Ies Industria e Sviluppo n.2 2016 - La nuova geografia della Toscana

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ies Industria e Sviluppo

ANNO VIII - N. 2 maggio-agosto 2016

quadrimestrale di informazione, opinione, economia, impresa Confindustria Firenze, Livorno, Massa Carrara, Toscana Nord, Toscana Sud

L A N U O VA GEOGRAFIA DELLA TOSCANA FRANCESCO BUTINI Una nuova geografia del potere ENRICO ROSSI L’Italia cambia, cambia la Toscana CONFINDUSTRIE TOSCANE - I PRESIDENTI Dalle aggregazioni lo sprint per crescere

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di Francesco Butini Istituto di Studi politici “Renato Branzi”

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sistono due tipi ricorrenti di bizzarrie nel dibattito italiano. La prima consiste nel modellare le istituzioni democratiche in funzione quasi esclusiva del loro costo. La democrazia ha sicuramente un costo. Sarebbe un bene ridurla per risparmiare? Il populista risponderebbe sempre di sì. Ma un conto sono i costi, e un altro sono gli sprechi. La seconda bizzarria consiste nell’infinita discussione sul debito italiano. Più si discute di

riduzione dei costi e della spesa pubblica, e più cresce il debito pubblico, inanellando nuovi record nonostante i bassi tassi d’interesse vigenti (a gennaio 2016 siamo al record di 2.191,5 miliardi di euro). In verità, quello che sembra emergere in nome e per conto della riduzione dei costi è la modificazione della geografia del potere. Più si attira l’attenzione sui costi, più cresce la distrazione verso le nuove mappe del potere.

La nuova geografia del potere tende a essere sempre più centralista. Più si accrescono le dinamiche di frammentazione nella società, più si manifestano risposte di accentramento nel potere. S’intendono così cancellare istituzioni intermedie come le province. In qualche caso, come Firenze, introducendo la Città Metropolitana. In alcune zone della Toscana s’intraprendono fusioni tra comuni. Si riducono (fino ad arrivare a una

ipotizzata cancellazione e concentrazione unica a livello regionale) enti intermedi come le Camere di Commercio. In campo sanitario si avvia una riforma che riduce da dodici a tre le aziende sanitarie in Toscana. Si accorpano associazioni private come quelle confindustriali: Arezzo Siena e Grosseto hanno già costituito la Confindustria Toscana Sud, mentre Lucca Pistoia e Prato hanno creato la Confindustria Toscana Nord, e le altre puntano subito a un’u-


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nica aggregazione regionale. Viviamo un tempo nel quale il potere tende dunque a concentrarsi. Con qualche affanno, in campo economico e finanziario, per le capacità toscane di mantenere il controllo sui centri di potere che agiscono nella nostra regione. Basti guardare alla geografia del potere bancario: in Toscana è cambiata, e continuerà probabilmente a cambiare nell’ottica non solo della concentrazione, ma anche del controllo esterno al territorio. Da tempo la Banca Toscana non esiste più, fusa dentro quel Monte dei Paschi che a sua volta è alla ricerca di nuovi investitori e di gruppi bancari disponibili a entrare (e a controllare?). La Cassa di Risparmio di Firenze è concentrata dentro il gruppo Intesa Sanpaolo. Le Casse di Risparmio di Pisa, Lucca e Livorno sono concentrate nel gruppo Banco Popolare, a sua volta in procinto di procedere con la fusione con la Banca Popolare di Milano. La nuova Banca Etruria è in attesa di nuovi compratori. Perfino le banche di credito cooperativo hanno recentemente avviato un processo di aggregazione. Concentrazione del potere economico-finanziario e progressiva perdita del controllo su di esso da parte del sistema toscano sono fenomeni che si

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La città metropolitana di Firenze ha sostituito nel 2015 la provincia di Firenze. Occupa un’area di 3.514 km² e raccoglie (dato 2015) 1,012 milioni di abitanti

rilevano anche nei trasporti e in alcune infrastrutture. Con ricadute anche positive per la Toscana e per i suoi cittadini: una cosa sono gli assetti del potere, e una cosa sono le ricadute sul sistema. D’altra parte nei secoli scorsi grandi innovazioni economiche e civili furono importate in Toscana dagli austriaci degli Asburgo-Lorena. Così oggi siamo arrivati finalmente ad avere una società unica degli aeroporti toscani. Ma la maggioranza del capitale sociale della Toscana Aeroporti S.p.A. parla in argentino. Anche il trasporto pubblico locale in Toscana presenta oggi una società unica come gestore del servizio: ma il capitale della società unica Autolinee Toscane S.p.A. parla francese (Groupe

RATP). Per quanto concerne la portualità toscana, pure la geografia sembra confondersi. Se da una parte i porti di Livorno, Piombino, Portoferraio e Rio Marina sono accorpati al fine di costituire un’unica Autorità di Sistema Portuale del Mare Tirreno Settentrionale, dall’altra il porto di Carrara va ad accorparsi con quello di La Spezia, fuori dunque dalla regione Toscana. Problema di confini, problema politico-economico, problema di priorità. Davanti ad un panorama del genere, nel quale si sovrappongono geografie diverse sullo stesso territorio a seconda delle istituzioni e degli enti, accanto alla concentrazione del potere si staglia sempre più un

Cambia anche la geografia del potere bancario: non solo nell’ottica della concentrazione, ma anche del controllo esterno al territorio

altro elemento caratterizzante la stagione odierna: l’assenza di un disegno organico della riorganizzazione delle istituzioni e dei corpi intermedi. In altre parole, c’è più potere che politica. Il rischio della confusione, per taluni una conclusione già avverata mentre per altri solo un pericolo da sventare, viene riconosciuto dallo stesso presidente della Regione Toscana nell’intervista pubblicata nella nostra rivista. “Le Province erano l’unità di misura in base alla quale si sono organizzati tutti i corpi sociali intermedi” dice il presidente Rossi. Giusto. Potremmo dire: lo Stato e le sue articolazioni territoriali avevano un senso organico, su cui la società civile si era modellata e organizzata da decenni. L’abolizione delle Province è stata il frutto di un nuovo disegno organico dello Stato o solo un’improvvisazione frutto della rincorsa verso le attese popolari? La confusa e spesso contraddittoria riaggregazione territoriale di molti corpi intermedi farebbe pensare più all’improvvisazione che a un pensiero organico e compiuto. Tanto che la Toscana, a detta del suo Presidente, starebbe ipotizzando di realizzare l’idea di “zona” per introdurre elementi di sintesi che si stanno perdendo: al posto di dieci province ci saranno venticinque zone. Con la differenza, sostanziale, che le province erano elette dai cittadini, le zone probabilmente no. Insomma, il potere si concentra.


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di Giuseppe Di Blasio, responsabile Qn economia e lavoro

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alle Province alle Camere di Commercio, dalle associazioni di categoria ai Comuni, dalle aziende sanitarie fino alle Regioni: nell’era delle riforme istituzionali, che cancellano il Senato e altri organi nati con la Costituzione, anche la geografia degli enti locali è in subbuglio. Bisogna ridisegnare le carte, come accadde ai protogeografi che si imbatterono nel nuovo mondo. Nella categoria dei cartografi istituzionali, rientra a pieno titolo il governatore della Toscana, Enrico Rossi. Sia per la rivoluzione delle Province, delle Asl e delle unioni di Comuni; sia per la sua proposta, che sta raccogliendo diversi con-

sensi, di dar vita alla macroregione dell’Italia centrale. Presidente Rossi, qual è la nuova geografia della Toscana che ha in mente? Non le sembra che sia difficile già portare a casa l’abolizione delle Province? «Siamo stati tra i primi ad attuare compiutamente la riforma delle Province. Per questo alla Regione Toscana sono passate competenze cruciali. A cominciare da tutte le autorizzazioni in materia ambientale, che non è poca cosa. C’erano tante differenze tra le varie Province, interpretazioni variegate dei tecnici; ora le autorizzazioni saranno meno soggette alle pressioni

locali. La Regione ha preso in carico anche la formazione professionale. Toccherà a noi fare i bandi, decidere l’erogazione dei finanziamenti e i criteri per le assegnazioni. Infine l’agricoltura: alle Province rimanevano i regolamenti di caccia e pesca, ora sono competenza della Regione. C’erano più regolamenti che Province, una babele confusa. L’ultima competenza, in accordo con il Governo, è la gestione dei centri per l’impiego». Lei considera la riforma già conclusa; ma non resta il nodo dei dipendenti delle Province da assorbire? «La Toscana è una delle poche regioni ad aver sciolto

questo nodo. Con un migliaio di dipendenti in più degli enti scomparsi, abbiamo raddoppiato il nostro carico di personale. E al numero vanno aggiunti altri settecento dipendenti dei centri per l’impiego». Non state ricreando un moloch regionale, un carrozzone centralizzato con troppe funzioni? «No, perché siamo già nella fase successiva. Quella che deve trovare la risposta su come organizzare i servizi sul territorio, per non avere troppa distanza dai cittadini. La nostra scelta, maturata dopo incontri con i Comuni e uno studio affidato all’Irpet, è la dimensione di zona. Un di-


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stretto che metta insieme più Comuni, che sia meno grande delle Province scomparse, dove trovare gli sportelli per ognuna delle funzioni che sono passate in carico alla Regione. L’obiettivo è creare venticinque zone in Toscana, organizzazioni più vicine ai sindaci e ai cittadini, con la responsabilità accentrata a livello regionale per garantire uniformità e regole istituzionali uguali per tutti. Anche questo sarà un passaggio cruciale». Quando nasceranno queste zone? Ci vorranno anni «Nel piano regionale di sviluppo, che intendiamo portare in consiglio tra venti giorni (a fine aprile N.d.R.), c’è la nuova Toscana delle zone». Non sarà una sovrapposizione di enti? E non confonderà ancora di più una mappa istituzionale già confusa, anche con accorpamenti diversi tra Confindustrie, Camere di Commercio, categorie? «Stiamo assistendo a un completo disfarsi di tutto l’apparato dello Stato nei territori. Le Province erano l’unità di misura in base alla quale si sono organizzati tutti i corpi sociali intermedi: partiti, sindacati, associazioni di categoria, associazioni industriali. Per tacere di Camere di Commercio, prefetture e altri organi. Oggi ognuno segue la sua strada: sono nate organizzazioni che vanno da Prato al mare, come Confindustria; altre, come le Camere di Commercio, che mettono insieme Grosseto e Livorno; altre ancora, come Cna, che unisce Prato a Firenze. Così è diventato impossibile avere un

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Ambiente, formazione professionale, agricoltura: dalle Province alla Regione criteri più omogenei e meno interpretazioni

referente sui territori. La nostra proposta di zona, senza dare a questi distretti rilevanza istituzionale, è individuare un certo numero di ambiti, nei quali incontrarsi una volta all’anno per stilare il documento di programmazione economica e finanziaria regionale». Gli ambiti dovranno servire solo a questo? «Certo, dovranno essere il luogo dove ascolteremo tutti e trarremo gli spunti per programmare. Terremo conto, ovviamente, anche della città metropolitana. Ormai è quella, mutuata dalla vecchia dimensione provinciale. Sarà un ambito di programmazione un po’ speciale, al suo interno dovremo identificare delle zone nelle quali organizzare i servizi. Ma la città metropolitana può essere un ambito che sia interfaccia tra il territorio e la Regione per programmare il futuro e raccogliere le istanze delle forze sociali». In Toscana è cambiata anche la mappa della salute, con

la riforma delle Asl «Sì, ma la situazione è diversa sulle aziende sanitarie. Invece i distretti socio-sanitari assomigliano in qualche modo alle zone che vogliamo creare, confine più, confine meno. Sa cosa ricordano? L’intuizione del primo presidente di Regione, Bartolini, che creò le associazioni intercomunali. Erano di più, oltre trenta, ma il concetto era quello del distretto per i servizi». Un salto all’indietro di cinquanta anni, mentre lei pensa in grande, ragionando anche di macroregione con Umbria e Marche «E’ già pronto un libro, ci ho lavorato in questi mesi, che avrà il titolo ‘Italia centrata’. Nel senso che vuole raccontare quella parte d’Italia che ha individuato il centro delle cose, la posizione giusta, la sostanza. Presenteremo quel libro, ma contemporaneamente lavoreremo con i gruppi tecnici per disegnare la nuova regione. I consigli regionali si sono già incontrati, presto

Toscana, Umbria, Marche, le macroregioni per contare di più in Europa e in Italia

avremo un’idea su quali funzioni mettere assieme. Non nego che ci sono tanti freni al progetto, ma la razionalità della proposta è talmente forte che spinge tutti ad andare avanti». Pensa che le macroregioni siano una strada obbligata, un destino manifesto da inseguire? «La gravità dei problemi è tale che la soluzione non può venire da chi resta fermo. C’è una forza oggettiva che preme al cambiamento, generata anche dalla riforma costituzionale che andremo a votare con il referendum. Le Regioni dovranno essere protagoniste». Come si chiamerà la sua macroregione? «Il nome non è un problema. In Francia e in Germania hanno messo un nome accanto all’altro. La nuova regione potrebbe chiamarsi Toscana-Umbria-Marche, come il Baden Wurttemberg o la Renania-Palatinato. E di capoluogo parliamone al momento opportuno. Se vogliamo servire ai cittadini, se vogliamo fornire livelli di efficienza adeguati, dobbiamo indossare gli stivali delle sette leghe e fare in fretta quelle riforme che Francia e Germania hanno già fatto. La dimensione dei lander, delle macroregioni è quella giusta per competere con gli altri Paesi. E’ la dimensione per contare in Europa e anche a Roma, i player internazionali non possono continuare a dialogare con piccole realtà. Bastano una decina di regioni in Italia, il mondo è cambiato e bisogna prenderne atto. Altrimenti continuiamo a sbandierare vessilli senza contare nulla».


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di Maurizio Abbati, giornalista freelance

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anti, anzi sicuramente troppi. Un Paese di campanili e di sovrapposizioni amministrative, che nel tempo hanno finito per spezzettare le competenze e burocratizzare le procedure. Regioni, Province, Comuni: ciascuno con le sue funzioni, il suo personale, le sue imposte locali. Adesso però ci troviamo di fronte a una semplificazione istituzionale che sta progressivamente e ormai inevitabilmente cambiando il quadro dell’Italia e che potrebbe contribuire al rilancio dell’economia in un nuovo schema di competenze e di rapporto tra pubblico

e privato. Prima la scomparsa delle Province, trasformate in enti di secondo livello non più elettivi, con il passaggio di compiti e personale alle Regioni. Poi il processo di fusione avviato tra i piccoli Comuni, frutto di una realtà bella ma ormai passata del nostro Paese, che non rispondono più alle esigenze quotidiane, cioè alla necessità di erogare servizi al cittadino in cui si coniughino l’elevata qualità e il basso costo. Ma anche all’esigenza di dotarsi di personale qualificato sotto il profilo tecnico, in grado di predisporre bandi di gara, perizie

tecniche, rilasciare pareri e nulla osta. Nel 2016 sono stati istituiti ventisette nuovi Comuni in Italia mediante la fusione amministrativa di settantatré precedenti Comuni, con il numero delle amministrazioni comunali che è passato da 8.045 a 8.000. In Toscana si contano, a oggi, otto Comuni nati da fusione e ventiquattro Unioni di Comuni costituite. Mentre dall’1 gennaio 2017 sarà istituito quello di Abetone-Cutigliano, dopo un referendum che ha fatto discutere e non poco. Una riforma che a tratti appare più una rivoluzione per il nostro sistema istituzionale, di cui si sentiva il

bisogno. La conferma arriva dal presidente di Anci Toscana, Matteo Biffoni, che riveste anche i panni di primo cittadino di Prato. “A dire il vero anche qui da noi si è vissuta una situazione particolare, con la presenza di troppi piccoli Comuni. Si pensi che su 279 Comuni su scala regionale, a superare i quarantamila abitanti non saranno una ventina. Purtroppo il concetto del piccolo è bello non funziona più”. Ma per adesso non c’è alcuna normativa che comporta fusioni obbligatorie? “Assolutamente no - dice Biffoni -. Come Anci riteniamo che


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i Comuni debbano operare una valutazione a medio termine; perché oggi le scelte possono basarsi sulla messa a disposizione di incentivi economici per chi si fonde, ma attenzione perché questi incentivi poi finiscono. Bisogna dunque fare un gran lavoro di costruzione di queste nuove realtà sul territorio, anche perché si possono presentare difficoltà logistiche per la popolazione, che ha paura di perdere un punto di riferimento per tutti i propri problemi”. Per le aziende che operano su questi territori, cosa cambia? “La differenza la fa la possibilità di avere servizi a costi contenuti o un supporto per lo sviluppo delle condizioni che favoriscono la crescita. Nella realtà di oggi, ci sono Comuni in cui non è possibile avere un geometra per effettuare gli interventi su una strada o un ponte e quindi non si riescono a dare risposte giuste. Questo non significa che allora dobbiamo puntare a una concentrazione di pochi super Comuni. Irpet aveva fatto una sorta di provocazione, indicando in cinquanta il numero idoneo per la Toscana. Ora forse questo numero è un po’ troppo basso, ma dà l’idea delle aggregazioni che possono nascere puntando soprattutto sulla connessione economica tra singole realtà. Ad esempio i Comuni della Piana fiorentina hanno molte caratteristiche similari, così come quelli dell’area tra Prato e Pistoia. Ma ripeto,

niente forzature”. Convinto che questo processo di riassetto istituzionale possa giovare al sistema economico è anche il presidente di Ance Toscana, Riccardo Spagnoli: “Adesso ci saranno da ridisegnare le competenze al mutare degli Enti territoriali. Abbiamo in Regione un incontro per discutere sui nuovi compiti in campo di appalti, a causa anche del trasferimento di funzioni dopo l’abolizione delle Province. Se questa riorganizzazione sarà fatta correttamente, cioè tendendo a una sburocratizzazione del sistema, potrebbe essere l’occasione di ripartenza per un settore come l’edilizia che si tira dietro otto anni di crisi da cui ancora non siamo usciti e ha portato alla chiusura di molte imprese. Certo anche noi imprenditori siamo chiamati a fare la nostra parte: quello che riguarda il rapporto tra pubblico e privato deve essere impostato mirando alla ripresa, con tutte le tutele del caso, cioè nel pieno rispetto delle regole. Il nostro obiettivo come Ance è puntare sull’etica nel sistema dei rapporti con la pubblica amministrazione ed è su questo che stiamo lavorando”. La ripresa dunque ancora non si avverte? “Non nella sostanza. Diciamo che nel 2015 si è visto un deciso incremento del numero dei bandi di gara, ma non degli importi. E una nota dolente è l’assenza di supporto da parte del sistema bancario, tornato a

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Dalle “nuove” geografie per le imprese la possibilità di avere servizi a costi contenuti e lo sviluppo di condizioni che favoriscono la crescita erogare maggiori finanziamenti ma alle famiglie e non a sostegno del sistema produttivo. Così le imprese devono sopportare tutto l’onere del finanziamento delle costruzioni”. A proposito di appalti pubblici, le imprese toscane sembrano subire la concorrenza “Ci sono situazioni di partenza che non ci favoriscono, come il costo di alcuni materiali edili, vedi il ferro o il calcestruzzo, più cari rispetto ad altre parti d’Italia, ad esempio la Lombardia. Il nostro impegno è far capire alla Regione che è necessario trovare un modo per salvaguardare l’economia dei territori e quindi chi vi lavora. Non con lo spirito di creare squilibri di mercato, ma nella convin-

Nota dolente la mancanza di supporto del sistema bancario al mondo d’impresa, ormai un dato di fatto

zione che bisogna rimettere in moto il settore per tornare a far crescere in termini reali l’economia. Servono alcuni elementi di premialità per le imprese locali nell’affidamento dei lavori pubblici, per tutta la filiera, in particolare nel cosiddetto ‘sotto soglia’, dove esiste una certa discrezionalità politica, che però non deve essere demandata ai singoli funzionari. Ance Toscana ha un elenco di iscritti di ambito regionale, in cui sono indicate le abilitazioni alle varie lavorazioni. Si potrebbe su questa base condividere con la Regione un albo a cui attingere per gli affidamenti, mantenendo la forma della concorrenzialità”. Al riassetto amministrativo della Toscana sembra stia seguendo anche un riassetto interno al sistema associativo “Ci stiamo muovendo nell’ottica di un accorpamento delle compagini provinciali per grandi aree, come è già accaduto per Siena, Grosseto e Arezzo in Toscana Sud, oppure per Pistoia, Prato e Lucca; così da dare vita ad associazioni che rappresentino aree omogenee. La stessa cosa vale per Ance. Ora siamo in procinto di eleggere il nuovo presidente di Confindustria Toscana; auspico che abbia nel suo DNA la vocazione di snellire il più possibile il sistema”.


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di Mattia Cialini, giornalista “Arezzonotizie.it”

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offia un forte vento aggregatore nella Toscana dei campanili. E’ nato dal vortice della crisi e potrebbe spazzar via steccati in piedi da decenni, se non secoli. La mal sopportazione degli sprechi è capillarmente penetrata nel comune sentire: la sensibilità mutata ha prima frenato la tendenza storica ai frazionamenti, poi ha diffuso la consapevolezza della necessità di fondere per razionalizzare, efficientare, eliminare privilegi e rendite di posizione. Enti pubblici e utilities stanno seguendo logiche di area vasta – anticipate, ad esempio, da associazioni come Confindustria –, ma molto resta ancora da fare sul fronte delle ottimizzazioni per dare linfa nuova alle economie dei territori toscani. Aggregare Municipi, Asl o Enti camerali è solo l’inizio: servono regole e linguaggi condivisi, infrastrutture e politiche che creino ponti solidi tra aree distanti per geografia e cultura. Regole e linguaggi che, come ricorda Massimo Messeri, presidente Confindustria Firenze, possano creare vere

condizioni di competitività: “Liberare il sistema economico dai fardelli burocratici è una delle priorità per riportare il nostro Paese su un sentiero di crescita sostenuta e duratura. Sia a livello nazionale che regionale stiamo seguendo con interesse il cammino delle riforme e della riorganizzazione della macchina amministrativa. E siamo soddisfatti del lavoro fino a qui portato avanti dalla Regione e dalle istituzioni locali. E una pre-condizione per la competitività della Toscana e del suo sistema economico, perché la ripartenza ha bisogno di territori più semplici, attrattivi e accoglienti per l’attività imprenditoriale. Ma ciò che vale per il sistema Italia, vale a maggior ragione per il sistema Confindustria, anch’esso connotato di appesantimenti e duplicazioni; e non possiamo chiedere alla Pubblica Amministrazione quello che non siamo capaci di portare avanti in casa nostra. Se davvero vogliamo essere una business community contemporanea alle sfide e capace di accompagnare le imprese nei percorsi di innovazione di pro-

dotto, processo e mercato, non possiamo stare alla retroguardia. Da qui l’esigenza di innovare profondamente anche il nostro sistema che oggi è chiamato alla prova della governance. Confindustria Firenze ha voluto accettare questa sfida; del resto la riforma Pesenti ci dà l’opportunità di riprogettare tutto il sistema Confindustria in profondità e renderlo più capace di interfacciare i bisogni degli associati, alla luce di quattro elementi-core: semplicità, efficienza, professionalità, economie di scala. Il rinnovo della Presidenza regionale è l’occasione per procedere con decisione verso un nuovo modello di associazione a perimetro regionale; un percorso che Confindustria Firenze sostiene con grande convinzione, perché questa è l’associazione che serve oggi alle nostre imprese. Nei territori si concentrano ancora gli asset competitivi di base per l’attività d’impresa; ma in tutta Europa sono ormai le regioni che hanno le leve strategiche dello sviluppo: dalle politiche industriali, agli strumenti di programmazione; dalle infrastrutture, agli strumenti per

il welfare, la ricerca e l’innovazione”. L’auspicio di Andrea Fabianelli, presidente di Confidustria Toscana Sud, è quello che, entro breve, ci sia un’unica Associazione degli Industriali per tutta la Toscana. Intanto Arezzo, Grosseto e Siena hanno fatto da apripista al cambiamento, decidendo di intraprendere un percorso comune che ha portato le tre territoriali alla fusione. “Noi ci stiamo evolvendo – dice Fabianelli – e mi auguro che questo processo di aggregazione coinvolga sempre più istituzioni, enti pubblici, gestori di servizi, in un’ottica di rendere più efficiente la macchina amministrativa e più fruttuose le relazioni tra soggetti pubblici e tessuto economico locale. Per quanto riguarda i nostri territori, ci auguriamo che lo sviluppo infrastrutturale assecondi le nuove geografie che si stanno delineando, connettendo aree che altrimenti rischiano di rimanere isolate. Penso ad esempio alla Due Mari, in via di completamento tra Grosseto e Siena ma che, per quanto riguarda l’Aretino, è ancora in cerca di soluzio-


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ni. E allora sollecito quantomeno una copertura digitale, per sopperire alla carenza di infrastrutture, e permettere anche ai territori più periferici di rimanere connessi. L’industriale di oggi deve essere rapido, adattarsi ai repentini cambiamenti del mercato globale, nessuna azienda può permettersi di soffrire a causa del ritardo tecnologico. E a proposito di digitalizzazione, cito l’importanza che riveste per le università. In Toscana ci sono tre università degli Studi: Pisa, Siena e Firenze, che sono tre eccellenze nazionali. Nel territorio della Toscana Sud ci sono inoltre i poli universitari di Grosseto e Arezzo. Le nuove tecnologie vanno incontro alle esigenze accademiche moderne: nel Polo Universitario Aretino, grazie alla teledidattica, il numero di iscritti si è notevolmente allargato”. Confindustria Toscana Sud è stata un modello per l’aggregazione che ha portato alla nascita di Confindustria Toscana Nord. “La recentissima nascita della nuova compagine associativa – spiega Andrea Cavicchi, presidente di Confindustria Toscana Nord –, esito della fusione delle Confindustrie di Lucca, Pistoia e Prato, testimonia già da sola il pensiero degli imprenditori della nostra area rispetto a operazioni di integrazione. E’ importante trovare una dimensione ottimale, in grado di mettere in comune le risorse e massimizzarne l’efficacia, senza nello stesso tempo stravolgere la natura dei soggetti di partenza. Nel nostro caso, ad esempio, la comune matrice manifatturiera

dei nostri territori rappresenta un fattore identitario essenziale. Anche per questo auspichiamo che le aggregazioni a livello di Camere di commercio ricalchino il percorso che ha compiuto l’industria e vadano nel senso di un ente camerale unico per il cuore manifatturiero della Toscana, rappresentato dalle nostre tre province. Nel caso di enti e servizi pubblici la logica delle aggregazioni dovrebbe trovare più attenzione e concretizzarsi maggiormente: si riscontrano invece molte resistenze, non sempre giustificate da motivazioni oggettive. Accanto ad atteggiamenti di rifiuto preconcetto, però, vi sono talora anche ragioni che hanno un loro fondamento o che sono almeno comprensibili: chi può vantare situazioni di eccellenza, e ce ne sono fortunatamente anche nel nostro paese, è normale che tema cambiamenti potenzialmente peggiorativi. Inoltre anche il fattore tempo è importante: operazioni di integrazione oggi premature potrebbero diventare attuabili domani, una volta predisposte condizioni compatibili con i processi da innescare e consolidata l’idea stessa del cambiamento”. Sull’esigenza di abbandono dei campanilismi concorda il presidente di Confindustria Livorno, Alberto Ricci. “Un cambio di marcia – dice – è ciò che serve alla Toscana per ripartire. L’economia regionale sembra aver ritrovato un percorso di sviluppo, ma la ripresa è ancora fragile e va consolidata. Per riuscire in questa sfida c’è bisogno di una politica economica

incentrata su misure strutturali, con azioni e misure funzionali e coerenti che producano i loro risultati nei prossimi due-tre anni. E’ necessario innanzitutto superare i confini geografici, abbandonare i campanilismi ormai desueti nell’ottica di un territorio più esteso che possa vantare una maggiore capacità competitiva e attrattiva. In quest’ottica i Comuni minori devono procedere celermente senza più titubanze alla loro unificazione per traguardare una macroregione. Occorre, quindi, passare dalle strategie comunali a una strategia complessiva di territorio, con l’obiettivo di tracciare una gerarchia di priorità condivise. E’ necessario istituire una holding del territorio in grado di programmare iniziative congiunte per irrobustire gli investimenti e rilanciare l’occupazione che manca. Dopo la crisi, il sistema industriale punta sullo sviluppo equilibrato di tutti i comparti economici. Proprio la crisi ha dimostrato drammaticamente, che senza un manifatturiero solido non può esserci ripresa né occupazione. Obiettivo basilare – direi irrinunciabile – è la ripresa dell’industria manifatturiera con uno specifico richiamo all’automotive. Le infrastrutture e l’energia chiudono il cerchio virtuoso della nuova strategia di rilancio. Proprio la centralità del settore delle infrastrutture, cui è strettamente legata la ripresa economica, impone una sollecita realizzazione dei progetti funzionali agli obiettivi degli Accordi di Programma che il Mise ha istituito su Livorno e su

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Piombino. Il perno della ripresa è incentrato sulla portualità con la realizzazione della Darsena Europa”. Di nuova geografia, infine, parla anche Erich Lucchetti, presidente di Confindustria Massa Carrara. “Siamo protagonisti – spiega – e al tempo stesso spettatori dei cambiamenti che stanno avvenendo intorno a noi. Province, Confindustria e le altre categorie, Camere di Commercio, Asl, Autorità Portuali, Ato, Tribunali, ecc. tutti stanno affrontando un percorso che disegnerà nuovi ‘confini’ – spesso non coerenti fra loro – per perseguire il condivisibile obiettivo di efficientamento e razionalizzazione. Non è ancora possibile dare un giudizio compiuto, probabilmente ci sarà bisogno di qualche rettifica, ma quello che le aziende del nostro territorio amaramente osservano è che i cambiamenti amministrativi sembrano consolidare il ruolo di subalternità delle periferie rispetto al centro. Infatti, i fondi pubblici sono perlopiù destinati alle città metropolitane consolidando posizioni già forti e non sostengono lo sviluppo delle aree più marginali. Posso invece essere più preciso su quanto sta succedendo in casa nostra, nel sistema Confindustria in toscana, dove ci stiamo avvicinando per step all’obiettivo previsto dalla Riforma Pesenti: l’unione delle associazioni territoriali in un’unica associazione. La razionalizzazione ci permetterà di contenere i costi ma, soprattutto, di ampliare i servizi offerti alle nostre imprese”.


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di Paolo Vannini, giornalista freelance

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ra necessario cambiare, procedere per accorpamenti. Su questo Andrea Sereni, imprenditore nel settore della maglieria, presidente della Camera di Commercio di Arezzo e da un anno e mezzo circa alla guida di Unioncamere Toscana, non ha dubbi. Nell’intervista rilasciata alla nostra testata questo elemento appare chiaro, fin dalle premesse, anche se, per la parte che più gli compete, le Camere di Commercio appunto, Sereni sottolinea che la riorganizzazione dell’intero sistema avrebbe potuto imboccare altre strade. E un discorso analo-

go, anzi con accezioni più negative, vale anche per il taglio delle Province, che potrà avere in futuro contraccolpi sfavorevoli, senza un vero risparmio di risorse, e per la stessa riorganizzazione delle cosiddette “utilities”, per le quali serve una riforma profonda, soprattutto per le partecipate pubbliche. Inutile dire che il fronte Camere di Commercio è quello sul quale Sereni focalizza maggiormente la sua attenzione; del resto, fin dal giorno dell’elezione a responsabile regionale, la riforma del sistema delle Camere di Commercio è stata posta fra i suoi primi

obiettivi. Presidente Sereni, gli accorpamenti delle Camere di Commercio sono dettati solo dalla volontà di ridurre i costi delle strutture? Qual è il rapporto costi/benefici? Quali ricadute sul loro funzionamento e sul personale? “Niente è mai perfetto e tutto può essere migliorato: l’immobilismo fine a se stesso non è una soluzione e quindi cambiare si può; anzi si deve, quando necessario. La riorganizzazione del Sistema camerale avrebbe potuto avvenire seguendo un percorso diverso da quello posto in atto; ad esempio in Toscana avremmo

di gran lunga preferito riversare sul territorio il cinquanta per cento del Diritto annuale pagato dalle imprese invece che dovervi rinunciare senza che tale rinuncia rappresentasse peraltro un reale beneficio per le aziende stesse. In tema di accorpamenti, a oggi, l’unica certezza data dalla Legge delega è che a regime dovremo avere in Italia non più di sessanta Camere di Commercio. Altre certezze non ve ne sono. Su questo fronte i giochi sono fatti, adesso dobbiamo tutti guardarci intorno e trovare soluzioni per dare avvio e regolare un processo che porti


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alla riduzione del numero delle Camere; importanti saranno le modalità con cui questa riduzione avverrà, ma ancora più essenziale sarà la definizione del ruolo e delle funzioni assegnati a un Ente pubblico che è parte essenziale della stessa storia economica del nostro Paese. Con i colleghi Presidenti delle Camere toscane siamo impegnati a far riconoscere il ruolo di sviluppo e di crescita che le Camere hanno avuto in questi anni nei sistemi economici locali. E’ necessario che la riforma in fase di approvazione, al di là delle nuove funzioni che le Camere saranno chiamate a svolgere, riconfermi il loro ruolo di Enti al servizio e di supporto delle imprese. Venendo a mancare sui territori un sistema strutturato e capillare come quello delle Camere di Commercio cui fare riferimento, sarebbe più difficile anche per gli Enti territoriali e le Associazioni di categoria progettare, programmare e attuare azioni organiche tese a favorire lo sviluppo economico complessivo dei territori e delle imprese”. Questa riorganizzazione ha messo alcuni punti fermi ma c’è ancora incertezza, come lei stesso sottolinea, sugli esiti finali della riforma. Questo elemento può

condizionare in questa fase anche l’attività di Unioncamere Toscana? “L’incertezza non è mai utile ma gli obiettivi strategici di Unioncamere Toscana sono chiari, a prescindere dagli esiti della riorganizzazione della quale stiamo parlando. Come ebbi modo di dire già nel giorno della mia elezione, il mio impegno sarà quello di favorire l’unitarietà del Sistema camerale regionale, garantendone il ruolo di raccordo con la Regione e le Associazioni di categoria e supportando iniziative e interventi a favore del nostro sistema produttivo, che sta ancora soffrendo, ma che ha tutte le carte in regola per rispondere alle difficoltà”. Restiamo in tema ma guardiamo in un’altra dire-

Partecipate pubbliche: è necessario che diventino competitive, per offrire a cittadini e imprese reali opportunità di risparmio

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Camere di Commercio, essenziale sarà la definizione del ruolo e delle funzioni assegnati a un Ente pubblico che è parte essenziale della storia economica del Paese zione, alle Province. La loro sparizione comporta risparmi sensibili? La riorganizzazione del personale sembra invece presentare non poche perplessità: si sarebbe dovuto procedere in modo diverso o la strada era obbligata? “Rivedere i livelli istituzionali nel nostro paese era una necessità inderogabile ma ritengo che ‘l’affaire province’ poteva essere gestito in maniera diversa. La responsabilità non è direttamente ascrivibile all’attuale esecutivo che si è trovato a operare nella fase finale di un percorso già avviato ma mi sembra evidente che il risparmio è stato irrisorio e che nel futuro avremo contraccolpi negativi proprio per l’assenza di un livello autonomo intermedio tra Regione e Comuni. Le problematiche evidenziate dalla riorganizzazione del personale sono la naturale conseguenza di un percorso che aveva in nuce mancanza di chiarezza e obbiettivi confliggenti”. Le “utilities”. I cambiamenti previsti comporteranno per i cittadini, almeno in una prima fase in attesa che un processo di informatizzazione sia completato, maggiori problemi? “E’ importante, soprat-

tutto per i cittadini e i consumatori, operare una riforma radicale delle ‘utilities’ e, più in generale, delle partecipate pubbliche. Per il settore dei servizi pubblici occorre anche superare quell’ambiguità che lo contraddistingue. Siamo in presenza di aziende, spesso create dagli enti locali, di dimensioni economiche e di ambito rilevanti per la gestione dei servizi ma che difficilmente operano nel mercato esponendosi alle regole della concorrenza. Profitti e perdite sono legate più ai vincoli o alle rendite derivanti dalla regolazione pubblica piuttosto che alle dinamiche aziendali. Se si vuole ribaltare questo sistema da un lato è necessario che siano i consumatori finali, cittadini e imprese, a beneficiare, attraverso tariffe inferiori, degli utili di queste imprese così come sono chiamati a ripianare le perdite. E contemporaneamente è necessario che sia avviato un percorso di apertura di questi mercati alla concorrenza attraverso gare pubbliche che tutelino esclusivamente gli utenti e i lavoratori e non le posizioni dominanti di società locali. Come ha fatto la Regione Toscana con la gara per il trasporto pubblico locale”.


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di Mattia Cialini, giornalista “Arezzonotizie.it”

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ono città nelle città in cui sorgono. Composte da una popolazione giovane e intraprendente, per buona parte dalla stessa Toscana, ma aperte al mondo intero. Grandi palestre di vita, di riflessione e lavoro. Firenze, Pisa e Siena, le tre università degli studi toscane, sono anche gli eccellenti trampolini da cui l’economia del territorio può spiccare un balzo verso il futuro: qui si fa alta formazione, intrecciando ricerca, tecnosviluppo e biso-

gni di impresa. A inizio marzo c’è stato un confronto tra mondo accademico toscano – il tavolo della Conferenza regionale dei Rettori – e amministrazione regionale rappresentato dal presidente Enrico Rossi, dalla vicepresidente e assessore all’Università e ricerca Monica Barni e dall’assessore all’Istruzione e formazione Cristina Grieco. Nella circostanza, Rossi ha lanciato un segnale ai Rettori, parlando dell’impegno della Toscana sul versante della conoscenza del

proprio patrimonio d’impresa: “E’ grazie a questo sforzo che possiamo oggi valutare la positiva risposta di larga parte del nostro sistema produttivo alla crisi, come testimoniamo le circa tremilacinquecento imprese manifatturiere valutate dall’Irpet capaci di crescere – nonostante tutto, in questi anni – in fatturato e in occupazione. Un fronte che si presenta pronto a recepire proposte progettuali di collegamento tra mondo produttivo e formativo”. Luigi Dei, insediato-

si formalmente lo scorso 1° novembre, è il nuovo rettore dell’Università degli studi di Firenze. L’università fiorentina come è percepita dalle imprese locali? “Sono qui da pochi mesi, ma avverto una presenza diffusa dell’università nel tessuto socio-economico fiorentino e toscano in genere. Ormai da anni l’ateneo fiorentino ha un fatturato stabile di circa dodici milioni di euro legato a servizi per conto terzi. Per lo più


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si tratta di ricerche e analisi richieste da imprese private, ma anche aziende che ci chiamano per avere un sostegno negli ambiti di sviluppo e innovazione. Possiamo essere soddisfatti, vuol dire che c’è una certa costanza – nel tempo – ad affidarsi ai ricercatori dell’università. Questo non vuol dire che in futuro non si possa far meglio, ma quella attuale è già un’importante base di partenza per valutare il legame con le realtà produttive del territorio”. Qual’è invece il rapporto con gli enti pubblici? “Faccio un esempio. La neonata Città metropolitana di Firenze, che ha raccolto l’eredità della vecchia Provincia, si è dotata di un Piano strategico. Il Piano strategico metropolitano è uno strumento che detta le linee di evoluzione del territorio, con strategie di sviluppo e percorsi di governo che dovrebbero dar la luce a grandi progetti futuri. E siamo orgogliosi di collaborare a questo piano assieme, oltre alla Città Metropolitana, alla Camera di Commercio, all’Ente Cassa di Risparmio e ai Comuni. Vuol dire che l’ateneo è radicato solidamente nel territorio: nella delicata fase di progettazione dell’area metropolitana fiorentina servono professionalità adeguate, noi ci siamo”. Quanti sono gli studenti toscani nell’Università? “Sono circa cinquantamila gli iscritti. Il 77 per cento di quelli dei corsi triennali sono toscani. La percentuale si abbassa al 65 per cento per quelli dei corsi di laurea specialistica”. Ricerca a supporto dell’economia. Qual’è la situazione di Firenze? “Sono attivi una decina di progetti nell’ambito di Horizon 2020, il più grande programma di ricerca e innovazione dell’Unione Europea (quasi ottanta miliardi di euro di fondi disponibili in sette anni, dal 2014 al 2020, oltre agli investimenti privati che il piano sarà in grado di attirare, N.d.A.). Abbiamo un centinaio di accordi di

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Ricerca, innovazione e collaborazioni internazionali per idee che costruiscono il mondo collaborazione internazionale con grandi università di tutto il mondo. Stiamo predisponendo un regolamento di visiting professor per attirare per periodi di almeno un mese illustri personalità da tutto il pianeta che possano portare a Firenze competenze e, magari, stabilire partenariati di grande prestigio. Voglio ricordare, infine, che è stato da noi il professor Theodor Hänsch, premio Nobel per la fisica nel 2005”. Angelo Riccaboni è rettore dell’Università degli studi di Siena dal 2010. Quanti sono gli studenti senesi rispetto al totale degli iscritti? E quelli toscani? “Facendo riferimento all’anno accademico 2014/2015, sul totale di oltre sedicimila studenti iscritti, il 55 per cento proviene dalla Toscana e di questi il 25 per cento è residente nella provincia di Siena, mentre il 40 per cento proviene da altre regioni e il 6 per cento dal resto del mondo. Considero quest’ultimo un dato molto interessante, perché fotografa la risposta positiva alle strategie messe in atto per l’orientamento degli studenti stranieri. Rispetto a questa tipologia di studenti, voglio sottolineare in particolare il dato percentuale di iscritti alle lauree magistrali, che nel triennio dal 2012/2013 al 2014/2015

è triplicato, passando dal 4,8 per cento al 15,9 per cento. L’internazionalizzazione è la frontiera dell’Università di Siena e i numeri confermano che si tratta di una strategia vincente”. Quali sono i rapporti dell’ateneo con le imprese del territorio (Siena e Toscana in genere)? “L’Università di Siena ha una forte attività di relazioni con le imprese del territorio, sia per obiettivi di ricerca e sviluppo che di formazione. In quest’ultimo ambito, in particolare, la relazione con le imprese è una delle leve per l’occupabilità dei nostri laureati. Abbiamo all’attivo convenzioni per stage e tirocini, programmi per l’alta formazione e anche per stimolare i giovani a diventare loro stessi imprenditori”. Cos’è il Santa Chiara Lab? “E’ il nuovo laboratorio di innovazione dell’Università di Siena, uno spazio fisico dove il sapere teorico diviene saper fare. Nell’ex convento di Santa Chiara, vicino alla Basilica dei Servi, abbiamo dato vita a una struttura proiettata verso il futuro, aperta ai nostri studenti. Al suo interno è ospitato un Fab Lab, un laboratorio di fabbricazione digitale appartenente alla rete globale co-

ordinata dal Mit di Boston; si tratta dell’unico caso in Italia di Fab Lab ospitato da un’Università. Il Santa Chiara Lab ospita inoltre molteplici attività di promozione delle competenze trasversali e progetti di contaminazione tra teoria e produzione, attraverso tutte le discipline che insegniamo in Università. Qui le idee hanno modo di tradursi in progetti e quindi in realtà: per questo il mondo delle imprese è protagonista al Santa Chiara Lab, attraverso una relazione di collaborazione che si arricchisce ogni giorno di più”. L’Università di Siena è un punto di riferimento per l’area vasta Toscana Sud? Come stanno evolvendo le sedi di Arezzo e di Grosseto? “La sede di Arezzo, anche grazie alla vicinanza delle istituzioni e degli enti territoriali, in primis Confindustria e la Camera di Commercio, ha ritrovato una formidabile vitalità con le nuove proposte formati-


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Sempre più stretta la collaborazione tra Università e imprese a supporto dello sviluppo economico del territorio

ve per gli studenti universitari, alcune delle quali aperte ai cittadini. Un esempio su tutti, il corso di cinese, che ha ottenuto un gradimento eccezionale. Con il Polo Universitario Grossetano abbiamo avviato una proficua proposta di corsi in teledidattica, una modalità molto apprezzata dagli studenti del territorio. Voglio sottolineare in particolare il significato della convenzione quadro firmata tra Università di Siena e Confindustria Toscana Sud, che sancisce una collaborazione stretta ai fini di attività di supporto allo sviluppo economico del territorio. Imprese del territorio e Università collaboreranno in modo sempre più stretto”. Capitolo ricerca e innovazione, l’apporto dell’ateneo Siena su scala globale, attraverso risultati di particolare rilievo “L’Università di Siena è per la ricerca ai massimi livelli in ambito nazionale e internazionale, con risultati

importanti. I nostri gruppi partecipano a progetti accanto ai più grandi atenei del mondo, sono registrati brevetti e sono nate numerose imprese spin off. Alcune di queste, attive sul territorio, stanno ottenendo risultati molto positivi, grazie alla capacità di imporsi con tecnologie innovative. Ricordo un settore su tutti, quello delle scienze della vita, nel quale l’Università da sempre lavora in modo integrato con le imprese, grandi e piccole, che fanno parte del relativo distretto toscano”. Finanziamenti pubblici, docenti, immatricolati. E’ la volta dell’Università di Pisa, e del suo rettore, Massimo Augello. Qual’è oggi lo stato di salute dell’Università di Pisa? “Tutti gli indicatori testimoniano che il nostro Ateneo ha dei fondamentali molto buoni, nonostante la profonda sofferenza in cui versa da diversi anni tutto il sistema universitario italiano, con una diminuzione del 10 per cento dei finanziamenti pubblici, di circa il 15 per cento del numero di docenti e ricercatori e, unici in Europa, con un sensibile calo degli studenti. Nell’ultimo quinquennio, nonostante minori risorse pubbliche per oltre sessanta milioni di euro, l’Università di Pisa ha mantenuto la solidità del suo bilancio e attuato politiche espansive, investendo nei settori strategici della ricerca, della didattica, dell’internazionalizzazione e dei servizi agli studenti. In que-

sto periodo, abbiamo assunto circa seicento docenti e duecentottanta unità tra amministrativi, tecnici e bibliotecari. Abbiamo, inoltre, registrato un aumento degli immatricolati dell’8 per cento”. Qual’è il rapporto del suo Ateneo con il territorio di riferimento e le sue Istituzioni? “Abbiamo cercato di consolidare la nostra presenza sul territorio, sia ragionando in un’ottica cittadina e di area vasta, e dunque rafforzando le reti di relazioni con Amministrazioni comunali, Associazioni di categoria, fondazioni e imprenditori; sia ponendoci all’interno di una logica toscana, attraverso un rinnovato rapporto con la Regione e la sinergia con gli Atenei di Firenze e Siena, che ha portato a iniziative comuni nel campo della didattica, dei servizi e delle buone pratiche amministrative. Del resto, nelle varie istituzioni abbiamo riscontrato una grande disponibilità, anche perché le tematiche su cui sviluppare forme di collaborazione sono davvero tante: penso per esempio alla questione giovanile e alle politiche dei servizi, alle problematiche relative alla mobilità e alle politiche di sostenibilità urbana, alla conservazione del patrimonio e alle attività culturali”. L’università ha un ruolo anche sul piano più propriamente economico? “Certamente. In questi anni l’Università di Pisa si è distinta come motore di svi-

luppo dell’economia locale, con la realizzazione di nuovi poli didattici e della sua prima foresteria, il recupero e la riqualificazione del Palazzo della Sapienza, simbolo storico e cuore dell’Ateneo e della città di Pisa, il contributo dato alla realizzazione del nuovo Polo universitario e ospedaliero di Cisanello, che sarà uno tra i più grandi e moderni in Italia e in Europa. Abbiamo, inoltre, puntato molto sulle attività di trasferimento tecnologico, incentivando la realizzazione di brevetti, spin off e contatti aziendali. L’attuale portafoglio dell’Ateneo vanta centodiciassette brevetti, trenta spin off e una significativa capacità di attrarre risorse dall’esterno. L’insieme di queste iniziative sta producendo reddito e possibilità di impiego professionale”. Quali sono le iniziative messe in atto dall’Ateneo per favorire l’incontro degli universitari con il mondo del lavoro? “Tra i principali interventi realizzati in questi anni, vi è il percorso del Phd Plus, che mira a fornire ai laureati una specifica formazione imprenditoriale e che ha avuto oltre cinquecento iscritti provenienti da tutti i settori disciplinari della nostra Università. Vi sono, inoltre, i servizi di job placement, indirizzati sia agli studenti e ai neolaureati in cerca di informazioni e di contatti che possano aiutarli nella ricerca del lavoro, sia ad aziende interessate a reclutare personale altamente qualificato. Più in generale, l’Università di Pisa è oggi in grado di accompagnare il singolo ragazzo lungo tutto il percorso formativo, guidandolo nella scelta del corso e nelle prove d’ingresso, supportandolo con un tutor, facilitandolo nelle esperienze di stage e, dopo la laurea, seguendolo fino all’ingresso nel mondo del lavoro e anche successivamente. È questa l’università in cui credo – radicata nel suo territorio e aperta al mondo –, quella che abbiamo cercato di realizzare negli anni del mio mandato”.


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di Mattia Cialini, giornalista “Arezzonotizie.it”

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na grande holding in grado di ospitare tutte le Banche di credito cooperativo d’Italia. E’ questa la significativa novità del decreto legge Banche che interviene sulle norme del Testo unico bancario in tema di Bcc. Di fatto le oltre trecento banche di credito cooperativo dovranno, pena la mancata autorizzazione all’esercizio dell’attività, aderire a un gruppo con a capo una Spa con

licenza bancaria dotata di un patrimonio netto non inferiore a un miliardo. Tra le altre novità c’è il numero minimo dei soci, che passa da duecento a cinquecento, e il limite di valore nominale di azioni detenibili dai soci, che passa da cinquantamila a centomila euro. Tuttavia – attraverso la cosiddetta way out – si può sfuggire al destino di confluire in una holding unica per le

banche sopra duecento milioni di patrimonio. Le Bcc possono conferire la licenza bancaria a una Spa, a patto che al 31 dicembre 2015 il patrimonio netto sia risultato superiore a duecento milioni. Al momento del conferimento, la Bcc deve versare allo Stato il 20 per cento delle proprie riserve. Le trasformazioni conseguenti alla riforma sono in divenire nel momento in cui questo articolo va in stampa, ma è già possi-

bile fare alcune considerazioni. Fabio Pecorari è il direttore generale della Bcc Anghiari e Stia, una delle due banche di credito cooperativo con sede in provincia di Arezzo (l’altra è Banca Valdarno, con sede a San Giovanni Valdarno): seimilacinquecento soci, tredici filiali, nove in Toscana e quattro in Umbria. Con la riforma delle Bcc, il destino della banca è quello di confluire nella holding


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“Siamo al di sotto dei limiti dimensionali per poter star fuori. Anche se ci sarebbe una remota ipotesi, informalmente detta ‘trenino’. Accodarsi, cioè, a un istituto di dimensioni maggiori. Ma è una possibilità che non abbiamo preso in considerazione”. Peraltro, lo scenario di una grande holding non è affatto estraneo ad AnghiariStia “Facciamo parte di Iccrea Holding, sono circa centoquaranta-centocinquanta le banche che partecipano attivamente e usano i prodotti del gruppo. Quella proposta dalla riforma sarebbe una naturale evoluzione di ciò che esiste già. In effetti, per noi, confluire in un grande gruppo non sarebbe così sconvolgente”. Non ci sono dei timori nel compiere questo passo? “Ancora bisogna comprendere a fondo le norme del patto di coesione, di fatto parteciperemo a un gruppo senza sapere in anticipo quali saranno nel dettaglio gli oneri e gli onori dell’operazione. Però ci fidiamo dei nostri rappresentanti a livello nazionale. Certo, vediamo di buon occhio il rafforzamento patrimoniale conseguente”. Su questo versante, le Bcc saranno più tutelate “Abbiamo già il Fondo di garanzia dei depositanti e poi è stato avviato un progetto

parallelo, il Fondo di garanzia istituzionale delle Bcc. Iniziative utili per andare incontro a istituti in crisi: nessuna Bcc in cattive acque è stata lasciata indietro. Ma un rafforzamento ulteriore rappresenta una garanzia maggiore”. Urgente e indispensabile. Così definisce invece la riforma delle banche di credito cooperativo Fulvio Benicchi, direttore generale di Banca Valdichiana, solida realtà con base a Chiusi (Si) e filiali sparse nella vallata da cui prende il nome, tra le province di Siena e Arezzo. Ma i confini si allargheranno presto, all’orizzonte c’è la fusione con la vicina e affine Bcc di Montepulciano. Cosa pensa della riforma? “Abbiamo già avuto modo di presentare i cardini di questa riforma ai nostri soci. A

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Un’unica capogruppo di sistema può dare una doppia garanzia a soci e clienti: la garanzia di una banca vicina e solida e quella di un sistema a tutela dei risparmiatori nostro modo di vedere si tratta di un’operazione urgente e indispensabile, soprattutto alla luce delle nuove direttive europee. E’ necessario che sia costituita un’unica capogruppo di sistema. Il seguente consolidamento dovrebbe dar modo di creare la terza o quarta banca italiana per dimensione, con un capitale che supera i venti miliardi di euro. In questo modo si avrebbe una doppia garanzia per soci e clienti: oltre alla garanzia di una banca vicina e solida come la nostra,

Il sistema cooperativistico tradizionale cambierà. Il timore è che si riducano le autonomie gestionali

ci sarà il sistema a tutelare ulteriormente i risparmiatori”. Non è mai stata presa in considerazione l’ipotesi della way-out? “Mai presa in considerazione la possibilità di non aderire alla holding. Vorremmo fare economie di scala: una volta all’interno del gruppo, si potrebbero eliminare strutture superflue. L’obiettivo è quello di snellire burocrazia e costi”. Una necessità, quindi “La riforma si deve tradurre in migliori condizioni per gli istituti e per i clienti. Le banche rimarranno completamente autonome, i soci eleggeranno


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il Consiglio di amministrazione. Ma avremmo prezzi più convenienti. Un cambiamento necessario per poter sostenere la concorrenza”. L’autonomia, pertanto, non sarà intaccata? “Penso che se le banche rispetteranno le norme, non ci saranno ingerenze. La capogruppo dovrà svolgere la funzione di controllo, si tratta di una sicurezza in più. Quest’anno come banca Valdichiana abbiamo pagato 1,1 milioni di euro, seicentomila a seguito del decreto salvabanche e cinquecentomila per sostenere il fondo e aiutare le Bcc consorelle in crisi. Il controllo della capogruppo servirà a tutelare le banche sane”. Nessuna ingerenza nel territorio? “Io credo di no, le politiche locali della banca non saranno toccate. Come Banca Valdichiana continueremo a svolgere il compito che ci siamo prefissati, anche sul versante sociale e culturale. Politiche economiche per il territorio come sostegno alle famiglie, alle imprese, iniziative no profit, turismo. Recentemente è stato siglato un accordo di collaborazione con Confindustria Toscana Sud che consente di rendere più completa ed efficace l’attività della banca nei confronti delle imprese più grandi. Insomma, saremo sempre più a sostegno di tutte le imprese che nascono e crescono nelle nostre province”. Come procede la fusione con Montepulciano? “Secondo i programmi dei rispettivi Cda. Il piano è già stato presentato a Bankitalia e approvato. Dal 1° luglio, se tutto andrà come deve, saremo una sola banca con Montepulciano: centottanta dipendenti, centodieci milioni di patrimonio e un piano industriale in cui sono già individuati crescita e sviluppo. Vorremmo aprire una filiale anche a Civitella e ristrutturare gli sportelli ad Arezzo, per arrivare a ventisette filiali complessive”. Ma non tutte le vecchie

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Non tutte le Bcc scelgono la stessa strada: alcune preferiscono valorizzare l’autonomia mantenendo un’impostazione più tradizionale banche di credito cooperativo aderiranno alla holding. Anche in Toscana c’è qualche istituto che sta battendo la strada della way-out. Un esempio è Banca di Cambiano: sede legale a Castelfiorentino, in provincia di Firenze, una storia antica e trentasei filiali distribuite nelle province di Firenze, Pisa, Siena, Pistoia e Arezzo. Il direttore generale Francesco Bosio che analizza la riforma senza sconti, indicando anche la rotta futura dell’istituto che sta guidando. Quali sono le sue impressioni sulla riforma? “La riforma delle Bcc è stata approvata e arriva dopo quella delle banche popolari. Si tratta di un testo che segue direttive europee e credo che tenda a creare una forma di consolidamento del sistema. Un intento sostanzialmente condivisibile”. Però? “Il mondo del credito cooperativo in Italia è vasto: ci sono più di trecentosettanta Bcc. Un universo molto variegato: ci sono differenze rilevanti anche soltanto in termini dimensionali. Alcune di queste banche, quattordici, hanno un

patrimonio netto superiore ai duecento milioni. Ma ce ne sono tante, circa centotrenta, che hanno un patrimonio netto pari o inferiore ai trenta milioni di euro. Le peculiarità degli istituti di credito cooperativo che aderiranno a un gruppo – ma che finora erano autonome – tenderanno a ridursi”. La riforma rappresenta un punto di non ritorno “Diciamo: il sistema cooperativistico tradizionale, così come lo abbiamo conosciuto in questi anni, cambierà. E assisteremo a una riduzione delle autonomie gestionali. Si va verso un inglobamento: l’impostazione di fondo sarà diversa, da gruppo”. Ci saranno ricadute sui territori serviti dalle banche? “Cambierà l’impostazione, ma sui territori le singole banche dovranno porre sempre grande attenzione, per non tradire la loro missione originale”. Come è maturata la scelta della way-out? “Avendone la possibilità, la nostra scelta è dettata dalla volontà di valorizzare la nostra autonomia. Siamo la Bcc

più antica d’Italia, fondata nel 1884: abbiamo centotrentadue anni di vita. E cercheremo, anche nel futuro, di non intaccare la nostra tradizione. Perché entrando in un gruppo, per quanto il nome rimanga lo stesso, cambia l’impostazione”. Quale è il destino della Banca di Cambiano, quindi? “Avrà una veste giuridica diversa, la nostra cooperativa entrerà in una Società per azioni, come socio di assoluta maggioranza”. Quale sarà la vostra quota? Quali saranno gli altri istituti nella Spa? “Ancora non possiamo fare nomi e la nostra quota dipenderà da quanti istituti vorranno aggregarsi. Di certo noi avremo la maggioranza e non modificheremo la nostra vocazione”.


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di Manuela Villimburgo, collaboratrice Toscana24 - IlSole24ore

C

hianti, Cambiano, Siena, Etruria... Hanno il territorio nel nome, ma oggi quali delle tante piccole e medie banche locali possono ancora far leva sul territorio per continuare a fare impresa? E’ la dimensione globale dell’economia e della finanza a mettere in crisi il modello della banca fortemente legata a un’area troppo ristretta, oppure è il rapporto con il territorio che deve essere risanato? Di fatto, la geografia di alcune banche della Toscana, come in altre parti del Paese, è in trasformazione. Alcuni istituti sono a un bivio cruciale, devono cambiare e sono anche in ritardo.

Le Bcc, Banche di credito cooperativo, sono interessate da una riforma che le costringe a scegliere tra passare sotto un cappello nazionale o restare autonome, purché rispettino determinati requisiti, in primis il capitale. Banca Etruria, fallita con scandalo e salvata per decreto, insieme a Banca Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti, rinasce come ‘good bank’ e posta in vendita. Monte dei Paschi di Siena, oggi in cerca di partner (leggi acquirenti, nazionali o esteri non si sa), che del legame con il territorio mostra la faccia perversa e che per il territorio è una ferita tutta ancora aperta. Casi diversi e destini ancora assai incerti, nei quali è difficile

dire se e quanta parte potrà avere il tanto sbandierato territorio. Sul tema prova a riflettere Ruggero Bertelli, professore associato di Economia degli intermediari finanziari presso l’Università di Siena, dove insegna Tecnica bancaria e gestione del rischio di credito. “Solo una banca sana può avere un rapporto sereno con il territorio. Quindi, da qualsiasi punto di partenza la si prenda, la questione è sempre nei fattori chiave del sistema del credito: la dimensione patrimoniale in rapporto ai rischi, la capacità di autofinanziamento, una redditività per gli azionisti coerente con il rischio, la qualità del management. Laddove uno di questi fattori non è in equilibrio,

ecco che si creano le condizioni per qualche distorsione. Per qualsivoglia impresa e per una banca in particolare”. Ossia, i problemi patrimoniali sono riversati nel territorio, come è avvenuto per Banca Etruria? “Purtroppo di casi ce ne sono stati diversi. Tutte le banche prima citate hanno il territorio nel nome. Ma attenzione, non voglio dire che sia un percorso automatico. Poniamo che una banca abbia problemi di solidità patrimoniale. Può rivolgersi al mercato nazionale o internazionale dei capitali, che ha i suoi prezzi ovviamente, oppure può decidere di far leva sul credito che può vantare sul proprio territorio, collocando obbli-


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gazioni subordinate. Proprio in quanto poco solida, la probabilità che sfrutti in modo anomalo il rapporto privilegiato con la clientela del territorio diviene alto. Una banca non serena con il proprio bilancio ha difficoltà ad avere rapporti sereni con i propri clienti”. E’ dunque una questione di controllo? Sono mancati i contrappesi a questo rapporto privilegiato? “Senza dubbio un rapporto sano richiede un sistema di vigilanza severo. E quanto più è piccola la banca, tanto più grande dovrà essere il contrappeso, vale a dire il controllo esterno. I casi delle banche fallite sono lì a dimostrare gli effetti estremi dei conflitti di interesse, quanto sia mancato il confronto con le istanze esterne. Tuttavia, c’è da dire che oggi dal punto di vista normativo gli strumenti non mancano e che il sistema di vigilanza si è evoluto. Basti pensare a quanto peso ha assunto la stessa Bce - un soggetto certamente molto esterno rispetto al territorio - che oggi entra a sbirciare nelle assemblee dei soci”. Siamo allora maggiormente al riparo dal ripetersi dei casi che hanno riempito le cronache di questi ultimi anni? “Non credo che le più forti garanzie di salute del sistema del credito risiedano nei meccanismi di vigilanza. Prima di

Solo una banca sana può avere un rapporto sereno con il territorio, trovando il proprio naturale equilibrio di impresa tutto, la banca, come ogni impresa, è chiamata ad analizzare il contesto e a elaborare il giusto mix di prodotti e servizi rispetto al bacino di utenza. Deve trovare il proprio naturale equilibrio. Si chiama rischio strategico ex ante che se correttamente valutato dovrebbe evitare a priori che una banca si collochi in un territorio che non potrà mai innescare un circolo virtuoso. Questo non dovrebbe essere l’organo di vigilanza ad assicurarlo, ma una competente valutazione manageriale. E’ successo invece varie volte che le banche si siano collocate in territori sfortunati o troppo limitati ex ante e poi abbiano cercato un

Il numero di banche deve ridursi ma è necessario che rimangano belle banche italiane con l’Italia nel nome

equilibrio a tutti i costi ex post, chiudendosi invece di aprirsi su nuovi mercati”. Non sembra il caso di Mps che è arrivato nella sua lunga storia a diventare una grande banca su scala nazionale. Cosa ha pesato su un esito così disastroso? “Il Monte dei Paschi di Siena è una grande banca nazionale che porta il richiamo al territorio nelle sue origini, ma è un caso a sé, sia per storia, sia purtroppo per gravità delle perdite e per lo squilibrio nel rapporto tra fondazione e banca. Le due entità avrebbero dovuto giocare ruoli diversi e soprattutto ben distinti. Non è, infatti, la banca a dover sviluppare il rapporto con il territorio, bensì la fondazione, la cui mission è appunto quella di attuare investimenti che abbiano positive ricadute in loco. Viceversa, la banca ha il compito di crescere e remunerare gli azionisti, tra i quali, uno tra tanti, vi è anche la fondazione. Il successo della banca è il successo della fondazione, che diviene risorsa per il territorio. Riconosco che si tratta di un equilibrio delicato tra un azionista troppo importante e un’impresa. La ricerca dei vantaggi per il territorio direttamente provenienti dall’attività della banca e non scaturiti in via indiretta dal suo successo sul mercato ha generato certamente una perdita di valore notevolissima”. Potrà tornare Mps ad

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avere un rapporto sano con il territorio le cui istanze continuano a discutere, anche duramente, sulla necessità o meno che resti compiutamente a Siena? “Per Mps il tema non è territorio sì o no. Si tratta di una banca di respiro nazionale con un territorio eccellente nel nome. Prendiamo atto con dolore di una distruzione di valore di notevoli proporzioni anche in termini relativi - tutte le banche hanno subito perdite di valore -, le cui specifiche responsabilità sono altrettanto enormi. C’è tuttavia un valore che è rimasto intatto ed è il brand. Dietro a questo marchio territoriale, noto nel mondo, c’è un patrimonio che ha ampi margini di valorizzazione. Mi riferisco non solo alla sua storia secolare, ma anche al know how fatto di persone, di senso di appartenenza, come di processi e di organizzazione. Tutto ciò non è stato distrutto perché le sofferenze consumano patrimonio, ma non le persone e le conoscenze. Le sofferenze non cambiano il sentimento nei confronti del territorio toscano. Ebbene, c’è questo marchio Mps che può avere un grande valore anche a livello internazionale e che una sana imprenditorialità potrebbe far ben valere nel mondo, con ottime ricadute per l’area di origine, in quanto porta scritto nel suo nome tutto un territorio, Siena e la Toscana. In Italia, come in altri paesi europei, deve ridursi il numero di banche. E’ importante però che rimangano belle banche italiane con l’Italia nel nome”.


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di Maurizio Abbati, giornalista freelance

R

icostruire un rapporto di fiducia tra cittadini e Stato, recuperando risorse economiche per restituirle sotto forma di servizi, valorizzare i dipendenti pubblici come motore del cambiamento, sostenere lo sviluppo e incentivare l’occupazione, rendendo più semplice il dialogo con il mondo delle imprese. E’ quanto si propone il Governo attraverso la Legge 124/2015, con un’azione portata avanti proprio dal Ministero della Semplificazione. Si punta dichiaratamente a rendere più efficaci le norme che ci sono, modificandole laddove l’interlocuzione con i cittadini e con le imprese ha dimostrato che negli anni si sono creati dei blocchi. Riforma che passa anche attraverso il riordino degli

Enti locali e delle loro competenze, cercando di evitare sovrapposizioni e ottimizzando i costi di erogazione dei servizi. Questo ha già comportato la progressiva dismissione delle Province e la spinta verso la fusione tra Comuni, ma potrebbe toccare anche le Regioni, che secondo una proposta sarebbero destinate a passare dalle attuali venti a dodici, lasciando inalterate le cose solo in Lombardia, Sardegna e Sicilia. Un processo già in atto dunque, il cui esito resta però ancora tutto da valutare. “La riforma della Pubblica amministrazione è un problema che si propone ormai da tanto tempo ed è sempre in attesa di una soluzione. Il servizio pubblico e l’amministrazione non sempre hanno quella

qualità che è richiesta dalle imprese per poter avviare un dialogo produttivo. Adesso devo dire che con le ultime riforme la strada sembra essere stata avviata, ma dobbiamo vedere ancora qualcosa di concreto e di decisivo, che ci faccia pensare a un reale cambiamento”. Commenta così, le mosse del Governo e la riforma in atto del sistema degli enti locali, il presidente della Piccola impresa Toscana, Giuseppe Ponzi, che non nasconde le attese da parte delle realtà economiche: “C’è aspettativa, perché si parla di riforme importanti, ma la cosa essenziale è che si elimini la burocrazia, che per le imprese significa perdita di tempo e di denaro, difficoltà a operare e far fronte alla concorrenza. La burocrazia però non si can-

cella solo facendo nuove leggi contro di essa, bensì con azioni chiare e decise”. Quanto può incidere in positivo a livello di semplificazione la riforma che prevede l’eliminazione delle Province, gli accorpamenti tra Comuni e i nuovi poteri attribuiti alle Regioni? “La cancellazione delle Province non incide in maniera rilevante sulla vita delle imprese, perché in realtà sposta solo i compiti da un ente all’altro, tanto più che ancora le Province restano, magari sotto forma di Città metropolitana, come accade per Firenze. Per altro le Regioni di competenze verso il mondo delle imprese non ne hanno molte. E’ un primo passo, ma non si può fermarci qui pensando di aver trovato tutte


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le risposte, perché non servirebbe a niente”. Cos’è che allora servirebbe? “Le modifiche di cui necessitiamo sono quelle relative alla gestione della spesa pubblica, degli appalti pubblici e della giustizia. Quest’ultima è una riforma fondamentale, che ci viene richiesta anche dai nostri partner commerciali, come elemento di sicurezza per i loro investimenti; questo contribuirebbe a rendere così più attrattivo il Paese nei confronti di capitali esteri. Abbiamo così tanti processi accumulati negli anni in ambito civile da non riuscire a smaltirli neanche facendo un superlavoro. Poi esiste un problema fiscale. Sarebbe troppo facile parlare di tasse troppo alte, ma la questione non è soltanto di quantità. Per noi è difficile avere la certezza che l’adempimento fiscale che si sta facendo sia corretto e questo ci mette in seria difficoltà. Anche in questo campo la semplificazione normativa sarebbe essenziale e renderebbe persino la vita più difficile ai furbi che vogliono evadere il fisco. Infine c’è un gap infrastrutturale da colmare. Le infrastrutture dovrebbero essere il motore dell’economia e sono indispensabili per la competitività delle imprese. Ad esempio per quanto riguarda il capitolo

della banda larga, che resta un servizio strategico sotto il profilo della comunicazione e su cui bisogna investire”. La strada delle riforme dunque è ancora tutta in salita, anche se il Governo nelle intenzioni sembra aprire al cambiamento e a imprimere maggiore velocità all’azione del parlamento e delle istituzioni. Dell’idea che ci sia ancora molto da fare è anche Giacomo Lucibello, classe 1981 e attuale presidente dei Giovani imprenditori della Toscana. “La riforma della pubblica amministrazione non incide se il vero obiettivo non è eliminare la burocrazia e ci si limita a cambiare nomi alle cose, come con le Province. Anche perché non si è capito bene chi dovrà ereditarne le funzioni e se si

Senza infrastrutture l’economia non si muove e le imprese perdono terreno: servono risposte anche per i “vecchi” problemi

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Perdita di tempo e di denaro, difficoltà a operare e far fronte alla concorrenza, ancora troppa la burocrazia tratterà solo di un passaggio di competenze. Mi sembra invece che il cambiamento sia partito dalla carta e purtroppo finora sia rimasto lì. Nel senso che si tratta di un processo troppo lento perché possa portare realmente dei benefici al sistema delle imprese. Servirebbe più slancio e determinazione. Credo ci sia anche bisogno di informazione, sia per chi deve esercitare le varie competenze, sia per i cittadini. Proprio questa carenza di informazione corretta è un elemento di criticità, perché nel dubbio si finisce con il non fare per non rischiare e questo alla fine penalizza l’intero sistema”. Uno degli obiettivi dichiarati, oltre alla cancellazione delle Province, è la riduzione del numero dei Comuni attraverso il processo delle fusioni già in corso. La Toscana ne ha 279 e sembrano tanti, ma la Lombardia ne ha 1.528 e il Piemonte 1.202, con una popolazione media di 3.680 abitanti soltanto. In totale fanno circa 8mila Comuni, ciascuna con la propria struttura organizzativa. Allora questa riforma che sta coinvolgendo tutto il sistema delle istituzioni locali non serve? “Certo che la frammentazione non aiuta, questo è ovvio. Ma secondo me in realtà ci troviamo in un momento in cui si

riesce in qualche modo a dialogare con le istituzioni locali, almeno per quello che mi riguarda in Toscana e a Firenze; il problema è che non si mettono queste ultime nella condizione di rapportarsi in maniera fattiva con le imprese, così da supportare uno sviluppo a livello territoriale. La politica lancia segnali e adesso spinge per l’unione di più regioni, ma mi sembra piuttosto inutile, considerato che è già difficile muoversi all’interno di un singolo ambito regionale; creare macrostrutture più vaste delle attuali potrebbe alla fine dei conti complicare le cose anziché semplificarle. Il problema parte dal livello centrale ed è lì che è necessario intervenire in profondità, se davvero si vogliono far funzionare le cose e si intende avviare un processo di modernizzazione del Paese”.


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di Mattia Cialini, giornalista “Arezzonotizie.it”

I

n regione ha segnato una svolta: l’Associazione Industriali della Toscana del Sud è stata la prima territoriale di area vasta. Battistrada in Toscana, ha subito raccolto la sfida della Riforma Pesenti sulle fusioni. Ma il percorso di aggregazione di Arezzo, Grosseto e Siena, culminato nel 2014 con la scelta di Andrea Fabianelli come presidente unico e di Massimiliano

Musmeci come direttore generale, parte da lontano, molto lontano. Sono passati sette anni da quando, nel marzo 2009, i tre presidenti delle Associazioni Industriali di Arezzo, Grosseto e Siena gettarono le basi dell’unificazione, siglando un protocollo d’intesa. Oggi Confindustria Toscana Sud rappresenta territorialmente l’associazione più vasta in regione, copre infatti più del cinquanta per cento del-

la superficie toscana, e riunisce oltre mille aziende. Alla prima assemblea generale, nel luglio 2015, prese parte anche l’allora presidente nazionale degli industriali, Giorgio Squinzi. Presidente Fabianelli, la fusione si è concretizzata sotto la sua presidenza. E’ stata figlia di una necessità specifica? Si è rivelato un processo complicato?

“Noi industriali abbiamo bisogno di un’associazione sempre più forte, ecco perché è stato scelto un percorso inclusivo. I primi passi mossi rappresentano l’inizio di una grande trasformazione: ci auguriamo che entro breve gli industriali toscani possano avere un’unica associazione regionale. L’unione delle associazioni di Arezzo, Grosseto e Siena è stata presa come modello da Confindustria


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nazionale. A livello regionale un altro esempio è quello di Confindustria Toscana Nord. Non bisogna pensare, però, che si sia trattato di un processo agevole: le fusioni sono sempre complesse, quelle tra associazioni particolarmente. Ci sono culture e tradizioni differenti, è stato necessario dar vita a un nuovo organismo che tenga conto delle diverse sensibilità, tenendole tutte assieme. Uno sforzo notevole, ma dettato dalla necessità di permettere a un’associazione di categoria come le nostra di assolvere al meglio il proprio compito di rappresentanza. Esiste una dimensione minima al di sotto della quale è impensabile essere competitive per le aziende che ne fanno parte”. A livello amministrativo, le Province hanno sempre meno rilievo: il potere e le risorse vanno a concentrarsi nelle mani della Regione. Confindustria si sta adattando all’evoluzione?

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AREZZO

Andrea Fabianelli

Aree vaste per il confronto con le istituzioni e radicamento sul territorio, e una rete sempre più forte: questo il futuro delle associazioni “La rappresentanza di interessi si deve adattare ai luoghi decisionali degli interlocutori, in primo luogo alle Amministrazioni pubbliche. Mi sembra evidente come i nuovi assetti amministrativi prevedano

lo spostamento delle attività da una parte verso i Comuni e dall’altra verso le Regioni: così, le associazioni di categoria come Confindustria, fino a ieri territorialmente dimensionate sulle province, dovranno riuscire a essere incisive nei confronti di Comuni da un lato e Regioni dall’altro. Ed è per questo che sono convinto che arriveremo a un’unica Associazione regionale degli Industriali. Una realtà più grande che sia contemporaneamente in grado di rappresentare gli interessi di porzioni territoriali più piccole e omogenee: in un contesto di

area vasta come la Toscana Sud, è fondamentale che Confindustria sia ben radicata nei territori sub provinciali come, ad esempio, la Valdichiana”. Quali sono le conseguenze pratiche di questa nuova geografia? Quali i miglioramenti sul fronte dell’incisività dell’azione associativa? “Aree come la Valdichiana sono a cavallo di territori provinciali, Arezzo e Siena, nello specifico. Ma penso anche alla Valdelsa, tra Siena e Firenze, o al Valdarno, tra Arezzo e Firen-

Prioritarie le infrastrutture digitali: altrimenti le imprese rischiano di rimanere fuori dai giochi


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GROSSETO

ze. Ci sono aziende con stabilimenti al confine, uno in una provincia e uno in un’altra. Ci deve essere un’unica rappresentanza per l’azienda, ecco perché l’evoluzione dell’associazione risulta fondamentale: aree vaste per il confronto con gli interlocutori istituzionali e radicamento sul territorio per ascoltare le esigenze degli associati”. Ad Arezzo c’è un grande polo fieristico, “Arezzo Fiere e Congressi”. E’ alle porte della città. In questi giorni si sta dibattendo del futuro della struttura, cosa ne pensa? “‘Arezzo Fiere e Congressi’ è una realtà importante nel panorama fieristico nazionale e non va abbandonata. Credo però che il livello minimo per gestire la regìa della struttura debba essere in mano alla Regione Toscana. E’ necessario un coordinamento delle azioni, altrimenti si rischia di mettere in competizione strutture tra loro vicine, che dovrebbero

L’export è uno dei settori trainanti per le imprese italiane, un coordinamento regionale è garanzia di un sistema promozionale più forte

invece far sinergia. Se c’è vera volontà di rilancio nell’ambito fieristico, la Toscana dovrebbe scommettere sulla gestione unica regionale, seguendo la strada già tracciata dall’Emilia Romagna”. Aree vaste e infrastrutture. La Toscana del Sud va dall’Isola del Giglio a Badia Tedalda, nel cuore dell’Appennino Tosco-Marchigiano-Romagnolo. Gli attuali collegamenti su gomma o rotaia paiono inadeguati per

SIENA

quantità e qualità e rischiano di ritardare lo sviluppo delle zone più periferiche. “Tutto vero, il ritardo delle infrastrutture è un grande problema. La penuria di risorse destinate agli investimenti infrastrutturali non fa nemmeno ben sperare per un miglioramento capillare in tempi brevi. Le istituzioni dovrebbero però almeno garantire una copertura di qualità per quanto riguarda le infrastrutture digitali. Per un’impresa che si muove nello scacchiere globale è impensabile rischiare di rimanere tagliata fuori. Le nuove tecnologie sono indispensabili, non solo per poter svolgere al meglio la propria attività, ma anche perché in questo modo le distanze fisiche possono essere accorciate. Se un imprenditore si trova impossibilitato a essere fisicamente presente per un appuntamento in un certo luogo in tempi ragionevoli, vista la penuria di collegamenti di cui si diceva, quantomeno può presenziare in videoconferenza”. La crisi dei consumi in-

terni e uno scenario economico mondiale in continua (e rapida) evoluzione determinano una crescente importanza dell’internazionalizzazione, anche per aziende di ridotte dimensioni. Come si sta muovendo Confindustria Toscana Sud? “L’internazionalizzazione rappresenta l’esempio tipico della necessità, per un territorio, di muoversi in maniera compatta per portare avanti un’azione incisiva e ottenere risultati. Torniamo così a parlare dell’importanza di un coordinamento regionale anche sul fronte delle aziende che esportano all’estero. Per quanto ci riguarda, sul fronte export abbiamo gli strumenti per mettere in relazione tutto il sistema confindustriale toscano. Dirò di più. Concludo il mio mandato come vice presidente di Confindustria Toscana con delega all’internazionalizzazione e posso dire di essere soddisfatto per il raggiungimento di due obiettivi che mi ero prefissato: la regionalizzazione e la riforma del sistema promozionale toscano”.


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on tre sedi, milleduecento soci con quarantamila dipendenti, tre società di servizi, la nuova associazione nasce con una dotazione di base di tutto rispetto, che la rende una realtà di forte rilevanza a livello regionale e nazionale. Le sezioni merceologiche in cui si

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articola la sua base associativa vanno dalla moda, incluso il calzaturiero, al cartario; dalla metalmeccanica alla nautica; dalla chimica, farmaceutica, plastica e gomma ai trasporti; dai servizi e terziario, inclusi turismo e sanità, agli alimentari, fino al lapideo, legno, arredamento e molto altro.

La fusione ha interessato anche la sezione edilizia, con la nascita della sua specifica associazione di rappresentanza ANCE Toscana Nord. A traghettare la nuova associazione verso l’elezione degli organi previsti dallo statuto è il pratese Andrea Cavicchi, che assieme alle colleghe

di Lucca Cristina Galeotti e di Pistoia Federica Landucci ha promosso e gestito i delicati passaggi della fusione. In questi mesi, nei ruoli rispettivamente di presidente e di vicepresidenti, stanno curando l’avviamento dell’operatività di Confindustria Toscana Nord.


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“La fusione non è stata per noi solo la risposta dovuta alle indicazioni della riforma del sistema Confindustria – spiega il presidente Andrea Cavicchi –. E’ stata in primo luogo una scelta consapevole, scaturita dalla convinzione che la funzione di rappresentanza delle nostre associazioni originarie potesse e dovesse essere resa più forte e più autorevole. Quello che raccomandiamo alla politica, cioè modernizzarsi, riorganizzarsi, razionalizzare e snellire strutture e servizi, deve valere anche per il nostro sistema. Un uso ottimizzato delle risorse consente di dare di più alle aziende, di assisterle in maniera più qualificata ed efficace. I soci hanno compreso e condiviso questa logica. Sono stati rassicurati che sul piano operativo non avrebbero avuto alcuna penalizzazione, ma anzi nuove opportunità dovute all’ampliarsi delle competenze e dei servizi. L’assenso pressoché totale che abbiamo riscontrato nei soci è stato la miglior conferma della qualità del lavoro fatto per coniugare, a livello di statuto e di regole di governance, integrazione e salvaguardia delle specificità locali. La sfida vera, però, è cominciata con il 1° gennaio, quindi con l’effettiva realizzazione della fusione. Ci attende la formazione degli organi direttivi di Confindustria e l’avvio della loro attività: un processo che procede con molta serenità e costruttività.

Quanto alla struttura operativa, non vi è stata alcuna soluzione di continuità nel servizio e nell’assistenza ai soci, ma anzi una rinnovata spinta positiva”. Proprio i servizi ai soci rappresentano un punto di forza di Confindustria Toscana Nord, che ritiene essenziale assistere le imprese per una molteplicità di aspetti. “Quando abbiamo cominciato a lavorare sul processo di fusione ci siamo resi conto che dal punto di vista dei servizi le nostre associazioni si trovavano in una situazione ottimale – commenta la vicepresidente Cristina Galeotti –. Infatti condividevamo servizi istituzionali di buon livello e accanto a questi disponevamo di servizi personalizzati, erogati dalle nostre

rispettive strutture preposte allo scopo, complementari e integrabili con facilità. Le nostre società di servizi coprono una gamma ampia di competenze, sviluppate e declinate in misura diversa e con moda-

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lità loro proprie. I loro servizi si sono formati in funzione delle esigenze del rispettivo territorio di riferimento, ma presentano forti e reali potenzialità di estensione e di ulteriore specializzazione. E’ in


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questa direzione che ci stiamo muovendo, raccogliendo già oggi buoni risultati. I servizi personalizzati integrano la consulenza, l’informativa e l’aggiornamento che costituiscono la base del supporto che diamo alle imprese socie. Formazione, amministrazione del personale, ambiente, sicurezza, finanziamenti agevolati sono solo alcuni dei servizi personalizzati che forniamo. A questi occorre aggiungere i consorzi e i gruppi di acquisto di energia elettrica e gas metano: esempi, questi, di quanto aggregarsi sia proficuo per i conti delle imprese”. Accanto ai servizi, la funzione di rappresentanza: Confindustria Toscana Nord si presenta ai suoi interlocutori istituzionali, soprattutto di livello locale e regionale, con un profilo nuovo, che supera i confini provinciali. Se non un esempio, almeno uno stimolo ad approfondire e valutare le

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I servizi a disposizione delle imprese rispondono alle esigenze del territorio e presentano grandi potenzialità crescita

opportunità date da processi di integrazione. “La materiale prossimità degli uffici pubblici è stata per molti anni un elemento di vantaggio, autentico fattore competitivo per le aziende. – afferma la vicepresidente Federica Landucci - La riforma della pubblica amministrazione configura adesso la capillare distribuzione degli enti locali come superata. Ma se la

motivazione più evidente della riforma è la non sostenibilità economica dell’apparato, personalmente credo ci possa essere altro: una macchina pubblica eccessivamente frammentata finisce anche per esprimere particolarismi, autoreferenzialità, incapacità di traghettare il territorio verso una sua maggior qualificazione. Oggi occorre capacità progettuale, esperienze multiple

Un uso ottimizzato delle risorse consente di dare di più alle aziende e di assisterle in maniera più qualificata ed efficace

e di maggior respiro, messa a sistema di conoscenze e prassi maturate nel tempo. Considero dunque un possibile vantaggio la fusione fra comuni, la condivisione di servizi alle imprese e alle persone (nel caso che ben conosco) delle Camere di commercio, la redistribuzione di funzioni che seguirà alla progressiva scomparsa delle province, la specializzazione delle prestazioni mediche che dovrebbe derivare dalla riorganizzazione del servizi sanitario regionale. E tutti i processi analoghi che investiranno gli enti locali di secondo livello. Con una sola avvertenza: le aree più deboli, con scarsa infrastrutturazione materiale ed immateriale, fragilità idrogeologica, servizi carenti e che progressivamente ed ulteriormente si deteriorano dovranno essere tutelati, proprio con le risorse liberate grazie ai processi di risparmio così ottenute”


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L

o scorso 20 gennaio, il Consiglio dei Ministri ha approvato, in via preliminare, lo schema di Decreto Legislativo per la riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le Autorità portuali (legge 28 gennaio 1994, n. 84), in attuazione dell’articolo 8, comma 1, lettera f) della legge 7 agosto 2015, n. 124 (cd. “Legge Madia”) di riforma della P.A., quindici Autorità di Sistema Portuale (AdSP) in sostituzione delle ventiquattro Port Authorities oggi esistenti; un Presidente con mandato quadriennale, e con maggiori poteri rispetto al passato, nominato dal Ministro d’intesa con il Presidente o i Presidenti delle Regioni interessate; un “Tavolo di partenariato della risorsa mare”, che va a sostituire le attuali commissioni consultive; gli Uffici territoriali al posto delle Autorità Portuali nei porti non sede di AdSP e un tavolo nazionale di coordinamento delle AdSP”, chiamato a coordinare e armonizzare le

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scelte strategiche che attengono i grandi investimenti infrastrutturali e quelle di pianificazione urbanistica in ambito portuale, le strategie di attuazione delle politiche concessorie del demanio marittimo nonché le strategie di marketing e promozione sui mercati internazionali. “Queste, a grandissime linee, sono le novità della riforma” spiega Fabio Selmi, presidente dell’Agenzia Marittima CSA e Consigliere di L.T.M. Livorno Terminal M.mo Autostrade del Mare oltre che Presidente della Sezione Logistica e Trasporti di Confindustria Livorno.“I porti di Livorno, Piombino, Portoferraio e Rio Marina saranno accorpati in un’unica Autorità di Sistema Portuale del Mare Tirreno Settentrionale. Sul sistema infrastrutturale e sul settore della logistica, la Toscana della costa gioca una delle grandi sfide dei prossimi anni e in questa sfida, il sistema dei porti avrà un ruolo decisivo. Livorno, Piombino e l’Isola d’Elba insieme hanno tutto

per poter diventare un grande polo di attrazione sia a livello turistico sia a livello commerciale e la loro interazione con l’aeroporto di Pisa e con l’interporto di Guasticce, permetterà a tutta l’area tirrenica di cambiare marcia e diventare il motore di una regione sempre più al passo con le principali realtà europee”. Nel complesso possiamo definire riuscita la manovra del Governo? “Purtroppo, lo schema di provvedimento risulta poco convincente e Confindustria ne ha anche argomentato dettagliatamente le motivazioni in un Position Paper inviato alcuni giorni fa al Ministro Delrio. Quello che preoccupa maggiormente la componente imprenditoriale è la sostanziale ‘statalizzazione’ della portualità, attraverso la completa consegna alla politica, della governance dei porti (sia a livello nazionale sia a livello locale). Infatti, oltre al Presidente nominato dal Ministero, l’altra componente ‘pesante’ e quasi

esclusiva della gestione dei porti sarà costituita dai Sindaci dei Comuni appartenenti all’AdSP, i quali hanno come ‘riferimento politico’ un elettorato che potrebbe non sempre avere interessi convergenti con lo sviluppo portuale. Conseguentemente, con l’eliminazione dei Comitati e delle Commissioni Consultive, le categorie Imprenditoriali, non avranno alcuna reale possibilità di partecipazione e ‘verifica’ delle scelte delle AdSP, pur essendo i principali contribuenti dei sistemi portuali, investendo ingenti capitali, corrispondendo elevati oneri concessori, oltre a dover garantire gli obiettivi dei piani d’impresa sia per la quantità dei traffici che per i livelli di occupazione. E’ stato di fatto scelto un modello organizzativo ‘ibrido’ che non ha eguali in nessun’altra realtà portuale europea”. Torniamo in Toscana. Quali sono le prospettive per il Porto di Livorno in particolare? “Il Porto di Livorno è ca-


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pace di movimentare fianco a fianco cinquecentosettantamila teu e trecentotrentamila rotabili, trecentottantamila auto nuove e seicentomila crocieristi. I traffici ro-ro hanno visto la crescita più consistente in questi ultimi anni, fino a fare di Livorno un porto leader. Per consolidare e sviluppare i traffici delle autostrade del mare, della cellulosa, dell’impiantistica – senza naturalmente dimenticare le crociere – è indispensabile, anzi urgente, realizzare la Piattaforma Europa. La priorità deve restare, quindi, quella di costruire quello che abbiamo voluto definire ‘il nuovo porto a mare della Toscana’, che una volta completato, libererà estesi spazi del porto commerciale, tali da poter soddisfare le legittime esigenze di tutti gli operatori; consolidare quindi i traffici esistenti e attrarne certamente di nuovi. E’ innegabile, infatti, che il nuovo porto a mare rappresenti il fattore competitivo primario per contribuire a sviluppare nuovi investimenti e costituire il perno della robusta rete intermodale che fa parte integrante delle strategie di sviluppo equilibrato di tutta la Toscana della costa”. Il Gruppo Neri è un’Azienda storica nel sistema portuale italiano. Con oltre quattrocento dipendenti, opera nel campo dell’armamento, dei terminal, delle bonifiche e dei dragaggi dei porti. Tra le recenti missioni del ramo rimorchi e recuperi marittimi, ha fatto notizia il recupero di una navicella spaziale nel Pacifico, senza dimenticare il ruolo determinate avuto nella

vicenda della nave Concordia, arenata sull’Isola del Giglio. Al timone del Gruppo il cav. Piero Neri, amministratore delegato del Gruppo e vice presidente di Confindustria Livorno con delega alla portualità. Dott. Neri, da tempo la geografia di riferimento per le strategie di sviluppo, non si limitano più all’ambito provinciale bensì a quello delle macro regioni guidate dalle città metropolitane. In questo contesto, come vede l’accorpamento del Porto di Carrara con quello di La Spezia? “E’ urgente, indispensabile, richiamare la salvaguardia dell’integrità del sistema portuale toscano che rischia lo smembramento per l’accorpamento dell’Autorità Portuale di Carrara con quella di La Spezia. E’ del tutto evidente, infatti, che lo ‘smembramento’ dell’attuale sistema portuale toscano confligge pesantemente con gli obiettivi e le strategie di politica industriale contenuti negli Ac-

cordi di programma che il Ministero dello Sviluppo Economico ha pianificato per Livorno, Massa Carrara e Piombino. Le caratteristiche dei sistemi produttivi retrostanti i tre porti toscani, costituiscono una rara poliedricità nel panorama dei porti nazionali, tale da accrescere in maniera considerevole la competitività rispetto ad altre regioni italiane. Conseguentemente, tutelare l’integrità del nostro sistema portuale toscano garantirebbe il consolidamento degli importanti volumi di investimento già in corso di progettazione e, certamente, ne attrarrebbe di ulteriori, come già sta accadendo nel Porto di Piombino”. Ha fatto riferimento all’Accordo di Programma. Che cosa prevede? “L’Accordo per il rilancio competitivo dell’area costiera livornese, a cui facevo riferimento prima, è stato sottoscritto lo scorso 8 maggio. L’intesa riguarda la logistica integrata e la mobilità, lo sviluppo economico dell’intera

La manovra del Governo non convince le imprese, che si trovano escluse da una reale possibilità di partecipazione e di verifica delle scelte, pur essendo i principali contribuenti dei sistemi portuali

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area, la sua sostenibilità territoriale ed energetica, la formazione e il lavoro. Le risorse previste saranno impiegate per realizzare la nuova Darsena Europa, per collegare direttamente porto e interporto con la rete ferroviaria nazionale, riqualificare l’area produttiva che si estende fino a Rosignano e a Collesalvetti e sviluppare l’occupazione. Una componente fondamentale e sinergica dell’Accordo è data anche dal contributo in termini di incentivi previsto sia a livello ministeriale, sia a livello regionale. Lo ‘smembramento’ del porto di Carrara dalla portualità toscana, rischia di pregiudicare gli obiettivi logistici dell’Accordo di Programma. Ci auguriamo che la politica sia in grado di armonizzare le politiche d’incentivo e quelle di incremento delle infrastrutture, nonostante l’alternatività che inevitabilmente si verrà a creare con il passaggio di uno dei porti toscani nella geografia economica della Liguria”.


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di Paolo Vannini, giornalista freelance

L

a “nuova” Toscana che si sta delineando dal processo di fusioni e accorpamenti? Bocciata, senza esami di riparazione. L’ingegner Giuseppe Baccioli, past president dell’Associazione Industriali di Massa e adesso consigliere della stessa associazione, con un’importante carriera manageriale alle spalle, a lungo dirigente Fiat e direttore dello stabilimento di Massa del Nuovo Pignone, lascia pochi margini di dubbio. Che si parli di Province, di Camere di Commercio, di “utilities” o altro, il processo aggregativo presenta a suo avviso molte più luci che ombre, tanto più per un’area marginale come quella di Massa. E se proprio si deve procedere nel tagliare e nel ridurre centri deci-

sionali, secondo Baccioli meglio un unico grande accorpamento nel capoluogo regionale. “Due riflessioni preliminari: la prima è relativa a una Provincia marginale come Massa nel contesto toscano – spiega l’ex presidente degli Industriali massesi –. Vedo un’alta probabilità che gli accorpamenti avvengano spostando i centri decisionali da una città a un’altra più importante. E questo non è tanto un problema di posti di lavoro quanto il rischio di una perdita significativa di talenti manageriali. Il nostro è un territorio piccolo, numericamente dalle limitate intelligenze e capacità manageriali. Perdere anche queste figure di rilievo, di alto spessore, questi momenti istituzionali, mi preoccupa, sia come

valore individuale sia per il contributo che possono dare a tutto il territorio”. Da questa prima premessa pare proprio che il processo di riduzione, semplificazione o accorpamento che dir si voglia, in generale, la veda alquanto scettico. E siamo solo alle premesse “In effetti. Ma andiamo avanti. La seconda riflessione preliminare è questa: un territorio di confine come il nostro non sempre trova una logica aggregativa. Storia, geografia e ragioni economiche suggerirebbero di tener conto di alcuni fattori precisi negli accorpamenti – nel nostro caso La Spezia, il Magra, la Lunigiana – ma spesso non è così. Ci sono sinergie che potrebbero re-

alizzarsi mentre ragionamenti di tipo regionale ci portano altrove”. Quindi ci sono altri motivi che spingono in una certa direzione, senza tenere in debito conto le ragioni delle diverse aree geografiche. E’ così? “Queste aggregazioni avvengono alla rinfusa, non con una visione d’insieme. Le scelte che sono effettuate dovrebbero tener conto di certe presenze sui territori, dagli aeroporti alle università, e ragionare intorno ad esse. Invece non pare essere così. Si procede in ordine sparso. Come industriali siamo aggregati a Livorno; come Camere di Commercio con Pisa; come Autorità di Porto con La Spezia. Essendo periferici godiamo di tutti gli svantaggi. Non vedo proprio quali sia il valore


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aggiunto di queste aggregazioni”. Quindi, come diceva in premessa, c’è una debolezza intrinseca a una zona marginale come quella di Massa ma c’è anche una contemporanea mancanza di un disegno complessivo “E’ mancata una regia al di sopra che cercasse di pilotare intorno a valori aggreganti. Al contrario si sono adoperate logiche opportunistiche che non danno alcun contributo costruttivo”. Spesso i fautori delle unificazioni, dei tagli, delle aggregazioni sottolineano che a opporsi a questi processi sono ragioni spesso di puro campanile. Lei trova che esista anche questo aspetto? “Nel caso nostro dico semplicemente che avremmo avuto bisogno di un’aggregazione di Massa con Carrara, superando le logiche di campanile. Invece si procede solo in base al risparmio, al contenimento dei costi, sempre ammesso che questo risultato lo si raggiunga davvero. Per esempio penso alle Prefetture. Ci dovrà essere una logica di controllo del territorio nel ridefinirle. Ridurre i costi va sempre bene, certo, ma deve esserci prima di tutto una logica funzionale”. I costi, appunto. Ogni ridisegno di enti, istituzioni, associazioni, dalle Province, alle Prefetture, alle Camere di Commercio è sempre stato giustificato in primis con la necessità di ridurre al minimo i costi delle strutture, a volte elefantiache e comunque sotto utilizzate, e tutti i rivoli di quella spesa allegra che riassumendo

rientra nel capitolo sprechi. Non pensa che, pur con tutti i limiti, questo processo fosse inevitabile? “Ammettiamo pure che, per esempio, abolendo le Province si abbia un risparmio. Bene, ma cosa è avvenuto e sta avvenendo? Che certe funzioni delegate alle Regioni non hanno significato uno spostamento di competenze alle Regioni stesse. Dove prima c’era un riferimento provinciale oggi non c’è più e non è stato sostituito da un riferimento di altro livello. Accade così che la Regione adesso ha compiti per i quali non è attrezzata”. Può farci qualche esempio per capire meglio? “Un funzionario del settore ambientale a Grosseto, per esempio: non ha più un riferimento locale a livello provinciale e deve fare riferimento alla sede centrale regionale di Firenze. Così succede che Grosseto ha il personale e non la funzione e la Regione ha la funzione e non il personale. Il

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Se occorre tagliare e ridurre centri decisionali, meglio un unico grande accorpamento nel capoluogo regionale risultato per la Regione sarà solo un aggravio dei costi. Ci vorrà molto tempo perché questa nuova situazione venutasi a creare porti a qualche sinergia vera e a un migliore funzionamento”. L’accorpamento delle Camere di commercio: anche in questo caso si è proceduto male? “L’accorpamento in questo caso per Massa è con Pisa e Livorno, mentre per le Prefetture il legame sarà con Lucca. Mi dica lei il senso, se c’è un minimo di logica in tutto ciò. Proprio non si intravede una logica che porti vantaggio ai cittadini, che dovrebbe essere lo scopo principale dell’intero processo di riorganizzazione. Per le Camere così come per il resto. La sostanza non cambia”. Proviamo a guardare in un’altra direzione, le “Utilities”. Anche qui stessa storia?

Il ricorso ai processi informatici, nel lungo periodo, migliorerà l’accesso ai servizi. Ma le aggregazioni forzate e poco logiche, anche nel campo delle ‘utilities’, non convincono

“Le realtà periferiche risultato depredate. La conseguenza dei processi in atto è che i cittadini dovranno spostarsi sempre di più. Certo, nel lungo periodo grazie a una maggiore informatizzazione si intravede una minore necessità di spostarsi di persona per ottenere qualsiasi servizio; quindi una necessità minima di raggiungere la sede centrale di un ente o di un’azienda per svolgere qualsiasi pratica. Questo è chiaro e in prospettiva il ricorso ai processi informatici è sacrosanto. Ma gli accorpamenti forzati e poco logici, anche nel campo delle ‘utilities’, non convincono: meglio allora un’unica aggregazione, un livello centrale nel capoluogo regionale. Meglio avere ogni riferimento a Firenze, sapendo che quando ci si sposta lo si fa per più ragioni, diciamo si ottimizza lo spostamento. Nel caso di Massa spostarsi per Livorno non è molto diverso rispetto a raggiungere Firenze. Nella logica dell’accentramento di tutto, se con un unico spostamento posso ottenere più, è addirittura più facile e conveniente”. In definitiva meglio l’unica grande concentrazione che accorpamenti fatti male. E’ questa la resi del mondo industriale? “Sì, come industriali preferiremmo impegni per un vero accentramento regionale di tutte le funzioni. Una centralizzazione del mondo regionale, con accrescimento culturale, rispetto alle tante aggregazioni settoriali”.


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ies Industria e Sviluppo

ANNO VIII - N. 2 maggio-agosto 2016

quadrimestrale di informazione, opinione, economia, impresa Confindustria Firenze, Livorno, Massa Carrara, Toscana Nord, Toscana Sud

L A N U O VA GEOGRAFIA DELLA TOSCANA FRANCESCO BUTINI Una nuova geografia del potere ENRICO ROSSI L’Italia cambia, cambia la Toscana CONFINDUSTRIE TOSCANE - I PRESIDENTI Dalle aggregazioni lo sprint per crescere

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