le altre componenti che possono caratterizzare la “via italiana” alla trasformazione digitale. Ecco, secondo Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale, come si sta muovendo e come si dovrà muovere il nostro Paese per vincere la sfida dell’innovazione. Qual è la sua visione della strategia sul digitale oggi nel nostro Paese?
Con fatica, il digitale è tornato a ricoprire una posizione elevata nell’agenda politica. Per quanto riguarda i provvedimenti a supporto di Industria 4.0, a luglio scorso avevamo un foglio bianco e lavorando con il nuovo governo siamo
riusciti a dare un contenuto a quell’iniziativa che in passato è stata un messaggio forte di trasformazione del Paese. Ci siamo rimessi in moto, ma dobbiamo fare molto di più. Entriamo nel merito del piano Industria 4.0: quali sono i principali progressi?
Abbiamo rimesso in piedi tante delle iniziative già avviate dallo scorso governo, vedi per esempio la proroga dell’iperammortamento, più orientato alle piccole e medie imprese e con una formula di iperammortamento al 270% per progetti 4.0, quindi su macchine e tecnologie relative ai nuovi processi di produzione per iniziative fino a 2 milioni e mezzo di euro. L’iperammortamento è uno dei provvedimenti che ha incentivato di più.
Per quanto riguarda invece le piattaforme di commercio elettronico, fondamentali per molte Pmi?
Se un’impresa acquisisce queste piattaforme per aumentare la propria capacità di mercato, legata ai processi produttivi, può beneficiare senz’altro di questo ammortamento. È positiva, quindi, l’iniziativa che consente di chiedere l’iperammortamento al 140% dei progetti cloud, perché riguarda tutte le imprese ma soprattutto quelle piccole che vogliono accedere alle tecnologie. Un commento sui finanziamenti agevolati...
È stata rifinanziata la Nuova Sabatini, è stata rinnovata l’attività che reimposta l’attività di formazione 4.0, anche que7
STORIA DI COPERTINA
sta parecchio richiesta dagli imprenditori. Altro fattore molto positivo è il voucher, che può arrivare fino a 40mila euro, per le consulenze manageriali all’interno dell’impresa. È stato poi creato un fondo per far investire lo Stato nel venture capital. Da ultimo, sono stati stanziati 45 milioni di euro in tre anni per progetti di intelligenza artificiale e blockchain. È un ordine di grandezza di uno a cento rispetto a quanto viene stanziato in altri Paesi più evoluti del nostro, ma seppur piccolo rappresenta un segnale importante. Quindi è un bene che il governo attuale abbia capito l’importanza di scommettere sul digitale, ma adesso dobbiamo cambiare scala e quindi mobilitare l’intero Paese. Si può parlare di una “via Italiana” alla trasformazione 4.0?
Sì, è composta da un network molto capillare, ovvero di digital innovation hub che hanno il compito di replicare
A CHE PUNTO SONO LE AZIENDE? Oltre 110 manager intervistati, prevalentemente dell’area Ict e appartenenti a grandi aziende, per capire il grado di adozione delle nuove tecnologie e di metodologie avanzate per lo sviluppo software. Da una recente ricerca condotta da The Innovation Group sono emerse alcune indicazioni circa la diffusione e l’effettiva rilevanza dei progetti di trasformazione digitale messi in atto dalle imprese italiane. Emerge, innanzitutto, come la funzione It sia sollecitata dal business soprattutto rispetto allo sviluppo di nuove applicazioni e funzionalità (voce citata nel 67% dei casi) e all’aggiornamento
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in maniera massiva sul territorio soluzioni di carattere applicativo, e di centri di competenza il cui obiettivo è invece quello di puntare a grandi progetti di ricerca su temi molto specifici attraverso il valore aggiunto messo a disposizione da università e aziende, e quindi capacità didattica ed esperienze.
Elio Catania
Che ruolo hanno intelligenza artificiale e IoT nella nuova manifattura?
L’Italia è il Paese del prodotto. La capacità di aggiungere valore al prodotto, inserendo in esso intelligenza, diventa essenziale per poter competere sui mercati internazionali. Faccio l’esempio di Cosberg, azienda di Bergamo leader mondiale nello sviluppo e nella fbbricazione di macchine per costruire pezzi che riescono a modificare direttamente online l’apparato di produzione in funzione delle mutate esigenze del cliente, sfruttando una dotazione di sensoristica straordinaria integrata all’interno della di sistemi e applicazioni (53%). Solo un quarto (il 26%) dei responsabili informatici dichiara invece di essere coinvolto in attività di supporto alla raccolta e all’analisi dei dati interni e esterni l’azienda. Se in alcuni casi questo dato si spiega con la presenza di funzioni e figure specifiche dedicate (come il data scientist), è altrettanto vero che si sta delineando una dicotomia tra la richiesta del business in direzione dello sviluppo di applicazioni “data intensive” e l’orientamento più tradizionale delle strutture It, focalizzate soprattutto su iniziative di consolidamento dell’infrastruttura (nel 70% dei casi) e della razionalizzazione e ammodernamento del parco applicativo (65%). Secondo gli esperti di Tig è quindi evidente come i chief in-
macchina stessa e un collegamento con le macchine installate presso il cliente. Questo è il futuro: cliente e fornitore di tecnologie di produzione integrate e costantemente in comunicazione, manutenzione preventiva e predittiva, cambiamento della linea di assemblaggio online: è questa la nuova manifattura. Roberto Masiero formation officer siano ancora molto orientati al miglioramento dell’installato e come l’attività di gestione e analisi dei dati abbia ancora un taglio rivolto in modo prevalente all’analisi interna dei “core data” tramite strumenti di business intelligence. Oltre un terzo delle aziende dichiara infine di considerare in prospettiva i Big Data, gli analytics e la cybersecurity come aree di maggiore investimento per il futuro, mentre il 27% dei manager sta investendo in servizi di cloud computing e il 28% nell’ambito delle infrastrutture in-house. Nel complesso, lo studio fotografa un approccio ancora molto tradizionale delle funzioni It e pochi ambiti (per altro “non core”) in cui sta crescendo l’attenzione verso nuovi modelli di gestione e accesso alle risorse informatiche.
IL PASSO NECESSARIO: COGLIERE LE OPPORTUNITÀ DEL DIGITALE Fra gli obiettivi delle misure varate dal governo, rendere più efficienti i processi operativi e definire il ruolo delle startup. La ricetta di Marco Fanizzi di Dell Emc Italia prevede personalizzazione e semplificazione.
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nnovazione, startup, incentivi, nuove tecnologie: le prospettive di crescita e sviluppo a medio termine del sistema Paese dipendono irrevocabilmente dalla messa in atto di progetti concreti all’interno delle aziende (Pubblica Amministrazione compresa) e dall’attuazione di alcuni dei decreti contenuti nella nuova legge di Bilancio. Ne parliamo con Marco Fanizzi, vice president e general manager enterprise sales di Dell Emc Italia. La manovra 2019 dimostra che il governo crede nell’innovazione?
È un segnale importante, ma non credo sufficiente. Le misure varate sono buone ma le considererei un atto dovuto da parte dell’esecutivo in relazione al ruolo che riveste il digitale oggi e ai progetti portati avanti in tema di innovazione da Paesi come Regno Unito e Francia. Direi che si è fatto un primo passo, ma non siamo ancora alla soluzione definitiva. Dove occorre intervenire, in modo più esteso e organico?
In generale sulla semplificazione dei processi. Provo a spiegare. Chi registra brevetti e investe in ricerca e sviluppo ha vita facile nel tradurre questo sforzo in attività imprenditoriale, ma dal punto fiscale e normativo? Se oggi si tende a scegliere altri Paesi per lanciare una nuova impresa è sintomo che ci sono difficoltà nell’accesso al credito, al lavoro e alle competenze.
Marco Fanizzi
vorire la scalabilità e la competitività. Il processo di trasformazione digitale non è iniziato in tutte le aziende...
Le startup possono essere una locomotiva per lo sviluppo del Paese?
Difficilmente nascono in Italia realtà che diventano unicorni, in grado di creare un nuovo mercato o di imporre un nuovo prodotto hardware e software. Stanno invece nascendo diverse imprese innovative di nicchia nel biotech, nella robotica e nelle nanotecnologie, e per queste si deve trovare il modo di collegarle al sistema delle aziende. Nel’informatica, le startup che stanno emergendo sono legate all’IoT, alla profilazione dei clienti e alla sicurezza, ma serve creare le condizioni per facilitarne lo sviluppo. Il vostro “consiglio” in proposito?
La specifica esigenza, in questo momento, è quella di cogliere l’opportunità del digitale ad ampio spettro, dalla gestione delle attività manifatturiere alla relazione con il cliente. Il “must” è personalizzare soluzioni aperte per fa-
La digital transformation deve essere sinonimo o di efficientamento o di nuove opportunità di crescita del fatturato, ma molte aziende ancora non sanno dove andare. Se guardiamo alle infrastrutture It, oggi queste riflettono un approccio multicloud e scalabile, orientato a soddisfare le diverse esigenze e basato sull’utilizzo di risorse interne ed esterne in modalità dinamica. Nelle aziende manifatturiere l’utilizzo di soluzioni Iot e di sistemi per l’analisi dei dati è qualcosa di reale e permette di garantire maggiore flessibilità di produzione per rispondere a una domanda sempre più vicina al punto di produzione. E l’intelligenza artificiale?
Spesso è presente in alcune soluzioni applicative e non la percepiamo. È semplicemente una questione di tempo, i modelli predittivi e cognitivi sono già una realtà. Le competenze, infine: rimangono un problema aperto?
Sì. Il mercato chiede specifici skill che al momento non arrivano a sufficienza dal mondo delle università. C’è solo una strada da poter percorrere: attrarre e fidelizzare talenti dall’esterno e riqualificare le risorse esistenti. Gianni Rusconi
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IN EVIDENZA
l’analisi
INTELLIGENZA ARTIFICIALE, VERSO UNA STRATEGIA COMUNE Il piano Ue per lo sviluppo dell’AI è ambizioso e punta a recuperare il gap di investimenti con Asia e America. L’esempio del Regno Unito.
Lo scorso 7 dicembre la Commissione Europea ha licenziato il suo “Piano coordinato sull’intelligenza artificiale”. L’obiettivo è particolarmente ambizioso ed è il seguente: “L’intelligenza artificiale sarà il driver principale della crescita economica e della produttività industriale in Europa. Come la macchina a vapore e l’elettricità in passato, l’AI sta trasformando il mondo. In generale, l’Europa ambisce a diventare la regione più avanzata a livello mondiale nello sviluppo e nell’applicazione di un’intelligenza artificiale avanzata, etica e sicura, promuovendo un approccio human-centrico nel contesto globale”. Ma se l’Europa vuole veramente perseguire questi obiettivi dovrà muoversi in fretta, considerando che gli investimenti privati in questa tecnologia nel 2016 erano (fonte McKinsey) nell’ordine dei 3,2 miliardi di dollari, circa un terzo di quelli asiatici e un sesto di quelli nordamericani. Il piano elenca quindi una serie di azioni da avviare nel biennio 20192020 e prepara il terreno per le attività degli anni successivi, dal 2021al 2027. Quattro gli ambiti chiave di intervento: maggiori investimenti attraverso partenariati e collaborazioni industriaaccademia; sviluppo di soluzioni di AI etiche e affidabili; promozione del talento, delle competenze e di un apprendimento permanente; creazione di uno spazio comune dei dati (Ceds) e di un’infrastruttura europea di test e spe-
Roberto Masiero
rimentazione (Dih, digital innovation hub). Per poter attuare questo piano è necessario che entro la prima metà del 2019 i Paesi Ue provvedano a dotarsi di una strategia nazionale per l’intelligenza artificiale, definendo livelli di investimento e misure d’attuazione. Uno spunto di riflessione interessante arriva dalla strategia perseguita dal Regno Unito, che ha stanziato per lo sviluppo di questa tecnologia un fondo di un miliardo di sterline, destinato per una metà all’industria e per l’altra ai settori government, ricerca e istruzione. L’industria privata inglese ha sponsorizzato un programma che ha consentito a 300 studenti di conseguire un master in AI, mentre governo e università hanno creato 200 posti addizionali per PhD espressamente rivolti all’intelligenza artificiale. E poi, ancora, iniziative a supporto delle migliori startup e un AI Council per promuovere il settore. E l’Italia? Anche il nostro Paese si sta muovendo verso la definizione di una
strategia per l’intelligenza artificiale. Un primo fondo di 45 milioni di euro per i prossimi tre anni è stato stanziato e una task force di trenta autorevoli rappresentanti del mondo accademico, dell’industria e della società civile si è già messa al lavoro. È però necessario un rapido cambio di passo per mettere a sistema le esperienze maturate nel campo della ricerca e nelle imprese e incrementare significativamente gli investimenti. Lodevole e di assoluta eccellenza, in tal senso, è il progetto di laboratorio nazionale “Artificial Intelligence and Intelligent Systems” promosso dal Consorzio Cini Aiis, cui parteciperanno 47 università e 850 docenti. L’altro grande asset del nostro Paese è l’utilizzo dell’AI nell’industria manifatturiera, dove già si trovano applicazioni molto avanzate in realtà come Pirelli, Tenaris e Ferrari, solo per citarne alcune. I temi da affrontare per strutturare una strategia nazionale sono molti e riguardano la valorizzazione della ricerca e il trasferimento dei risultati ottenuti dal laboratorio al mercato, le competenze, nuovi investimenti qualificati, l’aspetto regolatorio e gli impatti etici. Ma il tema più importante rimane quello del “cambio di passo”, perché il Paese non può crescere senza un investimento strategico in innovazione, di cui il digitale e l’intelligenza artificiale rappresentano elementi fondamentali. Roberto Masiero, presidente di The Innovtion Group (Tig)
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IN EVIDENZA
SCONTRINI DIGITALI MOBILI La partnership fra Olivetti e la londinese SumUp porta in Italia una nuova soluzione di cassa per i negozianti. Dall’incrocio tra storia e innovazione nasce un nuovo metodo di pagamento digitale per le Pmi italiane. Olivetti ha avviato una collaborazione con SumUp per offrire agli esercizi commerciali una soluzione tecnologica evoluta e facilmente accessibile. Il nuovo sistema di cassa dell’azienda piemontese, basato sul sistema operativo Android, si integra ora con il lettore di carte wireless SumUp: i due dispositivi sono collegati tra loro via Bluetooth per abilitare il passaggio automatico dei dati relativi alla transazione, evitando al commerciante la doppia digitazione dell’importo (sulla cassa e sul lettore). La novità permette inoltre di adeguarsi subito agli obblighi introdotti dalla direttiva sullo scontrino elettronico. Nata nel 2011 a Londra, Sumup consente alle
Pmi di accettare in negozio e online pagamenti con carta sui maggiori circuiti di credito e di debito, oltre che con Google Pay e Apple Pay. Per funzionare, i terminali della startup devono semplicemente essere collegati allo smartphone o al tablet dell’esercente.
ZUCCHETTI NON SI FERMA, SUA ANCHE OVOSODO La software house lodigiana ha acquisito la maggioranza di Ovosodo, agenzia digitale comasca attiva da 16 anni nello sviluppo di app, servizi Web, soluzioni e-commerce, graphic design e digital marketing. Il principale obiettivo dell’operazione è quello di sfruttare le competenze di Ovosodo nel settore alberghiero e della ristorazione, in quanto la società ha creato applicazioni e sistemi di self-order e chioschi multimediali self-payment che si integrano con le soluzioni software Zucchetti. Ovosodo diventerà inoltre l’agenzia Web della nuova controllante per il mercato hospitality.
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LE STARTUP DEL CIBO 4.0 Un spazio nel cuore di Milano per ospitare tutte le startup impegnate nello sviluppo di progetti tecnologici dedicati al mondo del cibo. È nato FoodTech Hub, luogo dedicato alle giovani imprese italiane che vuole diventare il punto di incontro per la comunità (in continua espansione) dell’agroalimentare tecnologico. Al momento la struttura svolge soprattutto il ruolo di acceleratore per le sette startup scelte da Officine Innovazione di Deloitte, Amadori, Cereal Docks e Gruppo Finiper tra oltre 300 candidate di una quarantina di Paesi. Le sette selezionate avranno la possibilità di consolidare il proprio modello di business e di affrontare il mercato affiancate da oltre cinquanta mentor specializzati e sostenute da un investimento iniziale in equity di 150.000 euro. Il percorso di accelerazione si concluderà con una giornata demo nell’ambito della quinta edizione di Seeds&Chips - The Global Food Innovation Summit, in programma a Milano dal 7 al 10 maggio.
IL COMPUTING TRASLOCA IN PERIFERIA Le stime di sviluppo per le tecnologie Internet of Things prevedono la diffusione di un numero di dispositivi connessi compreso fra 25 a 50 miliardi, e cioè fino a sette dispositivi per abitante della terra. È difficile quindi pensare che ci sia un’infrastruttura cloud tradizionale, su modello “centralizzato”, in grado di processare in tempo reale la quantità di dati prodotta da tale massa di apparecchi. Le limitazioni della banda e del tempo di latenza sono entrambi fattori impliciti nelle infrastrutture di rete e per questo motivo, volendo rendere davvero utili gli oggetti che stiamo disseminando ormai ovunque, è indispensabile spostare quanta più intelligenza possibile dalla nuvola “centrale” verso la parte periferica dei sistemi dell’Internet delle cose. L’IoT ripropone infatti il valore della territorialità dei servizi, un elemento che costituirà un fattore competitivo fondamentale rispetto agli aspetti monopolistici del mercato. Il 5G (come tecnologia abilitante) e l’Internet of Things (come paradigma di connessione in rete) sosterranno lo sviluppo localizzato dell’elaborazione di intelligenza, il cosiddetto edge-
La diffusione di dispositivi connessi, combinata al cloud e al 5G, introduce il modello decentralizzato e "territoriale" dell'edge computing. computing. Il calcolo non è più solo al centro delle reti ma anche ai margini. Nei servizi mission critical 5G, in particolare, questa tecnologia (e nello specifico il mobile edge cloud) nasce proprio perché alcuni dati vengono fruiti dopo essere stati pre-elaborati localmente. Sia l’edge computing sia il fog com-
puting sono architetture di rete che hanno l’obiettivo di raccogliere, analizzare ed elaborare i dati in modo più efficiente rispetto a una architettura tradizionale. L’intelligenza e la potenza di elaborazione vengono spinte fino al livello della rete locale e direttamente nei dispositivi finali: questa distribuzione di capacità a tutti i livelli (cloud, fog, edge) permetterà agli operatori di telecomunicazione di modificare il proprio ruolo nella catena del valore. Invece di costruire e fornire reti “dumb pipe” per Apple, Amazon e le varie Google, Facebook e Netflix, che raccolgono tutti i profitti senza partecipare ai costi di implementazione dei nuovi network, le telco potranno fornire agli Over-the -top servizi a valore aggiunto basati su reti distribuite intelligenti, preparando l’avvento delle cosiddette reti cognitive in cui i servizi di telecomunicazione si coniugheranno con applicazioni di intelligenza artificiale. Fog, edge computing e 5G sono i temi del Digital Enterprise Summit organizzato da The Innovation Group il 27 marzo a Milano. Vincenzo D’Appollonio, partner di The Innovation Group (Tig)
BLOCKCHAIN E CLOUD NEL FUTURO DI POSTE Poste Italiane guarda al digitale per affrontare le sfide del futuro. E lo fa con una doppia, autorevole, collaborazione. L’operatore ha ampliato l’alleanza con Microsoft adottandome la piattaforma cloud di Crm per migliorare l’esperienza dei propri clienti. Il progetto punta a unificare le soluzioni di customer rela-
tionship management per le aree grandi imprese, Pmi e retail. L’attivismo tecnologico di Poste ha inolte portato l’azienda a entrare nel consorzio Hyperledger, iniziativa amministrata dalla Linux Foundation e tesa a definire standard condivisi sulla blockchain. L’organizzazione riunisce oltre 260 realtà mondiali,
fra cui i principali giganti della tecnologia. Inserire un livello di blockchain nell’infrastruttura di Poste potrebbe rivelarsi utile per diverse applicazioni, soprattutto a livello logistico. Non a caso, del consorzio Hyperledger fa parte anche Fedex, il colosso delle spedizioni statunitense.
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IN EVIDENZA
PAGAMENTI DIGITALI A MISURA DI PMI FINTECH D’ORO Stripe sbarca in Italia per offrire ad aziende e startup una soluzione "chiavi in mano" per le vendite online. Fondata a San Francisco nel 2011 dai fratelli Patrick e John Collison, Stripe è un’azienda tecnologica che costruisce infrastrutture per l’economia digitale. Il La soluzione sviluppata a beneficio di aziende e merchant che scommettono sull’e-commerce è una piattaforma in cloud che permette di gestire l’intero ciclo di vita del denaro online, dalla transazione alla distribuzione dei pagamenti sui più account bancari. Le peculiarità? È self-service, non richiede oneri di configurazione e per integrarla siti o nelle app mobili esistenti servono poche righe di codice. L’elenco delle organizzazioni che hanno scelto Stripe è sterminato, oltre il milione in 135 Paesi, e nell’elenco ci sono nomi come Booking Amazon, Lift, Airbnb, Deliveroo e Spotify. Da qualche settimana è scattata ufficialmente l’avventura in Italia, dopo per alcuni mesi la versione beta della piattaforma è stata testata su alcune migliaia di clienti, comprese startup quali Musement e Supermercato24
Alessandro Astone
e grandi ccatene di distribuzione tradizionali quali Conad e Leroy Merlin. Alle imprese della Penisola, come conferma il country manager italiano della compagnia, Alessandro Astone, Stripe mette a disposizione una suite di prodotti localizzati e un team dedicato che ha il compito di personalizzare l’offerta della piattaforma standard, con l’obiettivo di disintermediare e risolvere tutte le complessità legate a un pagamento digitale. “In Italia solo il 12% delle piccole e medie imprese è attivo in Rete”, spiega il manager, “e vorremmo contribuire a portare questa percentuale al 30% o 40% entro i prossimi tre o quattro anni”. G.R.
ROUND MILIONARIO PER YOLO Insurtech e finanza tradizionale si intrecciano sempre più. Intesa Sanpaolo è entrata nel capitale di Yolo, realtà italiana di servizi e intermediazione assicurativa digitale nata nel 2017. Sul piatto sono arrivati 5 milioni di euro tramite un round di serie A guidato da Neva Finventures, corporate venture capital che fa capo a Intesa Sanpaolo Innova-
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tion Center, a cui hanno partecipato anche Barcamper Ventures, Net Insurance e Miro Ventures. Yolo si rivolge al consumatore offrendo polizze on demand: attraverso l’app mobile è possibile sottoscrivere prodotti anche su base giornaliera o mensile, per coprire ad esempio viaggi, attività sportive o acquisto di dispositivi elettronici.
Esplorare, analizzare e creare portafogli di investimento nei mercati europei di invoice trading, prestiti P2P e real estate crowdfunding. È questa la base dell’offerta di Cardo, startup per investitori istituzionali che sfrutta i dati forniti da Cerved e altre piattaforme per “alimentare” i propri algoritmi di intelligenza artificiale e proporre, così, una soluzione di supporto al mondo della finanza alternativa. A gennaio Cardo ha vinto la “Data Driven Competition” organizzata da Fintech District e Cerved, che prevedeva anche un premio di 10mila euro.
N26 TRIPLICA La banca mobile tedesca tocca quota 300mila clienti in Italia. Dallo scorso luglio a tutto gennaio, N26 ha triplicato il bacino d’utenza italiano, che si aggiunge agli oltre due milioni di correntisti che nel resto d’Europa l’hanno scelta per gestire i propri risparmi. I clienti della Penisola, fa sapere la startup, impiegano la piattaforma per le spese quotidiane, lo shopping e il tempo libero. Attualmente i fondi depositati nella banca digitale superano il miliardo di euro.
l’intervista
GLI SMARTPHONE TORNERANNO A CORRERE. MA SOLO FRA QUALCHE ANNO Il mercato mondiale dei telefonini è sceso nel 2018 del 5%. Per Carolina Milanesi, analista di Creative Strategies, la ripresa si farà attendere.
Hanno viaggiato per anni a con incrementi a doppia cifra ma ora non corrono più. I dati sul mercato smartphone sono inequivocabili: secondo Strategy Analytics, il calo di consegne è quantificabile nella misura del 5%, per un venduto globale di 1,43 miliardi di unità. Simile il punto di vista di Idc, che calcola una frenata del 4%, corrispondente a 1,4 miliardi di pezzi messi in distribuzione. Le cause? Il rallentamento dell’iPhone e la debole domanda cinese (nel 2018 in flessione dell’11%), ma non solo. I primi cinque vendor in classifica, cioè Samsung, Apple, Huawei, Xiaomi e Oppo, catturano il 69% dei volumi (quota in aumento dal 63% dell’ultimo trimestre 2017) tuttavia le due storiche regine degli smartphone hanno visto le proprie consegne diminuire di circa l’8% e il 4%. Una flessione di cui hanno beneficiato i marchi cinesi e che prova a spiegare Carolina Milanesi, analista di Creative Strategies. Il mercato smartphone è in flessione: perché?
Siamo arrivati a un punto in cui la penetrazione nei mercati maturi, come l’Europa e il Nord America, è al massimo e la crescita nelle regioni emergenti sta rallentando dopo che la domanda fra i consumatori più affluenti ha raggiunto la saturazione. E nei mercati in cui le funzionalità richieste dagli utenti sono basiche, esistono alternative dai prezzi molto più bassi.
bio che Huawei, OnePlus, Oppo, Vivo e Xiaomi siano cresciuti in Cina e in mercati come l’India e l’Europa, ma questa tendenza è in essere da tempo ed è in larga parte legata ad utenti che facevano già parte dell’ecosistema Android. I marchi citati sono cresciuti in molti mercati alle spalle di vendor che sono spariti come Nokia, ma anche grazie a una transizione dei consumatori nei mercati emergenti dai telefoni di seconda mano verso modelli nuovi. Come inquadrare la “crisi” dell’iPhone?
Chi rischia di più, Samsung o Apple?
Molti addetti ai lavori danno la colpa all’aumento dei prezzi dei nuovi iPhone Xs e Xs Max rispetto all’iPhone X dello scorso anno. Penso però che la realtà sia un’altra: Apple vanta una base utenti molto diversificata, stimata in 900 milioni di persone, e con l’ampliamento del programma di aggiornamento annuale a più mercati, che offre piani di pagamento rateale con reso del vecchio telefono, punta a convincere i clienti più pragmatici ad acquistare un modello nuovo. Il problema è che questi possibili acquirenti, un numero molto più grande di quanto non si potesse pensare, sono soddisfatti delle caratteristiche dell’apparecchio già in loro possesso.
Credo la prima. E i nomi relativamente meno conosciuti al di fuori della Cina, come Oppo, Vivo e OnePlus, dovrebbero iniziare a preoccupare Huawei, anche in relazione alle ultime vicissitudini “politiche” della società negli Stati Uniti e in Canada. Penso che le quote di mercato dei produttori cinesi continueranno a crescere, ma non mi aspetto di vedere tutti questi marchi in America.
Il calo di vendite di Apple è una vittoria per i produttori Android?
Così sembrerebbe, ma in realtà le cose non sono tanto semplici. Non c’è dub-
La domanda tornerà a correre?
Siamo alla soglia di nuove innovazioni tecnologiche, come il 5G e i telefoni pieghevoli, ma non ci si deve illudere che il mercato torni a crescere in doppia cifra. E questa tendenza sarà particolarmente vera per i prossimi due anni, perché i prezzi rimarranno troppo alti per la maggior parte dei consumatori. Gianni Rusconi
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IN EVIDENZA
LA CASA A BATTERIA (DELL’AUTO)
Un appartamento alimentato da un’automobile? Per gli ingegneri di Nissan è possibile. La casa giapponese ha creato Energy Home, un concept di abitazione il cui fabbisogno energetico è interamente coperto dalla Leaf, la macchina elettrica più venduta al mondo. Durante il giorno i pannelli solari accumulano energia e la inviano alla batteria del veicolo, che funziona come sistema di stoccaggio. Di sera e di notte, invece, la domanda dell’appartamento viene
soddisfatta dalla vettura. Le necessità di una normale abitazione possono essere coperte utilizzando solo una piccola percentuale della capacità della batteria, senza intaccare la possibilità di usare il veicolo per spostarsi. Alla base del progetto si trovano le tecnologie Vehicle-to-Home e Vehicle-to-Grid, che permettono di collegarsi a sistemi esterni per ricaricare le batterie, di alimentare case e aziende e di immettere energia nelle reti quando necessario.
ADV ONLINE, A QUALCUNO PIACE MICRO Più di 1,4 milioni di campagne per promuovere oltre 200mila marchi, con 10,8 milioni di creatività erogate. Sono alcuni numeri della pubblicità online in Italia del 2018, monitorati da Sensemakers attraverso la propria piattaforma Adclarity. Il panel include 3.500 siti di editori del nostro Paese e duecento portali su cui vengono pianificati formati video. L’anno scorso sono
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stati poco meno di una cinquantina gli intermediari tecnologici (come adexchanger e adnetwork) che hanno gestito oltre mille campagne, con la componente erogata in modalità programmatic che è stata pari al 37,6%. “I dati rivelano che la pubblicità online è ormai utilizzata anche dalle microimprese”, ha spiegato Fabrizio Angelini, amministratore delegato di Sensemakers.
LA SMART HOME È SOFTWARE È nato il “sistema operativo” per la casa intelligente, e parla italiano. L’azienda comasca Easydom, fondata nel 2003 e partner di Microsoft per la home automation dal 2005, ha presentato HoMe: un software per ottimizzare la gestione dell’abitazione con l’uso di dispositivi portatili, dallo smartphone al tablet. Il vantaggio? Poter avere il proprio ambiente domestico sempre sotto controllo, ovunque ci si trovi. Tramite la piattaforma Easydom Live, HoMe è di fatto il primo sistema completo e professionale di automazione a poter essere comandato da Google Assistant e Amazon Alexa. È sufficiente inserire le credenziali Microsoft di Easydom Live e i due assistenti vocali apprenderanno tutte le funzioni dell’impianto e, una volta riconosciuti, faranno interagire gli oggetti Internet of Things collegati in rete. Ma non solo. Il software permette di fare operazioni ulteriori, per esempio di impostare spegnimenti e accensioni automatici delle luci e di riprodurre brani musicali da Spotify.
IL LASER ITALIANO ALLA CONQUISTA DEGLI USA La trentina Hsl è pronta a sbarcare in California con una propria sede, da cui servirà i produttori di auto locali. Non è una startup, almeno dal punto di vista prettamente anagrafico, ma il titolo di impresa innovativa se l’è pienamente guadagnato sul campo in questi ultimi anni. Hsl è stata fondata a Spini di Gardolo, Trento, nel 1988 da Ignazio Pomini, attuale Ceo della società. Ed è stata la prima azienda europea ad adottare in campo manifatturiero tecnologie di prototipazione rapida. Nel tempo si è focalizzata nello sviluppo e nella realizzazione di sistemi di illuminazione intelligenti e di componenti ad alte prestazioni basati su processi di produzione ibridi e additivi per il settore automobilistico. All’ultimo Consumer Electronics Show di Las Vegas si è presentata con un prototipo di avveniristico proiettore per automobile, basato sulla tecnologia dell’americana Sld Laser (cofondata dal premio Nobel per la fisica Shuji Nakamura) e realizzato con il contributo di un’azienda di design industriale romagnola, Q-id. In Hsl sono convinti si tratti del dispositivo anteriore a luce laser più compatto e potente al mondo, in gra-
do di diffondere luce sino alla distanza di un chilometro. E c’è già una destinazione d’uso ben definita, quella di equipaggiare le “supercar” a tiratura limitata. “Siamo un’azienda meccatronica”, spiega Pomini, “e abbiamo trasformato i nostri processi da una logica puramente manifatturiera verso un modello integrato che spazia dalla progettazione ai servizi legati al prodotto finito. Il nostro mercato di riferimento è quello dello smart lighting per piccole serie: non puntiamo a produzioni di massa ma a una nicchia molto promettente, anche sul fronte dell’elettrico, e ancora poco presidiata”. Hsl per il momento rimane una piccola azienda (circa 10 milioni di euro di fatturato) che però può contare su ordini pluriennali, su una clientela che include i principali
marchi italiani di vetture sportive di lusso e su un imminente sbarco in California con una sede di rappresentanza (due le aziende californiane del settore già acquisite come clienti tramite la consociata Hsl America) che servirà anche da punto di partenza per attività di intelligence tecnologica. “Il futuro dell’illuminazione nell’automotive si chiama anche laser e costituisce una vera e propria rivoluzione copernicana per l’industria della luce”, aggiunge ancora Pomini. “In questo campo abbiamo già investito complessivamente circa 500mila euro, ma per sostenere il processo di crescita sui mercati internazionali servono altre risorse. Per questo stiamo già cercando un partner industriale che possa anche finanziarci”. G.R.
L’E-COMMERCE CHE ATTRAE GRANDI FONDI La startup Brumbrum ingrana la quarta. Il portale di e-commerce italiano per le auto usate, quelle a chilometro zero e quelle per il noleggio a lungo termine ha chiuso un nuovo round di investimento di Serie B da 20 milioni di euro. All’operazione internazionale, guidata da Accel, hanno partecipato fondi
di primo piano come Bonsai Venture Capital, E.ventures e United Ventures (già azionista). Con la nuova liquidità Brumbrum potrà puntare a consolidarsi nel nostro mercato e iniziare a studiare l’espansione a livello europeo. Le auto vendute sulla piattaforma vengono acquistate inizialmente dalla startup, con-
trollate ed eventualmente riparate prima di essere messe in vetrina. Ai clienti vengono anche offerti servizi extra come finanziamenti online e consegna in tutto il Paese. Per Accel, fondo californiano con un portafoglio di quasi 9 miliardi di dollari, l’investimento su Brumbrum è il più grande mai effettuato in Italia.
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IN EVIDENZA
STARTUP TUTELATE CON UN CLICK Il programma Ip-Up di Bugnion aiuta le giovani imprese a gestire al meglio le proprietà intellettuali. Entro la fine di marzo le startup innovative italiane potrebbero superare quota diecimila unità. Il dato è contenuto nell’ultima edizione del rapporto sulle giovani imprese tecnologiche della Penisola, realizzato dal Ministero dello Sviluppo Economico e da Infocamere. A fine 2018 le startup innovative erano 9.758 e rappresentavano il 3% di tutte le aziende di recente costituzione, con picchi del 5% in Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta. Un vero e proprio patrimonio su cui puntare per far crescere il Paese. Anche dal punto di vista dei brevetti. A dicembre Bugnion, società specializzata in consulenza nell’ambito della proprietà industriale e intellettuale, ha deciso infatti di lanciare Ip-Up, un progetto teso ad aiutare le imprese “disruptive” a tutelare i propri diritti
SUPERMARKET VIRTUALE La visione artificiale entra nella filiera della grande distribuzione organizzata. Minsait, società della spagnola Indra, ha sviluppato una soluzione per migliorare e “umanizzare” l’esperienza di acquisto online di prodotti freschi, basata su telecamere di tracciamento avanzate e su tecnologie di computer vision. La piattaforma consiste in un sistema di gestione dei turni, che permette all’utente di prenotare una “visita” al negozio virtuale
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in questo settore. L’iniziativa si sviluppa attorno a un sito Web, che costituisce un canale preferenziale di comunicazione fra le startup e Bugnion, e a un’offerta personalizzata, gestita da un team di specialisti sul territorio per curare i bisogni delle neonate “imprese digitali”. “Nel giro di poche settimane il programma ha riscosso particolare interesse da parte dei principali attori dell’ecosistema italiano delle startup innovative: incubatori, acceleratori e investitori”, ha spiegato Marco Limido, direttore generale di Bugnion. “A breve verranno attivate partnership operative con una serie di realtà presenti su tutto il territorio nazionale. Le collaborazioni sono finalizzate a realizzare specifici interventi di informazione, sensibilizzazione e assistenza nei confronti delle startup accreditate presso i nostri partner. Inoltre, si prevede che in risposta agli stimoli e alle richieste espresse dalle startup e dai nostri partner il programma possa nel breve periodo aggiungere nuove opportunità alla sua già ricca offerta”. A.A.
come se ci si trovasse nel supermercato, e in un servizio di distribuzione online dei prodotti integrato nell’ecommerce del venditore. Il cliente può seguire i movimenti dell’operato-
PA PIÙ DIGITALE Circa due italiani su tre hanno provato almeno una volta a effettuare un pagamento elettronico verso la Pubblica Amministrazione. Ma nel 19,4% dei casi l’operazione non è andata a buon fine. I dati rilevati da Quorum/YouTrend per Consumers For Digital Payments (C4dip) sottolineano come il 65,7% degli utenti ritenga un diritto il poter effettuare pagamenti di questo genere verso la Pa. Secondo l’indagine, le maggiori resistenze all’innovazione digitale si riscontrano soprattutto al Centro e poi al Sud. Qui si registra anche la maggior concentrazione di persone (44,3%) che non hanno ancora testato strumenti di questo genere.
re e scegliere da remoto gli alimenti freschi preferiti, supervisionando la procedura e assicurandosi che ci sia corrispondenza tra l’ordine e i prodotti ricevuti.
l’opinione
PERCHÉ IL SETTORE IT (A PARTIRE DAL SOFTWARE) NON È UNA BOLLA La spesa in soluzioni applicative crescerà più del Pil; gli investimenti dei VC sono quadruplicati in sei anni. Ecco dove risiede il valore di questo settore.
Il mercato del Software-as-a-Service (SaaS) segnerà su scala mondiale un tasso di crescita medio del 19,6% tra il 2016 e il 2021, contro l’8,5% previsto per il software in generale e con il 3,3% dell’Information Technology: in tutti i casi, si tratta di incrementi superiori a quelli del Pil degli Stati Uniti, che si attesta su una media del 2,3%. Questi dati di Gartner, Forrester, PwC e Fmi, elaborati dalla società di investimento Battery Ventures, a nostro avviso sono sufficienti a spiegare perché sia ancora presto per dire che la tecnologia è prossima a un crollo, come temono molti osservatori di Borsa scottati dallo scoppio della bolla del 2000. Negli Usa, i finanziamenti dei venture capital in questo settore sono cresciuti di quattro volte negli ultimi sei anni: un indizio non indifferente per immaginare potenzialità ancora inesplorate. È l’industria del software, in particolare, a essere sulla cresta dell’onda, un’industria che ha conosciuto fin dalla sua comparsa, alla fine degli anni Settanta, uno sviluppo senza sosta, arrivando agli oltre 500 miliardi di dollari attuali. Solo negli Stati Uniti il comparto dà lavoro a 10 milioni di persone, di cui 2,5 milioni direttamente nella produzione del software e le restanti nell’indotto. E non solo: lo stipendio medio di uno sviluppatore (lo dice lo studio di Bsa Foundation “The $1 Trillion economic impact of software”) è il doppio di quello di un lavoratore generico statunitense. Nel report
Giuseppe Donvito
gli analisti elencano le ragioni per cui il software non conoscerà rallentamenti di sorta. Fra queste il fatto che qualsiasi azienda, di qualsiasi settore, oggi debba fare della componente tecnologica il proprio core business, costretta a diventare in un certo senso una “software company”. Il ruolo del cloud
Secondo gli ultimi dati di Idc, nel 2018 il 27,8% del mercato del software per le imprese è stato appannaggio di applicazioni “as a service” (era il 16,6% nel 2013). Siamo però solo all’inizio del percorso di un’industria che nel 2030 varrà mille miliardi di dollarie superare i cinquemila miliardi nel 2050. In questo scenario, la Silicon Valley non è più il luogo dove tutto accade: fin dal 2008 tutte le maggiori geografie hanno superato gli Usa in termini di crescita degli investimenti. Compresa l’Europa, che ha incrementato la propria spesa di 9,1
volte dal 2008 al 2017, rispetto alle 3,1 volte degli Stati Uniti. Altra tendenza in fase embrionale ma dalla prevista crescita esponenziale è quella delle piattaforme di virtualizzazione dei server, che valevano 1,9 miliardi di dollari nel 2016 e da stime arriveranno a 7,7 miliardi nel 2021. È un altro report (“State of the Cloud Report 2018”, di Bessemer Venture Partners), a spiegarne le ragioni, certificando come sia relativamente più facile oggi dare vita a una cloud company che da startup diventi velocemente scaleup. Hanno impiegato un anno a fare il balzo Twilio e Box, rispettivamente piattaforme per realizzare app di messagistica e per gestire contenuti sofisticati, mentre poco più di tre anni sono serviti a SendGrid, leader mondiale nei sistemi di email marketing. Nel mercato del cloud, in generale, è in atto un consolidamento che ha identificato quattro aggregatori: Adobe, Oracle, Salesforce e Sas. Altri analisti ritengono che a definire le direttive di sviluppo del settore It saranno alcuni trend oggi appena nati, come quelli dell’intelligenza artificiale e del machine learning, che diventeranno sempre più pervasivi nei processi aziendali. La cybersecurity stessa si baserà sempre più su algoritmi capaci di apprendere per meglio difendere persone e sistemi dagli attacchi. E su tutte queste direttrici, secondo noi, si troveranno le occasioni di investimento del prossimo futuro. Giuseppe Donvito, partner di P101
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DIGITAL TRANSFORMATION
PERCORSO A OSTACOLI
Molti progetti di trasformazione digitale faticano a completarsi. Le cause? Sottostima delle risorse da impiegare, presenza di sistemi legacy e una cultura aziendale non adeguata.
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ppare difficile negare che la trasformazione digitale sia in cima alla lista delle priorità strategiche della maggioranza delle aziende. Tuttavia il percorso intrapreso appare irto di difficoltà, farcito di scoperte spesso poco piacevoli e resistenze che creano dubbi sull’effettivo successo dei progetti già messi in campo. Alcune ricerche pubblicate in questo primo scorcio di 2019 sembrano confermare la presenza di numerosi ostacoli o freni. AppDirect, per esempio, ha sondato sul tema 481 executive di aziende medio-grandi per capire quale impatto stia avendo il processo di trasformazione digitale e quali siano le sfide che generano maggiori preoccupazioni. Se, da un lato, l’80% del campione analizzato ha 20 |
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indicato di aver intrapreso un percorso in tale direzione, ben il 90% ha evidenziato problemi che ne stanno rallentando o condizionando l’attuazione. Il 34%, nello specifico, ha citato dubbi non ancora risolti sul dilemma del build vs buy, ovvero se impiegare risorse interne per creare nuove soluzioni oppure acquistarle da terze parti. Tra gli altri fattori inibitori, circa un terzo dei rispondenti cita una cultura aziendale ancora poco allineata, costi di aggiornamento dei sistemi legacy e budget giudicati insufficienti, mentre la mancanza di competenze o di talenti è evidenziata da poco meno di un quarto dei manager. Una certa disillusione e un certo scetticismo sugli effettivi progressi compiuti in direzione della trasformazione digitale emergono anche da uno
studio realizzato dallo user group di Sap dell’area di lingua tedesca (un campione composto da 244 Cio di aziende con un organico compreso fra i 500 e i 2.500 dipendenti di Germania, Austria, Svizzera). Il numero di organizzazioni convinte di aver fatto significativi passi avanti è calato in un anno dal 39% al 27%, mentre il 62% afferma di essere in una situazione di stallo. La maggior parte degli intervistati, inoltre, ha segnalato una certa revisione in chiave “realistica” dei progetti avviati, ma anche l’incertezza sui costi complessivi delle iniziative in corso. Non è comunque in discussione, sia chiaro, l’impegno delle aziende verso l’innovazione in chiave digitale. E lo conferma Idc in un recente studio che rileva come l’89% delle imprese abbia investito o in-
L’IOT PORTA BENEFICI I numeri parlano chiaro: fino all’80% di risparmi sulle spese Capex e una riduzione che raggiunge addirittura l’85% sugli oneri operativi (Opex). Lo studio “Global Digital Transformation Benefits Report 2019” di Schneider Electric evidenzia prove concrete, sotto forma di misurabili vantaggi di business, del potenziale della digitalizzazione applicata all’industria e al settore pubblico. Sotto osservazione sono finiti circa 230 progetti realizzati da clienti del gruppo francese negli ultimi cinque anni, dei quali sono stati considerati quattro elementi chiave: edifici, data center, impianti manifatturieri e infrastrutture. I dati raccolti dicono che la digitalizzazione dei processi di progettazione può far risparmiare in media il 35% sulle spese in conto capitale, mentre i costi per la messa in opera di nuovi sistemi e componenti possono ridursi in media del 29%. E ancora, l’adozione di nuove tecnologie di tracciamento del prodotto basate su soluzioni Internet of Things comporta risparmi medi del 24% sui consumi di energia e un aumento di produttività nella misura massima del 50%, grazie alla maggiore efficienza nella gestione dell’energia e all’automazione lungo tutta la catena del valore.
tenda investire in progetti di trasformazione e come, almeno fra i Cio, prevalga la convinzione che non investire porti a uscire dal mercato in un lasso di tempo inferiore ai quattro anni. Idc prevede dunque che, a livello globale, entro il 2020 saranno spesi in progetti di trasformazione digitale oltre duemila miliardi di dollari. Una larghissima maggioranza, l’89% delle aziende, si dichiara orientata verso una strategia che mette al primo posto il digitale (business digital-first) ma solo il 44% ha già completamente adottato questo approccio. Visionari, esploratori e osservatori
La classificazione proposta da Infosys, invece, mette in evidenza come le realtà oggi più avanti nel percorso di cambiamento appartengano alla categoria dei “visionari”, ovvero di quelle aziende che hanno compreso appieno il potenziale di una completa trasformazione del proprio business. Gli “esploratori”, invece, sono imprese che si sono impegnate in programmi digitali in base alle proprie necessità di rafforzare soprattutto la customer experience, mentre gli “osservatori” sono
i soggetti che decidono solo in funzione di obiettivi di efficienza. Lo studio “Digital Radar 2019” evidenzia però anche elementi che rallentano il cambiamento, a cominciare dalla difficoltà di far evolvere i sistemi legacy (citata nel 41% dei casi) e a seguire l’insufficienza dei budget (30%) e l’incapacità di eseguire rapidamente test e sperimentazioni. E in Italia a che punto siamo? Assinform e Idc concordano nel dipingere uno scenario in lento ma costante progresso. Nelle aziende di maggiori dimensioni il percorso è avviato (e non mancano casi di eccellenza) mentre la strada appare certamente più difficoltosa per le piccole e medie, che rappresentano la base del tessuto economico nazionale. La diffusione del modello cloud e il consolidamento di startup a misura di piccola azienda possono, tuttavia consentire almeno di ridurre il divario tra grandi realtà e Pmi nel medio termine. In generale, poi, le aziende italiane in maggiore o minore misura devono fare i conti con nuovi modelli di business ancora da sviluppare e, soprattutto, con la carenza di talenti. Roberto Bonino
MATURITÀ DIGITALE, TRAGUARDO LONTANO La maggior parte delle aziende non può ancora definirsi “esperta” in fatto di trasformazione digitale. Stando alla “2018 Innovation Survey” di Tibco, condotta su 600 fra Ceo, Cio, executive e direttori di aree business e It, il 65% dei professionisti pensa CHE la propria azienda non abbia ancora raggiunto la piena maturità digitale. Siamo quindi al cospetto di un processo in continua evoluzione, in cui ostacoli di varia natura (tecnologie, cultura, persone) condizionano il successo o l’insuccesso dei pro-
getti di innovazione. Circa il 24% degli intervistati crede che le limitazioni di risorse e budget definiti dall’azienda (dando magari priorità ad altro) rappresentino le criticità maggiori. Quanto alle tecnologie oggetto di investimenti, il cloud, la business intelligence e gli strumenti di analytics sono considerati come stadio iniziale della strategia di trasformazione, mentre l’intelligenza artificiale, la blockchain (adottata dal 41% delle aziende mature) e l’IoT sono parte di iniziative più evolute.
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DIGITAL TRANSFORMATION
ORIENTARSI NELL’INNOVAZIONE Quali sono i trend tecnologici più importanti del nuovo anno? Proviamo a scoprirne alcuni con l'aiuto degli analisti.
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agli oggetti autonomi e intelligenti che miglioreranno la vita in casa, in ufficio e in strada, al sofisticato computing quantistico, passando per le promesse (tutte ancora da dimostrare) del 5G. Come ogni anno gli analisti si sbizzarriscono con le previsioni riguardanti i prossimi grandi trend tecnologici. Abbiamo cercato di riassumerle in otto punti.
Le “cose” autonome
Secondo Gartner, gli oggetti autonomi e intelligenti si suddividono in cinque categorie: robot, veicoli, droni, elettrodomestici e agenti digitali. Caratterizzati da diversi livelli di autosufficienza, coordinazione e intelligenza, i dispositivi verranno utilizzati in un’ampia gamma di applicazioni. Si pensi, per esempio, all’impiego nell’ambito dell’agricoltura smart o al sogno dei veicoli a guida autonoma. Questa categoria di oggetti non potrebbe però esistere senza l’impetuoso sviluppo che sta vivendo l’intelligenza artificiale.
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L’intelligenza artificiale
Gli algoritmi entreranno sempre più nella vita quotidiana, diventando accessibili grazie anche all’enorme diffusione dei servizi cloud. Non a caso Deloitte prevede che nel 2019 le aziende aumenteranno sensibilmente i tassi di adozione di software e soluzioni basati sull’intelligenza artificiale. Un processo di democratizzazione costante che porterà il potere degli algoritmi di AI anche nelle mani delle organizzazioni più piccole e delle startup.
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Le tecnologie immersive
“La realtà virtuale, aumentata e mista ha il giusto potenziale per aumentare considerevolmente la produttività”. Gartner riserva ampio spazio a questa possibile tendenza tecnologica, sottolineando come le piattaforme immersive e i chatbot siano in grado di cambiare il modo in cui gli utenti interagiscono con il mondo. La società di ricerca guarda ancora più avanti: entro il 2022 sette grandi aziende su dieci sperimenteranno queste tecnologie anche
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per il mercato consumer e gli assistenti virtuali saranno capaci di “leggere” le emozioni in base alle espressioni facciali delle persone. Il 5G
Le reti mobile di quinta generazione, in grado di connettere migliaia di dispositivi ad altissime velocità e con bassa latenza, sono ormai sulla bocca di tutti. Il 2019 sarà l’anno del primo contatto con le nuove infrastrutture. Secondo Deloitte verrà venduto un milione di smartphone 5G, su un totale di 1,5 miliardi di cellulari: un’inezia, ma operatori telefonici e vendor tecnologici continueranno a lavorare per aumentare la copertura delle reti. La strada del 5G sarà comunque molto lunga: per una vera adozione di massa si dovranno aspettare ancora diversi anni.
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La blockchain
Chiacchieratissima nel 2017 per l’incredibile rally del bitcoin, in grado di toccare quota 20.000 dollari, la blockchain
si sta facendo largo anche nel mondo aziendale. Gartner crede che “modelli puri” di catena di blocchi siano difficili da scalare, ma le imprese dovrebbero valutare seriamente l’integrazione dei registri distribuiti al proprio interno. Nel 2019 la blockchain farà parlare di sé in settori nuovi e non solo in quello finanziario (e quindi delle criptovalute), dal retail alla logistica. Ccs Insight crede che, entro la fine dell’anno, tutti i principali fornitori di servizi cloud avranno implementato una soluzione commerciale basata sulla catena di blocchi.
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Il computing quantistico
Capaci di effettuare un numero di calcoli di gran lunga superiore ai Pc tradizionali, i computer quantistici potranno radicalmente trasformare alcuni settori. Alcuni colossi dell’hi-tech, come Ibm, stanno
scommettendo molto su queste tecnologie, considerate però ancora come emergenti. “È però il momento giusto per le aziende per aumentare la conoscenza delle potenziali applicazioni e per valutare tutte le possibili ripercussioni sulla sicurezza”, scrive Gartner. Fra gli ambiti più esposti spicca quello della medicina, soprattutto in fase di ricerca scientifica e di modellistica molecolare.
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I gemelli digitali
Intesi come una rappresentazione virtuale di un oggetto, processo o sistema reale, i digital twin esistono sin dall’invenzione del Cad o dei profili online dei clienti, ma l’evoluzione tecnologica li ha radicalmente modificati rispetto al passato. I gemelli digitali si basano ora su modelli più robusti, capaci di supportare specifiche richieste di business; si collegano al mondo
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fisico in tempo reale; sono arricchiti con strumenti di analytics e di intelligenza artificiale e, infine, sono interattivi. Secondo Gartner il principale ambito applicativo sarà l’Internet delle cose. Gli smart speaker
I dispositivi intelligenti da salotto, utili per ascoltare musica, notizie e contenuti personalizzati e attivabili con i comandi vocali, cresceranno di oltre il 63%. Nel mondo si conteranno oltre 250 milioni di unità installate (di cui 164 milioni venduti nel corso del 2019, molti di più dei 98 milioni del 2018). Il mercato arriverà a valere 7 miliardi di dollari, considerando un prezzo medio di 43 dollari a dispositivo. A fare da traino alla domanda saranno soprattutto i Paesi non anglofoni, in particolare la Cina. Alessando Andriolo
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DATA CENTER ADDIO?
CRIPTOVALUTE E CREDENZIALI SOTTO SCACCO
La server farm aziendale “morirà” per causa della nuvola, parola di Oracle. Grazie all’avvento di ambienti di seconda generazione, in grado di gestire in modo più efficace carichi complessi e critici, sarà possibile arrivare a un traguardo fino a poco tempo fa impensabile: quello di gestire tutta l’azienda direttamente in cloud, sbarazzandosi così dei data center proprietari. Se oggi sono già disponibili funzionalità autonome di risoluzione dei bug e di messa a punto dei sistemi in tempo reale, a breve arriveranno sul mercato anche soluzioni analoghe per l’affidabilità, la scalabilità e la garanzia dei livelli di servizio (Sla) delle applicazioni. Cloud provider e clienti avranno, così, più tempo per innovare l’It in ottica business e completare il processo di trasformazione digitale.
Come saranno i prossimi dodici mesi dal punto di vista della sicurezza informatica? Le certezze sono poche, anche se i grandi nomi della cybersecurity sembrano concordare su qualche elemento, mettendo in evidenza soprattutto il mining illegale di criptovalute, una tendenza già registrata nel 2018. Secondo Trend Micro, per esempio, le istanze cloud saranno sfruttate per estrarre monete digitali in maniera ancora più aggressiva, mentre per Eset i malintenzionati si daranno battaglia sostituendo programmi di mining “concorrenti” dai sistemi compromessi con proprio malware. In grande spolvero anche gli attacchi basati sull’ingegneria sociale, con cui i pirati informatici cercano di recuperare credenziali di accesso delle vittime studiando i comportamenti delle
persone sul Web e sui social network. Secondo Proofpoint questa tipologia di violazione supererà, in volumi, l’uso dei malware. La stessa società di ricerca scommette anche sull’incremento degli attacchi business email compromise (Bec), che sfruttano account di posta elettronica apparentemente legittimi per mirare ai team dirigenziali. Kaspersky Lab, infine, sottolinea la lenta ma costante evoluzione delle minacce rivolte alle realtà industriali. Il 2019 sarà caratterizzato dall’ampliamento del raggio di azione degli attacchi, grazie a nuovi canali, strumenti e sistemi automatizzati. Le aziende diventeranno obiettivi sempre più interessanti anche per le violazioni a sfondo geopolitico. Uno scenario favorito da diversi fattori, tra cui la sottovalutazione del pericolo.
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DIGITAL TRANSFORMATION
LA FIDUCIA AUMENTA IL FATTURATO Secondo Accenture, la corretta gestione dei dati del personale potrebbe generare oltre tremila miliardi di dollari di ricavi aggiuntivi. Ma poche imprese oggi li utilizzano in modo “responsabile”.
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I dati per le aziende possono valere oro. E non solo, come è noto, quelli di clienti, utenti e consumatori ma anche quelli della forza lavoro. Il suggerimento arriva da uno studio di Accenture Strategy, presentato all’ultimo World Economic Forum di Davos e condotto lo scorso ottobre su un campione di 1.400 dirigenti c-level e diecimila addetti di aziende di diversi Paesi, Italia compresa. Dai ciò che i dipendenti sono, pensano e fanno si può ricostruire il “Dna dell’azienda”, come lo definiscono gli autori del rapporto, e da tale conoscenza si può trarre potenzialmente un valore aggiuntivo di 3.100 miliardi di dollari. Una cifra enorme, calcolata considerando che, in media, ottenere o non ottenere dati dai dipendenti incide per il 12,5% sul fatturato di un’organizzazione e che tale percentuale varia a seconda del settore di mercato. È ancora più alta, per esempio, nelle aziende che si occupano di tecnologia e software, viaggi, salute, beni di consumo e banking. Ma come si fa a ottenere i dati dei dipendenti? Qui sta forse il senso più profondo dell’indagine, al di là degli (anche opinabili) riscontri numerici. Bisogna conquistare la fiducia delle persone ma anche, più prosaicamente, il loro interesse. Tra i lavoratori intervistati, nove su dieci (il 92%) hanno
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ammesso di essere disposti a cedere informazioni che li riguardano pur di guadagnarci qualcosa in termini di produttività, di migliore collaborazione con i colleghi, di benessere o di un qualche tipo di incentivo. Il do ut des è dunque uno dei motori che potrà favorire la raccolta dati e il conseguente incremento di giro d’affari. Come sottolineato da Marco Morchio, strategy lead per l’Italia di Accenture, “In un’epoca in cui le informazioni ricavate dai dati sul personale vengono impiegate dalle aziende come mezzo per promuovere una crescita di valore, è fondamentale una leadership responsabile per instaurare un rapporto di fiducia con i dipendenti. La fiducia è dunque passata dall’essere una questione soft a un’unità di misura quantificabile e con rilevanti impatti sui risultati economici e sull’agilità competitiva di un’azienda. È la valuta più preziosa, perché conduce all’innovazione e alimenta la crescita liberando il potenziale del singolo”. Se guardiamo però a questo specifico elemento, la situazione
attuale non è delle migliori: sono infatti i dirigenti stessi ad ammettere, in sette casi su dieci, che la propria azienda non impiega i dati dei lavoratori in modo molto responsabile. L’assenza di regole precise in materia non favorisce la serenità delle strategie, tant’è che il 31% delle imprese eviterà di fare investimenti in tecnologie di raccolta dati a causa delle legittime preoccupazioni dei dipendenti. Una su due (il 49%) proseguirà invece per la sua strada, continuando a raccogliere dati senza particolari modifiche sul fronte della responsabilità. La necessaria inversione di tendenza trova conferma in questi ultimi indicatori. A oggi, meno di un terzo (il 29%) delle aziende progetta insieme ai propri addetti sistemi per la gestione di dati e più di quattro dipendenti su cinque (l’82%) pensano che la raccolta di informazioni attendibili attraverso le nuove tecnologie favorirà una maggiore correttezza nei pagamenti, la promozione di prodotti e servizi e la valutazione di un marchio. V.B.
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APPLICAZIONI PIÙ VELOCI CON LO STORAGE GIUSTO alla soluzione 3DC, inoltre, si ottiene una disponibilità del 99,9999%. Il sistema consente una data reduction con rapporto 3:1, che si traduce in risparmi sui costi Opex fino al 75%.
OceanStor Dorado 18000 V3 e OceanStor Dorado 5000 V3 Prestazioni eccezionali, che consentono di mettere il turbo alle applicazioni. Questa è la promessa di Huawei OceanStor Dorado V3, un sistema di storage completamente basato su tecnologia flash (All-Flash), che rappresenta il primo utilizzo commerciale della tecnologia di archiviazione NVMe. Una sigla, quest’ultima, che racchiude l’espressione Non-Volatile Memory Express e che indica un nuovo tipo di interfaccia in grado di velocizzare l’accesso ai dati nelle procedure di storage. OceanStor Dorado V3 è un prodotto cross-industry che si applica a database, Virtual Desktop Infrastructure, virtualizzazione di server e Sap Hana. La soluzione assicura prestazioni tali da triplicare l'efficienza delle applicazioni, mentre quella per le Vdi consente di implementare rapidamente migliaia di postazioni di lavoro e garantisce un'esperienza utente fluida anche durante i picchi di traffico. Per la virtualizzazione server, la tecnologia di Huawei consente di mettere in opera efficientemente diversi servizi aziendali e garantisce prestazioni stabili a prescindere dal carico di lavoro. Infine, la soluzione Sap Hana TDI OceanStor Dorado V3 consente un'integrazione più fluida dei database Sap Hana all'interno dell'architettura dei data center in uso. Il merito di tutto ciò spetta a Flashlink, la tecnologia All-Flash di Huawei, che supporta l’esecuzione di 7 milioni di operazioni input/output al secondo (cioè 7 milioni di Iops) per triplicare le prestazioni delle applicazioni e per mantenere una latenza costante di 0,5 ms con compressione e deduplicazione inline e snapshot abilitati. La soluzione “active-active” priva di gateway garantisce tempi di recupero istantanei, con Recovery Point Objective (Rpo) e Recovery Time Objective (Rto) prossimi allo zero; con l’aggiornamento
Veloce, affidabile e sicuro Grazie a un'architettura basata sulla tecnologia NVMe, su chip controller dedicati e su algoritmi intelligenti, il sistema OceanStor Dorado V3 libera tutto il potenziale della tecnologia All-Flash. Questa soluzione di storage offre inoltre un'esperienza utente sbalorditiva con qualsiasi tipo di applicazione. L'integrità dei dati è la priorità principale, salvaguardandoli su qualsiasi collocazione, anche nel cloud, con meccanismi di sicurezza e garanzia multilivello. Il prodotto ha ricevuto valutazioni da parte di enti super partes, come Esg (Enterprise Strategy Group), la cui analisi del Tco evidenzia i vantaggi finanziari di questo sistema rispetto agli storage All-Flash ibridi e di prima generazione dei principali vendor. OceanStor Dorado risulta essere fra i 32 array all-flash più diffusi e il più consigliato per prestazioni, gestione, software, hardware, virtualizzazione e assistenza tecnica. Un supporto alla trasformazione digitale Grazie alle prestazioni abilitate in applicazioni di vario tipo, una soluzione affidabile ed efficiente come OceanStor Dorado è uno strumento di trasformazione tecnologica per le aziende. Ottimo esempio in Italia è Widiba, la banca online del gruppo Mps. In precedenza i servizi “core” erano ospitati dall’infrastruttura del data center di Montepaschi, ma tale soluzione era diventata inadeguata. "La rapida crescita che si stava verificando ci imponeva di migliorare la velocità di gestione dei flussi di dati in costante aumento”, spiega Massimiliano Belli, head of It monitoring di Widiba. “Volevamo inoltre lanciare nuovi prodotti per stare al passo con le richieste dei clienti, ma non eravamo sufficientemente agili e resilienti”. Con l’adozione di OceanStor Dorado 5500 V3 la banca ha ottenuto una soluzione di business continuity end-to-end che ha permesso di supportare e accelerare il lancio di nuovi servizi, di ridurre i costi di storage, di aumentare la scalabilità e di migliorare la resilienza.
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GDPR, LA COMPLIANCE È SOLO IL PRIMO PASSO La conformità al nuovo regolamento europeo è non solo un obbligo ma un'occasione per rendere digitali ed efficienti i processi aziendali, come confermato da uno studio di Cisco.
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primi frutti del Gdpr iniziano a maturare, anche nelle aziende italiane. E il loro sapore è quello della sicurezza informatica, mescolata alla possibilità di gestire in modo più razionale, ordinato ed efficiente grandi quantità di dati, per i quali in precedenza magari nemmeno esisteva una strategia precisa. Innegabilmente, il General Data Protection Regulation ha portato nel mondo imprenditoriale un bel po’ di scompiglio: basti pensare che nel mese di maggio 2018, in vista dell’entrata in vigore del regolamento nel giorno 25, su Google la parola “Gdpr” è stata più ricercata dei nomi di Beyoncé e di Kim
Kardashian. Nelle statistiche di Factiva, poi, l’anno scorso il tema ha ricevuto dai media un’attenzione incredibile, tanto da produrre 300mila citazioni della parola Gdpr (contro le 100mila di Mark Zuckerberg). A nove mesi di distanza possiamo fare un primo bilancio scoprendolo, forse a sorpresa, abbastanza positivo. Uno studio di Cisco, per esempio, ha evidenziato che dagli investimenti sulla privacy le aziende possono trarre diversi benefici non limitati alla sola compliance. Molti tra gli intervistati (3.200 professionisti di sicurezza informatica residenti in 18 Paesi) hanno citato come primo vantaggio una ridu-
zione dei ritardi nelle vendite di prodotti o servizi della propria azienda: l’obbligatoria virata verso comunicazioni più trasparenti in merito alla raccolta dati ha giovato, rassicurando clienti e prospect su molti dei loro timori. Ma i frutti del Gdpr riguardano anche la sicurezza, come si diceva: avendo ragionato sui propri sistemi di gestione, archiviazione, backup e disaster recovery, le aziende “in regola” nel 2018 hanno sperimentato incidenti di data breach con minor frequenza rispetto alle altre. Le percentuali sono comunque molto alte (74% per le realtà già in regola con il Gdpr, 80% per le altre), ma lo scarto è apprezzabile. E MARZO 2019 |
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mediamente anche i danni economici sono differenti per i due gruppi: incidenti costati più di mezzo miliardo di dollari hanno riguardato il 64% delle società non in linea con il Gdpr e solo il 37% di quelle conformi. “La privacy è un ingrediente vitale per il successo di un’azienda, sia per proteggere i dati sia per alimentare l’innovazione”, assicura John N. Stewart, senior vice president e chief security and trust officer di Cisco. Fra Italia e Silicon Valley
C’è da chiedersi, allora, a che punto siano le aziende europee con la compliance. Lo studio di Cisco suggerisce che il 59% delle imprese abbia già soddisfatto tutti o la maggior parte dei requisiti (secondo l’autodichiarazione degli intervistati), mentre il 29% prevede di farlo entro un anno e un piccolo 9% ritiene di aver bisogno di più tempo. Ma c’è una buona notizia per l’Italia, una volta tanto: la nostra media di conformità raggiunta è del 72%, allineata con quella di Spagna, Francia e Regno Unito, mentre in nazioni come Cina, Giappone e Australia i livelli sono notevolmente più bassi. Non dimentichiamo, infatti, che il Gdpr vincola al suo rispetto anche le aziende non europee alle prese con dati di cittadini del Vecchio Continente. E infatti la prima vittima illustre della mancata compliance è stata una società della Silicon Valley, Google, a cui l’authority francese ha imposto una multa da 50 milioni di euro. Una batosta che “rappresenta una lezione importante, anche per le altre aziende che osservano la crisi da lontano”, ha commentato Ryan Kalember, senior vice president cybersecurity strategy di Proofpoint. “Avendo ricevuto la sanzione più elevata dall’entrata in vigore del Gdpr, Google costituisce oggi l’esempio di ciò che potrebbe accadere in caso di mancata conformità”. Come dovremmo regolarci? Il consiglio di Proofpoint è quello di concentrarsi sulle 28 |
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CONFORMITÀ E CYBERSECURITY, UNA RELAZIONE DIFFICILE La dichiarazioni di compliance non sempre poggiano su fondamenta solide. “Molti imprenditori interpretano le regole Gdpr, che sono interpretabili, a loro uso e consumo. Pensano di essere in regola ma non lo sono”, spiega a Technopolis Marco Fanuli, security engineer di Check Point Software Technologies. “Altre aziende, disponendo di tecnologie obsolete, non riescono nemmeno ad accorgersi di essere state ‘bucate’ da una violazione. E questa sicuramente è anche una questione di budget, non solo di cultura. Altri ancora
persone, e non soltanto sui dati: è importanta definire e monitorare gli utenti che accedono alle informazioni. Una questione etica
Il tema della privacy è stato inserito da Gartner fra le tendenze forti del 2019, e forse non poteva essere diversamente dopo un anno segnato dallo scandalo di Facebook e Cambridge Analytica. A detta della società di ricerca, al crescere della consapevolezza sul valore delle informazioni personali aumentano anche le preoccupazioni sulle modalità di raccolta, utilizzo ed eventuale cessione dei dati da un’azienda all’altra. E chi non presterà attenzione a tutto questo rischierà ripercussioni sul rapporto con i consumatori. “Le discussioni sulla privacy devono fondarsi sull’etica e sulla fiducia”, ammonisce Gartner. E anziché continuare a chiedersi se siano in regola, le aziende dovrebbero iniziare a porsi un’altra domanda: “Stiamo facendo la cosa giusta?”. Valentina Bernocco
dispongono di soluzioni ma non le hanno configurate correttamente”. Check Point affronta il problema eseguendo un’opera di valutazione iniziale (che chiama Security Checkup) e individuando, così, i punti deboli su cui intervenire in ottica di prevenzione dei data breach. C’è poi un altro elemento da valutare: il modo in cui si lavora è cambiato. “Il problema maggiore”, sottolinea Fanuli, “è che la sicurezza deve ‘seguire’ i dipendenti anche a casa, oltre il perimetro per così dire. E una sicurezza di questo tipo è molto complicata da implementare”.
PRIVACY DIFESA A GRAN VOCE Pur essendo una notevole leva di crescita per le aziende, il Gdpr non è privo di conseguenze per chi abbia commesso qualche errore (vero o presunto). Stando ai dati della Commissione Europea, tra maggio 2018 e gennaio 2019 i garanti della privacy o analoghe autorità nazionali hanno ricevuto 95.180 reclami su possibili infrazioni del diritto alla riservatezza dei dati. Si tratta in gran parte di segnalazioni fatte da singoli cittadini convinti che i propri diritti, così come definiti dal Gdpr, siano stati violati. Telemarketing sgradito, email promozionali non richieste e attività di videosorveglianza sono le tre ragioni di lamentela più frequenti.
DATA PROTECTION: TEMPO DI BILANCI FRA CONTROLLI E SANZIONI L'Italia è tra i Paesei europei meglio avviati sul percorso di adeguamento al Gdpr. Ma nel monitoraggio dei data breach (e relativo obbligo di notifica) il traguardo è ancora lontano.
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on è ancora trascorso un anno dall'entrata in vigore del Regolamento Europeo in materia di dati personali, il Gdpr, ma è già sicuramente possibile fare un primo punto sulla situazione italiana attuale rispetto ad adeguamento, controlli e sanzioni. Sul fronte privato molte aziende non hanno ancora provveduto ad adempiere agli obblighi normativi: una veloce visita sui siti vetrina o di e-commerce consente di verificarlo facilmente. Alcune realtà, invece, hanno adempiuto traducendo però il recepimento normativo in una produzione di massa documentale talvolta mal gestita dal personale dipendente, e tralasciando magari di analizzare la conformità dei software o degli ambienti che ospitano i dati. Volgendo lo sguardo verso la Pubblica Amministrazione, si scorgono all’orizzonte bandi per assegnare il ruolo di Data Protection Officer (da nominarsi a maggio 2018) piuttosto che per adeguarsi. L’Italia risulta essere comunque uno dei Paesi europei più in regola, ma la grande corsa alla compliance di maggio non ha dunque chiuso la questione e si è tradotta lentamente in forme sporadiche di ade-
guamento destrutturate, sensibili solo al tema del controllo da parte dell’Autorità Garante. Quest’ultima lo scorso luglio ha emanato un piano ispettivo semestrale nel quale ha ritenuto opportuno qualificare gli interventi di controllo, effettuati anche per mezzo della Guardia di Finanza, individuando due macro ambiti di destinatari per eseguire gli accertamenti. Nella prima ipotesi, specificando in modo puntuale che gli accertamenti sarebbero stati riferiti a trattamenti di dati effettuati da società o enti che gestiscono banche dati di rilevanti dimensioni, ad alcune tipologie di trattamenti compiuti da istituti di credito, e a trattamenti di dati personali fatti da società per attività di telemarketing. Il secondo “lotto” avrebbe riguardato controlli nei confronti di soggetti, pubblici o privati, appartenenti a categorie omogenee sui presupposti di liceità del trattamento e alle condizioni per il consenso. In questo caso, dunque, verso tutti i destinatari del Gdpr. L’Autorità ha anche pubblicato un primo bilancio numerico che individua oltre 4.700 reclami presentati al Garante nel secondo semestre 2018 e 630 data breach notificati. Eppure in Italia dall’Istat risultano attive nel primo trimestre 2018 circa sei milioni di aziende: in sette mesi abbiamo avuto dunque uno 1% di breach notificati, quando la relazione presentata al Parlamento dal garante Antonello Soro lo scorso maggio ha indicato una media di 140 attacchi giornalieri… Alla luce di questi numeri, le Aziende e le Pa
stanno effettivamente monitorando gli attacchi informatici e notificando gli esiti? Una domanda fondamentale, considerando che il Gdpr evidenzia in particolar modo questo tema per via della sua rilevanza anche economico-sociale in tutto il panorama nazionale ed europeo. Con riferimento alle violazioni del Gdpr, al momento si registrano alte sanzioni amministrative comminate a gestori telefonici, ma è evidente che l’esito dei controlli non potrà che emergere solo tra qualche mese, quando gli accertamenti di questo periodo saranno conclusi. Ad oggi pertanto chi ha recepito il Gdpr è stato certamente spinto dalla volontà di ottimizzare l’operatività erigendo a fulcro l’obbligo normativo, ma anche dalla possibilità di consolidare la propria immagine e rendere inattaccabile il proprio business. Ma quante aziende hanno questa “visione”? Avv. Valentina Frediani, founder di Colin & Partners
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COME INVESTIRE IN CYBERSECURITY Salgono i budget aziendali da destinare all'acquisto di soluzioni, ma si accentuano anche i rischi legati alle nuove minacce e all'allargamento del "perimetro".
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budget delle istituzioni pubbliche e private per la difesa dai rischi cyber sono oggi in ascesa in tutto il mondo. A livello internazionale il mercato della cybersecurity crescerà fino al 2022 a un tasso medio annuo dell’11%, passando dai 110 miliardi di dollari del 2017 ai 190 miliardi di dollari del 2022. Si tratta di un incremento molto superiore a quello del mercato Ict nel suo complesso, che a livello globale cresce di non oltre il 4% all’anno: si può dire tranquillamente che il settore della cybersecurity sia tra quelli a più rapida evoluzione. Fra soluzioni e servizi in outsourcing per la scoperta, la prevenzione e la risposta alle minacce, attualmente per le aziende rappresenta una quota pari al 5% circa della spesa Ict complessiva. In Italia il mercato dei prodotti e servizi di sicurezza informatica, comprensivo della spesa per assicurare la cosiddetta "resilienza del business", è passato dai 1.538 milioni di euro del 2017 ai 1.628 milioni di euro del 2018, con un incremento del 5,8%. La componente che però registra i tassi di crescita superiori, e per cui si prevede un Cagr intorno al 15% da qui al 2021 a due cifre, è quella della sicurezza degli ambienti Ict per la Digital Transformation (dal mobile, al cloud computing, all’Internet delle cose). Finora, come emerso dall’indagine “Datacenter Security 2018” di The Innovation Group, la componente principale di spesa per la cybersecurity 30 |
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ha riguardato gli ambienti tradizionali enterprise: data center, rete, server ed endpoint. Per il futuro, invece, nuova domanda sarà rivolta alla protezione di ambienti cloud, per i quali esistono ancora margini di ulteriore adozione e quindi ulteriori necessità di messa in sicurezza di dati e workload. Ci sarà, inoltre, un focus maggiore rispetto al passato sulla sicurezza applicativa, su una security-by-design oggi anche richiesta dalle norme. L’esperienza degli ultimi anni ha dimostrato che, nonostante investimenti crescenti, aziende di ogni dimensione faticano a proteggere adeguatamente infrastrutture e dati critici. Il costo economico del cybercrimine è in continua crescita: secondo la valutazione effettuata dal Center for Strategic and International Studies (Csis), si aggirava nel 2018 intorno ai 600 miliardi di dollari, ben più dei 445 miliardi stimati nel 2014. Il valore è comprensivo di tutti gli aspetti: perdita di produttività, danni di reputazione, finanziari, costi di ripristino, spese per investigazioni, legali e di notifica ai clienti, investimenti per mettere in sicurezza i sistemi. Una cifra totale pari a circa lo 0,8% del Pil mondiale. Crimine in ascesa
Tre motivazioni, principalmente, oggi spingono gli investimenti in cybersecurity. La prima sono gli incidenti informatici: sempre più spesso le aziende cadono vittima di attacchi esterni. Gli attaccanti
migliorano costantemente in abilità ed efficacia, hanno principalmente obiettivi economici e beneficiano di una situazione in cui l’attribuzione del reato e la capacità di contrasto delle forze dell’ordine sono limitate, sia per aspetti tecnici sia per la stessa natura globale del cybercrime. Secondo il “Cyber Risk Management 2018 Report” di The Innovation Group, tra gli attacchi più spesso subiti dalle aziende al primo posto figurano quelli di phishing e social engineering: gli invii di email mascherate da messaggio credibile, che giunge da una parte fidata, e contenenti invece un link o allegato malevolo colpiscono oltre la metà delle aziende del campione analizzato. Mentre malware e ransomware figurano in posizioni elevate (rispettivamente 52% e 49% delle risposte), come da aspettarsi considerati i volumi di queste forme di attacco, è allarmante il fatto che al quarto posto figurino gli episodi Business Email Compromise, sperimentati dal 38% dei partecipanti al report. Nuove regole del gioco
Il secondo motore di investimenti in cybersicurezza sono le nuove norme, che chiedono una maggiore protezione dei dati e una migliore resilienza dei sistemi. Dall’entrata in vigore del Gdpr, il nuovo Regolamento europeo sulla privacy, molte aziende si sono trovate costrette a rivedere misure e processi interni per la compliance. Una conferma della criticità oggi riconosciuta dalla funzione Ict Security al tema della compliance viene sempre dall’indagine effettuata da The Innovation Group: tra le principali criticità per il Ciso, l’80% dei rispondenti ha assegnato il primo posto al tema del Gdpr, seguito dal problema di creare maggiore consapevolezza sulla security nell’organizzazione. Compliance al Gdpr e fattore umano sono oggi, quindi, le principali emergenze vissute dalle aziende: la prima imposta dalle nuove norme, la seconda invece conseguenza dell’elevata vulnerabilità ad
attacchi di phishing e ingegneria sociale, che sfruttano la debolezza delle persone. L’attenzione più elevata al tema della protezione dei dati è però fondamentale e molto opportuna, in un momento in cui lo stesso concetto di “proprietà del dato” è stato messo in discussione. Per capire quanto sia rilevante il cambiamento culturale in corso, basti pensare che neanche lo scandalo di Cambridge Analytica ha minimamente rallentato Facebook, che ha chiuso il terzo trimestre 2018 con tutti gli indicatori in crescita, compreso il numero degli utenti registrati al social network, il quale a livello globale ha raggiunto i 2,3 miliardi, senza mostrare flessioni durante l’anno. Digitali e vulnerabili
Terzo tema, come si diceva, è la crescente digitalizzazione di processi e del business, fatto che espande la superficie attaccabile e apre nuove aree di vulnerabilità. Sul cloud, per esempio, benché si osservi un’adozione ancora parziale di questi ambienti, c'è già evidenza del fatto che possa in futuro rappresentare un grosso problema: dall’indagine “Datacenter Security 2018” di Tig si evince, infatti, che le aziende cominciano ad avere incidenti informatici anche per ambienti di cloud privato (il 9% degli intervistati li ha subiti nell’ultimo anno), pubblico (9%) e ibrido (12%). In conclusione, lo scenario presenta oggi moltissime sfide. Il problema principale delle aziende è di essere non efficienti nell’allocazione dei propri investimenti in cybersecurity, di non puntare abbastanza a ottenere un’effettiva riduzione del rischio per la propria organizzazione. La necessità di una corretta destinazione degli investimenti porterà inevitabilmente ad assegnare priorità diverse, collegandole a una valutazione complessiva sugli ambiti e sui dati critici che richiedono maggiore attenzione e preparazione. Elena Vaciago, associate research manager di The Innovation Group 31
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Le tecnologie di cybersicurezza hanno fatto enormi progressi, trasformando la fantascienza in realtà. Senza la giusta strategia di adozione , però, rischiano di risultare inefficaci.
VIVIAMO IN UN’EPOCA MERAVIGLIOSA. MA…
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olte delle tecnologie che da ragazzo vedevo nei film di fantascienza iniziano a essere realmente disponibili sul mercato. L’aspetto preoccupante della questione è, però, che anche i criminali informatici hanno fatto progressi, sono ben finanziati e particolarmente attenti alle evoluzioni della tecnologia: di fatto, sono in grado di utilizzare soluzioni sempre più raffinate ed efficaci per attaccarci e truffarci meglio. Per questa ragione è indispensabile che anche le aziende siano attente ai nuovi strumenti e comprendano quali possano 32 |
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aiutarli a difendersi meglio e come. Per molti anni si è parlato, ad esempio, di intelligenza artificiale. Oggi, grazie alla disponibilità di risorse computazionali inimmaginabili in passato, si affacciano al mercato prodotti in cui si fa uso avanzato di tecnologie di machine learning che cominciano ad assomigliare moltissimo a intelligenze artificiali propriamente dette. Questo è dovuto anche alla larga disponibilità di risorse in cloud: grazie ai grandi data center dei provider, anche le piccole e medie imprese hanno accesso a capacità di calcolo che altrimenti difficilmente potrebbero permettersi. Utilizzare
servizi di office automation, di storage, di posta elettronica e, più in generale, di sicurezza erogati dai cloud provider consente anche alle aziende più piccole e meno strutturate di accedere a un grado di maturità e sicurezza superiore, che mai si sarebbero potute permettere con soluzioni on-premise ospitate all’interno del proprio sgabuzzino. Le fondamenta
La gestione di tali servizi operata su larga scala da aziende specializzate consente anche alle Pmi di raggiungere in particolare uno dei principali obiettivi di
security: definire una base di sicurezza minima e rispettarla in modo costante nel tempo. Così oggi molti dei principali antimalware (chiamarli antivirus sarebbe oramai riduttivo) impiegano tecnologie centralizzate per una rapida ed efficace identificazione delle minacce e per la loro gestione. La stessa cosa vale per molti dei firewall di nuova generazione e per quasi tutti quei sistemi (Intrusion Detection System, Intrusion Prevention System, sonde o altro nome che il marketing ha deciso e deciderà di attribuire negli anni) atti a identificare gli attacchi in corso. Così gli antispam. Così i sistemi di log management, più propriamente detti di Siem. L’importante, per tutti questi prodotti “da scaffale”, è assicurarsi di possedere una versione molto recente, se non l’ultima, per godere di tutte le innovazioni introdotte: l’obsolescenza tecnologica non gestita, infatti, preclude vantaggi enormi. L'esigenza di "gestire"
FEDERPRIVACY BOOM Con l’arrivo del Gdpr sembra che le aziende italiane abbiano aperto gli occhi sull’importanza della protezione dei dati. Federprivacy, associazione di tutela e orientamento dei professionisti della privacy, nel 2018 ha registrato un boom di iscrizioni: a fine anno il 57% in più rispetto al 2017, da 6.725 a 10.596 teste. Si tratta per il 19% di avvocati e giuristi d'impresa, per il 13% di consulenti informatici e altre figure Ict, per il 12% di data protection officer (Dpo, la nuova figura prevista dal Gdpr) e referenti della privacy aziendali, per il 25% di titolari o personale delle Pmi. “Complice l'introduzione del Gdpr, la privacy si è rapidamente affermata come una materia interdisciplinare”, sottolinea Federprivacy.
Esistono oggi prodotti o servizi che un tempo sarebbero stati, se non difficili da adottare, quantomeno non percepiti come richiesta di mercato. Oggi è doveroso dotarsi di soluzioni adatte per identificare e gestire le minacce: dalla sicurezza gestita, offerta oramai da qualsiasi system integrator alle Pmi, fino al Soc, il Security Operation Center in cui lavorano team di esperti attivi 24 ore su 24, per le aziende più strutturate. Diventa oggi strategico, inoltre, dotarsi anche di servizi in grado di identificare incidenti che coinvolgano informazioni dell’azienda ma avvenuti fuori dal suo “perimetro”. Un esempio? Se violano la sicurezza di un mio fornitore, rubano tutti i dati e li pubblicano su Internet, io lo vorrei sapere. Quell’attacco, però, non può essere identificato da nessuno dei miei strumenti: quell’attacco non è mai transitato dalla mia rete. Per questo vorrei che qualcuno monitorasse “Internet” per me
e mi avvisasse di incidenti simili, così da poterli gestire. Vento di novità, tra blockchain e Gdpr
Grande popolarità anche mediatica, soprattutto grazie alle criptovalute, ha poi avuto la blockchain. Sicuramente molto interesse e molta sperimentazione ruotano attorno a questa tecnologia. Se da un lato le promesse sono molte e sembrano realizzabili, dall’altro oggi i progetti concreti restano appannaggio delle grandi imprese che possono investire per acquisire vantaggi competitivi sui competitor. Le Pmi ne rimangono ancora escluse, purtroppo, a causa dei limiti nella capacità di sperimentazione e investimento che spesso le caratterizzano. Grazie alla crescente pressione normativa e alle richieste di adeguamento a standard e best practice da parte del mercato, stanno inoltre godendo dibun momento particolarmente felice gli strumenti di risk management. Molti di essi permettono di elencare e classificare i rischi, le minacce, gli asset aziendali, di valutare impatti e soddisfare requisiti di legge “storici” come il D.Lgs. 231 o la ISO 27001. La reale svolta, a mio parere, è però dovuta principalmente all’applicabilità del Gdpr e alla crescente necessità delle aziende di poter gestire tutti questi requisiti in modo integrato. Quel che un po’ mi spaventa è l’estrema fiducia che continuiamo a riporre in tali strumenti e servizi. Sono dei fattori abilitanti efficacissimi, se inseriti in un contesto aziendale con la corretta organizzazione e consapevolezza. Tuttavia, se invece non supportati da persone e competenze adeguate, si riveleranno le ennesime “scatole impolverate che non hanno impedito quell’incidente”, fatto di cui troppo spesso si accusano le soluzioni di security. Per chi continua a guardare il dito senza vedere la luna. Alessio Pennasilico, comitato scientifico Clusit 33
SPECIALE SICUREZZA
NUOVO CRIMINE IN AGGUATO, TRA CLOUD E INTELLIGENZA “NEMICA”
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a criminalità informatica si prepara a stupirci ancora. Ed è solo questione di tempo prima che cominci una vera e propria “corsa agli armamenti”, cioè a nuovi strumenti di attacco basati su intelligenza artificiale. Ne è convinto Corrado Broli, country manager di Darktrace, società specializzata in cybersicurezza basata su intelligenza artificiale. A che punto siamo?
Una delle peggiori minacce del 2018 è stata la crescita dell'It non tradizionale. La criminalità informatica è costata al mondo più di mezzo trilione di dollari l'anno scorso, soprattutto a causa dell’ampia incompatibilità dei sistemi di sicurezza convenzionali con i dispositivi Internet of Things (IoT) e con le reti senza confini generate dal cloud. Abbiamo scoperto minacce in ogni settore, dai sensori dei cassonetti dei rifiuti ai parchimetri: la mancanza di visibilità ha reso questi dispositivi delle prede facili e da un anno all'altro si è visto un aumento del numero di attacchi IoT del 100%. Per questo motivo, ottenere una visibilità completa sull'intero business digitale non è mai stato così importante. Dunque il cloud è a rischio?
La migrazione al cloud e all'infrastruttura Software-as-a-Service ha continuato a crescere, poiché garantisce risparmi, scalabilità e flessibilità. Tuttavia, nel compiere il passo successivo verso l'innovazione del cloud le aziende devono considerare anche l'evoluzione dei propri stack di sicurezza. I
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team devono affrontare un ambiente su cui hanno visibilità e controllo limitati e combattere contro aggressori sempre più attenti a cogliere le vulnerabilità nel cloud. Basti pensare che nell'ultimo anno Darktrace ha scoperto il 28% in più di minacce in ambito cloud e SaaS.
Corrado Broli
Che anno sarà il 2019?
Una questione importante sarà la crescita dell'intelligenza artificiale dannosa. L'AI sta rivoluzionando moltissimi settori, incluso quello della criminalità informatica. In passato i costi per un hacker intenzionato a entrare nei sistemi di un'azienda erano ingenti, in termini sia di tempo sia di fatica. Quest'anno vedremo cybercriminali iniziare a sfruttare la potenza dell'AI per perpetrare attacchi informatici avanzati, di massa, con un semplice click. Una volta che il malware alimentato dall'AI sarà giunto a completa maturazione, entreremo nell'era di una vera e propria corsa agli armamenti informatici. Altro tipo di attacco preoccupante, a cui storicamente è stata data meno attenzione, è il sabotaggio delle infrastrutture: piuttosto che rubare dati, gli hacker possono spegnere luci, interrompere sistemi di trasporto e, in ultima analisi, minacciare la nostra sicurezza. Si è visto nel 2018 un netto aumento degli episodi che hanno colpito i settori manufatturiero, energetico e navale. Le tensioni geopolitiche stanno dando forma agli attacchi. Le attuali tecnologie di AI sono davvero efficaci per la cybersicurezza?
Anche se molte aziende affermano di usare l'AI, in realtà le pratiche di cyber-
security più diffuse si basano ancora su regole e firme, una difesa non efficace. Non è più sufficiente impiegare il machine learning supervisionato e le informazioni derivate da esperienze passate per fermare minacce future. Stiamo entrando nell'era degli attacchi alimentati dall'AI, i quali possono compromettere le organizzazioni in pochi secondi, e ci troviamo di fronte a minacce che non assomiglieranno per nulla a quelle già viste. Un'autentica intelligenza artificiale consente di adottare difese in continua evoluzione, basate sull’apprendimento automatico e in grado di autoripararsi. Costruita sul modello del sistema immunitario umano, la cyber AI non ha bisogno di avere una comprensione dei comportamenti visti in precedenza e già etichettati come benigni o maligni. Tuttavia, sebbene un approccio di self-learning alla sicurezza It consenta di rilevare gli attacchi del futuro, sconosciuti e in rapida evoluzione, è attraverso una risposta autonoma che quelli in corso possono essere fermati in tempo reale. Valentina Bernocco
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EXECUTIVE ANALYSIS
L’entrata in vigore della normativa europea sulla privacy ha aumentato la consapevolezza sull’importanza della protezione dei dati aziendali. I responsabili It, i security officer e i data protection officer sono alla ricerca di un equilibrio fra innovazioni tecnologiche e programmi di sensibilizzazione continua.
SICUREZZA, IL FATTORE UMANO NON AIUTA
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ell’attuale mondo digitale, i dati sono diventati in molte realtà una risorsa fondamentale per lo sviluppo o addirittura per l'esistenza del business. La loro protezione è ormai un obbligo e, allo stesso tempo, una sfida di crescente complessità. Oggi, nell’era del Gdpr, è fondamentale proteggere gli asset aziendali più sensibili. Tuttavia, fra sensibilizzazione ancora poco radicata, vulnerabilità dei sistemi informatici e leggerezze dei dipendenti nell’uso delle tecnologie, senza trascurare certo la crescente sofisticatezza delle tecniche di attacco informatico, la prevenzione dalla perdita di dati è una questione impe36 |
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gnativa: servono attenzioni e investimenti non trascurabili. Il panorama della sicurezza informatica non è mai stato semplice, ma è indubbio che per diverso tempo le aziende lo hanno affrontato in modo poco strutturato, affidandosi all’adozione di soluzioni dirette a singole esigenze, per esempio alla protezione del traffico Web, della posta elettronica o endpoint o di un perimetro che si considerava più o meno definito. Per capire quale sia lo stato dell’arte italiano abbiamo realizzato una ricerca qualitativa cha ha coinvolto una quindicina di grandi aziende, appartenenti a differenti settori ma con una particolare focalizza-
zione sul mondo bancario. L’iniziativa è stata condotta intervistando chief information officer (Cio), chief information security officer (Ciso) e in qualche caso data privacy officer (Dpo), un ruolo introdotto proprio con l’entrata in vigore del Gdpr. Patrimoni informativi da difendere
La maggior parte delle aziende sondate si relaziona con un “pubblico”, fatto di un alto numero di clienti, associati o assistiti. In queste realtà i dati più sensibili da proteggere sono evidentemente quelli personali, appartenenti alle categorie appena citate. Ci sono però soggetti che
devono porre un’attenzione particolare ai programmi di ricerca, ai documenti che anticipano strategie da attuare o alla proprietà intellettuale. Va detto che l’esigenza di difendere questi patrimoni informativi non nasce con il Gdpr, anzi spesso ha origini lontane e ha già fatto maturare scelte organizzative e tecnologiche utili a costruire strategie efficaci. La protezione dei dati sensibili, tuttavia, è percepita come una priorità di massimo livello soprattutto dopo l’entrata in vigore del regolamento, che ha in generale accresciuto il livello di sensibilità e consapevolezza delle figure di top management. Ha portato, inoltre, a una maggior disposizione verso investimenti in soluzioni di sicurezza informatica più sofisticate. Il campione selezionato per la nostra indagine è stato costruito su aziende di medio-alta complessità, ragion per cui non è in discussione la presenza di policy di sicurezza ben definite, perlopiù regolarmente aggiornate e comunicate in vario modo al personale. Non risulta però univoca l’attribuzione della ownership: a chi spetta definire e controllare questo insieme di regole? Solo in alcuni casi il comparto It è investito da tale compito, mentre in altri esiste una struttura deputata alla sicurezza informatica con una figura di responsabilità ben definita a presidio. In altre realtà ancora, in particolare in ambito bancario, entrano invece in gioco altre funzioni, come quella delle risorse umane o della compliance, talvolta in un’ottica di collegialità tanto decisionale quanto di monitoraggio. L’importanza della formazione
L’attribuzione della ownership porta con sé anche l’impostazione dei programmi di formazione e sensibilizzazione, presenti in modo piuttosto strutturato un po’ ovunque nelle realtà interpellate. Il livello di profondità delle iniziative è, però, variabile. Nelle aziende di produzione, per esempio, prevale la necessità di trova-
re il giusto equilibrio fra la diffusione di un senso di consapevolezza (mai ritenuto del tutto soddisfacente) e la necessità di non essere troppo invasivi, dunque le iniziative si limitano solitamente a corsi periodici, spesso erogati in e-learning, e a comunicazioni sulle caselle di posta elettronica. Nella Pubblica Amministrazione e nel settore finanziario, invece, si trovano più frequentemente programmi di attività maggiormente strutturati, con somministrazione di test obbligatori e attività di social engineering per verificare il livello di maturità dell’organizzazione nel suo complesso. Nella maggior parte dei casi viene giudicato più che sufficiente il livello di conoscenza sulle tematiche di sicurezza e, in particolare, sulle conseguenze del mancato rispetto delle policy e sull’esposizione a potenziali attacchi. Tratto comune a diverse aziende è la presenza di un commitment piuttosto forte dei manager di alto livello, un impegno certamente accresciuto non solo dal mutato panorama normativo ma anche dalle notizie (oggi più frequenti) di società cadute nella rete dei cybercriminali e vittime di sottrazioni di dati molto rilevanti. In linea di massima, a questo livello di impegno corrispondono anche budget per la sicurezza informatica ritenuti adeguati alle necessità da affrontare, soprattutto dal punto di vista delle soluzioni tecnologiche a supporto. La consapevolezza non è compliance
Si può dire che l’entrata in vigore del Gdpr non abbia di per sé accelerato la spinta verso la definizione di pratiche né gli investimenti in soluzioni tecnologiche, spesso pianificati prima della scadenza del 25 maggio 2018. La stragrande maggioranza delle aziende coinvolte nell’indagine ha rilevato un generalizzato aumento della consapevolezza di dover di evitare comportamenti rischiosi, anche a fronte della pubblicizzazione delle sanzioni per chi non comunichi le violazioni subìte
entro 72 ore dalla scoperta. Se anche le strategie di adeguamento sono state definite per tempo, questo non significa necessariamente che le aziende si ritengano già allineate alla normativa. Scetticismi e curiosità per l'AI
Tra le realtà interpellate domina la volontà di prevenire, per quanto possibile, il rischio di esposizione a un attacco: si cerca di farlo consolidando il “muro” eretto a protezione del perimetro con strumenti di intrusion prevention & detection o con firewall di vecchia e nuova generazione. Nessuno, realisticamente, ritiene di essere protetto al 100%, ma prevale la convinzione di aver fatto il possibile per dotarsi di difese sufficienti. Negli ultimi tempi, tuttavia, l’attenzione degli osservatori di mercato si è spostata dall’approccio classico di tipo preventivo verso un’impostazione più reattiva, che accetta l’idea di un'inevitabile margine di vulnerabilità e si concentra sulla rapidità delle azioni di rilevamento e rimedio. In questa direzione vanno le tecnologie più recenti, nelle quali all’analisi comportamentale si affiancano soluzioni di sicurezza basate sul contesto e meccanismi di intelligenza artificiale e machine learning votati ad automatizzare il più possibile i processi di rilevamento. Sul fronte dell’AI l’atteggiamento delle aziende coinvolte nell’indagine è mediamente ancora piuttosto prudenziale, mentre i casi d’uso si limitano soprattutto a prime analisi e test sperimentali. Non si prevede un boom di queste nuove tecnologie per la cybersecurity, dunque, almeno nel breve periodo. In alcuni casi prevale addirittura un certo scetticismo, nella convinzione che il fattore umano sia troppo condizionante rispetto a qualunque accorgimento tecnologico, ma nella maggioranza delle realtà l’intelligenza artificiale suscita interesse come possibile alleato della sicurezza informatica. Roberto Bonino 37
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LA PAROLA AI MANAGER
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a nostra mission principale è tutelare il patrimonio dei clienti e in quest’ottica la sicurezza è una necessità, prima ancora che un elemento distintivo. Al di là delle tecnologie, crediamo conti molto il fattore umano ed è per questo che le iniziative di awareness sono inserite in un programma di formazione continua. Riccardo Renna, Coo di Banca Generali
Contro gli attacchi sempre più sofisticati in circolazione occorre far leva sul presidio continuo affidato a persone competenti, pronte a usare la tecnologia per intervenire dove necessario. L’attenzione posta sulla conoscenza diffusa contribuisce a minimizzare, per quanto possibile, l’esposizione alle minacce. Massimo Miccoli, group Dpo di Cairo Communication Per le banche, le sfide di sicurezza sono amplificate dai continui aggiornamenti normativi e da evoluzioni come quella, oggi da noi molto sentita, verso l’open banking. Top management e dipendenti, ciascuno per il proprio ambito operativo, cooperano affinché si possa ridurre l’esposizione al rischio. Milo Gusmeroli, Cio di Banca Popolare di Sondrio La certificazione Iso 27001 e la presenza di una struttura dedicata alla gestione della sicurezza di sistemi, reti e informazioni ci pone all’avanguardia rispetto agli standard internazionali nel nostro settore. Ma l’evoluzione, continua, ci porta in direzione dell’automazione e della condivisione di informazioni. Giovanni Mellini, Responsabile It, reti e sicurezza di Enav
Negli ultimi tempi abbiamo potenziato soprattutto la componente reattiva della nostra infrastruttura, andando in direzione dell’analisi comportamentale. Per migliorare l’efficacia di questi strumenti è importante condividere esperienze e acquisire, così, maggiore conoscenza. Pier Nicola Pizzato, Cio di Banca Sella Nell’insieme di soluzioni di sicurezza di un’azienda come la nostra convivono strumenti strategici di protezione e altri che si possono ormai ritenere delle com-
modity, per quanto irrinunciabili, come antivirus a antispam. Stefano Albiero, Cto di Fercam Siamo una banca nativamente digitale e questo ci ha consentito di sviluppare da subito una cultura interna molto sensibile ai temi della cybersecurity. Abbiamo quindi scelto di occuparci direttamente della sicurezza dei servizi con soluzioni tecnologiche e di processo molto avanzate e, soprattutto, implementate lato banca, senza imporre ai nostri clienti MARZO 2019 |
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vincoli e meccanismi di sicurezza troppo restrittivi e dannosi per l’usabilità. Gianluca Martinuz, Cio di Fineco Bank Chi afferma di essere completamente al sicuro di fronte agli attacchi mirati non fa veramente questo mestiere. La nostra azienda è sempre alla ricerca di nuove tecnologie e processi per rafforzare i presidi e proteggersi sempre meglio di fronte a forme più specializzate di attacco. Gianvito Martellotta, responsabile sistemi business & canali, e Alessandro Bulgarelli, responsabile sicurezza Ict di Bper Services L'entrata in vigore del Gdpr è stata per noi una buona opportunità per coinvolgere sui temi della sicurezza e della privacy anche altre componenti dell'azienda. Nei gruppi di lavoro abbiamo introdotto il concetto della “security by design” in modo strutturale nello sviluppo di nuove soluzioni applicative e servizi. Stefano Tomasini, direttore centrale organizzazione digitale di Inail In termini di consapevolezza da parte del management negli ultimi tempi c'è stato un passo avanti, soprattutto alla luce del legame più chiaro e diretto fra la responsabilità sui dati sensibili e le sanzioni applicate in caso di problemi rilevanti. Claudio Grandi, presidente della commissione calcolo e reti di Istituto Nazionale di Fisica Nucleare L’approccio più corretto alla sicurezza combina necessariamente prevenzione e reazione. La prima frontiera è un atteggiamento consapevole da parte di tutti sull’esposizione ai rischi e sul rispetto delle politiche di qualità di processo in materia It. Disponiamo di un dipartimento di cybersecurity specializzato, che ogni giorno monitora la Wan inter40 |
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na e il traffico in ingresso dall'esterno. Quando le misure di sicurezza vengono comunque bypassate, intervengono le attività di riparazione e rimedio. Massimo Crisci, head of Is Italy compliance & security di Merck Serono Negli aeroporti la sicurezza è un aspetto importante e critico a ogni livello. Per affrontarla al meglio nella sua declinazione “cyber”, abbiamo messo a punto un framework di riferimento strutturato in vari ambiti di applicazione, che spaziano dalla governance alla compliance, dalla threat intelligence ai vulnerability e penetration test, per arrivare al social
engineering e alla formazione continua. Fabio Degli Esposti, Cio di Sea-Aeroporti di Milano L’impegno del top management è un fattore fondamentale per l’adozione di policy e logiche di sicurezza efficaci in tutta l’azienda. Nel nostro caso, anche le figure di massima responsabilità dell'organizzazione partecipano attivamente ai programmi di formazione, ad esempio per la prevenzione del social engineering. Giovanni Battista Vassallo, manager operations systems & data security di Philip Morris International
UN SALTO IN AVANTI TECNOLOGICO Viviamo in un periodo storico in cui gli attacchi informatici si moltiplicano a dismisura anno dopo anno. Le minacce definite “commodity” sono ancora oggi quelle largamente più diffuse, ma le moderne soluzioni di protezione ne hanno attutito l'impatto. È però dal cybercrime che oggi bisogna proteggersi con maggiori sforzi. Lo afferma Gartner: il 99,9% degli attacchi informatici produce danni limitati, mentre è sul restante 0,1% di minacce che occorre focalizzare l'attenzione. Le aziende italiane si sono ben strutturate per una protezione preventiva, ma questa ormai non basta più per contrastare attaccanti sempre più dotati di mezzi e tecnologie. Serve ora passare a un livello successivo e avere la lungimiranza di investire su tecnologie più avanzate. Occorre adottare misure di rilevamento e risposta (detection & response), in grado di combinare tecnologie di intelligenza artificiale, analisi dei dati e machine learning.
Sempre Gartner prevede che nel 2020 il 60% dei budget di sicurezza It sarà destinato a soluzioni di rilevamento e risposta rapida, mentre oggi a livello mondiale la quota è sotto il 30% e in Italia, verosimilmente, è sotto il 10%. C’è quindi ancora molto da fare. F-Secure da tempo si sta muovendo per andare in aiuto delle organizzazioni: ha lanciato la sua prima soluzione di rilevazione e risposta alle minacce sugli endpoint, Rapid Detection & Response (Rdr) e anche un servizio gestito, Rapid Detection & Response Service (Rds). Quest'ultimo combina il meglio della competenza umana con l’intelligenza delle macchine, con la promessa di informare le aziende in soli trenta minuti dalla scoperta di una minaccia. Perché per cercare di contrastare attaccanti sempre più evoluti bisogna, sì, formare le persone sulla sicurezza, ma servono anche tecnologie innovative. Antonio Pusceddu, country sales manager di F-Secure Italia
TECHNOPOLIS PER WOLTERS KLUWER TAX AND ACCOUNTING ITALIA
La preparazione dei bilanci è imminente: il progetto Genya di Wolters Kluwer Tax and Accounting promette di accelerare le procedure.
CON GENYA BILANCIO IL PRESENTE È GIÀ FUTURO La trasformazione digitale per i professionisti non rappresenta soltanto un alleato nel lavoro. Per Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia il digitale è molto di più, come dimostrato dalla “intelligenza” di Genya, un software di contabilità, bilancio e dichiarazioni pensato per commercialisti, studi e aziende. Genya mira a favorire la trasformazione del professionista degli anni Duemila in un consulente più libero e organizzato, che può permettersi di concentrarsi di più sulle problematiche dei clienti e meno sugli adempimenti. Il mercato Ict per gli studi professionali è essenzialmente centrato sul tema dell’efficienza operativa, ovvero sulla sfida di riuscire a fare meglio e in minor tempo le cose che il commercialista deve fare. La visione di Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia, però, è molto più ampia e contempla la trasformazione della figura del commercialista e del professionista. In Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia si è profondamente convinti che il cambiamento in atto da qualche tempo è un cambiamento in senso digitale: grazie all’Ict, il professionista potrà smarcarsi dall’operatività relativa agli adempimenti, un’attività poco soddisfacente e molto onerosa in termini di tempo da dedicarvi. L’azienda intende supportare i professionisti con una value proposition focalizzata su due elementi: l’efficienza operativa nella gestione degli adempimenti e il valore che lo studio può dare ai suoi assistiti. La soluzione per raggiungere questo obiettivo si chiama Genya, un software che sposta fortemente il focus sul tema del valore. Genya nasce dalla capacità degli sviluppatori della software factory di Wolters
Kluwer Tax and Accounting Italia di guardare oltre, di ingegnerizzare un prodotto digitale che non solo risolve il problema odierno ma che, cambiando i paradigmi professionali, consente la riorganizzazione delle attività del domani. Questo è anche reso possibile, per esempio, dall’analisi dei tempi e dal controllo delle attività o da capacità come quella di gestione completa della pratica, in cui si integrano strumenti di Business Intelligence e collaborazione per fornire in modo semplice il massimo del valore e del servizio. Tale valore e tale servizio vanno a vantaggio non solo dei professionisti, ma anche delle aziende che predispongano la pratica del bilancio al loro interno. Nello sviluppo del progetto Genya sono stati tenuti in considerazione cinque concetti: integrazione, analisi, previsione, riduzione dei tempi, mobilità. Il professionista può davvero trasformare il proprio profilo grazie alla digitalizzazione e all’accessibilità dell’intelligenza operativa nel cloud. In modo semplice e innovativo, Genya Bilancio di Wolters Kluwer Tax and Accounting Italia dà la possibilità di caricare i dati sia dalla situazione contabile sia dal bilancio riclassificato, di accedere ai Kpi automaticamente (perché forniti all’interno del normale svolgimento delle attività), di creare fascicoli simulati per il calcolo del bilancio e delle imposte e renderli poi definitivi, di redigere la nota integrativa e gli altri documenti di bilancio in modo guidato attraverso l’utilizzo di modelli e formulari preimpostati e personalizzabili. Automazione, condivisione, collaborazione e integrazione significano più produttività, velocità nel comunicare, più valore nelle consulenze ai clienti. 41
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FINTECH E INSURTECH AL DECOLLO Le imprese italiane di tecnologia per la finanza e le assicurazioni nel 2018 hanno raccolto circa 190 milioni di euro. I presupposti per crescere ci sono. applicazioni per i pagamenti su mobile, per la gestione del budget personale e familiare o per i trasferimenti istantanei di denaro tra privati sono sempre più popolari, al pari delle piattaforme dedicate alle micro polizze assicurative. Che ci sia molto da fare, soprattutto fra le piccole e medie imprese, resta comunque indubbio e lo suggerisce per esempio il fatto che solo il 5% delle Pmi abbia fatto ricorso a soluzioni di finanziamento alternative come il peer to peer lending e il crowdfunding. I presupposti per essere ottimisti non sembrano mancare, e di questo è convinta Marta Ghiglioni (classe 1993, esperienze di studio e professionali maturate fra Milano, la Silicon Valley e la Germania), direttore generale di Italia Fintech, associazione che riunisce oltre una ventina delle startup operanti in questo settore. Marta Ghiglioni
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li italiani fra i 18 e i 74 anni che hanno utilizzato almeno un servizio finanziario in forma digitale nel corso del 2018, rimanendone soddisfatti, sono circa 11 milioni. Ovvero circa il 25% della popolazione compresa in questa fascia di età, ben più del 16% dell’anno precedente. Il dato estratto dall’ultima edizione dell’Osservatorio Fintech e Insurtech del Politecnico di Milano è 42 |
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eclatante ma va correttamente interpretato, a scanso di equivoci. Non ci dice, infatti, che gli abitanti della Penisola sono diventati tutto d’un tratto affezionati utilizzatori delle piattaforme fintech, e questo semplicemente perché nel conteggio rientrano anche servizi più basilari rispetto a quelli proposti da società come Satispay, Oval Money e Moneyfarm. Il dato ci conferma, però, che la propensione degli utenti verso le
Qual è lo stato di salute del fintech in Italia?
Il settore sta conoscendo una progressiva maturazione, soprattutto nei contesti in cui le startup sopperiscono a una vera esigenza delle aziende, come per esempio lo sconto delle fatture per l’accesso al credito. Il crowdfunding, altro esempio, oggi è aperto anche alle Pmi e cresce a velocità molto sostenute. L’Italia è fra i primi Paesi ad aver adottato una legislazione ad hoc per i finanziamenti attraverso queste piattaforme. È però anche vero, e non va nascosto, che
il nostro tessuto imprenditoriale è tradizionalmente portato a richiedere nuovi capitali attraverso forme di debito e non tramite equity. Che cosa si aspetta dal 2019?
Che si possa continuare sulla scia del 2018, quando le fintech e le insurtech italiane hanno raccolto complessivamente circa 190 milioni di euro in 14 operazioni, rispetto ai 45 milioni dell’anno precedente. E passaggi chiave a livello normativo come Psd2 e MiFid II, sui pagamenti e sulla trasparenza delle transazioni bancarie, costituiscono ulteriori opportunità di evoluzione del settore finanziario e di crescita per le startup tecnologiche di questo settore. Si è già creato un circolo virtuoso fra startup e attori tradizionali?
È sicuramente finita l’era della sfida fra i due soggetti: entrambi hanno capito che non giova a nessuno rubarsi clienti a vicenda e che la strada da seguire è quella della “coopetizione”. Cito come esempio l’accordo stretto fra Oval Money e Banca Intesa, che è anche un socio investitore della società. La principale criticità da superare?
L’ancora limitata consapevolezza delle potenzialità degli strumenti digitali a supporto delle attività finanziarie, sia a livello di persone fisiche sia di aziende. Serve, da parte delle grandi imprese soprattutto, un grande lavoro a livello di filiera per costruire best practice sulle concrete applicazioni delle soluzioni fintech. E poi è necessario aumentare l’attrattività delle nostre startup per i venture capital e gli investitori internazionali. C’è ancora spazio per vedere nascere nuove Moneyfarm o Satispay?
Assolutamente sì.
LE PUNTE DI DIAMANTE Prima Assicurazioni, salita alla ribalta a fine 2018 grazie a un aumento di capitale da 100 milioni di euro sottoscritto da venture capital americani, Moneyfarm, con il finanziamento record da 46 milioni chiuso lo scorso maggio, e Satispay, che ha raccolto complessivamente oltre 42 milioni di euro e punta a un nuovo round da 50 milioni nel 2019: sono queste le punte di diamante di una “pattuglia” di imprese italiane tecnologiche del finance e dell’insurance. Una pattuglia diventata sempre più numerosa, oggi nell’ordine di qualche centinaio di unità. I soggetti assimilabili a scaleup sono pochi, circa una trentina, e meno di dieci le fintech e le insurtech che hanno superato la soglia del milione di dollari di investimenti ricevuti nel periodo 2016-2018. Siamo dunque lontani anni luce da Paesi come Stati Uniti e Cina, dove i finanziamenti raccolti dalle nuove imprese viaggiano su ordini di grandezza di miliardi di dollari, ma la curva di crescita è evidente e più che confortante. Chi sono i nomi da tenere sotto osservazione? Fra gli attori attivi nel campo dei servizi di prestito, Credimi è riuscita a distribuire in circa due anni di attività oltre 150 milioni di euro a più di tremila imprese di ogni dimensione e categoria (anche non italiane) con la promessa di scontarne le fatture in sole 48 ore. Altra startup emergente in materia di prestiti tra privati senza intermediazioni è Soisy, operativa da aprile 2016 e prima fintech a superare il milione di euro con una campagna di equity crowdfunding (in soli otto giorni ha raccolto 1,25 milioni con un overfunding di 350mila euro).
La sua specialità? Finanziare acquisti a rate di prodotti e servizi, online e in negozio, attraverso un sistema di marketplace lending. Nella lista delle insurtech, invece, stanno trovando spazio realtà ancora semi sconosciute al grande pubblico, come Mioassicuratore e Neosurance. La prima opera come broker assicurativo completamente digitale attraverso una quarantina di compagnie partner, un catalogo in continua crescita di circa 130 tipologie di polizze e circa 250mila utenti registrati e profilati. La seconda, pronta a sbarcare in forze negli Usa, sfrutta tecnologie di intelligenza artificiale e algoritmi di machine learning per fare da ponte alle compagnie che offrono micro polizze istantanee (in collaborazione con Axa Italia, ha anche lanciato una soluzione per la copertura di spese mediche in viaggio). Altro broker digitale con ambizioni decisamente importanti (passare dai diecimila clienti unici del 2018 ai centomila previsti per il 2019) è infine Yolo, che ha puntato sui chatbot per supportare gli utenti nella sottoscrizione di polizze on-demand e pay-per-use di compagnie come Axa, Europ Assistance e Reale Mutua.
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STARTUP & PMI INNOVATIVE
LA TRASFORMAZIONE DEL BRUTTO ANATROCCOLO La disponibilità di strumenti pubblico/privati è la chiave per immettere capitali nel sistema, sostenere i venture capital e colmare il gap con l’Europa.
euro investiti attualmente su base annua all’ipotizzato traguardo del miliardo o miliardo e mezzo di euro. Sempre che la totalità delle misure siano concretamente tradotte dai decreti attuativi e gli strumenti di governance riescano ad operare a pieno regime. È importante sottolineare, in ogni caso, che in tutti i Paesi maggiormente sviluppati il mercato del venture capital è cresciuto ed è maturato grazie a strumenti ibridi, pubblico/privati, e principalmente ad opera di “fondi di fondi” capaci di supportare team indipendenti di Vc a cui è demandare la selezione delle opportunità di investimento, lasciando al pubblico il ruolo di calmieratore del profilo di rischio del capitale privato. Da un punto di vista macro,
la presenza dei venture capital è una condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo di un ecosistema dell’innovazione sostenibile, orientato al ritorno del capitale investito e in grado di facilitare alla società nel suo insieme il compito di rendere più fluida la circolarità tra sapere, tecnologia, impresa, crescita economica e benessere sociale. In assenza del trasferimento di conoscenze in un’impresa innovativa capace di affrontare le grandi sfide di oggi (sostenibilità ambientale ed energetica, cambiamento dei paradigmi educativi e di assistenza sanitaria, mobilità intelligente, eccetera), verrebbe a mancare un cardine fondamentale del processo di trasformazione delle potenzialità dell’innovazione in soluzioni a problemi concreti. La capitalizzazione dell’ecosistema per opera di strumenti ibridi pubblico/privati è quindi un'ottima opportunità per compiere quel salto di qualità che consentirebbe all’azienda Italia di allinearsi agli altri Paesi europei, rafforzando la potenzialità del tessuto delle imprese innovative, che rappresenta in senso positivo lo zeitgeist del nostro tempo. Massimiliano Magrini, founder & managing partner di United Ventures
la manovra di Bilancio 2019. Spiccano i 110 milioni di euro in capo al Mise per alimentare il “Fondo di sostegno al venture capital”; l’obbligo per i Pir (i Piani Individuali di Risparmio) di destinare il 3,5% delle proprie risorse a fondi di venture capitale; l’obbligo
per lo Stato di spendere ogni anno almeno il 15% dei dividendi delle società partecipate sempre nei Vc; l’aumento dal 30 al 40% delle detrazioni fiscali per i soggetti che entrano nel capitale di rischio delle imprese innovative.
Massimiliano Magrini
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er anni l’ecosistema delle imprese innovative italiano ha sofferto di una cronica sottocapitalizzazione derivante dalla mancanza di investitori, sia a livello pubblico sia in ambito privato. Il rapporto fra la disponibilità di capitali per i nuovi imprenditori è da uno a dieci o quindici volte inferiore a quello dei principali Paesi europei. L’iniziativa del legislatore, iniziata anni fa dall’allora ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, si è sempre limitata (peraltro con successo) a promuovere norme di semplificazione che hanno facilitato e rafforzato il numero delle startup, trascurando però iniziative istituzionali di capitalizzazione del sistema. L’ultima finanziaria approvata in parlamento rappresenta in questo senso un grande e fondamentale cambiamento, in quanto recepisce le richieste del mercato introducendo le condizioni affinché l’apporto dei venture capital possa passare dai circa 300 milioni di
LA MANOVRA PER STARTUP E VC Aumentare di un ordine di grandezza gli investimenti nel mercato dell’innovazione: questo l’obiettivo delle numerose misure presenti nel-
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STARTUP & PMI INNOVATIVE
Le imprese iscritte a fine 2018 nel registro tenuto dal Mise erano più di 9.700 e sviluppavano, insieme, un fatturato superiore al miliardo di euro. La crescita dell’ecosistema prosegue, seppur rallentata, ma a preoccupare sono alcuni indicatori economici.
LA CARICA DELLE DIECIMILA
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ultimo trimestre del 2018, così come puntualmente fotografato dal rapporto realizzato dal Ministero dello Sviluppo Economico e da InfoCamere, ha rivelato luci e ombre sull’ecosistema delle startup italiano. Due le principali tendenze emerse. La prima: il raggiungimento della soglia di diecimila imprese iscritte nel registro ormai non è lontana e si dovrebbe superare nei primi mesi dell’anno (hanno diritto a farne parte le società di capitali costituite da meno di cinque anni, con un fatturato annuo inferiore a cinque milioni di euro, non quotate e in possesso di determinati indicatori relativi all’innovazione tecnologica). La seconda: la grande accelerazione è probabilmente terminata e alcuni parametri finanziari sono in calo. Il numero di imprese “contabilizzate” è infatti salito solo di 111 unità (+1,2%) rispetto al terzo trimestre, arrivando a 9.758, mentre il conteggio complessivo di soci e addetti coinvolti nelle startup, aggiornato al 30 settembre, ha superato le 53.700 teste.
Una tendenza ormai consolidatasi in questi anni vede la grande concentrazione delle startup nei comparti con una chiara vocazione tecnologica. Più in dettaglio, il 34% del totale è impegnata nella “produzione di software” e il 13% in attività di “ricerca e sviluppo”, mentre il settore manifatturiero è altrettanto ben presente, abbracciando il 18,6% delle realtà. Più in generale, il 72,2% fornisce servizi alle imprese e il 3,8% opera nel commercio. Milano regina
In termini di distribuzione geografica, la leadership di Milano quale principale polo per le imprese innovative italiane è ancora fuori discussione: nel capoluogo lombardo sono localizzate infatti ben 1.687 startup, ovvero il 17% del totale nazionale e quasi il doppio di quelle in esercizio a Roma (969). Con 2.417 startup attive la Lombardia guida la classifica per Regioni, davanti a Lazio (1.079) ed Emilia-Romagna (903). In coda alla graduatoria figurano invece la Basilicata con 106, il Molise con 67, e la Valle d’Aosta con 22 startup innovative.
Conti in rosso per 91 milioni
Premesso che i bilanci relativi all’esercizio 2017 sono disponibili solo per il 60% delle startup iscritte a fine 2018, il fatturato complessivo è di poco superiore ai 910 milioni di euro. Cifra che dovrebbe abbondantemente superare il miliardo per il 2018, considerando i nuovi ingressi nel Registro delle Imprese. Il reddito operativo del 2017 è ancora negativo per 91,2 milioni di euro. Il valore medio della produzione (rispetto ai dati di bilancio disponibili ed elaborati nel rapporto) si attesta invece sui 155mila euro per singola impresa ed è un dato in diminuzione di 13mila euro rispetto al trimestre precedente; l’attivo medio è pari a poco meno di 290mila euro per startup innovativa e anche questo indicatore è in calo di circa 13mila euro dalla precedente misurazione. L’età media, infine, delle 186 startup innovative che al 31 dicembre 2018 riportano un fatturato superiore a un milione di euro (per un valore complessivo di ben 359 milioni) è di tre anni e dieci mesi. G.R. 45
PER KONICA MINOLTA DIGITAL TRANSFORMATIONTECHNOPOLIS | Perpiciatis
FATTURAZIONE ELETTRONICA, PER NUOVI GUADAGNI
Luca Casotto, sales manager Mcs di Konica Minolta Grazie alla fatturazione elettronica è possibile non solo risparmiare, ma guadagnare. Questa è la sfida che Konica Minolta propone ai suoi clienti: un nuovo modo per affrontare questo cambiamento. È cosa nota che dal primo di gennaio del 2019 tutti i soggetti a partita Iva, eccezioni a parte, debbano inviare le fatture a imprese e privati in modalità digitale e tramite il Sistema di Interscambio (Sdi). Questo provvedimento è un forte segnale dello Stato italiano, il primo in Europa ad averlo introdotto, con lo scopo principale di rafforzare il controllo sull’evasione fiscale. Obblighi a parte, non tutti riflettono sulle opportunità e sui vantaggi reali che questo cambiamento comporta. Il primo passo Un iniziale investimento è necessario per adeguare i sistemi informativi al nuovo metodo, ma non mancano risvolti positivi. Se sei un professionista. non avrai più lo spesometro e non dovrai conservare i registri Iva. Il processo digitalizzato, inoltre, semplificherà la gestione amministrativa con conseguente riduzione dei costi che oggi sostieni per consulenze specialistiche. Se sei una media impresa risparmierai tra i 7,5 e gli 11 euro a fattura, evitando costi di stampa, invio e gestione. Se sei un’impresa con grandi volumi di fatture i vantaggi saranno ancor più marcati, soprattutto nella gestione del ciclo passivo: grazie alla digitalizzazione, le approvazioni delle fatture di servizio, la gestione dei budget e molte attività del controllo di gestione possono essere semplificate e automatizzate. Che cosa può fare per te Konica Minolta? Ti aiutiamo a realizzare il tuo progetto per la fatturazione elettronica attiva e passiva in tutte le fasi: l’integrazione con il sistema gestionale, la creazione in formato XML, l’invio all'Sdi, l’archiviazione della ricevuta, la conservazione a norma dei documenti. 46 |
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Ulteriori vantaggi della digitalizzazione Ma crediamo che ci sia molto di più. Quali sarebbero i vantaggi se si digitalizzasse l’intero ciclo di acquisto o vendita? Pensiamo per esempio all’uso di portali extranet per condividere in modo sicuro con clienti o fornitori anche ordini e bolle, e per tracciare e storicizzare non solo i documenti ma anche tutta la comunicazione “destrutturata” che oggi si riceve via email o telefono. Informazioni come richieste di sconto, contestazioni, avvisi sul ritardo di una merce possono essere riferite in tempo reale al corretto interlocutore. Essendo le comunicazioni tracciate, è possibile verificare se il referente le ha visionate, mentre essendo storicizzate saranno sempre recuperabili. Si stima che la digitalizzazione del ciclo porti a un risparmio compreso tra 25 e 65 euro per ciclo, contro quello medio di 8 euro della sola fattura. E i vantaggi non si limitano al saving. Può cambiare il modo di lavorare delle persone: colleghi di diversi reparti possono collaborare meglio e in sinergia accedendo alle informazioni utili, velocemente e ovunque. Inoltre questi progetti portano a una diffusione della cultura digitale in azienda e accelerano l’ottimizzazione e la digitalizzazione di tutti i processi. Altro aspetto importante è il miglioramento del livello di servizio ai clienti, perché la condivisione immediata delle informazioni permette di essere più flessibili e immediati nelle risposte. Per questa seconda sfida Konica Minolta può aiutarti sia dal punto di vista della tecnologia sia di progetto: dovrai coinvolgere i colleghi di diversi reparti (It, amministrazione, finanza e controllo, vendite) e rivedere il processo introducendo una nuova operatività e nuove tecnologie. Ti aiuteremo ad attivare il progetto valorizzando i benefici per ogni area. Faremo insieme un piano diviso in fasi, a seconda delle esigenze della tua struttura. Valuteremo insieme i tempi di implementazione per permetterti di portare avanti le tue attività quotidiane. Proporremo strumenti e tecnologie facili da usare. Ti seguiremo anche a progetto ultimato per risolvere eventuali difficoltà e soddisfare nuove esigenze. Estendere ancora il confine E se allargassimo la digitalizzazione anche ad aree aziendali come la produzione o il marketing? La piattaforma extranet per la condivisione dei documenti amministrativi potrebbe diventare un vero e proprio hub di scambio di informazioni, con cui condividere le previsioni di produzione con i fornitori, documenti di progettazione con i partner, informazioni di marketing con i clienti, e via dicendo. “Konica Minolta è un consulente in grado di aiutare le aziende a digitalizzare in modo graduale i processi e la relazione con la filiera, per ridurre il time to market, razionalizzare e semplificare i progetti di innovazione di prodotto, ridurre le inefficienze lungo la filiera (e i relativi costi) e migliorare la competitività. Tutto partendo da una semplice fattura digitale...”, ha affermato Luca Casotto, sales manager Mcs di Konica Minolta Italia.
L’OPEN INNOVATION EUROPEA NON SENTE LA CRISI L’incertezza del clima economico internazionale non influenzerà la crescita dei progetti di contaminazione fra grandi aziende e startup. La criticità? Mettere in pratica efficacemente le loro soluzioni.
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e iniziative di “innovazione aperta” vanno considerate a tutti gli effetti una priorità strategica dal top management e non risentiranno per i prossimi dodici mesi dell’attuale instabilità del quadro politico ed economico. Lo dice a chiare lettere il rapporto “Open Innovation Outlook 2019”, redatto a quattro mani da Mind the Bridge e dalla fondazione Nesta interpretando le linee guida di una trentina di grandi aziende (tecnologiche e non) attive in Europa. Nella lista sfilano, tra le altre, Amazon, Bosch, Cisco, Enel, Google e Samsung. Analizzando le macrotendenze e criticità dei progetti di open innovation in corso e di prossima realizzazione, la ricerca ha messo in evidenza quattro strategie di collaborazione fra aziende tradizionali e nuove imprese tecnologiche. L’attività di procurement, attraverso il supporto finanziario alla prototipazione e/o programmi di cosviluppo, continua a essere la modalità predominante nelle alleanze fra il mondo corporate e l’universo delle startup: nel campione, il 97% dei responsabili dell’innovazione sfrutterà questo meccanismo nel corso del
2019. Altra prassi molto gettonata, poi, sarà quella legata all’apertura di “avamposti” per la ricerca e sviluppo in Silicon Valley (sei aziende su dieci, in particolare, punteranno sulla California) e in Israele. Sempre più aziende, si legge ancora nel rapporto, stanno abbandonando o ridimensionando i propri programmi di accelerazione (si passerà dal 69% al 60%) mentre per portare avanti accordi commerciali e industriali di successo si punterà sugli investimenti nel capitale delle startup (tra i progetti del 90% delle corporate censite) e su operazioni di fusione e acquisizione. Le principali barriere
Una serie di criticità condizionano la valenza e lo sviluppo dei progetti di open innovation in Europa e dell’intero processo di trasformazione digitale a cui sono chiamati tutti i settori dell'economia. La cultura aziendale avversa al rischio, le difficoltà a livello di execution e alcuni processi interni,
in particolare, sono gli elementi più problematici, segnalati come i principali ostacoli al connubio di successo fra startup e grandi aziende. Una seconda importante barriera all’attuazione delle “best practice” dell’innovazione è la mancanza di risorse interne a supporto delle nuove imprese. Le divisioni aziendali dedicate all’open innovation sono solitamente di piccole dimensioni e non in grado di gestire la crescita delle attività, tanto che diversi manager tra quelli oggetto di studio stanno delegando in outsourcing i processi di scouting (concentrandosi invece direttamente sulle attività di implementazione interna). Assai indicativo, in fatto di ostacoli ancora da superare, è il commento di Alberto Onetti, chairman di Mind the Bridge, secondo cui “il problema più rilevante per le imprese non è più quello di trovare le startup, ma piuttosto quello di implementare efficacemente e tempestivamente le loro soluzioni". G.R.
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INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Industria, e-commerce, medicina, aziende di ogni genere: algoritmi e altre risorse si espandono in nuovi territori. E c'è fermento, dal software open source all'hardware.
SE IL BUSINESS CHIAMA, L’AI RISPONDE L’EUROPA NON BADA A SPESE Il Vecchio Continente non vuole arrancare nella corsa dell’intelligenza artificiale, attualmente trainata da Stati Uniti e Cina, e dunque accelera: 20 miliardi di euro, frutto di fondi pubblici e privati, saranno investiti nel biennio 2019-2020, per poi dispiegarne altrettanti ogni dodici mesi a partire dal 2021. Questo prevede il piano d’azione coordinato e sottoscritto dai 28 Paesi membri
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dell'Ue. Tre obiettivi orienteranno la destinazione dei fondi: finanziare un maggior numero di progetti, ampliare l’accessibilità ai dati e tutelare la dimensione etica dell’AI, dunque della fiducia dei cittadini nei confronti di tecnologie quali robot “pensanti”, chatbot, analisi del linguaggio e dei video, biometria, software per la guida autonoma e per l’analisi dei dati in ambito medico e scientifico.
L'
intelligenza artificiale è anche business, sempre di più, sia per chi la vende sia per chi la acquista. Nell’immaginario collettivo la sigla “AI” racchiude un mondo fatto di automobili che si guidano da sole, droni civili e militari, software capaci di vincere una partita a scacchi contro campioni in carne e ossa, sistemi di riconoscimento facciale utili alle forze dell’ordine, tecnologie alla base di motori di ricerca Web, assistenti virtuali degli smartphone e altro ancora. Tutto vero, ma non basta. L’AI è anche qualcosa di più discreto, una portentosa capaci-
Google. Un’alternativa, lanciata da Facebook nel 2017, è Caffe2: un insieme di risorse software, algoritmi e modelli “preallenati”, sfruttabili per confezionare soluzioni di intelligenza artificiale e in particolare di deep learning (attività di “ragionamento profondo”, basate su concetti organizzati secondo una gerarchia). Trasloco in “periferia”
tà di analisi dei dati, di ottimizzazione dell’esistente e di previsione del futuro, che opera nell’ombra per far risplendere, invece, i risultati del business. Come? Traiamo spunto da un’analisi di Cb Insights (“Artificial Intelligence Trends in 2019”) e da alcuni dati di mercato per evidenziare alcune delle tendenze più interessanti. Democrazia dell’open source
Grazie al software “libero” l’accesso all’intelligenza artificiale è diventato relativamente democratico. Una delle risorse più nutrite è TensorFlow, libreria di algoritmi di machine learning nata nel 2015 per iniziativa di Google e alimentata dai contributi degli sviluppatori. E non dobbiamo pensare che l’open source sia solo pane per i denti delle aziende piccole, che non possono permettersi di spendere: tra gli utilizzatori di TensorFlow sfilano Airbnb, Coca-Cola, eBay, Intel, Sap, Twitter, Uber e naturalmente
Si parla di edge computing quando le attività di calcolo si spostano da un server o computer verso i singoli oggetti che raccolgono e producono i dati: smartphone, smartwatch, automobili e altri dispositivi di Internet of Things ne sono un esempio. Il vantaggio dell’elaborare ai dati “alla fonte”, evitando trasferimenti verso il cloud, sta nella riduzione della latenza, cioè del ritardo nei tempi di risposta dell’applicazione. Requisito essenziale, per esempio, per le future automobili a guida autonoma, tant’è che produttori di chip come Intel, Nvidia, Qualcomm e Samsung si sono già tuffati nella mischia. Applicazioni ulteriori potrebbero interessare l’industria pesante e leggera, attraverso sistemi Internet of Things potenziati nella capacità di calcolo dell’edge. Riconoscimento facciale in un chip
Serve ad autenticare il proprietario di uno smartphone, evitando che qualcun altro acceda ai suoi dati o carte di credito, ma sta diventando anche un supporto alle attività di forze dell’ordine, militari e servizi di sicurezza. Il riconoscimento facciale è una tra le manifestazioni dell’AI destinata a lunga vita, sebbene non manchino preoccupazioni su un suo utilizzo “distorto” o repressivo. La tecnologia di Amazon usata dall'Orlando Police Department e dal Washington County Sheriff’s Office, per esempio, è stata contestata da associazioni di difesa del cittadino, mentre il boom della vi-
deosorveglianza in Cina (a metà 2018 si contavano già 178 milioni di videocamere di sorveglianza attive) sta creando uno scenario da Grande Fratello. Nuove frontiere per l’imaging in medicina
La diagnosi precoce delle malattie è un’altra delle sfide colte dall’intelligenza artificiale, forse la più importante. Negli Stati uniti hanno recentemente ottenuto l’approvazione della Food and Drug Administration una tecnologia di analisi dell’immagine del’occhio (IDx-DR è il nome del software) che istantaneamente identifica la presenza di retinopatia diabetica con oltre l’87% di accuratezza e un’altra (Viz.ai, frutto di una startup finanziata anche da Google) che individua in una tomografia cerebrale gli indizi di un ictus. Caso italiano è quello dell’Istituto Oncologico Veneto, che per migliorare l’efficacia degli screening mammografici ha adottato una soluzione basata su cloud e analytics di Microsoft. La sfera di cristallo in fabbrica
Oltre che alla salute delle persone, l’AI pensa anche a quella delle macchine. La manutenzione predittiva potrebbe aiutare quel 70% di aziende che (secondo un’indagine di General Electric) non sono consapevoli dello stato di degrado o danneggiamento dei propri apparati. In altre parole, sette aziende su dieci non riescono a prevedere guasti e interruzioni di funzionamento che potrebbero, invece, essere evitati. Nel tempo, la riduzione dei costi dei sensori, l’edge computing e i progressi degli algoritmi contribuiranno a rendere la manutenzione predittiva più efficace ed economica. Nuove soluzioni di Internet delle cose industriale con AI incorporata saranno sfornate nei prossimi anni in forma di servizio cloud a consumo. A proporle, una miriade di startup ma 49
INTELLIGENZA ARTIFICIALE
anche giganti come Microsoft, General Electric, Sap, Siemens e l’indiana Tata Consultancy. E-commerce più “visuale”
Lo shopping online sta cercando nell’AI strumenti che rendano più semplice sia comprare (trovare l’oggetto del desiderio in un mare d’offerta) sia vendere (suggerire articoli di probabile interesse per il cliente). Tra le quasi 400 richieste di brevetto depositate da A9, una sussidiaria di Amazon, alcune impiegano reti neurali artificiali e sistemi di apprendimento automatico per immagini, che in futuro potranno rendere più efficaci i motori di ricerca interni ai siti e i suggerimenti degli “articoli simili”. Twiggle, un’azienda di San Francisco che tra i finanziatori annovera Alibaba, si rivolge invece agli sviluppatori con un’Api (interfaccia di programmazione applicativa) “semantica”: grazie a capacità di comprensione del linguaggio naturale, rende più efficaci le ricerche degli utenti sui siti di e-commerce. Quelle senza risultati diminuiscono dell’80%, mentre le aggiunte di articoli al carrello degli acquisti aumentano del 9%. Valentina Bernocco
CORSA AI BREVETTI DI DEEP LEARNING Su mille richieste di brevetto depositate nel mondo, nel 2016 solo sei riguardavano soluzioni basate su intelligenza artificiale. Ma la quota dello 0,6%, comunicata dalla United NationsWorld Intellectual Property Organization (Wipo), è appena l'inizio di un percorso che nei prossimi anni vedrà crescere l'interesse delle imprese, delle università e dei governi. Stando ai non aggiornatissimi (ma comunque indicativi) dati dell'associazione, Ibm svetta nella classifica delle aziende con più brevetti di AI registrati o in attesa di approvazione: oltre 8.900. Segue a distanza Microsoft, con più di 5.900 domande depositate. Guardando invece al mondo universitario, colpisce il fatto che tra le venti istituzioni accademiche con all'attivo più richieste ben 17 siano cinesi. “Stati Uniti e Cina sono chiaramente in testa”, ha commentato il direttore generale del Wipo, Francis Gurry. “Sono
in prima linea sia in termini di domande di registrazione sia di pubblicazioni scientifiche”. Fra le aree in forte ascesa c'è il deep learning, l'apprendimento “profondo”: sistemi di ragionamento basati su gerarchie di concetti, utili per processare in poco tempo grandi volumi di dati. Per esempio nel riconoscimento delle immagini, nella visione artificiale, nella comprensione del linguaggio naturale, nell'analisi di attività Web e dei social media e altro ancora. Nel 2013 si contavano solo 118 richieste di brevetto per tecnologie di questo tipo, tre anni dopo quasi 2.400. Recentemente il deep learning è stato applicato per la prima volta alla genomica in unostudio condotto da centri di ricerca di Barcellona e Tartu e pubblicato su Nature Communications: nel Dna di abitanti dell'Asia sono state trovate tracce della discendenza da ominidi vissuti decine di migliaia di anni fa, incrocio tra Neandertaliani e Denisovani.
CHATBOT GIÀ ABILI, MA IL BOOM DEVE ANCORA ARRIVARE Rispondono alle richieste più semplici, analizzano dati di ogni genere, fanno previsioni, e tutto allo scopo di far felici i clienti. Le tecnologie di intelligenza artificiale applicate al customer service stanno prendendo piede, benché il loro percorso di adozione non possa ancora considerarsi a buon punto: in Europa circa tre aziende su dieci hanno già adottato chatbot, algoritmi di apprendimento automatico, sistemi di assistenza al cliente e altri servi-
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zi di customer service basati su AI, stando a un'indagine eseguita da ServiceNow e Devoteam. Lo studio ha raccolto le testimonianze di 770 professionisti It (responsabili delle funzioni di customer service) di società di dieci Paesi europei, scoprendo che finora queste tecnologie stanno facendo un discreto lavoro. Tra le aziende già alle prese con soluzioni di AI per il servizio clienti (il 30% del campione) il 72% sta riscontrando benefici di produttività ed
efficienza, potendo gestire grandi volumi di richieste in meno tempo. Secondo Global Market Insights, il valore di mercato delle tecnologie chatbot crescerà dagli attuali 250 milioni di dollari fino a 1,34 miliardi nel 2024, con un tasso annuo Cagr del 31%. E una stima simile è stata tracciata da I-Com, l’Istituto per la Competitività, secondo cui il giro d’affari mondiale di queste tecnologie raggiungerà quota 1,25 miliardi di dollari nel 2025.
STARTUP & PMI | Perpiciatis BLOCKCHAIN
NELLA LOGISTICA LA SFIDA È L'INTEGRAZIONE Quali sono le potenzialità della blockchain in questo settore? Può essere una vera rivoluzione culturale, che cambia la gestione di flussi logici e fisici di mezzi e persone.
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n questi ultimi anni manager di azienda, operatori e ricercatori parlano di logistica inflazionando termini e sigle come global supply chain, logistica 4.0, collaborazione, sincromodalità e tracciabilità, paperless e così via. La logistica sta sviluppando nuovi modelli di business: asti pensare all’impatto del B2C per tutti gli stakeholder della filiera, incluso il consumatore finale, oggi massimo esperto di logistica perché ne tocca con mano le prestazioni ed è parte integrante e attiva del ciclo di vita del
prodotto. Il servizio può avere un valore superiore al prodotto che trasporta, gestisce a magazzino o confeziona. La blockchain è una tecnologia con potenzialità straordinarie per la logistica. Quest’ultima non può rinunciare a cavalcare questo paradigma, ma la sfida è concreta e non banale. Conosciamo numerose applicazioni della blockchain nella gestione distribuita e condivisa di transazioni finanziarie, di servizi amministrativi o nelle banche. La vera sfida è sviluppare e integrare vecchi e nuovi sistemi sfruttando que-
Riccardo Manzini
via. Per ora si tratta di un manifesto e per raggiungere il traguardo c’è ancora molta strada da fare. Sicuramente la blockchain può essere un valido strumento per arrivare a questo obiettivo. Innovare per favorire i consumatori
sta tecnologia. Ma la logistica non può rinunciare al flusso fisico di materiale. Dal "digital" al "physical" Internet
Non si tratta semplicemente di gestire il flusso informativo bensì di gestire, controllare e ottimizzare l’attività più antica di sempre: muovere e trasportare merci e persone. È molto interessante a tal proposito una filosofia, che coinvolge aziende e ricercatori e che ruota intorno al “physical Internet”, coniato recentemente da un professore canadese. Si tratta di un’idea molto ambiziosa di sistema logistico globale e aperto in grado di favorire l’interconnettività fisica e digitale, rivoluzionando i modelli tradizionali di movimentazione della merce e incrementando esponenzialmente l’efficienza. L’idea di fondo è prendere ispirazione dal "digital" Internet che tutti noi conosciamo e utilizziamo, per lo sviluppo di una rete fisica. Per fare questo gli ideatori suggeriscono alcune leve, quali lo sviluppo di soluzioni modulari e standardizzate per il packaging e il containment, “spacchettando e reimpacchettando” i flussi fisici alla maniera di quelli logici nel Web; il trasporto distribuito e non più punto-a-punto, reti aperte e condivise in sostituzione di quelle private; l’intermodalità è così
La tentazione può essere quella di utilizzare la catena di blocchi per facilitare l’attuale servizio logistico. La vera sfida riguarda invece innovare i processi, le tecnologie, i modelli e metodi di supporto alle decisioni per offrire nuovi servizi di utilità a tutti gli operatori, ottimizzando qualità di prodotto, efficienza logistica, sicurezza e impatto ambientale. Con un controllo trasparente lungo tutta la filiera. A beneficiarne sarà anche e soprattutto il consumatore finale, oggi estraneo
a numerose scelte. Nella distribuzione agroalimentare, per esempio, raramente conosciamo la vera provenienza delle materie prime impiegate nei cibi trasformati che acquistiamo al supermercato, ma presto grazie alla blockchain non ci saranno alibi per non rendere trasparenti le filiere produttive e logistiche. Si consideri la catena del freddo: conosciamo il profilo di temperatura che ha subìto una confezione di yogurt lungo il suo ciclo di vita? Un ciclo di vita che non si completa nelle nostre case. Anche smaltimento e riciclo dei rifiuti sono servizi logistici che coinvolgono numerosi attori e che devono essere controllati, gestiti e ottimizzati con modalità integrate e condivise: nuovi mezzi e sistemi di raccolta, soluzioni di packaging e smaltimento, uso e riciclo.
VERSO UNA NUOVA TRACCIABILITÀ GRAZIE ALL'INTELLIGENZA PREDITTIVA Nelle fattorie viene munto il latte. La produzione viene accompagnata dallo scambio di informazioni con la blockchain, che registra dati sull’animale, luogo di origine, quantità e data in cui il latte raccolto viene spedito verso il passo successivo della supply chain. Tutto viene inserito in un blocco della catena. Una volta arrivato allo stabilimento, il prodotto viene processato e si realizza lo yogurt. Un nuovo blocco aggiunto alla blockchain contiene la località dello stabilimento, le condizioni in cui le materie prime sono state processate per ottenere il prodotto finito, la sua qualità e le macchine utilizzate. Lo yogurt viene quindi inviato al magazzino, all’interno del quale si monitorano il tempo trascorso in stock, le temperature di conservazione, il livello di umidità. In base alla domanda dei
retailer, il prodotto viene caricato su un mezzo di trasporto e spedito al punto di domanda. Al flusso delle merci fa seguito quello informativo, che attesta fra le altre cose la modalità di trasporto, le condizioni climatiche e la durata del viaggio. È così possibile segnalare subito situazioni avverse, evitando la rottura della catena del freddo. Con una serie di sensori climatici, strumenti per l’instradamento, modelli per la gestione dei flussi fisici e informativi generati nella filiera, stime della qualità del prodotto, il Food Supply Center dell’Università di Bologna è in grado di seguire il bene dall’origine al consumo e di suggerire strategie appropriate per la gestione della supply chain, certificando il livello qualitativo e il rispetto di normative e standard di prodotti deperibili e non.
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Si pensi, per fare un altro esempio, alla municipalizzata di una grande metropoli europea al servizio di centinaia di migliaia di utenti, alle strade diversamente e difficilmente agibili di un centro storico, alle condizioni del meteo e del traffico. Il rifiuto è un prodotto deperibile. La sfida è grande e la blockchain può sostenerla. Questa immagine mostra la natura, la molteplicità e l’interazione dei numerosi parametri coinvolti nella logistica di un complesso sistema produttivo e distributivo di filiera, dal campo al consumatore finale, includendo le variabili climatiche e fisico ambientali, quelle di packaging, stoccaggio, trasporto e così via. Uno sforzo condiviso
Il centro di ricerca Food Supply Chain dell’Alma Mater di Bologna è impegnato in questa sfida epocale e concreta, raccogliendo e affrontando la massima complessità espressa dalle filiere deperibili del food, del farmaceutico, dei rifiuti e dei prodotti non degradabili. Lo spazio di crescita e innovazione è senza limiti. Serve incentivarlo e cavalcarlo. Per fare questo abbiamo bisogno di uno sforzo condiviso, multidisciplinare e culturale che non
chieda solo il contributo dell’ingegnere informatico o dell’esperto di database, ma di numerose altre figure che spaziano dagli sviluppatori di nuove tecnologie informatiche, di soluzioni per l’automazione (ad esempio per l’handling logistico, lo stoccaggio, la movimentazione e il trasporto) e la guida autonoma, di esperti di machine learning e data analytics. Senza dimenticare ingegneri che sviluppino nuove tecnologie e sensori per la tracciabilità, oltre a matematici impegnati nella creazione di modelli e sistemi esperti per l’ottimizzazione delle decisioni. Non possono infine mancare il tecnologo di filiera, i professionisti che analizzano la sicurezza di prodotti, processi e sistemi e studiosi della privacy. In questi anni in cui tutto è cloud, la vera sfida è mantenere e innovare la concretezza del fluire fisico della merce e dei passeggeri a beneficio dell’ambiente e dell’uomo, per una sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Riccardo Manzini, direttore Food Supply Chain Center dell'Università di Bologna Riccardo Accorsi, chair di Wine & Food Supply Chain Council Andrea Gallo, PhD student dell'Università di Bologna
FILIERA INCATENATA Come si possono tracciare al meglio i prodotti della filiera alimentare? Con la blockchain. È questa l’idea di Carrefour, primo grande distributore ad aver utilizzato la catena di blocchi in Italia per questo scopo. In particolare, l’azienda è in grado di tracciare arance tarocco e limoni siciliani per consentire ai clienti di conoscere fin nel minimo dettaglio la storia dei beni alimentari, dal campo al supermercato. Un codice Qr applicato sull’etichetta dei prodotti contiene tutte le informazioni dinamiche e specifiche su ogni lotto: agrumeto di provenienza, nome dell’azienda agricola, data di raccolta e così via. I dati, resi immodificabili dalla registrazione sulla blockchain, vengono visualizzati su smartphone, in seguito alla scansione del codice Qr, all’interno di un’interfaccia realizzata da Carrefour.
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TRANSAZIONI PIÙ TRASPARENTI Oltre tre milioni di transazioni gestite sul Forex e più di 150mila pagamenti, per un valore di 250 miliardi di dollari. Sono questi i numeri di Fx Everywhere, soluzione di Hsbc basata sulla tecnologia dei registri distribuiti, lanciata lo scorso anno e in grado di raggiungere in poco tempo cifre importanti. L’istituto di credito britannico, primo in Europa per capitalizzazione, ha utilizzato la piattaforma per coordinare i pagamenti attraverso i propri bilanci interni, ottenendo vantaggi di singolarità, trasparenza, e immutabilità dei dati, oltre all’automazione di molti processi manuali. Dopo l’integrazione nei propri sistemi, Hsbc sta valutando come la blockchain possa aiutare anche i grandi clienti internazionali nella gestione dei flussi di cambio e delle operazioni in valuta estera. Un mercato stimato in diverse migliaia di miliardi di dollari.
LA TECNOLOGIA INCORRUTTIBILE AL SERVIZIO DEI TRASPORTI I processi poco standardizzati del settore logistico possono trovare efficienza adottando la blockchain.
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er diversi anni, le imprese e in alcuni casi interi settori sono stati costruiti sul semplice principio della fiducia tra le parti. Tuttavia, questo modus operandi è in fase di cambiamento grazie alla blockchain, che consente di registrare le transazioni in modo sicuro e permanente. Con la condivisione del database, la tecnologia elimina il bisogno di intermediari che in passato entravano nella rete come terze parti con il compito di verificare, registrare e coordinare le transazioni. Facilitando il passaggio da un sistema centralizzato a uno decentralizzato, la blockchain “libera” in modo efficace i dati (cifrati), precedentemente conservati in silos protetti, genera un risparmio di tempo e di denaro e garantisce maggiore trasparenza e sicurezza. Ma quali sono i cambiamenti fondamentali che la catena di blocchi ha apportato al settore dei trasporti e della logistica? Innanzitutto, va considerato che, a causa della sua natura frammentata e competitiva, il comporato è caratterizzato da scarsa trasparenza, da processi non standardizzati, da silos di dati e da diversi livelli di tecnologia adottata. Questo perché le parti, che vanno a costituire la catena di valore, sono ancora profondamente legate a processi manuali
Gianandrea Ferrajoli
imposti dalle autorità di regolamentazione. Per esempio, molte aziende devono spesso affidarsi all’inserimento manuale delle informazioni e alla documentazione cartacea per aderire alle procedure doganali. I grandi colossi delle spedizioni, per restare competitivi e rispondere con efficacia alle richieste di consumatori sempre più esigenti in seguito all’affermazione dell’e-commerce, devono però essere rapidi. Digitalizzazione, Internet of Things, intelligenza artificiale, Big Data e blockchain alimentano la quarta rivoluzione industriale e si stanno rivelando sempre più importanti nell’evoluzione nel settore della logistica e dei trasporti. I registri distribuiti garantiscono la trasparenza dei dati e la possibilità di accesso a tutte le parti della supply chain, creando una “unica fonte di verità”: questo perché la fiducia necessaria è rafforzata dai meccanismi di sicurezza intrin-
seci nella blockchain. Inoltre, questa tecnologia fa risparmiare perché crea processi più snelli, più automatizzati e privi di errori. Moltissimi progetti utilizzano oggi questa tecnologia “incorruttibile” per migliorare la trasparenza della catena di distribuzione e per monitorare in modo efficiente la provenienza dei beni acquistati: i dati, infatti, diventano permanenti e facilmente condivisibili, dando alle parti interessate possibilità di tracciamento e tracciabilità più complete che mai. Le aziende possono così fornire prove di legittimità che offrano valore aggiunto, dal momento che i consumatori possono scoprire di più sui prodotti comprati (originalità, eticità di acquisto e condizioni di conservazione) e sulle modalità di trasporto. I grandi e piccoli spedizionieri devono diventare sempre più consapevoli, proprio come lo è oggi il consumatore: non più entità passiva, ma attore informato. È importante per ogni azienda trasmettere fiducia ai propri stakeholder per non inciampare in pratiche che vanno a deteriorare i principi etici a cui ognuno di noi dovrebbe aderire. Rendere accessibile ogni informazione è soltanto un trampolino di lancio: capire da dove e come provenga ogni acquisto è solo un piccolo passo verso un consumo responsabile e sostenibile. Gianandrea Ferrajoli, amministratore delegato di Mecar, vicepresidente Cecra Bruxelles, presidente di Federauto Trucks
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FATTURAZIONE ELETTRONICA
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SUPPLY CHAIN IN PALMO DI MANO L’azienda del ravennate progetta, fabbrica e vende cavi e fili elettrici. I palmari TC8000 di Zebra hanno velocizzato i magazzinieri e reso trasparente l’intero ciclo di vita delle merci.
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l mondo dei cavi è molto più complicato di quanto possa immaginare chi non è addetto ai lavori: tra sigle, materiali conduttori e isolanti, certificazioni, destinazioni d’uso e variabili tecniche, l’offerta di un’azienda come General Cavi è incredibilmente segmentata. Fondata nel 1984 a Lavezzola di Conselice, nel ravennate, l’impresa è specializzata in progettazione, produzione e vendita di un’ampia gamma di cavi e fili per conduttori e prodotti elettrici, occupandosi quindi anche di complesse attività di ricezione, movimentazione interna, inventario, controllo qualità, selezione e spedizione. Recentemente ha fatto un salto di qualità: ha aggiornato il proprio software di gestione del magazzino così da poter impiegare per gli inventari e per il tracciamento delle merci dei dispositivi più al passo con i tempi, basati su sistema operativo Android. Gli scanner portatili per la lettura dei codici a barre tramite Rfid (identificazione con radio frequenza) non sono certo una novità nella logistica, ma la necessità di General Cavi era quella di dotarsi di una specifica tecnologia, più performante, veloce e comoda da usare della precedente. Questo avrebbe permesso di essere più produttivi, di risparmiare e di stare al passo con la domanda nei momenti di picco. L’azienda ha quindi scelto di accogliere in sei dei propri magazzini i TC8000 di Zebra, dispositivi con scanner integrato e schermo touch da 4 pollici. “Lavorando in collaborazione con il nostro partner Bancolini Symbol, siamo diventati la prima azienda in Italia ad adottare i computer palmari TC8000 di Zebra”, commenta Pierluigi Zangrillo, Edp manager di General Cavi. “I nostri team hanno
LA SOLUZIONE Indossabili al polso o montati su supporto, i palmari TC8000 hanno uno schermo tattile Lcd da 4 pollici, una batteria da 6.700 mAh, una fotocamera da 8 megapixel e un lettore per codice Rfid integrato. La configurazione scelta da General Cavi prevede lo scanner di fascia media omnidirezionale SE4750. I dispositivi sono certificati IP65.
imparato a usare i dispositivi molto facilmente proprio perché sono stati disegnati e progettati su misura per loro. Il sistema operativo Android, la connettività wireless, il Web browser e la velocità del processore sono eccellenti”. Rispetto alla precedente soluzione in uso, i nuovi palmari garantiscono diversi vantaggi: sono più leggeri (dunque affaticano di meno chi debba tenerli in mano per parecchie ore al giorno), hanno uno schermo più ampio (su cui è facile digitare) e ben leggibile anche sotto la luce diretta del sole (per essere usati anche all’esterno), possono contare su una batteria a maggior durata e su una seconda di riserva (che può essere sostituita “a caldo”, senza spegnere e riavviare il dispositivo). I “computer da magazzino” hanno permesso di velocizzare le operazioni di routine, a cominciare naturalmente dalla lettura dei codici Rfid integri ma anche di quelli danneggiati. La tracciabilità della supply chain e il controllo qualità hanno beneficiato anch'essi del cambiamento, dato che ogni tag Rfid acquisito dallo scanner viene inviato immediatamente ai sistemi gestionali aziendali attraverso la rete wireless del magazzino. Fra le altre cose, è diventato molto più facile e veloce richiamare un prodotto, potendo conoscere istantaneamente la sua collocazione. Tutto questo per General Cavi si è tradotto in un incremento di produttività sensibile, stimato fra il 10% e il 15%, dato che ciascun dipendente velocizzandosi “guadagna” circa un’ora al giorno. Alla luce dei risultati ottenuti, l’azienda ha cominciato a usare i palmari di Zebra anche per tracciare le materie prime nei passaggi di pre-produzione della supply chain. MARZO 2019 |
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ECCELLENZE.IT | Flou
IL DESIGN ITALIANO DORME SONNI TRANQUILLI L’azienda produttrice di mobili e complementi d’arredo ha adottato i firewall e la protezione endpoint di Fortinet per proteggere i dati e il regolare svolgimento delle attività.
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esign e arredamento di lusso hanno bisogno di sicurezza. Per chi, come Flou, ha a che fare con dati di progettazione e di produzione, con proprietà intellettuale da tutelare e flussi di lavoro che non possono interrompersi, è fondamentale mantenere il controllo e saper reagire prontamente a eventuali problemi. Creata nel 1978 a Meda, in Brianza, e ancora oggi gestita dalla famiglia del fondatore, Rosario Messina, Flou è sinonimo di mobili e complementi d’arredo di alta qualità: il suo suo simbolo più noto agli amanti del design è probabilmente Nathalie, il letto con struttura ricoperta in tessuto creato dall’architetto Vico Magistretti e ancora in gamma, ma l’offerta comprende 136 modelli di letto, altrettanti tra divani e poltrone, e centinaia di varianti di tessuti e rivestimenti in pelle. Un’offerta messa in vetrina in due showroom monomarca, a Milano e New York, e commercializzata in una cinquantina di Paesi. Recentemente l’azienda ha sentito la necessità di modificare la propria strategia di cybersicurezza. “Le nostre informazioni e i nostri dati critici transitano su una serie di canali”, racconta l’It manager, Simone Raimondi. “Abbiamo l’esigenza di proteggere i dati sensibili relativi a prodotti che sviluppiamo in collaborazione con designer di fama internazionale. Ma ci interessa anche
evitare che la produzione possa fermarsi”. L’azienda utilizzava e utilizza diverse reti: una dedicata alle macchine industriali (che necessitano di particolare protezione, non avendo sistemi di sicurezza integrati), una per i dipendenti e una per i visitatori. A difesa dell’intero perimetro impiegava la tecnologia di firewall “next generation” di Fortinet, che ha rappresentato la premessa di un successivo progetto durato circa sei mesi. “Siamo un ecosistema composto da molte entità produttive, commerciali e di progettazione”, spiega Raimondi, “quindi avevamo bisogno di gestire la sicurezza in modo diverso, non soltanto con un firewall ma anche attraverso la rete WiFi. Dopo una fase di valutazione abbiamo scelto di avvalerci della tecnologia di Fortinet perché la filosofia di questo vendor è quella di proporre una piattaforma di soluzioni che lavorano in modo coordinato”. Sfruttando i momenti di fermo della produzione, con la collaborazione del system integrator Wellcomm, la rete è stata riconfigurata e segmentata attraverso la creazione di Vlan (Virtual Local Area Network). “Se in pre-
cedenza era una protezione perimetrale, ora il firewall difende i singoli dipartimenti”, sottolinea l’It manager. Associando il “muro” del firewall alla protezione degli endpoint, inoltre, Flou ha adottato un approccio preventivo alla sicurezza e si è garantita una soluzione scalabile e modificabile nel tempo, in base alle necessità. LA SOLUZIONE Per la protezione degli endpoint è stato adottato il software FortiClient, che svolge funzioni di monitoraggio, protezione malware, gestione delle vulnerabilità, accesso remoto tramite Vpn, condivisione di dati di telemetria. Al posto di un unico firewall perimetrale, ora i sistemi modulari FortiGate proteggono i singoli dipartimenti, eseguendo un’opera di analisi delle minacce e consentendo la gestione unificata e la visibilità sulle reti.
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ECCELLENZE.IT | Axa Italia
LA NUOVA VITA DEL SERVIZIO CLIENTI In Italia il colosso delle assicurazioni ha centralizzato le attività di customer service con una soluzione personalizzata, basata sulla piattaforma Crm di Salesforce. LA SOLUZIONE Axa Italia ha sviluppato una piattaforma di customer service centralizzata, basata sul modulo Service di Salesforce ed erogata in cloud. Attualmente la soluzione gestisce dalle 700mila alle 800mila richieste all’anno, raccolte da punti di contatto e canali differenti, e viene fruita da circa 400 utenti tra addetti alle customer operations e i secondi livelli delle strutture assuntive.
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n colosso da 160mila dipendenti al servizio di 105 milioni di clienti in 62 Paesi che acquistano polizze dedicate alla protezione della persona, della famiglia, dell’impresa, del patrimonio e dei beni: i numeri del gruppo Axa parlano da soli. E anche quelli del ramo italiano dell'attività sono di tutto rispetto, visti i quattro milioni di clienti, le 650 agenzie presenti sul territorio e i 4,7 miliardi di giro d'affari annuo. Va da sé che il customer service sia una componente sostanziosa e strategica, considerate le dimensioni del business di Axa ma anche la sua natura. Nel 2015 è dunque partito un progetto teso a creare un’unica struttura di customer service italiana, dalla quale poter gestire tutte le esigenze degli utenti e delle reti di distribuzione, dunque sia le richieste dei consumatori sia quelle di clienti corporate e intermediari (banche e agenti). “La situazione di partenza”, racconta Paola Bonfiglio, head 60 |
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of customer relations & telesales di Axa, “era caratterizzata da processi frammentati negli uffici tecnici assuntivi, assenza o comunque non adeguatezza degli strumenti di tracciatura delle richieste, un approccio complessivo per ticket e non per cliente. Il modello doveva essere customer-centrico, basato su un Crm semplice che consentisse di avere una scheda cliente e la contact history integrata sui diversi canali”. Per realizzare l’obiettivo era necessario adottare un sistema che permettesse di tener traccia di tutte le interazioni di ciascun cliente e che fosse flessibile nella capacità di gestire richieste e workflow di vario tipo. “A livello di gruppo erano state selezionate alcune opzioni, tra cui Salesforce”, spiega Bonfiglio. “La loro soluzione aveva tutte le caratteristiche che ci servivano: semplicità d’uso, interfaccia utente intuitiva, flessibilità, predisposizione a essere adattata ai nostri processi. Abbiamo potuto configurarla secondo le nostre esigenze”.
Il “nucleo” della nuova soluzione è stato realizzato con un lavoro di quattro mesi, tra analisi, definizione dei processi, implementazione e test sul modulo di Salesforce. Da quel momento lo strumento ha continuato a essere arricchito e ampliato, secondo un modello di sviluppo Agile. “Il progetto è in continua evoluzione”, sottolinea la head of customer relations & telesales, “e non tutti i touch point del cliente sono già stati integrati all’interno dello strumento. Il nostro obiettivo finale è quello di raccoglierli tutti, ottenendo una completa storia del cliente”. Tra i futuri sviluppi previsti per la soluzione ci sono l’integrazione di strumenti di analytics evoluti e l’aggiunta di capacità di intelligenza artificiale e analisi predittiva. Ma nel frattempo l’abbandono dell’ormai desueto strumento di ticketing in favore di un Crm moderno e personalizzato ha già prodotto benefici evidenti, grazie alla gestione più efficiente delle richieste e dei contatti con i clienti.
La FUtura GENerazione degli investimenti è arrivata.
L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE AL SERVIZIO DELLA FINANZA Due comparti long/short che investono nei principali mercati (Azionario, Obbligazionario, Forex, Materie Prime).
INNOVAZIONE
TRADIZIONE
QUANT – MACHINE LEARNING
OPPORTUNISTIC
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VETRINA HI-TECH
ARLO ULTRA 4K HDR
BTICINO LIVING NOW
La risoluzione 4K Hdr si affianca alla visione notturna a colori, al campo visivo panoramico a 180 gradi, all’audio bidirezionale e a un sistema di cancellazione del rumore avanzata. La nuova serie di videocamere di sorveglianza top di gamma di Arlo permette di installare in casa dispositivi di monitoraggio affidabili e con una qualità visiva elevata. Lo SmartHub inoltre funziona come “fulcro” della casa intelligente, grazie alla possibilità di controllare una gamma sempre più ampia di dispositivi domestici di terze parti. Le telecamere Ultra, compatibili anche con Apple HomeKit, sono in vendita insieme allo SmartHub a 499,90 euro.
La casa si controlla con le parole grazie a Bticino. L’azienda varesotta ha arricchito la propria linea di prodotti Living Now con un nuovo comando con assistente vocale integrato. Un dispositivo premiato con l’Innovation Award 2019 all’ultimo Ces di Las Vegas, che permette di attivare e monitorare tutte le funzioni connesse dell’abitazione, inclusi riscaldamento, luci, tapparelle e prese elettriche. La soluzione può essere gestita via smartphone tramite l’App Home + Control e con gli assistenti vocali di Amazon, Apple e Google.
HP ELITEBOOK X360 G5 La parola chiave per descrivere il nuovo notebook da 13,3 pollici di Hp è una sola: luminosità. Il Pc ha infatti uno schermo Full Hd (opzionale) da 1.000 nit, parametro che eguaglia quello di molti televisori Hdr di fascia alta, a cui si aggiunge la terza generazione della tecnologia Sure View, che con un click permette di ridurre l’angolo di visione del display per aumentare la privacy. Disponibile anche un pannello standard 1080p Ips touch screen da 220 nit. Il nuovo Elitebook X360 G5 impiega processori Intel Core fino al modello i7 e grafica integrata Uhd Graphics 620. Presenti due porte Usb 3.1, due Usb Type-C, una Hdmi e uno slot per nano Sim. Il tutto per 1,3 chili di peso e 1,8 centimetri di spessore massimo.
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DEVOLO MAGIC Rivolti anche agli utenti più esigenti, gli adattatori Devolo Magic rendono possibile in tutta semplicità la trasmissione multipla di video 4K in ogni ambiente domestico, per coprire anche le aree della casa normalmente non raggiunte dal segnale Wi-Fi del router. Gli adattatori funzionano su linee elettriche lunghe fino a 500 metri, consentendo di convertire una qualsiasi presa di corrente in un punto di accesso a Internet ad alta velocità. Tutti i dispositivi sono dotati di mesh Wi-Fi e le funzionalità di roaming assicurano che ogni oggetto connesso sia sempre collegato all’hotspot potente, garantendo così sempre il massimo delle prestazioni. Si parte da 65 euro per il singolo adattatore da 1.200 Mbps.
PANASONIC HF410B Le cuffie wireless bluetooth Hf410b di Panasonic hanno una struttura over-ear pieghevole caratterizzata da due unità driver da 30 millimetri con magnete al neodimio, per offrire una resa limpida e potente dei bassi e della voce con distorsione ridotta. Sono dotate di una batteria ricaricabile che, secondo quanto dichiara l’azienda, garantirebbe una riproduzione ininterrotta di 24 ore. Inoltre, tramite la funzione di attivazione dell’assistente vocale è possibile usare il vivavoce direttamente dallo smartphone. Sono disponibili nei colori nero, blu navy, verde militare e rosso magenta.
HONOR VIEW 20 Honor batte la concorrenza sul tempo presentando il primo smartphone con sensore fotografico da 48 megapixel, prodotto da Sony. Il cellulare, inoltre, dà il la (insieme ai Samsung Galaxy A8s e Huawei Nova 4) alla moda dei display forati: niente più notch per ospitare il blocco ottico, bensì un vero e proprio foro nell’angolo superiore sinistro del pannello. Il View 20 è caratterizzato da un generoso schermo Lcd da 6,4 pollici, chip Kirin 980, batteria da 4.000 mAh e fino a 256 GB di storage. Il prezzo, rispetto alla media di Honor, è sicuramente importante: 699 euro.
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VETRINA HI-TECH
TCL ES56 Un prodotto pensato soprattutto per un pubblico giovane e abituato alla visione di contenuti in streaming, che si controlla con Google Assistant e integra algoritmi di intelligenza artificiale che migliorano l’esperienza d’uso. Al la base del nuovo televisore da 32 pollici della serie Es56 del colosso cinese Tcl c’è il sistema operativo Android Tv 8.0, con tutto il suo ampio ecosistema di applicazioni e di funzionalità simili a quelle degli smartphone. Disponibile anche nella versione da 40 pollici (Es58) con pannelli con risoluzione Hd e Full Hd.
ASUS VIVO WATCH BP Con il nuovo smartwatch di Asus il monitoraggio della pressione sanguigna è sempre a portata di polso. Il dispositivo della casa taiwanese integra infatti sensori che, insieme alla tecnologia proprietaria HealthAi, controllano costantemente i valori pressori e altri parametri di salute come la frequenza cardiaca e il sonno. Non manca ovviamente la possibilità di misurare le prestazioni durante gli allenamenti. L’interazione con il dispositivo è semplificata dall’applicazione HealthConnect, per Android e iOs, e la batteria dura 28 giorni. L’orologio è venduto a 199,90 euro.
MICROSOFT SURFACE Disponibili ora anche in Italia, le nuove versioni dei device Microsoft Surface si contraddistinguono, almeno a livello di proposizione commerciale, per una più netta suddivisione tra mercato consumer e business. Tre le novità, già presentate lo scorso ottobre negli Stati Uniti e disponibili ora anche nel nostro Paese: Surface Studio 2, Surface Laptop 2 e Surface Pro 6. Quello che colpisce delle nuove macchine, al di là del doveroso aggiornamento dei processori (ora i nuovi modelli montano chip Intel di ottava generazione), è l’attenzione ai dettagli sia estetici sia funzionali, come audio e display. I pregi più evidenti dei nuovi dispositivi sono la leggerezza e la versatilità; l’unico punto debole è la mancanza, al momento, di un’opzione Lte (presente solo sul Surface Go e sul Surface Pro 5).
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DELL LATITUDE 7400 2-IN-1 I nuovi 2-in-1 business di Dell non perdono di vista i movimenti dell’utente nemmeno per un istante. Caratterizzati da un design parzialmente mutuato dalla famiglia Xps, con cornici molto ridotte, i Pc sfruttano un sensore gestito dalla tecnologia Intel Context Sensing e da Windows Hello per attivarsi in autonomia quando l’utente si siede di fronte allo schermo. Viceversa, quando si allontana il sistema si sospende automaticamente. Lo schermo da 14 pollici con risoluzione Full Hd (1.920 x 1.080 pixel) è touche e supporta l’uso di un pennino stylus. Il Latitude 7400 impiega processori Intel Core di ottava generazione, un massimo di 2 TB di storage e fino a 16 GB di memoria Ram.
WD MY PASSPORT GO È l’ultimo arrivato nella famiglia di drive portatili My Passport. Disponibile nei tagli da 500 GB e 1 TB, questa soluzione di archiviazione a stato solido offre velocità di trasferimento massime di 400 megabyte al secondo. L’interfaccia è Usb 3.0 e il dispositivo è compatibile con Windows 7 e seguenti e con macOs Mojave e versioni successive. Il drive è racchiuso in un rivestimento in gomma che lo protegge da cadute fin da due metri d’altezza.
SONY α6400
Per conquistare i cuori degli appassionati, la nuova mirrorless della casa giapponese punta tutto sulle prestazioni e sull’intelligenza artificiale. Sony promette infatti una velocità di acquisizione dell’autofocus di soli 0,02 secondi, con 425 punti Af a rilevamento di fase e 425 punti Af a rilevamento di contrasto. Interessanti gli algoritmi di intelligenza artificiale integrati, capaci di rilevare ed elaborare i dati visivi all’istante. La funzione “Real-time Eye Af” individua in automatico gli occhi del soggetto per mantenere costante la messa a fuoco, mentre il “Real-time Tracking” elabora colori, distanza dei soggetti e pattern per garantire che tutti i soggetti vengano ritratti con la miglior precisione possibile. L’α6400, dotata di sensore Aps-C da 24,2 megapixel, costa 1.050 euro (solo corpo).
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www.technopolismagazine.it
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NUMERO 37 | MARZO 2019
STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE
L’ITALIA NELL’ARENA DELL’IMPRESA 4.0 STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE
La trasformazione digitale è un passaggio obbligato, ma molte aziende sono ancora ferme. Le misure della manovra 2019 e gli impegni del governo.
TENDENZE HI-TECH MARZO 2019
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Dal 5G all'intelligenza artificiale, fino al quantum computing: che cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi anni?
FINTECH, È BOOM
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Dopo la crescita esplosiva delle startup è arrivato il momento della collaborazione tra soggetti nuovi e tradizionali.
GDPR E SICUREZZA L'adeguamento alle nuove regole europee sulla privacy è ancora in corso. Già si vedono i primi benefici, ma anche criticità.