ANNO XVII - NUMERO 195 - LUGLIO 2019
Periodico edito dal "Centro Studi Officina Volturno"
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SCANSIONAMI
a o N e c a p i d o t an
Il c a h o d n o m di cui il bisogno! + SOCIALE
+ CULTURA
+ AMBIENTE
+ SPECIALE
Open Arms: «Noi testimoni scomodi di tragedie umane»
“Con le mani cariche di rose”, l’inno alla libertà di Michele Caccamo
Se è emergenza, che emergenza sia!
Intervista al Col. A. Mercatili della Guardia di Finanza
Editoriale di Angelo Morlando
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ANNO XVII - NUMERO 195 - LUGLIO 2019
w LE DONNE, MA NON LE CAPOCLAN
uando il cartaceo di Informare del mese di luglio sarà distribuito, ancora non sarà nota la squadra vincitrice dei Mondiali femminili di Calcio che si svolgono a Parigi quest’anno. Mentre scrivo quest’articolo la squadra italiana esce ai quarti con dignità e onore; da pochi giorni, invece, riceviamo notizie di circa 130 arresti di esponenti ai clan dell’Alleanza di Secondigliano. Cosa unisce questi due avvenimenti? Partiamo prima dalle emozioni positive, cioè dai Mondiali femminili. Non ho intenzione di parlarvi di gioco, tattica, e soprattutto fare paragoni con il calcio maschile, perché paragoni non ce ne sono. È un dato di fatto: le donne sono esseri dotati di poteri straordinari. Capaci di interpretare il ruolo di donna, lavoratrice, mamma, moglie, amica e amante. In un unico corpo. Capaci di fare mille cose contemporaneamente e terminare la giornata con un sorriso o una carezza da donare ai propri figli. Ho ritrovato questa mia visione anche nelle tante donne sportive che hanno partecipato ai Mondiali. Prima di tutto la gioia e il divertimento, la consapevolezza di essere interpreti di un gioco entusiasmante e di rappresentare un simbolo importante: essere persone più fortunate di altre. E dai loro sorrisi e dalle loro lacrime traspariva tutto ciò. Il senso di responsabilità di essere degli esempi
per tantissimi giovani, ma il tutto affrontato con la leggerezza adatta ad un semplice e divertente gioco. Donna, lavoratrice, mamma, moglie, amica, amante, a volte anche capofamiglia, ma “donna-capoclan” NO.
Periodico mensile fondato nel 2002 Registrato al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n° 678
Edito dal Centro Studi Officina Volturno
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“Donna-capoclan” MAI! Non è accettabile.
Vicedirettore Web
È una contraddizione naturale. Le indagini che hanno portato ai numerosi arresti nel napoletano, hanno confermato che a capo dell’Alleanza di Secondigliano ci sono cinque donne. Ribaltando, di fatto, tutti gli schemi classici della criminalità. Viene proprio da affermare: “Che speranze ci restano ancora?”. Quando la donna, simbolo universale della Vita, vende la propria anima alla Morte, che speranza ci resta? Il rischio più grande è che tali esempi negativi possano facilmente divenire “eroine” nell’immaginario dei giovani più a rischio criminalità. E allora mi resta la speranza che l’esempio positivo delle calciatrici possa attraversare gli schermi di tv e smartphone, coinvolgendo i tanti ragazzi che le hanno seguite, scacciando i brutti pensieri e facendogli venire la voglia di scendere in strada e prendere a calci un pallone: sempre meglio di prendere a calci il proprio futuro.
Hanno collaborato
Tommaso Morlando Angela Di Micco
Vincenzo Lo Cascio
Antonio Di Lauro
Vicedirettore
Antonio Giordano
Mara Parretta
Bruno Marfé
Caporedattore
Antonio Casaccio
Emmanuela Spedaliere
Caporedattore web
Federica Lamagra
Daniela Russo Responsabile Organizzativo
Francesco Cimmino
Carmelina D'Aniello
Gian Carlo Tenore
Rapporti Istituzionali
Giancarlo Chiavazzo
Antonio Di Lauro Responsabile scientifico
Giorgia Scognamiglio
Angelo Morlando
Giovanna Cirillo
Responsabile legale
Giovanni Sabatino
Fabio Russo Graphic Communications
Giuseppe Amoroso
Giancarlo Palmese
Marianna Donadio
Responsabile grandi eventi
Nicola Baldieri
Maria Rosaria Race Web master
Vincenzo Marotta
Raffaele Ausiello Salvatore Minieri
© 2019. È vietata la riproduzione (anche parziale) di testi, grafica, foto, immagini e spazi Palmese GRAPHIC
LEGALITÀ
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Caserta, pozzi avvelenati e litorale inquinato
INCONTRI
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Fondazione Isaia, la dignità del mestiere sartoriale
TECNOLOGIA
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Marco Montemagno, l’arte di crearsi un lavoro
AMBIENTE
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Il verde negato a Napoli, la società è la vera vittima della mafia
MEDICINA Irsinia, “l’ormone dello sport” che brucia i grassi e protegge le ossa
Stampa: INKPRINT - Pozzuoli (NA) Chiuso il: 30.06.2019 - Tiratura: 5.000 copie
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STORIA Il real sito della Lanciolla
34 MUSICA Aton Sax, il nuovo volto della deep house
www.informareonline.com
LA NOSTRA MISSION
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CALCIO Afro-Napoli United, dal calcio all’impegno sociale
pubblicitari realizzati all'interno del magazine.
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iscatto sociale, legalità e voglia di dare spazio ai giovani: in quanti ci credono davvero? Noi abbiamo deciso di farlo, andando controcorrente. Informare è una realtà editoriale libera e senza padroni, un magazine fondato nel 2002, insieme ad una forte attività associazionistica. Lo scopo è trasformare la mentalità “camorristica” in un concreto senso di cultura e legalità, promuovendo, innanzitutto, le vere eccellenze umane ed imprenditoriali dei nostri territori. La costruzione di un nuovo volto fatto di buone notizie, legalità e rispetto per l’ambiente, in contrapposizione al vestito di cronaca nera che da sempre ci soffoca. La nostra informazione è LIBERA, priva di finanziamenti pubblici, politici ed occulti, accompagnata da una linea editoriale a-partitica, e non a-politica. Chi crede in noi e condivide la nostra mission, lo fa mettendoci la faccia, in copertina, nei contenuti e nei valori che rappresentiamo, come coloro che ci sostengono con il proprio banner pubblicitario.
A TTUALITÀ
Napoli accoglie l'ONG Open Arms «Noi testimoni scomodi di tragedie umane» di Antonio Casaccio | antoniocasaccio@informareonline.com
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l lavoro delle ONG continua ad essere osteggiato dalle politiche governative nazionali, nonostante il fatto che molte delle accuse ricevute da quest’ultime, riguardanti la loro collaborazione con i trafficanti, siano state archiviate. Oggi il Mediterraneo centrale sembra esser semi-deserto, “questione di principio”, afferma il Ministro Matteo Salvini nell'alimentare l’ultima telenovela riguardante l’ONG Sea Watch. Questione di principio, di propaganda, di pessima retorica, di sventolare un problema che in realtà non esiste e se esiste non riguarda l’invasione del nostro territorio, ma vive nei crimini subiti da “l’altro – da sé”. “La prima criminalizzazione vergognosa è quella delle persone migranti – afferma il capomissione di Open Arms Riccardo Gatti - di conseguenza si criminalizza anche chi difende i diritti di queste persone. L’obiettivo di questa criminalizzazione è quello di far fuori noi: testimoni scomodi di ciò che avviene nel Mediterraneo. Non siamo ONG di soccorso in mare, ma siamo in difesa dei diritti umani in mare e denunciamo le violazioni di questi diritti. Ovviamente denunciare il comportamento dell’UE significa portare alla luce qualcosa di estremamente grave”. Abbiamo incontrato il capomissione Gatti a bordo della nave Open Arms, accolta nel porto di Napoli dal sindaco Luigi De Magistris, il quale da anni sostiene l’operato delle ONG: "Napoli ha sempre dimostrato un’altissima etica, anche istituzionale, attraverso il rispetto per le persone che vivono situazioni sfavorevoli – afferma Gatti - Ai migranti e a noi delle ONG hanno sempre mostrato appoggio, stima e anche un supporto reale, come ad esempio il gesto di aprire il porto alla nostra imbarcazione e, addirittura, dichiarare di essere pronti ad accogliere i migranti, come avvenuto in passato”. Ma se da un lato c’è chi si è sempre detto pronto a politiche di accoglienza, dall’altra c’è chi, secondo il capomissione Gatti, ha invece rappresentato un’altra faccia della politica; per lui il colpevole ha un nome e un volto: Marco Minniti, ex Ministro dell’interno, area PD. Da lui è cambiato tutto. “Inizialmente ci coordinava la guardia costiera italiana, ed era quest’ultima a dirigere tutte le operazioni; da lì venne distrutto tutto ciò – continua Gatti - Minniti ha distrutto quello che era un soccorso operativo in mare funzionante, dando vita a politiche di criminalizzazione delle ONG. L'attuale governo ha poi preso la palla al balzo”. A parlarci, oltre Gatti, è stato il comandante di Open Arms Marc Reig Creus, che ci ha fornito il resoconto di quest’anno di soccorsi, affermando che: “È stato un anno complicato, il resoconto per la nave è zero, non ci sono salvataggi, c’è attesa, abbiamo dovuto aspettare affinché ci lasciassero 4
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uscire. Non c’è stato nessun salvataggio, non tanto perché non volessimo farli (infatti sono necessari, non c’è nessun altro che li faccia), quanto perché non ce l’hanno lasciato fare”. Il comandante Reig risponde inoltre a quelle accuse che vedono un rapporto collaborativo tra le ONG e i trafficanti, ponendosi una domanda: “Non siamo trafficanti, stiamo svolgendo un lavoro che forse non avremmo dovuto svolgere noi. Dovrebbe essere compito del Governo, che ha più risorse e più mezzi a disposizione per risol-
L'obiettivo è criminalizzarci: non siamo trafficanti! Riccardo Gatti, Capomissione OPEN ARMS
vere questo problema. Noi facciamo questo perché le persone stanno affogando, il nostro motivo principale è questo”. Marc Reig non trattiene la profonda delusione anche verso i mezzi di informazione: “Pensate che quando noi non interveniamo, lì non accade nulla. Molte volte noi siamo le “orecchie” della società e spesso con noi vengono dei giornalisti che non dicono ciò che noi gli spieghiamo. Le ONG stanno raccontando la verità sulle barbarie: si lasciano morire le persone
e si lascia che le donne vengano violentate. Il vero problema è che stanno silenziando le informazioni”. Esagerato idealismo quello di Marc? Forse no! Il comandante della Open Arms vede una possibile soluzione nel “fare una zona SAR (Ricerca e soccorso) europea, che non comprenda, quindi, solo la Libia e l'Italia, affinché queste persone non si stabiliscano solo in questi paesi, ma siano accolte da tutte le nazioni europee”.
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NCHIESTA
i regi lagni inquinano il litorale e i pozzi avvelenano caserta Le inchieste di Informare fanno ancora centro nell'estate dell'indifferenza generale di Salvatore Minieri
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orse, è l’estate più pericolosa per l’ambiente della provincia di Caserta. E non perché siano stati superati altri e più elevati limiti di inquinamento, ma per il silenzio collettivo che ammanta il momento storico e, soprattutto, prova a paludare i dati di cronaca, ormai nascosti persino da chi ha sbandierato il vessillo ecologista, fino a quando i veri problemi ambientali si sono presentati nella loro drammatica recrudescenza. Dal reportage di Informare sulla terrificante condizione delle acque di prossimità litoranea, tra Castel Volturno e la cerniera di conurbazione partenopea (con intervento di sequestro delle griglie, da parte degli organi competenti), alla preoccupante chiusura del termovalorizzatore di Acerra che porterà tonnellate di rifiuti campani in provincia di Caserta, passando per l’entroterra delle discariche ancora in attesa di bonifica, fino al caso dei pozzi rinvenuti a ridosso della zona abitata di Caserta, contenenti arsenico in quantità spaventose. Novemila milligrammi per litro d’acqua, una delle quantità più alte mai registrate in Europa. La nostra provincia è stretta nella morsa di quattro mostri ambientali senza precedenti. Qualche mese fa, la redazione di Informare aveva riacceso i riflettori sulla questione dei pozzi mortali nei pressi della zona Saint Gobain di Caserta, sottolineando quanto gli specchi di acqua tossica fosse-
ro contigui alle nuove abitazioni, sul versante di San Nicola la Strada. Siamo stati gli unici, da diciassette mesi a questa parte, a occuparci di una vicenda che, con buona probabilità, per larga parte della stampa provinciale, non aveva lo stigma di notizia degna di essere trattata con occhio più aperto e coscienza civica meno balneare. Dopo il nostro reportage, l’Arpac ha effettuato nuovi rilievi, confermando i nostri sospetti sull’assoluta invivi bili tà della zona. Oltre all’arsenico, nelle acque dell’area casertana sono state rinvenute quantità impressionanti di berillio e tricloroetano. Dalle sei alle quattordici volte più alte della soglia di contaminazione pesante. Per diciassette lunghi mesi, nessuno ha approfondito questa vicenda che rischia di diventare il caso di inquinamento più pericoloso del casertano, ma anche quello infilato sotto la più spessa coltre mediatica di silenzio e distrazione. Giovedì 13 giugno scorso, infatti, la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha emesso un decreto d’urgenza per il sequestro di ben ventiseimila metri quadri di terreni, proprio nei pressi dei pozzi tossici e della piscina rossa, contenente scarti di lavorazioni pesanti
della zona industriale Saint Gobain. “Nella zona - ha sottolineato Maria Antonietta Troncone, Procuratore Capo presso la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere - si registra un’alta incidenza di tumori, specie alla prostata, anche se non si può stabilire il nesso di causalità tra l’inquinamento provocato dall’attività industriale e queste morti”. Persino il proprietario di una delle aree sequestrate è morto mesi fa, a causa di un tumore alla prostata, patologia legata proprio alla contaminazione da arsenico. Diciassette mesi di silenzio, persino da parte delle istituzioni di zona. Silenzio scalfito solo da pochi articoli e da interventi risolutivi della Procura di Santa Martia Capua Vetere. Sì, questa è l’estate più preoc-
cupante, per la provincia di Caserta, soprattutto perché un magazine d’informazione riesce a fare in pochi mesi quello che intere classi dirigenti non sono riuscite a fare per due decenni. È la definitiva mutazione della scena civica, con una parte della stampa a denunciare costantemente scandali e disservizi, mentre la politica si perde sempre nelle stesse scaramucce, identiche a quelle delle sezioni di partito negli anni ’80. Intanto, una provincia soffoca tra urgenze ambientali non più derogabili nella loro risoluzione. Oggi, persa la fiducia in chi avrebbe dovuto, ma non ha voluto, serve soprattutto un forte coinvolgimento civile dei corpi sociali intermedi. Noi, ce la stiamo mettendo tutta. Prima come rappresentanti di un territorio, poi come cronisti. Ora tocca ai cittadini.
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ESCLUSIVA
Teatro San Carlo
Pulcinella di Igor Stravinsky dal 5 al 12 luglio 2019 di Emmanuela Spedaliere e Angelo Morlando
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l regista Francesco Nappa propone un’evoluzione del classico Pulcinella ricostruendolo in una modernità che non ha rinunciato agli aspetti più primitivi della sua storia. Quella che vediamo in scena è una comunità che veste costumi ipermoderni, ma usa un linguaggio attinente all’arte della danza che sa far sfoggio della tecnica e della giusta mimica, attingendo al repertorio gestuale partenopeo. Ne derivano quadri efficaci di un impressionismo contemporaneo, specie nelle sequenze descrittive che si dipanano attraverso le azioni delle masse. Un folklore descritto con ironia e sapienza, in cui finanche la litania che “le donne di Pulcinella” recitano, chiedendo la grazia per il defunto, diventa sapido affresco i cui colori sono, appunto, i movimenti. A fare da scenografia, le 140 installazioni del maestro Raffaele “Lello” Esposito, scultore e pittore napoletano che lavora sui simboli della città declinandoli nelle forme più diverse.
Ruolo, Interprete Solisti, Claudia D’Antonio, Giovanna Sorrentino, Carlo De Martino, Stanislao Capissi Soprano, Laura Cherici Tenore, Francesco Castoro Basso, Mirco Palazzi SERIE ARANCIO venerdì 5 luglio 2019, ore 20.00 - Turno A domenica 7 luglio 2019, ore 17.00 - Turno F mercoledì 10 luglio 2019, ore 18.00 - Turno B venerdì 12 luglio 2019, ore 20.00 - Turno C/D Abbonamento Danza Durata: 1 ora e 30 minuti circa senza intervallo Foto in esclusiva di Luciano Romano gentilmente concesse dal Teatro San Carlo
Produzione del Teatro di San Carlo San Carlo Opera Festival - Danza Balletto in un atto con canto Orchestra e Balletto del Teatro di San Carlo Direttore | Maurizio Agostini Coreografia, Regia e Luci | Francesco Nappa Installazioni | Lello Esposito Costumi | Giusi Giustino Assistente alla Coreografia | Giulia Insinna
Cell. 348 8780087 |Via Fabbrica, 5 - 81020 - San Marco Evangelista (CE)
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C ULTURA Fondazione Isaia
La dignità tecnica, storica e culturale del mestiere sartoriale di Maria Rosaria Race e Raffaele Ausiello
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romossa dallo storico marchio partenopeo di abbigliamento maschile di alto profilo, la “Fondazione Enrico Isaia e Maria Pepillo” è stata costituita per la promozione e gestione di progetti socio-culturali in un indissolubile binomio tra moda e cultura. Le iniziative attualmente in opera della Fondazione sono il corso di lingua napoletana, la scuola di sartoria e un progetto di ricerca storica in tre volumi. Abbiamo incontrato Tommaso D’Altiero, presidente della Fondazione, per approfondire le motivazioni alla base dei progetti. Presidente D’Alterio, come nasce l’idea di istituire un corso di Lingua Napoletana? «Da sempre il marchio Isaia comunica in due lingue, l’inglese e il napoletano, pertanto ci è sembrato doveroso cominciare proprio dall’approfondimento di questa lingua analizzandone le origini, la fonetica, la semantica, l’etimologia, la morfologia e la sintassi. Il nostro approccio, da Fondazione, è stato meno irriverente rispetto alla campagna pubblicitaria del marchio e più accademico per permettere a chiunque di approcciarsi alla lingua. Ci siamo inoltre affidati alla collaborazione di Davide Brandi dell’associazione “I Lazzari” per l’organizzazione delle lezioni, ma sono molte le collaborazioni che abbiamo intrapreso con altre associazioni no-profit ormai consolidate. Il corso ha suscitato grande interesse sin dalla prima lezione, registrando presenze ben oltre quelle preventivate. Un dato che mostra l’interesse del pubblico alla cultura partenopea, filo rosso conduttore delle nostre altre iniziative». Altra importante iniziativa della Fondazione è l’istituzione della scuola di formazione per sarti, già citata da Altagamma nel libro “I Talenti del Fare”, come luogo di formazione d’eccellenza. Ce ne può parlare?
CERTIFICAZIONE AMBIENTALE UNI EN ISO 14001
«Gianluca Isaia (AD dell’azienda ndr.) negli ultimi anni ha avvertito una carenza sempre crescente di sarti specializzati. In particolare a Napoli stiamo assistendo a un salto generazionale, con una mancanza di nuovi sarti da almeno 15 anni. Una situazione che ci costringe a formare noi stessi i sarti che assumiamo e che si traduce in un costo elevato per qualunque azienda. Il nostro obiettivo è quello d’impedire la scomparsa del mestiere sul territorio, creando una fucina di giovani intenti ad apprendere la sartoria specializzata. Vogliamo trasmettere loro il know how del sarto moderno, affiancando l’arte allo studio dell’ingle-
A Napoli stiamo assistendo a un salto generazionale, con una mancanza di nuovi sarti da almeno 15 anni se, del digital, del funzionamento del mercato. Gli forniamo tutto ciò che può prepararli ad affrontare il mercato attuale, dove le commesse acquisite all'estero necessitano di un processo produttivo complesso e con una precisa timeline. In breve, si tratta di preservare la parte tecnica del saper fare inserendola in un sistema di mercato moderno». Cosa ci può dire del progetto di ricerca storica già avviato e che presto vedrà la pubblicazione del primo volume intitolato "Napoli Belle Époque"? «È stata una mia personale proposta. Ho una preparazione basata su un dottorato di ricer-
Tommaso D'Alterio, presidente fondazione ISAIA ca storico-economica, ma la passione non mi ha abbandonato. Si tratta di un percorso di ricerca dedicato alla nascita e allo sviluppo dell’arte sartoriale napoletana. Abbiamo cominciato dal 1800, quando il sarto di corte diventa sarto borghese e compaiono le prime botteghe. Un periodo definito "Belle Époque", ricco di fermento economico e sociale con grande mondanità, che ha fatto da humus per la domanda sartoriale. Il napoletano ama mostrarsi ostentando il suo status, la sua raffinatezza e il suo buon gusto. Nasce così uno stile unico e originale che adatta alle esigenze dei clienti partenopei i più famosi parametri dello stile british, come ad esempio sfoderando le giacche affinché siano più leggere, oppure rendendole più comode in quanto a noi piace gesticolare. L’aggiunta di particolari unici, come la tasca a barchetta, ne definiscono l'unicità stilistica e la qualità manifatturiera». Progetti differenti in un unicum narrativo: studiare il passato per valorizzare il futuro, restituendo dignità a un mestiere artigianale di alto livello.
Spiaggia attrezzata Piscine con acqua di mare Ristorante Pizzeria Viale del Mare - Pinetamare, Castel Volturno (CE) Tel. 081 509 03 60 | Cell. 320 79 59 902 | e-mail: info@complessoidelfini.it | www.complessoidelfini.it
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI
FEDERICO II
RUBRICA A CURA DI:
Rubrica curata dal Prof. Gian Carlo Tenore
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DIPARTIMENTO DI FARMACIA VIA D. MONTESANO 49, 80131 NAPOLI
Il pomodorino giallo: il vero "Pomo d'Oro" dal grande potere antiossidante
e diciamo “pomodoro”, il primo e unico colore che ci viene in mente è il rosso. Eppure, non tutti sanno che i primi pomodori conosciuti dagli europei, nel XVI secolo, erano di colore giallo. A dircelo è il nome stesso, che deriva da “pomo d’oro’”, ad indicare la tinta dorata del frutto di piante all’epoca sconosciute e che venivano usate solo come ornamento. La sua coltivazione oggi è sempre più diffusa. In Italia, nella zona del Vesuvio, viene tradizionalmente coltivato il pomodorino giallo del Piennolo, che è arrivato fino a noi grazie all’opera dei monaci camaldolesi di Nola, i quali lo hanno coltivato per secoli nei loro orti, mantenendo la tradizione. Dunque, non si tratta di pomodori immaturi, ma pronti per essere consumati ed utilizzati come ingredienti delle nostre ricette. Proprio perché, rispetto al pomodoro classico, non presenta acidità, è largamente utilizzato nelle ricette a base di pesce e frutti di mare. È ideale anche per preparare salse, vellutate e creme di ortaggi di colore giallo, come la crema
di carote, zucca e peperoni gialli, di cui esalta il colore e il sapore aggiungendo un piacevole gusto dolce e pieno. Questo alimento si è imposto subito come un “trend food”, ovvero un cibo che fa tendenza, in virtù della curiosità e dell’entusiasmo che genera il suo colore. Studi effettuati presso i Laboratori NutraPharmaLabs, del Dipartimento di Farmacia, Università Federico II di Napoli, hanno avuto come obiettivo quello di capire come mai i due tipi di pomodoro, il classico rosso e il ‘trendy’ giallo, avessero tali differenti colorazioni e se il motivo fosse da ritrovare in una differente composizione in nutrienti. In effetti, tali studi hanno dimostrato che il pomodorino giallo, al contrario del rosso, contiene livelli molto bassi di “carotenoidi”, le molecole che
danno il tipico colore rosso-arancione a certi tipi di frutta e verdura. È ben noto che i carotenoidi (per esempio, licopene e beta-carotene) sono importanti fattori alimentari di protezione della pelle dai raggi solari, nonché precursori del pigmento della vista.
Quindi, dai nostri primi risultati, il pomodorino giallo dimostrerebbe uno scarso valore nutrizionale/salutistico, rimanendo esclusivamente un cibo ‘alla moda’. Eppure, con grande sorpresa, dati sperimentali di successivi esperimenti da noi effettuati, hanno dimostrato che il pomodorino giallo possiede un potere antiossidante nettamente superiore a quello rosso: come sarebbe possibile? Come sempre, la risposta è da ricercare nella capacità della natura di trovare armi alternative per la propria difesa. Infatti, il pomodorino giallo, privo dei preziosi carotenoidi, ha imparato a produrre speciali molecole, chiamate ‘polifenoli’, che è vero che sono presenti anche nel pomodoro rosso, ma che nel giallo ritroviamo in quantità altamente superiori allo scopo di sopperire all’assenza dei carotenoidi. L’aspetto di maggior interesse risiede nel fatto che i polifenoli sono molecole antiossidanti di gran lunga più potenti dei carotenoidi. Quindi, ciò spiega il perché il pomodoro giallo dimostrerebbe un potere antiossidante nettamente superiore al rosso, nei nostri esperimenti. Addirittura, dei particolari estratti di polifenoli, da noi ottenuti dai due tipi pomodori, sono stati testati su specifiche cellule tumorali isolate dall’uomo. Ebbene, l’estratto dal pomodoro giallo è risultato capace di arrestare la crescita tumorale, mentre l’estratto dal pomodoro rosso ha dimostrato una scarsa attività. Da oggi sappiamo di avere a disposizione sulla nostra tavola un nuovo alimento (che poi tanto nuovo non è), dall’elevato potere salutistico: si tratta del pomodorino giallo, già ‘trend food’ da alcuni anni, ma che ha tutte le potenzialità di diventare un ‘popular food’, da inserire stabilmente nelle nostre abitudini dietetiche quotidiane.
Laboratorio Analitico Domizio S.a.s. CHIMICA CLINICA - IMMUNOMETRIA - ALLERGOLOGIA - MICROBIOLOGIA - MEDICINA DEL LAVORO
Tel/Fax: 0823 852796 | E-mail: laboratoriolad@libero.it Via Domitiana km 32,400 - 81030 - Castel Voltuno (CE)
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Società Gestione Riscossione Tributi
Siamo oltre 25 sedi in Italia La SO.GE.R.T. S.p.A. opera in diversi comuni sul territorio nazionale. Informati sul sito www.sogertspa.it su come raggiungere la sede a te più vicina e su quali sono gli orari di sportello. La SO.GE.R.T. S.p.A. gestisce il servizio di tesoreria per i Comuni ed i Consorzi e la riscossione e l‘accertamento dei tributi degli enti locali. Da sempre al servizio delle amministrazioni comunali e dei contribuenti, grazie alla vasta esperienza maturata in anni di attività e al suo servizio informatico.
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T ERRITORIO
Caserta città deserta di Raffaele Ausiello | rafaus92@hotmail.it
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ome ogni anno Caserta inizia a svuotarsi: tante famiglie partono per le agognate vacanze, lasciando in città un senso di desolazione per i pochi superstiti. Se altre città riescono a compensare la partenza dei propri abitanti, nei mesi estivi, con gli arrivi dei turisti, la città della Reggia non riesce invece a diventare un polo attrattivo. Già, la Reggia, quel maestoso monumento che sovrasta la città, visitato da turisti di tutto il mondo in quanto una delle residenze reali più belle d’Europa, non sembra portare alcun giovamento al tessuto economico cittadino. Una Reggia distaccata, quasi estranea, ai margini del centro storico, ai margini della progettazione turistica del territorio (qualora ci fosse una programmazione), ai margini dell’imprenditoria casertana. Uno splendido monumento visitabile in modalità mordi e fuggi, senza sostare in città o farlo magari giusto per il tempo di un caffè, prima di visitare un’altra Reggia: l’Outlet. Così mese dopo mese continua l’agonia del centro, che vede in Corso Trieste, ormai ribattezzato da qualche ironico cittadino come “Corso Triste”, la strada più rappresentativa di questo decadimento. Una strada larga, alberata, interessata in passato da intensi lavori di restyling più o meno
riusciti, ma inesorabilmente semivuota. In estate la sensazione di solitudine è ancora più evidente: senza turisti e con i casertani al mare, sono ben poche le persone che scelgono di passeggiare su questa strada. A farne le spese sono ovviamente i commercianti e i ristoratori della zona, le numerose saracinesche abbassate testimoniano quanto infatti sia difficile mantenere in piedi un’attività economica in questo contesto. Forse non tutte le colpe sono della città, forse anche il tipo di proposta commerciale offerto nel
un po’ più di persone a vivere il centro storico. Una delle poche luci rimaste è riversata nella nuova direttrice della Reggia di Caserta, Tiziana Maffei, con la speranza che continui a lavorare nel solco di quanto buono è stato fatto dalla vecchia gestione di Mauro Felicori. Se successivamente la politica casertana, gli imprenditori e i cittadini riusciranno a canalizzare e integrare il flusso turistico all’interno dell’economia della città sarà tutto da vedere, certo è che di questo passo il futuro del centro di Caserta non potrà che essere triste, come il suo corso.
L'agonia del centro vede in Corso Trieste, ribattezzato "Corso Triste", la strada più rappresentativa di questo decadimento centro è rimasto ancorato a un modo di fare legato al passato, quando su Corso Trieste si sgomitava per aprire un nuovo negozio, quando il Cinema San Marco era aperto e insieme ai tanti bar storici contribuiva a dare vita alla città, quando non esistevano ancora i Centri Commerciali mastodontici come li conosciamo oggi, quando il commercio online non esisteva. Fatto sta che oggi molti commercianti sono alla canna del gas e non basta dare la colpa alla ZTL, ad Amazon, al Campania o alla Reggia Outlet. Basterebbe che i commercianti rimasti iniziassero a collaborare tra di loro, soprattutto per rimpinguare un cartellone estivo scarno di eventi, che un’amministrazione comunale in pieno dissesto finanziario non riesce a organizzare per portare
Sede di Napoli
Piazza Giacomo Matteotti 7 e-mail: napoli@studiolegalemazzeo.it sito: www.studiolegalemazzeo.it Tel. 081 551 11 67 - 081 551 13 07 Fax. 081 551 03 62 - 081 790 31 75
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M ARKETING
marco montemagno, l'arte di crearsi un lavoro “Siamo tutti studenti all’Università dei social”. di Giuseppe Amoroso | peppeamoroso97@gmail.com
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social media, il marketing, il personal branding e tutta quella roba lì. Tutto è in continua evoluzione, in continuo cambiamento, giorno dopo giorno. “Vado a letto che mi sento il principe azzurro di Facebook e mi sveglio che sono solo un ranocchio”, è la frase d’introduzione con la quale Marco Montemagno ha aperto le danze al suo primo MeetMonty in quel di Roma. Una frase che dice tutto. Oggi, chi vuole avere successo sui social deve sapersi aggiornare, giorno dopo giorno, ed essere sul pezzo. Si, perchè il cambiamento è la frontiera del giorno. Dieci anni fa sembrava essere My Space, ieri Twitter, poi Facebook ed oggi Instagram. Domani magari saranno Twich e Tic Toc, ma questo non ci è dato saperlo. “Quando dicevo che Internet avrebbe dominato il mondo, sarebbe diventato uno strumento di business e avrebbe sostituito anche la televisione, ecco che mi beccavo le risate delle platee”. Oggi, però, a ridere è proprio lui; perchè la gente l’ha capito. E per chi non l’ha fatto? Beh, peggio per lui. “Ormai non cerco più di ‘convertire’ la gente, di spostarla verso la cultura digital. Il mondo va in questa direzione ed è sotto gli occhi di tutti.” Diciamo pure che Marco non è l’ultimo arrivato. È uno che da anni (tanti) crede nel mondo del web. L’ha promosso con la sua trasmissione su SkyTg24 "IoReporter", l’ha fatto col suo blog Blogosfere (comprato da Il Sole 24Ore nel 2009) e oggi continua a farlo con l’informazione e con le sue startup. Ex pongista professionista e special guest all’interno di tante università italiane, è seguito da più di 2 milioni di fan sui profili social, ha il podcast più ascoltato d’Italia sul marketing ed è autore del best-seller Codice Montemagno, ancora in testa sulle classifiche dei libri più acquistati del settore business. Marco è famoso per il suo classico vi-
deo giornaliero sui social. Sta lì, si inquadra, parla dell’argomento del giorno del mondo del marketing/business e regala un contenuto gratuito di puro valore ai suoi fan. Poi ci sono i suoi contenuti avanzati. Per chi vuole di più, per chi si sente un pioniere. Monty ha lanciato poche settimane fa il programma "Monty Club Breakfast", dove racchiude i suoi ultimi servizi e i suoi ultimi programmi formativi per chi vuole fare la differenza sul mondo del web e dei social media. Basti pensare a Slashers, la sua community di professionisti che vogliono migliorare se stessi e il proprio business. È tutto qui? Certo che no. Marco ha creato 4Books, una grande libreria online dove è possibile ascoltare e apprendere i concetti chiave di un libro. E ha collaborato a StartupItalia, campagna di crowfounding di neo progetti imprenditoriali che ha raccolto ben 3 milioni di euro. Ma qual è il denominatore comune che unisce Marco e i suoi followers?
“L’intraprendenza. Più o meno tutti quanti noi abbiamo voglia di far qualcosa. L’impresa, quando uno dice di dover diventare imprenditore di sé stesso, è una semplice formuletta. Non puoi pensar di ragionare da dipendente (c’è qualcuno che risolve i miei problemi, me ne frego), devi essere intraprendente e puoi creare da zero cose totalmente nuove. Bisogna inventarsi la propria categoria dove tu sei l’unico fenomeno”. Insomma, non è sicuramente facile, ma è possibile. Basta essere, come dice Monty, dei veri e propri “pazzi furiosi”, dei pionieri spinti dalla passione e dal desiderio di indipendenza. “Mi piace far l’esempio di Arturo Brachetti, famoso trasformista, che in un’intervista mi ha detto «Monty, io ho iniziato a lavorare perchè ero l’unico, non c’erano altri trasformisti». Ecco, Arturo ha inventato la sua categoria dove era l’unico fenomeno.” Il lavoro non si cerca, il lavoro si attrae. That’s it.
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Il sorvolo sulle aree protette deve essere autorizzato e non arrecare disturbo
di Giovanni Sabatino, presidente dell’Ente Regionale Riserve Naturali Foce del Volturno – Costa di Licola – Lago di Falciano
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rima di tutto citiamo la Legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette aggiornata al d.P.R. 16 aprile 2013) e in particolare, l’art. 11 - Regolamento del parco: "Comma 3, nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali, tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat. In particolare sono vietati: [...] lettera h) il sorvolo di velivoli non autorizzato, salvo quanto definito dalle leggi sulla disciplina del volo". Il secondo riferimento è costituito dal Decreto del Ministero dell’Ambiente del 17 ottobre 2007 e in particolare dall’articolo 6, comma 12 che si cita: “Obblighi e divieti… Regolamentazione di utilizzo di elicottero, deltaplano e parapendio al fine di non arrecare disturbo al flusso migratorio dell’avifauna.” Per tutto quanto citato, qualsiasi tipo di sorvolo con qualsiasi mezzo deve essere assolutamente autorizzato e comunque non deve arrecare disturbo al flusso migratorio dell’avifauna. Da diverse segnalazioni ricevute, comprese quelle dell’ing. Angelo Morlando dell’Associazione Officina Volturno, sono numerosi i mezzi che sorvolano per ore le aree protette del Comune di Castel Volturno, come si evince anche dalla documentazione fotografica allegata all’articolo. Ci stiamo attivando per eseguire tutte le verifiche necessarie e ringraziamo i tanti cittadini che collaborano quotidianamente con le istituzioni affinché nei nostri territori prevalga il rispetto di tutte le leggi e le norme.
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S OCIALE
Il verde negato a Napoli: tra passato e futuro di Giorgia Scognamiglio | giorgia_scognamiglio@informareonline.com
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opo anni di attesa, in occasione delle Universiadi, la porta d’ingresso alla città di Napoli, Piazza Garibaldi, cambia volto. 120mq di verde, 130 alberi di tipi diversi, oltre 200 cespugli trasformeranno la piazza in un vero e proprio bosco urbano, celebrato come quel che sarà l’area pubblica più vasta della città. Da luogo caotico e trafficato, che più di altri soffre l’inquinamento atmosferico, a polmone verde. Da zona di passaggio, attraversata tutto il tempo da automobili ed escavatori, venditori ambulanti e pendolari affrettati, diventerebbe un luogo in cui potersi fermare, svagarsi e far giocare i bambini. Ci saranno infatti anche wi-fi gratuito, un cinema all’aperto, campetti di calcio e basket, una pista di pattinaggio e un’area dedicata ai più piccoli. Eppure, c’è qualcosa a frenare l’entusiasmo. Una storia che si ripete. L’ennesima sfida al “ma che ce ne fott” partenopeo, o più sofisticamente detto “carpe diem”, una mentalità che si mostra produttiva e ingegnosa nel presente, ma innega-
bilmente strafottente verso il passato e verso il futuro. Quattro anni fa, iniziavano i lavori a Via Marina: un mega-restyling da 21 milioni di euro per creare un’atmosfera alla Beverly Hills, con 200 palme e prato all’inglese lungo l’asse costiero. Di questo rimangono soltanto la planimetria e l’immaginazione dei tanti che non aspettavano altro che scattarsi un selfie nell’atmosfera californiana. Il cantiere è ancora aperto, con lavori che prose-
Il degrado della villa comunale di Napoli
guono a intermittenza, a seguito dell'intervento della magistratura per un enorme giro di illeciti. Qui il degrado regna sovrano: alberi secchi e ingialliti, erba alta, sterpaglie e cumuli di rifiuti; e l’adiacente Parco della Marinella, per fortuna sconosciuto ai molti, è una discarica a cielo aperto. Ma quello di via Marina è solo un caso emblematico di un problema che riguarda tutta la città. Lo stesso anno, infatti, erano stati inaugurati in pieno centro storico “i giardinetti di Santa Chiara” con aiuole fiorite e giochi per i bambini, acclamati dalle famiglie del quartiere. Anche qui adesso, tanta erbaccia, giostrine danneggiate e al posto dei fiori, bottiglie di vetro, profilattici e assorbenti: altro verde pubblico negato che lascia spazio solo alla delusione dei bambini e dei loro genitori: “Non è giusto mamma, io voglio giocare!” – si sente gridare. Lo stesso vale per i polmoni verdi di più antico respiro. Diversi sono i casi da segnalare tra i parchi cittadini abbandonati, diventati luoghi di bivacco per i clochard e ospitali per i tossicodipendenti e per le baby-gang che aspettano i passanti giusti da derubare. Tra fontane-palude utilizzate come orinatoi, alberi capitozzati, immondizia e statue deturpate, la Villa Comunale e i giardini del Molosiglio, con vista sul porto di Napoli, sono solo alcuni esempi. Non se la cavano meglio la Villa Floridiana, sulla collina vomerese, e il Parco Virgiliano, che ha tutte le caratteristiche per essere il parco più bello della città, con un panorama da fare invidia al mondo, se solo conoscesse di tanto in tanto un po’ di manutenzione; per non parlare del viale alberato da cui si accede. Non sembra migliore la condizione dei giardini cittadini del centro. Mi viene in mente piazza Cavour, adiacente al Museo Archeologico, il più importante della città e il più amato dai turisti. Qui oltre allo spaccio e alle rapine, l’aria è letteralmente irrespirabile e costringe i passanti e i tantissimi turisti a girare al largo. A piazza Carlo
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Progetto di bosco urbano in piazza Garibaldi III va anche peggio. I giardinetti di piazza Dante, invece, creano un’atmosfera surreale. Arrivati in quella che è una delle piazze principali della città, tra bar, librerie e la sempre affollata via Toledo, basta spostarsi verso l’ala destra per ritrovarsi in una periferia desolata, terra di nessuno: tipi sospettosi sulle panchine che controllano l’ingresso e rifiuti di ogni genere; incastrato tra gli alberi si può trovare perfino un materasso abbandonato e tra le aiuole dei libri di scuola. In questo contesto, in questa città, arriva il nuovo bosco urbano, la più grande area alberata d’Italia nei pressi di un luogo di mobilità. Il seme di una riqualificazione che si attendeva da lungo tempo nella "zona della ferrovia", che, come in tutte le città del mondo, rappresenta una delle aree più malfamate ed esposte alla microcriminalità. Ma si tratta appunto di un seme, che senza la giusta manutenzione potrebbe creare soltanto maggiore degrado. Purtroppo, i precedenti “verdi comunali” non aiutano ad aprire il cuore alla speranza. La politica dei parchi urbani è già fallita e questa sembra essere soltanto l’ennesima opera velleitaria, ben al di sopra delle effettive possibilità gestionali e finanziarie del Comune. Va bene che il napoletano non sia mai rancoroso, va bene che si guardi al futuro, ma un’occhiata al passato giusto per evitare di... affondare nell'erba alta.
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Noa
Il canto di pace di cui il mondo ha bisogno! di Carmelina D'Aniello | danielloalina@informareonline.com
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antare di pace e di fratellanza in un momento storico dove la paura costringe ognuno nelle proprie convinzioni e l’odio
acceca lo sguardo di chi guarda, oltre ad essere un gesto estremamente coraggioso, diviene anche un monito per chiunque sia in ascolto. La voce di Noa, artista e cantante israeliana, racchiude esattamente questo: un invito a non restare indifferenti e a riportare lo sguardo al cielo, per riappropriarci dei valori dell’arte e della bellezza di cui siamo stati derubati. Da sempre impegnata nel sociale e in prima linea nel raccontare, attraverso la sua musica, i conflitti sociali che da decenni macchiano
In questo momento storico, dove il mondo non è più un posto sicuro, il ruolo dell'artista ha anche un risvolto sociale. Noi siamo chiamati a creare un trend, non a seguirlo. di sangue la storia d’Israele, il ruolo di Noa va ben oltre i rigidi canoni che ricalcano la figura dell’artista contemporaneo. Il rifiuto di qualsiasi formazione accademica e di qualsiasi stereotipo, ha fatto sì che la sua voce fosse libera di denunciare le
ingiustizie e i drammi sociali del suo tempo, soprattutto quelli scomodi, ricoperti dalla coltre di silenzio dei media e delle autorità politiche. «In questo momento storico, dove il mondo non è più un posto sicuro, il ruolo dell’artista ha anche un risvolto sociale. Noi siamo chiamati a dettare e creare un trend, non a seguirlo. E, in un’era dove l’oscurità regna sovrana, noi abbiamo il dovere di stabilire come trend il ritorno al bello», ha dichiarato Noa ai microfoni di Informare, durante la sua ultima conferenza stampa per presentare la tappa all’Arena Flegrea del suo nuovo album, “Letters to Bach”. Un progetto interamente dedicato al compositore tedesco, attraverso le cui melodie, Noa ha composto 11 canzoni, intervenendo sui temi più complessi della modernità, nel tentativo di lanciare un appello di speranza all’umanità. «Ho l’impressione che, recentemente, non solo si sia persa l’armonia, ma anche la polifonia, ossia il coesistere di due voci differenti, che, nonostante la diversità, trovano il modo di vivere insieme. Il maestro di questa tecnica musicale e della composizione polifonica è Bach, e questo album è un omaggio a lui e al suo talento». Dall’evoluzione fuori controllo della tecnologia alla libertà dell’essere umano di porre fine alla propria vita con l’eutanasia, passando per il dramma del conflitto israelo-palestinese. Noa, con il suo ultimo progetto, prende posizioni importanti, soprattutto sui diritti umani, quotidianamente calpestati dalla frenesia di questo secolo. «Nel brano “All of the Angels”, sulla melodia 140 di Bach, ho raccontato di una donna molto malata di SLA, che aveva deciso di andare in Svizzera e porre fine alla sua vita. Nonostante stesse andando nel posto più buio per antonomasia, lei lo stava facendo con una grande luce dentro e la sua positività è stata di grande ispirazione per me». La musica di Johann Sebastian Bach, geniale e straordinariamente contemporanea nella sua profondità, diventa lo strumento attraverso cui combattere la totale dissacrazione dei valori a cui le nuove generazioni stanno assistendo. «Nell’era del trumpismo, dell’odio, della paura e della profanazione di ogni fondamento meritocratico, la mia protesta passa per le note di Bach. Ho voluto renderlo accessibile a tutti, perché la sua musica diventi l’antidoto contro tutto questo». Un progetto e una sfida ambiziosa, quella di cantare sulle note di un compositore come Bach, il
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Noa in conferenza stampa al Baroq Art Bistrot di Napoli cui primo incontro, è avvenuto con la scrittura di una versione laica di “Ave Maria”. Una preghiera di pace divenuta simbolo della sua carriera di cantautrice e che riuscì ad abbattere il muro ideologico tra Cristianesimo ed Ebraismo. Profondamente legata a Napoli e alle sue icone, la cantautrice israeliana torna nella città partenopea a distanza di sette anni e lo fa accompagnata dai Solis string quartet, in uno show pensato per rievocare i numerosi punti di contatto tra Israele e Napoli. «C’è qualcosa nella storia, nel mare, nei migranti e nelle tragedie che accadono che accomuna queste due parti del mondo. Così piene di contrasti e così piene d’amore», ha raccontato Noa.
«Napoli è il perfetto specchio di quello che accade nel mondo in generale. Tutti i drammi sociali di questa città, in realtà, sono sempre esistiti, ma sono stati esasperati dal mondo dell’informazione», ha commentato Noa. «Siamo costantemente bombardati da notizie apocalittiche e il risultato di quest’operazione è la paura: la paura dei migranti, la paura del riscaldamento globale, la paura di un conflitto armato. Il risultato di questa paura non può che essere è
l’odio e la violenza». Solo Noa e la sua voce, possono essere in grado di cantare di pace e di fratellanza in un momento storico dove la paura costringe ognuno nelle proprie convinzioni e l’odio acceca lo sguardo di chi guarda. Perché anche quando l’egoismo avrà occluso ogni spiraglio di umanità e l’inquietudine si sarà appropriata del cuore dell’uomo, anche allora, lei sarà in grado di rieducarci al valore della gratitudine, “perché la vita è bella così…”.
Nata a Tel Aviv da una famiglia di ebrei yemeniti e trasferitasi a New York all’età di due anni, Noa ha vissuto sulla sua pelle cosa significasse essere un’immigrata e la tacita connessione che lega le persone che condividono la stessa condizione di distacco dalla propria terra. «Gli immigrati condividono la stessa missione: vanno in un nuovo paese per trovare una nuova vita. E non importa quali opportunità quella nuova nazione potrà dargli, il loro sogno rimane quello di tornare a casa». Il carattere aperto e multietnico di Napoli, città che da sempre si fonda sulla ricchezza della diversità, è uno dei tanti fattori che vede la cantautrice israeliana legata al capoluogo partenopeo, destinatario privilegiato dei suoi messaggi di pace.
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Se è emergenza, che emergenza sia! di Giancarlo Chiavazzo | Responsabile Scientifico Legambiente Campania
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a calura incombe e mentre pensiamo alle ambite vacanze estive si va ahinoi sempre più prefigurando la “solita emergenza rifiuti”, dovuta, sembra, alla temporanea riduzione della capacità ricettiva dell’inceneritore di Acerra. Nei nostri ricordi sono ancora limpidi gli scenari allucinanti di strade invase da cumuli di rifiuti e dai loro miasmi, di sommari e deleteri tentativi di porvi rimedio appiccando il fuoco, le imbarazzanti dichiarazioni dei decisori pubblici che oscillavano tra il minimizzare e giustificarsi e lo scaricabarile, addebitando la responsabilità del misfatto agli altri. Sembrerebbe proprio che poco sia cambiato da allora. Tuttavia, ponendo più attenzione, qualche differenza importante si nota. La Campania nel frattempo ha raggiunto una discreta percentuale di raccolta differenziata, con un valore che nel 2017 i dati ufficiali hanno attestato quasi al 53%. Dalla raccolta differenziata, indispensabile per la gestione sostenibile dei rifiuti, si ottengono materiali utilizzabili per produrre nuovi beni. Portando ai livelli più spinti la raccolta differenziata diminuiscono le quantità di rifiuti da incenerire o smaltire in discarica. Infatti, è stato appurato che l’inceneritore di Acerra è destinato a breve ad essere sufficiente al fabbisogno regionale, basterà incrementa-
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re ancora un po’ la percentuale di raccolta differenziata affinché ciò si verifichi e l’ipotesi di realizzare ulteriori inceneritori non regge, soprattutto in termini economici. Anche il fabbisogno di discarica è diminuito e potrà ulteriormente diminuire nella misura in cui aumenta la raccolta differenziata. La Campania dal 2016 si è inoltre dotata di una nuova normativa che ha riorganizzato la gestione dei rifiuti riconfermando la titolarità a governarne i processi decisionali in capo ai sindaci. Ai comuni associati negli Enti d’Ambito spetta stabilire l’organizzazione e la gestione dei rifiuti urbani, delineandola in conformità alle regole vigenti, a partire dalle disposizioni comunitarie, nazionali e regionali. Gli Enti d’Ambito sono titolati a stabilire la pianificazione d’Ambito e la sua articolazione in sub aree, individuare il gestore, definire gli standard del servizio, determinare la tariffa, perseguire l’incremento quantitativo e qualitativo della raccolta differenziata, stabilire la collocazione dell’impiantistica, in pratica tutto quanto necessario per far funzionare il ciclo dei ri-
fiuti. Dunque, quanto all’emergenza sembra che non ci sia la giusta tensione, quella propria di una vera emergenza. La maggior parte degli amministratori locali appare preso soprattutto dalle solite dispute mediatiche e a praticare lo scaricabarile. Con indolenza si lasciano scivolare da dosso la problematica, come se il fatto non li riguardasse. Piuttosto, se è emergenza, che emergenza sia, a mali estremi servono rimedi estremi! Alla prospettiva di ritrovarci invasi dai rifiuti non possiamo essere anche noi acquiescenti e inerti, ci dobbiamo mobilitare tutti, a parti-
re dalla consapevolezza del problema e delle modalità per affrontarlo e superare la crisi. Sappiamo che il nodo è l’indifferenziato, in quanto per le altre frazioni raccolte in maniera differenziata si riesce a trovare una collocazione, e allora facciamo la nostra parte: riduciamo quanto più possibile la produzione di rifiuti evitando di comprare cose destinate nel breve termine a dover essere dismesse, spingiamo al massimo la differenziata praticandola con accuratezza e sistematicità, sollecitiamo gli amministratori locali a migliorare la raccolta dei rifiuti. Tutti insieme possiamo fare la differenza con la differenziata!
M EDICINA
IRISINA: "l'ormone dello sport", che brucia i grassi e protegge le ossa di Antonio Giordano | Direttore del S.H.R.O. di Philadelphia
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er quanto siano chiari i benefici dell’esercizio fisico, spiegare i suoi effetti a livello molecolare è scientificamente complesso. Ciò è particolarmente vero per l’irisina (Fndc5), un ormone identificato per la prima volta nel laboratorio di Spiegelman, un biologo cellulare della Harvard Medical School. Gli studi condotti inizialmente dall’Università di Harvard, pubblicati nel 2012 su Nature, hanno dimostrato che quest’ormone ha la capacità di bruciare i grassi attraverso la stimolazione del metabolismo. La scoperta sensazionale consiste nel fatto che questo ormone è prodotto durante l’attività fisica per cui, non a caso, e’ stato definito “l’ormone dello sport”. In particolare, quando si pratica attività fisica di tipo High Intensity Interval Training (HIIT), la contrazione muscolare determina la produzione e la secrezione dell’irisina. Da allora, numerosi laboratori hanno iniziato ad occu-
parsene, ma le reali funzioni di quest’ormone non trovano unanimità tra gli scienziati. Nel marzo 2015 Scientific Reports ha pubblicato un articolo in cui il professor Harold Erickson della Duke University ed i suoi colleghi contestavano i risultati ottenuti con il kit commerciale ELISA, evidenziando che gli anticorpi commerciali usati per rilevare l’irisina nel sangue erano inclini a falsi positivi, che molti studi rivolti a misurare l’ormone nell’uomo erano probabilmente invalidi con la conseguenza che l’ormone venne definito “un mito”. Nell’ottobre dello stesso anno, il Prof. Spiegelman, pubblicò un articolo sulla prestigiosa rivista Cell Metabolism, in cui annunciò di averne definitivamente confermato la presenza anche nell’uomo attraverso la tecnica della spettrometria di massa. Lo studio ha mostrato che i livelli ematici di irisina aumentano nei pazienti sottoposti ad intervalli di training aerobico, rispetto ad individui sedentari.
L’irisina, quindi, giocherebbe un ruolo fondamentale nella conversione del grasso bianco, sede di accumulo delle risorse energetiche dell’organismo, in grasso scuro, metabolicamente più attivo. Altri importanti ruoli fisiologici dell’irisina sono stati identificati in questi anni, aprendo nuove frontiere sull’uso dell’irisina come marcatore in diverse condizioni fisiologiche e patologiche: marcatore del diabete mellito di tipo 2; nelle fasi precoci di angiopatie del diabete mellito di tipo 2; come marcatore della funzionalità renale; come molecola implicata nella regolazione dell’osso “corticale” (la parte esterna, liscia e dura responsabile dell’integrità dell’osso, in termini di un aumento di massa ossea e di un miglioramento della struttura, della resistenza e della forza). Nell’ultimo studio, il team di Spiegelman ha iniettato nei topi basse dosi di irisina ed ha osservato un aumento della produzione di sclerostina, una proteina che attiva il rimodellamento osseo, negli osteociti di topo. La sclerostina causa, in realtà, la rottura dell’osso, il che potrebbe sembrare dannoso piuttosto che utile. Tuttavia, Spiegelman spiega che “la rottura intermittente dell’osso sembrerebbe essere interpretata come un segnale per rimodellare e ricostruire le ossa”. Un recente studio, coordinato dalla ricercatrice Fernanda de Felice dell’Università Federale di Rio de Janeiro, suggerisce che l’irisina potrebbe anche avere un’azione protettiva contro la demenza. A suggerire questa relazione è un recente studio svolto su un modello murino (topo di laboratorio), recentemente pubblicato su Nature Medicine. L’irisina ha ottenuto una notevole importanza nella biologia medica per la sua potenziale importanza terapeutica in malattie metaboliche, osteoporosi e aspetti cognitivi. La produzione di irisina è stimolata dall’attività fisica. Ancora una volta, dunque, si nota come quest’ultima sia ricca di benefici per il nostro organismo, una ragione in più per fare sport.
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“MA CI SEI TU”
Il Pop-Falò di Sesto: il cantautore felice che combatte la precarietà con la musica di Giovanna Cirillo | giovannacirillo@informareonline.com
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cco “Ma ci sei tu”, il primo singolo di Sesto, 28 anni, cantautore napoletano residente a Casoria. Il brano, in uscita su etichetta ed edizione Suono Libero Music, farà parte di un mini-ep di quattro tracce che verrà presentato al grande pubblico. È una canzone energetica e generazionale, che vuole dar voce e descrivere la realtà che vivono i giovani di oggi. Perennemente di corsa, ognuno con i propri affanni, alla ricerca della propria isola felice. L’artista partenopeo definisce così la sua musica: “Il mio sound è gioia ed empatia con chi ho davanti, la maggior parte della musica che passa oggi tende invece alla tristezza. L’ho definito Pop-Falò -continua Sesto- perché la mia dimensione ideale è voce e chitarra al servizio del pubblico che può cantare ed interagire, esattamente come i falò degli anni ’70, periodo da cui derivano le canzoni che amo di più”. La positività è la sua cifra stilistica, unita ad una vocalità interessante e personale decisamente più matura della sua carta d’identità: "Viviamo una vita troppo dura ed il mio repertorio deve portare benessere, deve essere un momento di svago e di relax per la gente". La sua è una vera e propria ricerca nel pop italico che non si ferma agli evergreen, ma scova piccole gemme nascoste da rilanciare, attraverso la sua personale chiave di lettura. Un esempio è il brano “Tornerò” dei Santo California, canzone classe ’75, eseguita dal cantautore napoletano in un’intensa versione minimal-acustica che la attualizza ai giorni nostri. Sesto si avvicina alla musica in adolescenza da autodidatta cominciando, da subito, un’intensa attività live che l’ha portato a suonare prettamente sui palchi della Lombardia e della Campania, regioni dove ha risieduto. L’influenza genitoriale sui suoi ascolti musicali
è fondamentale. Dal genio di Lucio Battisti a far da sommo ispiratore, ai Pooh, gli Alunni del Sole, Camaleonti e i Cugini di Campagna, di cui apprezza particolarmente l’ex frontman Nick Luciani. Il singolo “Ma Ci sei tu” è un concentrato di tutte le influenze e l’energia dell’artista. Come racconta lo stesso Sesto: “45 minuti per scriverla, seduto sul letto. Nasce nella mia cameretta da un’idea con rudimenti di chitarra bossa nova poi sviluppata in
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Il mio sound è gioia ed empatia con chi ho davanti, la maggior parte della musica che passa oggi invece tende alla tristezza
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chiave melodica". Il concept è semplice e diretto: “Descrive il mio stato d’animo dell’epoca, quindi, precarietà del lavoro, la voglia di indipendenza e di evadere dalla routine familiare. La salvezza è stata una relazione amorosa intensa con la forza che deriva dai sentimenti. Ma anche e, soprattutto, l’amore per la musica che salva”. La canzone è stata arrangiata dal chitarrista Diego Leanza con la supervisione artistica di Vincenzo Falco. Particolarmente indovinate le ritmiche basso-batteria di Alessandro Paradiso.
L’EP, che contiene il singolo, è composto oltre che dalla canzone di lancio, anche da alcune cover rivisitate dall’artista in chiave acustica. La particolarità della scelta dei brani è che i titoli sono stati suggeriti dagli amici di Sesto attraverso un vero e proprio sondaggio sui social che ha portato alla rosa delle canzoni incise: “Amo assecondare chi mi ascolta ed intrepretare a modo mio le loro richieste musicali. Questo mi dà grande stimolo e la possibilità di ascoltare cose nuove e potenzialmente ispiranti”.
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a quinta classificata nel campionato regionale d’eccellenza, non è una squadra delle più tradizionali.
L’Afro-Napoli nasce nel 2009 con l’intento di veicolare, attraverso lo sport, un messaggio sociale di fondamentale importanza in questo momento storico: l’antirazzismo. Inizialmente l’associazione organizzava partite amichevoli includendo ragazzi migranti di prevalenza senegalese, in seguito la squadra ha iniziato a far parte dell’AICS, Associazione Italiana Cultura e Sport. Per partecipare al campionato gestito da quest’ultima, infatti, era necessario un solo documento e potevano dunque essere inclusi tutti; anche chi, essendo arrivato da poco in Italia, non era ancora provvisto del permesso di soggiorno. Hanno iniziato ad ottenere quindi notevoli risultati arrivando nel 2014 a vincere il campionato regionale e quello nazionale. «Era il giorno successivo alla morte di Valerio Spalletella» ci ricorda il vicepresidente Francesco Fasano «Decidemmo lo stesso di scendere in campo e di vincere quella coppa per lui». Il 15 giugno, come ogni anno, la squadra ha organizzato un memorial in ricordo del compagno Valerio Basile, meglio conosciuto come “Spalletella”, toltosi la vita 5 anni fa. Da qui prende nome la Brigata Spalletella, la singolare tifoseria della squadra che, distinguendosi dalle altre, si fa promotrice di importanti messaggi sociali e politici che raramente vengono portati sugli spalti. Lo stesso anno della morte di Spalletella la squadra si iscrive al campionato federale della FIGC ottenendo tre vittorie consecutive che la portano in promozione. L’Afro-Napoli ha ora appena concluso il suo primo anno nel campionato
d’Eccellenza. «È stata una stagione stupenda per una squadra neopromossa, ma avremmo potuto aspirare a qualcosa di più. È stato un peccato non aver raggiunto i play-off» commenta Luigi Velotti, capitano della squadra dal 2015. Velotti lavora con l’Afro-Napoli anche al di fuori del campo, nei centri d’accoglienza gestiti dall’associazione, ed è dunque costantemente in contatto con le tragedie vissute dai migranti durante quelli che loro stessi chiamano “viaggi della morte”. «La nostra
L'Afro-Napoli nasce nel 2009 con l'intento di veicolare attraverso lo sport un messaggio sociale di fondamentale importanza: l'antirazzismo vittoria più bella è l’integrazione. Sono in molti a non averne colto il valore, in primis i politici. Il governo porta avanti discorsi razzisti, sarà difficile far capire che questa non è la strada giusta da intraprendere» sostiene ancora il capitano. L’obiettivo della squadra ora è riuscire ad arrivare ai play off nella prossima stagione, mentre si prepara anche per i mondiali antirazzisti a Riace, città divenuta simbolo dell’accoglienza. È stato un anno più difficile, invece, per la squadra femminile di calcio a cinque dell’Afro-Napoli, che ha subito la retrocessione dalla serie C1 alla C2. «Questa stagione non è andata nel migliore dei modi ma speriamo di rimanere solo un anno in C2 e magari, nel minor tempo possibile, riuscire
ad arrivare in A» afferma Giovanna Canale, membro della squadra. Con lei abbiamo parlato della tendenza del mondo del calcio a sottovalutare e a volte addirittura a scoraggiare la presenza femminile. I mondiali femminili di quest’anno hanno garantito molta visibilità, spiega, anche se sono stati purtroppo presi di mira da diversi commenti volti a sottolineare le differenze tra il calcio maschile e quello femminile. «Sono due sport differenti, giocati in modo diverso a partire dalla tecnica dei soggetti. Non c’è termine di paragone» sostiene la ragazza. «Per quanto riguarda l’Afro-Napoli ho visto molto impegno da parte della dirigenza per cercare di rendere la squadra femminile quanto più visibile possibile tramite gli open-day e i volantinaggi». L’obiettivo dell’intera associazione ora è quello di continuare a diffondere i propri valori attraverso le conferenze nelle scuole e la visione del loro film documentario “Loro di Napoli”. Il prossimo evento sarà poi ai primi di Settembre, in occasione dei 10 anni di attività dell’Afro-Napoli, a cui parteciperanno i giornalisti Anna Trieste e Sandro Ruotolo e lo scrittore Maurizio De Giovanni.
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L EGALITÀ
"Il modello Caserta funziona!" Intervista esclusiva al Col. t. ST Andrea Mercatilli, comandante provinciale della Guardia di Finanzadi Caserta. di Angelo Morlando | Ph esclusive Raffaele Ausiello
U
n incontro che mi ha particolarmente colpito e che porterò nei miei ricordi più belli e utili. E’ doveroso ringraziare il Col. Mercatili, una figura di riferimento per tutto il territorio casertano e campano, che con competenza, chiarezza e pazienza ha saputo informarci con dettagli normativi e operativi sulle attività della Guardia di Finanza fornendo anche spunti di riflessione su altri aspetti principali della vita sociale. Di seguito una sintesi dell’intervista, mentre quella integrale sarà pubblicata sul sito web www.informareonline.com La prima domanda è inerente ad una descrizione di carattere generale delle attività della Guardia di Finanza. «Il ruolo della Guardia di Finanza nella cornice della sicurezza pubblica e delle polizie investigative è profondamente mutato a seguito del decreto legislativo n. 68 del 19 marzo 2001, che ha rimodulato e aggiornato i nostri compiti istituzionali. Si è trattato per noi di un grosso passo in avanti, perché dalla “classica” caratterizzazione del Corpo come Polizia Tributaria, è avvenuta una trasformazione in una più articolata e moderna Polizia con competenza specialistica per l’intera area di operatività in materia economico-finanziaria. La grande differenza è stata quella di operare con gli stessi poteri e con la stessa professionalità non solo nel campo delle entrate pubbliche, ossia a contrasto dell’evasione, delle frodi e dell’elusione fiscale, ma anche nel comparto delle uscite, ossia della spesa pubblica, a contrasto degli sprechi, delle illecite percezioni di finanziamenti o
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Il Col. A.Mercatili accompagna il Generale di Divisione Virgilio Pomponi, Comandante Regionale Campania della Guardia di Finanza.
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Il decreto legislativo n.68/2001 ha rimodulato e aggiornato i nostri compiti istituzionali. Abbiamo dovuto acquisire una competenza specialistica per l'intera area di opertatività in materia economico-finanziaria
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indennità non spettanti. A questa rimodulazione dei compiti si è poi affiancata una rimodulazione dei poteri, perché per svolgere al meglio la propria attività la Guardia di Finanza ha visto estesi alcuni poteri specifici della polizia tributaria anche agli altri rinnovati campi d’azione. Ovviamente, c’è voluto del tempo per riorganizzare in aderenza ai nuovi compiti non solo le strutture operative, ma proprio la mentalità degli investigatori, impegnati su molteplici fronti». Mi farebbe piacere sapere se i limiti territoriali sono così netti o se, invece, vi è una continua collaborazione tra Comandi.
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Bambusa
«Ovviamente. Le faccio un esempio. La Guardia di Finanza casertana è fortemente impegnata nel contrasto al contrabbando del TLE (Tabacchi Lavorati Esteri, contrabbando di sigarette illecitamente importate, ndr) e dei prodotti energetici. Si tratta spessissimo di carichi gestiti da contrabbandieri napoletani che operano sull’area casertana come primo punto d’appoggio, predisponendo anche dei depositi per poi stoccare e suddividere le partite. Noi di Caserta ci troviamo sulla direttrice di Napoli e collaboriamo sinergicamente con i colleghi partenopei. Su alcuni settori, anzi, possiamo dire che viviamo di luce riflessa napoletana, in quanto registriamo uno sconfinamento nella nostra provincia dell’economia illecita e sommersa delle aree più propriamente partenopee. Spesso, quindi, le indagini che partono dai reparti che stanno nella parte meridionale della provincia di Caserta si trovano a sconfinare nel napoletano e viceversa». Le mafie casertane, secondo il mio parere, hanno preso come riferimento il modus operandi delle mafie del sud pontino: mafie che sparano poco e fanno molti affari. Condivide questa mia personale visione del fenomeno? «Non posso rispondere da diretto protagonista dell’attività investigativa, perché la Guardia di Finanza di Caserta non ha una componente investigativa propriamente antimafia. Il reparto con competenza specifica di contrasto alla criminalità mafiosa è infatti il GICO (Gruppo Investigativo Criminalità Organizzata) ed è presente solo alla sede dove opera la competente Procura Distrettuale Antimafia, che, nel caso di Caserta, è quindi Napoli. Ma anche per questo settore è forte il coordinamento operativo tra il GICO di Napoli e i reparti territoriali casertani. Ciò premesso posso esprimere una mia opinione personale sul punto. Ritengo, infatti, che il fatto che la mafia spari di meno e che, quindi, si sia occultata, è perché in momenti storici la ricerca del predominio territoriale viene sostituita dalla gestione dei capitali illecitamente accumulati. Il vero potere non è dato, infatti, solo dalla potenza di fuoco sul territorio, ma anche dalla forza
Il Col. A.Mercatili mentre legge il discorso durante la cerimonia. intimidatrice economico-finanziaria che deriva dal reimpiego dei profitti illeciti. Quello che interessa veramente alla criminalità organizzata è produrre profitti e ricchezza illecita. Il fenomeno a cui abbiamo assistito in provincia di Caserta è poi la capacità della criminalità organizzata di mimetizzarsi ed infiltrarsi nelle strutture amministrative pubbliche per poi gestire anche le commesse pubbliche, ottenendo, in questo modo, costantemente il controllo del territorio. Anche i classici metodi estorsivi, come la richiesta del pizzo, sono mutati nel tempo. Nella nostra attività antifrode, ad esempio, ci siamo da tempo accorti che le fatture false o le sovraffaturazioni possono essere espedienti piegati agli interessi delle organizzazioni criminali nei rapporti con l’imprenditoria locale. Ormai anche il pizzo si fattura, così che anche l’estorto possa avere una sua parte di vantaggio economico, sotto il profilo dell’illecito risparmio fiscale. Per non parlare poi dell’imprenditore che invece coscientemente accetta di entrare in relazione con poteri criminali per potersi affermare, senza merito, sul mercato di riferimento». Il territorio è di tutti ed ognuno nelle proprie competenze deve fare la propria parte con un impegno continuo e costante. In merito, credo che manchi un po’ di serena in-
formazione che porti ad unire civili e militari, col rispetto dei ruoli. Sfortunatamente viviamo in un periodo dove si tende a banalizzare per poter infangare prima di tutto e distruggere il bel lavoro che fanno le persone che si impegnano… «Si questo è vero… la componente repressiva deve infatti trovare terreno fertile nella collettività di riferimento. C’è da dire che militarizzare il territorio serve fino ad un certo punto. Possiamo mettere in campo tutte le forze che vogliamo, ma nonostante gli enormi sforzi che si stanno facendo e i risultati ottenuti, permane una microcriminalità diffusa, soprattutto in alcune parti della provincia. Il problema vero è che accanto alle forze di polizia ci vuole una forte opera di cambiamento della cultura e della mentalità della società civile, un percorso che deve iniziare nelle scuole e proseguire in tutte le altre istituzioni pubbliche coinvolte. Se il territorio viene amministrato male, lo si tiene in continuo stato di sudditanza economico sociale, ciò significa che la criminalità avrà sempre nuove leve e nuovi gregari che ambiscono a ruoli decisionali». Le foto si riferiscono al 245° anniversario della fondazione della Guardia di Finanza festeggiato il 25 giugno 2019 nella caserma del Comando provinciale di Caserta.
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M EDICINA
E-Health:
i farmaci digitali come nuova frontiera per la cura di malattie di Antonio Di Lauro
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ella nostra società da diverso tempo la tecnologia si sta conquistando uno spazio importante nella vita quotidiana con la possibilità, per gli esseri umani, di essere facilitati in alcune delle attività che li vedono impegnati. Ma non senza controindicazioni. Uno specifico approccio richiede argomentare l’uso dei dispositivi tecnologici da parte dei più piccoli: non solo gli smartphone o videogame, ma anche quelli uti-
prodotti che sono in fase di sperimentazione al vaglio della FDA (Food and Drug Administration) per trattare deficit cognitivi e migliorare i sintomi associati a patologie neurologiche e psichiatriche, tra cui disturbi come iperattività, disturbo depressivo maggiore (ADHD) ma anche disturbi dello spettro dell’autismo. Come dire, il giusto impiego dei giochi che, attraverso il divertimento ed il coinvolgimento dei pa-
zienti, sulla base di piani personalizzati, possono aiutare a superare malattie che prima si potevano curare solo attraverso assunzione di farmaci tradizionali. Le soluzioni sono state sviluppate con la collaborazione tra neuroscienziati cognitivi e designer famosi nel campo dell’intrattenimento. In questo senso le aziende farmaceutiche guardano al tema con interesse per la possibilità di incrementare i livelli di aderenza alle terapie, tanto che l’agenzia healthware (agenzia italiana specializzata nello sviluppo di proposte legate all’e-Health) dalla cui fucina sono passate esperienze italiane come la start up Brave Position che ha inventato, finanziato e prodotto l'App Super Poteri. Italiani sono anche i creatori di TOMMI, un gioco che propone esperienze di realtà virtuale per aiutare i pazienti oncologici pedriatici che, purtroppo, sono circa 300mila all’anno. Tommi aiuta ad affrontare meglio il lungo percorso di cure e a migliorare la qualità dell’ospedalizzazione. Insomma, un modo nuovo di affrontare le malattie dei giovani pazienti che, in qualche modo, compensano anche gli abusi degli e-game che si registrano nel modo preadolescenziale. Sono certo prevarrà il buon senso confidando in genitori che sapranno dare il giusto tempo per i giochi da camera rispetto a quello all’aperto e con gli altri coetanei... magari lasciandoli giocare anche se dovesse piovere.
lizzati per la mobilità come gli “hoverboard”. Questi ultimi sarebbero stati indicati dai pediatri italiani come la possibile causa della fragilità dei più piccoli e della sedentarietà. Premetto che personalmente sono dell’avviso che, ad una sfida digitale, suggerirei di fare sport nel parco o di appassionarsi ad uno specifico allenamento, poiché ciò ti porta a stare con gli altri e questo sarebbe per la loro crescita un’ottima palestra. Ma sin dagli anni duemila ci sono diversi studi, come quelli condotti dalla società Akili Interactive Labs Inc. (una società di medicina digitale che porta avanti progetti molto interessanti) che combinano il rigore scientifico e clinico con l’ingegnosità dell’industria tecnologica, per reiventare la medicina. In pratica, la società fornisce trattamenti digitali per attività terapeutiche dirette, erogate invece che con sostanze chimiche, attraverso esperienze di gioco basate su videogiochi d’azione di alta qualità. Una serie di
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L IBRI
Miranda Martino: "Caduta in un gorgo di torbide passioni" di Giovanna Cirillo | giovannacirillo@informareonline.com
C
i sono donne che vale davvero la pena ascoltare. Guardi occhi che brillando ti preannunciano una storia intessuta di intrighi e di forti emozioni. Miranda Martino è una di quelle. Personalità eccentrica, gira l’Italia con la mise ricercata di sempre: paillettes e anelli non possono mancare. "Trucco e parrucco"? Impeccabili. Donna d’altri tempi, fuori dagli schemi. Figlia d’arte, nasce come cantante e cresce come attrice a partire dagli anni ‘60 debuttando al Festival di Sanremo nel 1959, col brano "La vita mi ha dato solo te". E, da allora, ne ha fatta di strada. Miranda è cantante, interprete della canzone napoletana, attrice di teatro, di prosa radiofonica e televisiva e, non lasciandosi intimorire, ha scritto anche un libro. L’abbiamo conosciuta lo scorso maggio in Casina Pompeiana, nel cuore di Napoli, in occasione della presentazione della sua biografia: "Caduta in un gorgo di torbide passioni". Con un sorriso smagliante ruba sin da subito la scena, come per dire "Fermi tutti, la Diva è arrivata". Sale sul palco accompagnata dall’amico e collega Ermanno Corsi. I due si sono cono-
sciuti durante gli anni di lavoro in Rai ed è bastato poco ad Ermanno affinché creasse, per poi raccontare, un profilo biografico di Miranda dipingendo la sua figura ambivalente di artista e di donna. È partito dagli albori della sua carriera, toccando i momenti più dolenti per dimostrare la forza che è riuscita ad avere. Miranda decide di scrivere la sua biografia, pubblicata da Iacobelli Editore, per lasciare traccia della sua storia, la storia di una diva della canzone italiana. Racconta la sua vita, lasciando trasparire le sue paure e i suoi periodi più scuri ricordando anche di quando il suo successo stava per essere arrestato. Giravano voci terrificanti sul suo conto: "Miranda Martino partecipa ad orge" e l’allontanamento dalla Rai è stato immediato. Ancora oggi l’artista preferisce non parlarne, un nodo le stringe la gola. Lo stesso accade quando racconta dello stupro subito prima della sua apparizione pubblica, un uomo l’accompagna a casa e la violenta. A fare da sfondo, però, c’è un periodo storico giocato sui tabù. Miranda non può raccontare nulla a casa, non può denunciare, perché "la colpa è tua",
le avrebbero risposto i genitori. Tanti sono stati soprattutto i successi, fervido il lavoro in Rai e come attrice di teatro. Miranda racconta dei suoi grandi amori, tre per la precisione. Sono stati talmente grandi da essere definiti "da sconquasso dell’anima". «Quando cercavo un titolo al mio libro ho subito pensato a questo», racconta Miranda. «È la frase che mi diceva mia madre. Mi sono chiesta sempre a quale gorgo di torbide passioni facesse riferimento, ma è stato dopo che ho capito che in un certo senso aveva ragione. All’inizio ero arrabbiata, ora l’ho perdonata». Abbiamo chiesto a Miranda cosa l’avesse spinta a scrivere un libro. «Ho iniziato a scrivere nell’82, ero a Marina di San Nicola, mi stavo prendendo un po’ di vacanze davanti ad un bel mare e mi sono detta "Io devo assolutamente levare i fantasmi che ho dentro, devo scrivere!". Così ho cominciato a scrivere e in tre giorni ho messo giù cento pagine, per poi lasciarle lì. È stato cinque anni fa che, mentre le rileggevo, ho pensato di continuare, perchè erano davvero uniche».
A RTE
“Dipingo Per di[S]petto” di Angela Di Micco | dimiccoangela@gmail.com
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lfredo Troise è un personaggio unico: mette a proprio agio l’interlocutore, anche se spesso la sua sindrome lo mette di fronte agli sguardi altrui, non sempre comprensivi. L’abbiamo incontrato alla rappresentazione de “Il cervello irriverente”. «Sono affetto da Sindrome di Tourette. Non mi sono mai chiesto chi e perché mi avesse mandato questa croce. Ho sempre affrontato a muso duro la sfida. Oggi sono quello che vedete: Alfredo Troise, l’Artista del disagio». Il suo approccio all’arte è risultato traumatico per i vari contrasti familiari. L’arte non viene vista come una forma di sostentamento e si fatica a capire che l’arte si può fare anche senza essere famosi. «Quando hanno capito che facevo sul serio si sono arresi, tanto che la prossima mostra l’ho intitolata “Dipingo per Dispetto”» ci dice. Quanto ha contribuito alla tua arte il contesto sociale? «Il soggetto ricorrente è l’occhio, lo accompagno con la frase “Quello che dipingo in arte è tutto ciò che ho maledetto per anni”. Il contesto sociale di Arzano non è facile proprio perché non ha da offrire molto alla gioventù, anche se è una fucina di arte. La società mi ha completamente asfaltato: si è presa gioco di me, si è girata dall’altra parte, si è disfatta di me. Ho masticato la mia gioventù per poi sputarla via, senza mai arrendermi. Ho pianto in silenzio, in quei luoghi dove nessuno potesse scoprirmi. Devo comunque tanto ad Arzano, la mia pittura inusuale è data proprio da un contesto inusuale».
Perché questa scelta? «L’occhio ha uno sguardo dicotomico pronto a cercare le ragioni sconosciute a cui non si sanno dare risposte. Gli occhi rappresentano la gente che ti guarda, giudica e che devi tranquillizzare. È una sorta di lotta psicologica fatta di sguardi. È frustrante stare attenti agli occhi indiscreti, dai pregiudizi della società verso il diverso. È il mio sguardo indagatore verso la società». Come definisci le tue opere? «Non ho una pittura accademica, disciplinata. Io vomito sulla tela, sarà anche per la sindrome. I colori accesi o le esplosioni dei vulcani sono un dissenso verso la società oramai depressa, frustrata, insoddisfatta. L’arte è anche una scelta di vita e spesso ti invidiano perché sei “libero” dalle regole sociali». Per un artista è importante il rapporto con il tempo in cui vive. Qual è la tua visione di questi anni? «Anche l’arte si è globalizzata. Se dipingo un corno vengo criticato come se tutto non facesse parte del nostro "io", come se l’artista dovesse dipingere solo la propria terra o il luogo nel quale è intento a dipingere. Anche le tecniche sono globalizzate, i pittori non sono più originali e si tende a “copiare” perdendone di originalità. Attingere non vuol dire copiare». Luglio 2019
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"Con le mani cariche di rose" L'inno alla libertà di Michele Caccamo di Daniela Russo e Carmelina D'Aniello
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lla necessità di essere liberi”, così si apre il romanzo di Michele Caccamo, “Con le mani cariche di rose”. Un esperimento letterario, strutturato in una prosa poetica, che ripercorre la vera storia della poetessa francese Renèe Vivien, più conosciuta con lo pseudonimo di Pauline Tarn. Dichiaratamente omosessuale, quest’ultima si batté molto per affermare la sua libertà di amare. Le sue opere sono state in seguito apprezzate anche grazie alla riscoperta delle opere greche di Saffo, poetessa notoriamente lesbica. «Ho trovato Renèe rivoluzionaria per il suo tempo», ha dichiarato Caccamo in un incontro nella redazione di Informare. «Trovo che abbia avuto un coraggio straordinario, portando nei salotti francesi la sua omosessualità e diversità, infischiandosene di chi tentava di osteggiarla. Lei amava le donne e decise di vivere liberamente la sua natura». Il romanzo, ambientato nella Parigi di fine ‘800, racconta della giovane Pauline che si trova per la prima volta a sperimentare il “desiderio”. L’incontro con Violet, figura chiave, passione intensa e quasi eterna della sua vita, oltre a generare allarme nella sua famiglia, che deciderà di allontanarla da Parigi, farà maturare in lei la consapevolezza della diversità. Ormai cresciuta e pienamente cosciente della sua omosessualità, Pauline fa rientro a Parigi, dove ritrova Violet. La sua nuova “vita anticon-
formista”, per quanto voluta, le causerà numerosi scompensi emotivi nel corso del tempo, riassunti nelle varie relazioni della donna. Un manifesto, quello scritto da Michele Caccamo, che vuole essere una provocazione nei confronti delle convenzioni sociali odierne che, altro non fanno, che erigere muri tra le persone, impedendo loro di amarsi. «Purtroppo viviamo in un contesto politico non al passo con i tempi e, paradossalmente, stiamo facendo dei passi indietro», ha constatato lo scrittore. «Ci siamo riscoperti tutti portatori d’odio e le istituzioni, politiche e religiose, giocano un ruolo importante in questo momento storico. La chiesa, ad esempio, ha grandissime responsabilità nella trattazione dell’omo-
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Viviamo in un contesto politico non al passo con i tempi e, paradossalmente, stiamo facendo dei passi indietro. Ci siamo riscoperti tutti portatori d'odio e le istituzioni, politiche religiose, giocano un ruolo importante
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sessualità: la sua chiusura non fa altro che modificare il messaggio di Gesù, per la conservazione del potere». Scrittore, paroliere e drammaturgo italiano, Michele Caccamo narra e racconta dell’amore omosessuale attraverso una poesia profonda ed empatica in un libro che ambisce a diventare un progetto condiviso con alcune scuole italiane. «Nella profonda crisi che l’editoria sta vivendo, il ruolo dell’autore deve essere quello di armarsi della propria opera e andare incontro al lettore», ha commentato Caccamo. «Faccio un appello ai presidi delle scuole: aprite le aule di scuola agli scrittori. Io, infatti, andrò a parlare non solo di omosessualità, ma anche e soprattutto d’amore».
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L’istruzione scolastica, infatti, essendo uno dei canali principali che assolve alla funzione educativa della società, dovrebbe essere la prima palestra in cui apprendere il valore del rispetto. «Bisogna educare i ragazzi a rispettare l’altro, qualunque sia la sua tendenza sessuale e la sua provenienza. L’istituzione scolastica ha un ruolo fondamentale nella formazione dell’identità di genere e nel rispetto di quest’ultima». Il trascorso giudiziario travagliato di Michele Caccamo, che lo ha visto vittima della malagiustizia con tre anni di custodia cautelare e con un’accusa rivelatasi poi infondata, lo ha reso un autore che ha fatto della sua innocenza comprovata motivo di una rinascita umana. Un inno alla libertà, quello contenuto nelle pagine di “Con le mani cariche di rose”, che nessuno meglio di lui avrebbe saputo interpretare, avendo sperimentato, sulla propria pelle, cosa significhi esserne privati.
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D ENUNCIA
Roghi e olezzo di morte nella terra dei fuochi e dei veleni di Nicola Baldieri
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una storia che si ripete da decenni. Nel silenzio di tutti. I Palazzi sono lontani dal luogo del delitto. Torna il caldo e torna il fumo e la puzza di bruciato. Un olezzo dal sapore acre che sollecita tutto l’apparato sensoriale. Una sniffa che sa di cadavere industriale. Ma è meglio tenere lo spettro della morte fuori. Le finestre restano serrate. Brucia la monnezza, i copertoni, stock di panni inzuppati di veleni. La plastica e il cellophane agricolo vengono dissolti dal calore delle fiamme appiccate dallo straniero o dall’indigeno che ha rinunciato a fare i conti con la propria coscienza. Il polistirolo diventa una pozza di liquido nero bollente. Le periferie dei paesi diventano tanti piccoli inferni danteschi. Intanto la canicola estiva ed il caldo fanno crepare. Dopo una nottata trascorsa insonne, alle prime ore dell’alba ci si sveglia in un pozzo d’acqua. Di sudore. Chi può, sfrutta il fresco dei condizionatori. Ma nella cosiddetta terra dei fuochi e dei veleni non tutti se li possono permettere. Tutte le sere tra le province di Napoli e Caserta, come appena si avvicina l’estate, torna il lurido “gioco” degli assassini, degli avvelenatori dell’aria, dell’acqua e della terra. In quella che fu Terra di Lavoro e Campagna Felice l’estate porta con sé questa tragicommedia che le parti istituzionali convolte non riescono a risolvere. I controlli militari hanno in parte ridotto le curve esponenziali del fenomeno. Perché questo lurido gioco al massacro? Perché, chi può e deve, evidentemente, o non ha i mezzi economici a disposizione o non lo sa fare. I conti dei comuni cui compete la bonifica dei siti sono in profondo rosso. Gli addetti ai controlli sono pochi e male organizzati. Di vero c’è che le Istituzioni hanno da un quarantennio perso completamente il controllo del territorio. Non è vero forse neanche questo. Perché se si analizza la storia politico-sociale ed ambientale della nostra maledetta terra ci si rende conto che è stato sempre così: qui lo Stato non c’è mai stato.
E se c’è stato, chi di dovere ha mosso giusto il dito per dimostrare la presenza. Molti hanno brigato e poi hanno gettato la spugna. Quasi tutti gli ecomafiosi sono riusciti a farla franca. I cittadini, vittime del cronico scaricabarile, stanno sempre più lasciando la loro terra di origine. Scappano via. Ma quella della fuga è di fatto la strada più semplice. Ma resta l’unica via percorribile stando agli avvenimenti. Tutto cambia perché nulla cambi. Dal 2018 a quest’anno sono cambiate tante cose. Nuovo ministro, nuove idee, nuovo personale, ma stesso dramma ambientale. Dunque, un gio-
Tutte le sere tra le province di Napoli e Caserta, come appena si avvicina l'estate, torna il lurido "gioco" degli avvelenatori di aria, acqua e terra co delle parti che serve solo a giustificare ruoli e stipendi. Il litorale casertano-giuglianese e l’Agro aversano vivono una realtà ambientale paragonabile ad una discarica a cielo aperto: in alcune aree le matrici ambientali sono fortemente contaminate. In prossimità dei “letti” di roghi c’è il deserto. Nemmeno più un filo d’erba cresce. Eppure c’è chi coglie verdura ed ortaggi immettendo tutto sul mercato. Pesche e prugne hanno una coltre nerastra in superficie. Le nuvole di fumo che sprigionano diossina e veleni si spandono nel buio della notte. Il frinire di cavallette interrompe il rumore delle fiamme. I social impazziscono. Pagine su pagine di lamentele. Piagnistei. Per chi non ha la strumentazione tecnica adatta non risulta facile andare
alla ricerca del rogo venifico. L’ultimo rapporto presentato presso la Procura di Napoli Nord (28 giugno u.s.) parla di tremila siti e discariche presenti nel territorio di competenza giurisdizionale. Il territorio cerniera tra Napoli e Caserta è zeppo di siti contaminati da bonificare e ripulire. I dati dell’incidenza ambientale tra inquinamento e patologie cancerose ed ematiche sono spaventosi. Nulla di nuovo sotto il cielo. È tutto noto da decenni. Il problema resta purtroppo di natura economica. Soldi a palate ci vorrebbero per ritornare ad essere la straordinaria e fertile Campania Felix.
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T ERRITORIO
Una svolta per Cancello ed Arnone I progetti del sindaco Raffaele Ambrosca di Antonio Casaccio | antoniocasaccio@informareonline.com
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affaele Ambrosca, primo cittadino di Cancello ed Arnone (CE), si è messo a lavoro verso una riqualificazione del comune, nella direzione di attuare progetti innovativi e, a suo dire, “stravolgenti”. L’impegno nel risollevare le speranze di un comune, particolarmente nel casertano, è un compito arduo, che pretende la professionalità e la competenza dei soggetti principali di un’amministrazione comunale. Per tale ragione siamo stati dal sindaco Ambrosca, per comprendere i suoi piani per la rivalutazione di Cancello ed Arnone e i fatti compiuti dopo poco più di un anno dalla sua elezione. Sindaco Ambrosca, parliamo della sua “svolta costruttiva” partendo dal nuovo Puc (Piano urbanistico comunale), approvato da poco e che è la base portante di qualsiasi sviluppo comunale. «Per la verità abbiamo concluso un discorso avviato da chi mi ha preceduto nel 2009. Quando siamo arrivati qui al Comune, un anno fa, tra le altre emergenze che abbiamo dovuto rilevare, abbiamo capito che era necessario dotarsi di uno strumento pieno per avere una visione completa dal punto di vista urbanistico. Non è il Puc migliore possibile, ma ci interessava averlo. Abbiamo spinto al massimo per l’approvazione e finalmente siamo giunti all’obiettivo. Questo strumento ci darà la possibilità di mettere subito mano a quei progetti di prospettiva che ogni amministrazione deve avere e che noi abbiamo. Sono sicuro che nel breve futuro questo strumento avrà modo di farsi ben notare». Parliamo adesso del Masterplan per l’area domiziana messo in campo dalla Regione Campania. Un grande progetto che però rischia di escludere i comuni dell’entroterra e in più diviene estremamente difficoltoso per quelli che non possiedono il Puc. Forse manca un intervento
che veda inserite intere aree. Lei cosa ne pensa? «Penso che la Regione abbia prodotto una visione complessiva diversa, rispetto ai soliti picchi di solitudine che tante amministrazioni provano. Il Masterplan ha questa visione: quella di mettere insieme i territori per farne un unico da riqualificare e bonificare. Il problema diviene delle amministrazioni nel momento in cui sono incapaci di raggiungere gli obiettivi che la Regione gli offre a portata di mano. Questa è la cosa più complicata». Centrale per ogni amministrazione dev’essere anche un incentivo all’aumento dell’occupazione, come si sta muovendo su questo fronte? «Questo è stato l’obiettivo centrale che mi ha por-
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Abbiamo progetti importanti, anzi stravolgenti, riteniamo che a breve prenderanno vita progettualità significative per lo sviluppo e l'occupazione
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tato a candidarmi. Se non assicuri lavoro al popolo che governi, significa che non hai fatto nulla. Noi abbiamo progetti importanti, anzi stravolgenti, riteniamo che a breve prenderanno vita progettualità significative per lo sviluppo e per l’occupazione. Mi riferisco alla riqualificazione del territorio dal punto di vista ambientale. Stiamo facendo in modo che su questo territorio arrivi, attraverso la Regione, un impianto per la trasformazione dei reflui zootecnici, carichi di nitrati che, come ben saprà, sono molto attenzionati dalla normativa ultima. È necessaria l’impian-
tistica per risolvere questo tipo di problema che condiziona la falda acquifera e, di conseguenza, entra nella catena alimentare. Quindi, noi puntiamo a mettere mano per una bonifica dal punto di vista ambientale, ma che possa creare anche nuove opportunità occupazionali». La vostra “Festa della Mozzarella” è un vero e proprio fiore all’occhiello ed è soprattutto incentrato su una delle eccellenze del nostro territorio. Cosa ci aspetterà quest’anno? Può darci un’anticipazione? «Certamente. Vogliamo dare una svolta significativa: ad attrarre non dev’essere il concerto del cantante di turno, ma il comparto. Abbiamo tantissime sofferenze ultimamente nel comparto lattiero-caseario e vogliamo contribuire con questa festa, che non può essere slegata da queste problematiche. Il centro sarà il prodotto, il comparto con le sue sofferenze e potenzialità. Sarà questo il fulcro della festa della mozzarella: tra convegni, show, proprietà nutraceutiche dei prodotti, tutto proiettato attraverso chef rinomati e stellati e, inoltre, occasione di confronto con i mercati. Noi vogliamo essere coloro che fanno da battistrada, riteniamo che il futuro sia questo».
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A ZIENDA
Antico Demanio: una tradizione da gustare e da insegnare di Antonio Casaccio | antoniocasaccio@informareonline.com
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a storia di un amore che scorre nel sangue di un’intera famiglia, che con dedizione e rispetto per la tradizione è riuscita ad essere un rappresentante d’eccellenza del nostro “Oro bianco”. L’azienda Agrizoo soc. coop agricola vanta più di quarant’anni di esperienza nell’agricoltura e nell’allevamento delle bufale. A partire dagli anni Settanta l’attività era prettamente agricola e zootecnica. Come riferisce il titolare Angelo Campomaggiore: «Oggi siamo alla terza generazione; mio padre Michele, il fondatore, ci ha trasmesso la passione e il valore del sacrificio che ancora oggi sono elementi necessari per portare avanti un’attività così impegnativa. Ricordo ancora quando io e mio fratello Emanuele, mio socio, aiutavamo nostro padre sui mezzi agricoli nella coltivazione dei terreni per produrre i foraggi e nell’allevamento del bestiame da latte». Da allora tutto è cambiato. Oggi l’azienda zootecnica di Campomaggiore ha ampliato i suoi orizzonti. Nel 2002 nasce il caseificio Antico Demanio, con l’obiettivo di trasformare il latte di elevata qualità internamente prodotto. Ciò determina che l’azienda abbia il completo controllo verticale sulla filiera produttiva, che parte dalla coltivazione della campagna per passare all’allevamento delle bufale e finire con la trasformazione del latte in Mozzarella di bufala campana DOP a marchio Antico Demanio. Di non minore importanza è l’attività della fattoria didattica che sta prendendo piede negli ultimi anni gestita direttamente dai volti più giovani dell’azienda. Come ci spiega la Dott.ssa Maria Campomaggiore, responsabile dell’amministrazione e della fattoria didattica insieme al dottor agronomo Olita Mauro: «La didattica è un’attività collaterale, ma di fondamentale importanza, perché solo in questo modo, con trasparenza, è
Turisti giapponesi in visita al caseificio Antico Demanio possibile trasmettere la passione che c’è dietro questo lavoro. Finalità della fattoria didattica è creare interesse per la (ri)scoperta dell’ambiente e dell’attività agro-zootecnica oltre che delle figure professionali ad essa connesse. Anche trasmettere quanto è importante mangiare un alimento sano, frutto della “filiera corta”, lavorato con passione rispettando le antiche tradizioni. Una delle iniziative partite quest’anno che ci ha dato grande soddisfazione è stato il progetto “Latte nelle scuole” organizzato dal Ministero
Mio padre Michele, il fondatore, ci ha trasmesso la passione e il valore del sacrificio che ancora oggi sono elementi necessari per portare avanti un'attività così impegnativa
lo dimostrano i recenti impianti, in fase di progettazione, di fotovoltaico e di biogas per il riutilizzo dei liquami, nonchè il continuo approvvigionarsi di macchine agricole con piloti automatici necessari per la coltivazione di oltre cento ettari di terreno». A parlare è Michele Campomaggiore, responsabile dell'azienda agricola. Recentissime attività riguardano l’apertura di due nuovi punti vendita a marchio dell’azienda: Antico Demanio "Store" sito in via Ragozzino a Sparanise e il più recente Antico Demanio "La bottega" a viale Gandhi a Marcianise, concepito sul format di punto vendita di prodotti caseari di giorno con aperitivo e cucina serale.
delle politiche agricole e forestali in collaborazione alla Camera di Commercio di Napoli, tramite cui abbiamo ospitato circa 500 bambini del casertano e napoletano, al fine di avvicinarli alla realtà rurale e lavorativa del nostro territorio. Ci aspettiamo per il prossimo anno gruppi sempre più numerosi». Iniziativa di fondamentale importanza per la riscoperta di una vera e propria arte che non può, e non deve, essere assolutamente persa. «L’azienda guarda in avanti e pensa al futuro, ciò
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D ENUNCIA
L'ABBANDONO DEL REAL SITO DELLA LANCIOLLA di Francesco Cimmino | francesco.cimmino.ph@gmail.com
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l patrimonio borbonico è disseminato in tutta la provincia di Caserta, spesso in spazi aperti e distanti dal cuore della città. Sono i casini di caccia, luoghi dove i Reali potevano sostare durante le battute. In particolare una desta parecchio interesse: il Real Sito della Lanciolla, nel territorio acerrano ma al confine con quello di Marcianise e Caivano, una perla sul corso del Lagno Vecchio. «La voglia del mare! [...] Ci stava un canale dove i ragazzi si andavano a lanciare, si chiama lancione, di acqua corrente gelata! Da sopra un ponticino si lanciavano. Io non l’aggio mai fatto, tenevo paura; l’acqua non era tanto profonda e ti potevi rompere l’osso del collo». (1) Quel luogo ha ricevuto prima le attenzioni di un Re, poi di un’intera comunità. Per chi lavorava la canapa ed il lino era la sosta; per i ragazzini di Marcianise, Acerra, Caivano e gli altri paesi limitrofi, era un luogo da raggiungere in bici o a piedi, per divertirsi o per fare un bagno. Perché il mare, per chi non aveva l’auto, era lontanissimo: un lusso non alla portata di tutti. E fino a 40-50 anni fa, prima dell’industrializzazione feroce, i Regi Lagni ed i suoi contraffossi erano di «acqua gelata e pulita. E quell’acqua era santa, perché se avevi qualche ferita in questo lagno guariva istantaneamente». (2)
La storia del luogo - oscurata dal recente passato di fabbriche e fumi di roghi - ed i racconti popolari sono i motivi che spingono ad inoltrarsi in queste terre. Il percorso per il Real Sito, purtroppo, non è facile come un tempo. Dal parcheggio del Centro Commerciale Campania si può scorgere il tetto del casino con i suoi caratteristici comignoli vanvitelliani. Approcciarsi da qui è impossibile, perché un muro di fittissima vegetazione impedisce il passaggio. Per raggiungerlo allora conviene dirigersi verso Caivano: il navigatore consiglia una mulattiera dal sapore pulp; i racconti popolari sono ormai lontani. Lo sguardo inquisitorio di due prostitute accoglie i visitatori occasionali; anche se il primo pensiero è di fare dietro front, non c’è da temere, nessun pappone verrà a farti fuori. Superata una discarica di lamiere, solo un’immensa distesa di tabacco separa dal Sito Reale. Circumnavigandola, è facile venire suggestionati dall’idea di essere alieni nel regno del caporalato; nonostante le sagome dei braccianti appaiano tutte uguali, il pregiudizio viene smontato avvicinandosi e si può proseguire tranquillamente: sono tutte donne anziane dal volto scavato, tipicamente campano. Raggiunto il Casino, si distinguono i tre volumi, di cui uno parzialmente crollato. Oggi vi si accede a piedi, ma nel periodo borbonico era immerso in un pantàno, raggiungibile solo attraverso piccole zattere, le lanciole. Una meraviglia, molto simile al Casino sul lago Fusaro. La fabbrica centrale nasconde una sorpresa: esternamente a pianta quadrata con tetto a falde, internamente a pianta ottagonale con una cupola a costoloni. La superficie rovinata nasconde l’intonaco rosso pompeiano; purtroppo risulta malamente depredata e sono assenti tutte le opere marmoree. Il corso del Lagno Vecchio, ancora oggi habitat di rane, anguille ed uccelli migratori, risulta però essere congeniale allo scarico di rifiuti dell’agri-
coltura: l’acqua è ancora limpida, ma certamente non santa come un tempo. Sulla sponda opposta, con sfondo il Campania, un gregge di pecore è il baluardo di un tempo passato. Purtroppo la camorra e la paura che genera sembrano farla da padrone, ma frequentando questi luoghi si scopre che non è così: c’è ancora Vita, e solo recuperando questo luogo saremo in grado di preservarla. (1) (2) Estratto della Tesi di Laurea in Architettura di Francesco Cimmino “L’immagine pubblica della Conurbazione Casertana nella percezione dei suoi abitanti. Un’applicazione a partire dalle teorie di Kevin Lynch”, dall’intervista ad Antonio T. di San Nicola la Strada.
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in dall’antichità, la figura del barbiere ha avuto grande rispetto per la credenza popolare che nei capelli abitasse l’anima dell’uomo e che il taglio fosse un modo per rimuovere l’essenza del male accumulatosi, quasi come un rinnovamento delle energie positive. È per questo che il compito era appannaggio dei più saggi… i sacerdoti ovviamente. Nella Grecia antica l’arte del taglio ebbe grande rilevanza perché, creandosi i primi negozi, questi diventarono luoghi di incontro per lunghe conversazioni di filosofia, di politica o di questioni civiche. Lo stesso accadde a Roma, dove i barbieri erano chiamati “tonsori”. Dopo un periodo buio per i saloni e la stessa figura del barbiere con la Rivoluzione Francese sembra cambiare qualcosa. Difatti, come rifiuto al vecchio regime, ritornò ad essere popolare la tendenza ad acconciare i propri capelli e si tornò a lavorare il taglio di capelli e la barba. Un percorso in ascesa se si considera che dalla seconda metà del XIX secolo in tutte le città cominciano ad essere inaugurate le prime catene di barberie. I barbieri recuperano il loro prestigio sociale e l’attività ha una rinascita gloriosa, che motiva la ricerca di nuovi standard e regolamenti per rendere la professione più affidabile e alquan-
to prestigiosa. Ed è in nome di questa ricerca di nuovi standard che il dodici giugno del 1969 ci fu nel quartiere Vomero di Napoli l’inaugurazione di un locale che, in maniera sorprendente, sostituì la classica insegna in vigore a quei tempi (‘’salone’’), con una scritta dalla dicitura innovativa: acconciature maschili. Nessuno mai avrebbe immaginato che oggi, dopo 50 anni, si sarebbe ritrovato nello stesso identico luogo a festeggiare le “nozze d’oro” di un artigiano e della sua bottega. Il valore è ancora più prestigioso se si ripensa al fatto che la nostra attuale società stritola vecchie e nuove attività in un battito di ciglia! E invece l’amico Tonino, conosciuto col nome d’arte di Tony Topazio, è sempre qui in via Mascagni al Vomero, circondato dalla sua grande famiglia e dagli amici di allora, ma non solo. Topazio festeggia la sua bottega che ha aperto le porte ai tantissimi clienti che affidatisi alle sue esperte mani di barbiere sono rimasti fedeli nel tempo, diventandone anche grandi amici. Per la sua bottega sono passati le più importanti figure di spicco partenopee (e non solo), tutti accomunati dal gusto per l’estetica che ha sempre caratterizzato Topazio. Ricordiamo infatti di un premio mondiale vinto a Parigi, la patria dell’eleganza che premia un acconciatore napoletano. Anche io con il trascorrere del tempo sono passato da normale cliente a grande amico, e non potrò mai dimenticare la mia “prima volta” quando nel 1970 decisi finalmente di tagliare i miei lunghi capelli che, “rispettoso” della moda allora in vigore, avevo lasciato crescere per quasi due anni... Ah, il magico ‘68 con i Beatles, i Rolling Stones, i Beach Boys… Fu una dura battaglia che Tonino combatté quel giorno con la mia lunga capigliatura apparentemente ordinata (per via dei miei capelli lisci) ma che in realtà era completamente disordinata per colpa dei tagli operati da mia madre nel tentativo di riportare la lunghezza dei miei capelli nel binario della “sua” presunta ordinarietà… Ad maiora semper, Topazio!
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Aton Sax: il nuovo volto della Deep House di Daniela Russo
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ntonio De Simone, in arte Aton Sax è una giovane promessa della musica Deep House, un genere sperimentale molto in voga tra i più giovani. Cresciuto a Pinetamare e da sempre dedito alla musica anche grazie all’influenza del padre, musicoterapeuta, esce da un conservatorio dopo anni di studio ed impegno con le idee molto chiare sulla sua identità musicale. Il 14 Giugno scorso ha esordito con il suo primo videoclip dal titolo “Slowly”, così in occasione del suo primo lavoro abbiamo chiacchierato con lui. Antonio, in questi anni di crescita quali sono le reali difficoltà che hai incontrato? «Le difficoltà reali le ho trovate nel proporsi e nel non essere svalorizzato, oppure nel cercare di trovare qualcosa che portasse la musica nel cuore delle persone e questa è stata la cosa più difficile. Oggigiorno la musica è quasi morta, ho cercato con il mio brano di portare un genere nuovo e sperimentale come la Deep House, di creare una ventata di novità. È un mix di generi dove ho cercato di mescolare al meglio il tutto per ottenere il prodotto migliore». Dal video si evince anche il messaggio che hai voluto lanciare riguardante il nostro mare ed il nostro territorio… «Ho voluto valorizzare il territorio, di solito è descritto sempre in modo negativo. Ho tentato di riprendere sia le parti belle e sia quelle meno, perché credo che osservare le cose da un'altra prospettiva sia la chiave, soprattutto con la musica». Oggi a 24 anni, quale percorso intendi perseguire? «Io ho intrapreso questo percorso per affermarmi come artista, e non come musicista.
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Antonio De Simone Credo che l'artista abbia una fiamma che il musicista invece non possiede: l’artista suona per il bisogno di comunicare e di esprimersi, il musicista suona in maniera meccanica senza sentire nel reale questa necessità. Quindi intendo appunto affermarmi come artista, e proseguire nel campo dello spettacolo». La Deep House è sempre un genere un po’ bistrattato. Tu come ti poni verso questa visione generale? «La Deep House è una costola dello smooth jazz, una sua evoluzione elettronica. Anche il jazz all’epoca era considerato un genere ballabile, ma veniva comunque considerato sia dal punto di vista ludico che da quello di semplice ascolto. Così anche la Deep House, c’è chi la balla e chi l’ascolta, apprezzandola in modi differenti». Un messaggio che senti di inviare ai giovani come te? «Seguite i vostri sogni, non fatevi abbattere dalle delusioni o dalle critiche, anche perché possono essere distruttive inizialmente, ma costruttive dopo attente riflessioni. Cercate la musica pura; io suono, voi ascoltate e spero che vi arrivino emozioni».
etara, piccolo borgo della Costiera Amalfitana, è conosciuta in tutto il mondo grazie alla fabbrica “Nettuno” che da decenni si occupa della famosa e squisita colatura di alici. L’Azienda fu fondata nel 1950 da Raffaele Giordano. In principio l’attività principale era la trasformazione dei prodotti ittici e ortofrutticoli. Attualmente l’azienda è gestita dai figli del fondatore: Vincenzo e Giulio Giordano, che portano avanti con passione la tradizione di famiglia. La produzione del tonno e delle alici è sempre legata al pescato locale, i prodotti sono interamente lavorati a mano per conservare e offrire i veri sapori di Cetara. Giulio Giordano organizza corsi per la lavorazione della colatura di alici, proprio per portare avanti quella tradizione del luogo che lo contraddistingue da tante altre fabbriche di produzione. Il pesce viene pescato nel periodo che va dal 25 marzo, corrispondente alla festa dell’Annunciazione, fino al 22 luglio. Alle sei del mattino è portato in fabbrica, viene messo in un grosso contenitore con del sale per ventiquattro ore per tirar fuori tutta l’acqua dall’alice e poi si dà inizio alla salatura. La Colatura di alici di Cetara, tipico
Giulio Giordano condimento utilizzato nella vigilia di Natale, vuole diventare prodotto a Denominazione di Origine Protetta. Un paesino di 2.000 abitanti con una storia di fatica e di povertà, poi, a metà degli anni novanta, le umili alici e la loro colatura hanno fatto il miracolo: è divenuto il simbolo della cucina moderna, tutte osterie del borgo e i ristoranti hanno iniziato ad utilizzarla sui loro piatti. Spaghetti, vermicelli, risotti e filetti di pesce. Diverse aziende che producono filetti inscatolati utilizzano alici di provenienza albanese o greca, ma nel caso di Nettuno e delle altre aziende cetaresi, il pesce proviene esclusivamente dal golfo di Salerno.
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Castel Volturno • Comune di Castel Volturno - Piazza Annunziata, 1 • Caseificio Ponte a Mare - Via Domitiana, Km 34,070 • Officina Meccanica CO.GI - Via Domitiana, Km 31,00 • Clinica Pineta Grande - Via Domitiana km 30 • Edicola Edicolè - Via degli Oleandri, 59 Località Pinetamare • Farmacia Coppola - Via Nuova, 55 • Caseificio Luise - Via Domitiana, Km 30,500 • Farmacia Ischitella - Via Domitiana, 634 • Gambero Blu - Via Domitiana, 506 • SOGERT - Via S. Rocco,17 • Lad - Via Domitiana km, 32.400 • Bambusa - Viale delle Acacie, 82 • Pizzeria 4 Fratelli - Via Domitiana km, 819 • Fotogram - Viale degli Oleandri • Pezone Petroli - Viale degli Oleandri • Supermercato Quadrano - Viale degli Oleandri, 3
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• Isaia Napoli - Via Roma, 44 - Casalnuovo di Napoli • 'A Tagliatella Pastificio - Via Filippo Turati, 9 - Grumo Nevano • Centro Venus - C.so Umberto I, 439 - Casalnuovo di Napoli
• Edicola Cartolandia - Via Provinciale, 151 - Casaluce
• Ass. Culturale Sant'Isidoro - Via Parrocchia, 46 - Marano di Napoli
• Pizzeria Bellavista - Via Vittorio Emanuele, 20 - Francolise
• Teatro Vittorio Alfieri - Via Tagliamento, 8 - Marano di Napoli
• Edicola Laurenza - Viale della Vittoria, 17 - Marcianise • Laboratorio Fioravante - Corso Umberto I, 157 - San Cipriano d’Aversa
• Cantina - Enoteca IV Miglio - Via Cesare Pavese,19 - Quarto • D'Aniello - Via dei Sei Martiri, 21- Villaricca NA
• Cartolibreria “Da Vinci” - Via Cavone Gallinelle - Villa Literno
• D'Aniello - Via Aniello Palumbo, 55 - Giugliano NA
• Libreria Spartaco - Via Alberto Martucci, 18 - Santa Maria C.V.
• Bistrot 3 Bien - Via Florindo Ferro, 63/65 - Frattamaggiore
NAPOLI
• Pizzeria Sorbillo - Via Tribunali, 32 - Via Parthenope, 1 • Libreria IOCISTO - Via Cimarosa, 20
• Piazzetta Durante - Vico VI Durante, 7 - Frattamaggiore • Edicola Di Munno Lucia - Via Pio XII, 47 - Casoria • Edicola Airone - Via Padre Mario Vergara, 7 - Frattamaggiore • Première Cafè - Via Ripuaria, 320 - Giugliano
• Pasticceria Lisita - Via Domiziana, 270
• PAN Palazzo Arti Napoli - Via dei Mille, 60
• St Justin - Via Appia Antica, 39
• Teatro San Carlo - Via San Carlo, 98
• La Rotonda Del Mare - Crs Campano Antonio, 669 - Giugliano
• Fashion Hair Renato Marotta - Via V. Emanuele 136
• Museo Archeologico Nazionale di Napoli - Piazza Museo, 19
• JAMBO1 - Strada Provinciale - Trentola Parete
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