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uNA FEMMINA
Rimosso il divieto ai minori di 14 anni che era stato imposto dal Ministero della Cultura italiano al film “Una femmina” di Francesco Costabile. Liberamente tratto dal libro inchiesta “Fimmine ribelli. Come le donne salveranno il paese dalla ‘ndrangheta” del giornalista e scrittore Lirio Abbate (vicedirettore de “L’Espresso”), sulle donne vittime di violenza nelle famiglie ‘ndranghetiste calabresi. Uno spaccato di apparente normalità, dietro cui si celano patrimoni smisurati, convulse attività criminali, un’antiquata, ferrea, radicata, spietata cultura patriarcale. Il coraggio di donne che, per cercare di scampare a un destino ineluttabile, osano spezzare il loro legame di sangue, ribellandosi ai codici della ‘ndrangheta (l’organizzazione criminale basata proprio sulla forza del nucleo familiare), affidandosi al ‘nemico’, allo Stato. Un gesto dirompente, che demolisce i valori mafiosi, che rivela la vulnerabilità dei clan e l’incapacità dei boss di tenere a bada le loro ‘fimmine’. Che accende nelle altre donne la consapevolezza della propria condizione e il desiderio di ribellarsi. Il coraggioso film di Costabile, presentato con successo al 72º Festival Internazionale del Cinema di Berlino nella sezione Panorama, è ispirato a fatti realmente accaduti in Calabria e, in particolare, alla storia delle cugine pentite di mafia Maria Concetta Cacciola e Giusy Pesce, giovani madri morte ‘suicide’, come altre, solo per essersi ribellate alle logiche distorte e stringenti di una famiglia mafiosa. “Una femmina” racconta, infatti, di Rosa, ragazza inquieta e ribelle, che vive in un paesino tra monti e fiumare, con la nonna e uno zio, perché da bambina ha perso la mamma, sulla cui morte vige la più completa omertà della sua stessa famiglia. Una famiglia particolare, di mafia. Ma quando Rosa si ritrova vittima di un destino violento già segnato, la giovane decide di tradirla, anche se questo può rivelarsi fatale, e di scoprire la verità. Con l’aiuto del caro Gianni, il guardiano del cimitero, che la porta finalmente a vedere il luogo dove è sepolta sua madre, un anfratto di mattoni incementati, senza nemmeno una lapide. «Tu sei l’unica che può cambiare tutto», le dice Gianni. E lei: «Quanta strada c’è ancora da fare per essere libera?». Con tutta la forza della magistrale interpretazione di Lina Siciliano, al suo debutto cinematografico. «Abbiamo anche aspettato che ritardasse le riprese quando è rimasta incinta, fino a quando non ha dato alla luce Luca, suo figlio. Doveva essere Rosa e per essere Rosa “Luca doveva nascere”, come sussurrava Lina sul set. Un regalo prezioso per un film che gira intorno al tema della maternità e dove una nuova nascita rappresenta l’unica speranza di cambiamento», sottolinea Costabile. E un film che gira intorno al tema della maternità, che denuncia la mafia e la violenza sulle donne, «che si pone come un’importante testimonianza di etica e coraggio», come si legge in una nota congiunta dei produttori (Tramp Limited e O’Groove) e della distruzione (Medusa Film), è per tutti. Deve essere per tutti.
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