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A CONVERSATION WITH… A DIAMOND SHARON STONE AL ZURICH FILM FESTIVAL UNA DIVA MALEDETTAMENTE NORMALE
Èdecisamente l’ evento di questa edizione del festival. Annunciato con grande sapienza mediatica da tempo, in questo fine settimana si avvera e colei che viene da tutti definita come l’ ultima delle dive, arriva a Zurigo e si concede generosamente in due occasioni: il sabato sul tappeto verde – qui non è mai stato rosso – del festival, tutta vestita d’ oro e bella come non mai, per ricevere il Golden Icon Award, un premio alla carriera, e nel pomeriggio di domenica, nella bella location del Sihlcity Arena, per una “conversazione”, come sportivamente viene presentato l’ incontro di un’ora a quattr’occhi, quelli suoi e quelli del neo e capacissimo direttore del festival Christian Jungen. In una sala gremita, dove l’ eccitazione per un incontro non proprio quotidiano si sente tutta – non poche le signore vestite e pettinate da gran galà, tacchi vertiginosi e décolleté nonostante la giornata autunnale e l’ orario, un primissimo pomeriggio, non proprio da giustificare tali mise -, ecco, in questa sala, da un’anonima porta laterale entra lei, Sharon Stone, puntuale e senza attese o bizze da diva come avremmo creduto e forse sperato, per avere conferma di quel personaggio che i media ci vendono e che lei, sistematicamente, smonta. Un diamante, un diamante di gran qualità e di fattura perfetta, questo è quello che sale sul palco. E non viene da definirla diamante solo per il bellissimo completo giacca pantalone, potrebbe essere un Dolce & Gabbana come lo splendido vestito in oro della sera precedente, ma perché questa donna, questa persona è un diamante nel modo di brillare di luce propria, di catturare l’ attenzione per carisma ed intelligenza e soprattutto, grande autenticità. Cristian Jungen pone una serie di domande che aiutano noi pubblico ad orientarci nella vita privata e professionale di questa donna che, a 63 anni, è da tempo entrata nella leggenda e nella mitologia del cinema. Domande sul padre, sulla madre e la prima: cosa si provi ad essere Sharon Stone. E l’ esordio della Stone non poteva essere meno professionale: mi stupisco io stessa di essere quello che sono, mi chiedo: ma sono io - that’s really me?? – dice, accompagnando la frase da una mimica ed una gestualità propri solo dei grandi attori che hanno interiorizzato il loro mestiere. E racconta di come sia in realtà anche madre di tre ragazzi e che quindi viva in una casa piena di calzini puzzolenti ed altro, proprio come potrebbe capitare ad ognuno di noi. Il ghiaccio è rotto, il pubblico applaude e le tante donne presenti in sala, sia quelle con una pettinatura da 200 CHF, che quelle con il capello sfibrato e mal pettinato, applaudono e si riconoscono in questa donna che, in questo incontro, come prima preoccupazione, ha avuto quella di metterci a nostro agio e di azzerare le distanze tra noi e lei. Poteva darsi in qualsiasi modo: diva capricciosa, scostante, eterea, annoiata, ha scelto invece la veste di “sono una di voi” e, ad un’ ulteriore domanda di Jungen sul suo rapporto con la gente comune, aggiunge: ho trascorso la maggior parte della mia vita tra assistenti di volo, concierge di alberghi, autisti, insomma, Sharon una del popolo. Non dimentichiamoci però quello che davvero è: una delle attrici più affermate e più preparate. Cita Lubitsch, Hitchcock e dice che avrebbe voluto lavorare con lui; tiene anche una piccola lezione sul linguaggio di “Hitch” parlando delle pettinature di Kim Novak in “Vertigo” e di Grace Kelly ne “La finestra sul cortile”: i capelli tirati all’ indietro di Kim Novak - imposti da Hitchcock per cui la Novak dovette indossare una parrucca, visto che aveva gli iconici capelli corti – quella pettinatura così rigida e precisa come chiaro riferimento alla situazione tesa che l’attrice impersona nel film in quel momento. Lo stesso vale per la pettinatura perfetta e stilizzata di Grace Kelly: uno statement voluto da Hitchcock. L’ ora con Sharon Stone e Christian Jungen è volata per noi e sembra essere volata anche per questa diva, che di lì a breve riprenderà l’ aereo e se ne andrà da Zurigo dove ha davvero portato il cinema migliore e tanta, tanta autenticità. Ad incontro quasi terminato, una voce dal pubblico la invita a raccontare l’ episodio della prima di “Basic Instinct” – il film del 1992 che l’ha resa quello che è, imprigionandola anche in un ruolo dal quale ha a lungo faticato a liberarsi -. Ed allora Sharon, come se non aspettasse altro, racconta di come, impaurita e inesperta, va alla prima del film, seduta vicino a Faye Dunaway e Michael Douglas. Impossibile in un articolo rendere il pezzo di alta maestria con cui la Stone ha raccontato e praticamente recitato la scena, alla fine abbiamo tutti riso e ci siamo sciolti in un applauso che voleva essere un abbraccio per questa attrice, che è soprattutto una donna, per una donna che è soprattutto una persona splendida ed unica. Grazie a Sharon e grazie a Christian e al suo staff per avercene fatto dono.
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