Spyridon Book N° 1 Brogliaccio di note e appunti dedicato ai distributori di bevande Luglio 2022
Direttore Responsabile Giuseppe Rotolo
Spyridon Book è una pubblicazione semestrale
Prima uscita luglio 2022 Seconda uscita dicembre 2022
Spyridon Book N° 1 Brogliaccio di note e appunti dedicato ai distributori di bevande Luglio 2022
Spyridon Book è una pubblicazione semestrale
Prima uscita luglio 2022 Seconda uscita dicembre 2022
PREAMBOLO a cura di Giuseppe Rotolo, direttore HCI
• Corri Spyridon, corri Pag. 7
• Aggiorniamo le mappe Pag. 9
• Gli ostacoli Pag. 11
a cura di Marco Ranocchia, Founder PlanetOne
• Conosci il tuo cliente e... conquistalo! Pag. 13
a cura di Graziano Guazzi, AD Data Flow Gruppo Zucchetti
• I have a dream Pag. 19
• Logica-mente tecno-logica Pag. 25
a cura di Adele Gorni Silvestrini, Consulente Marketing Food & Wine
• Più che distributori, siate “distrivulgatori” Pag. 33
• Leggi tra le righe del mercato, ne troverai uno nuovo Pag. 39
• A Natale puoi... Ma puoi anche gli altri giorni! Pag. 43
a cura di Eros Lovece, Social Media Manager
• Quanto social sei caro grossista? Pag. 47
a cura di Stefano Pera, Consulente strategico
• Di generazione in RI-generazione Pag. 55
• Generazioni in continuità Pag. 61
a cura di Fabrizio Bellavista, Esperto in Digital & Social Transformation
• Metaverso e Beverage: due mondi connessi? Pag. 67
a cura di Paolo Porcelli, Strategy Consulting & Advisor
• RGM. Revenue Growth Management Pag. 79
a cura di Nicoletta Polliotto, Esperta di Food & Restaurant Marketing
• Strategie di branding per distinguersi Pag. 85 tra 1000 competitor
a cura di Matteo Figura, Foodservice Director The NPD Group Italia
• Horeca work in progress Pag. 89
a cura di Piero Netti, Thinker of Products & Services
• C’è più gusto nell’Horeca ad essere intelligenti! Pag. 95
• Rendersi Indispensabili. Le Esperienze come Pag. 101 strumento competitivo
•
Un eroe per caso Pag. 107
• Il cuore oltre l’ostacolo Pag. 113
• Spyri & Melpo Pag. 119
HHo molte insicurezze e pochissime certezze. Anzi, forse solo una: sono certo che quando il mondo cambia tu non puoi fer marlo. NO.
Non puoi fermare il cambiamento. Se vuoi restare nel GAME devi cambiare con lui, anzi meglio se prima di lui, intuire, anticipare i cambiamenti, correre, ar rivare prima degli altri. Una regola che vale per tutti, anche per chi si occupa di distribuzione di bevande, categoria che negli ultimi trent’anni ha certamente contribuito allo sviluppo del mercato del fuori casa italiano e che ancora costituisce un asse fondamentale.
L’era pandemica che stiamo vivendo, e che non sappiamo ancora esattamente quando finirà, le crisi internazionali, lo sviluppo sempre più accelerato della rivoluzione tecnologica, l’evoluzione dei consumi, impongono una nuova grammatica operativa e rendono la competizione sempre più sfidante, po nendo i grossisti di bevande di fronte a cambiamenti epocali. Per tutti questi motivi abbiamo voluto dedicare a loro questo speciale appuntamento, una sorta di brogliaccio di appunti e riflessioni con il quale raccontare il mercato che cambia, indi viduare nuove opportunità, offrire stimoli, soprattutto idee e possibili soluzioni per operare al meglio. Corri Spyridon, corri...
CCorri, vai e datti da fare! Ok, facile dire corri, ma in che direzione? Prima che un certo signor Covid entrasse nel nostro lavoro c’era una certa idea di percorso, abbastanza datata, ma c’era. Ma ora, in questa era pandemica di alti e bassi, di repentini e bruschi cambi di direzione, ci ritroviamo in mezzo a un bivio.
Il distributore di bevande per avventurarsi senza smarrirsi nel mercato del post-Covid, deve riprogrammare il suo TomTom.
Il mercato del fuori casa condizionato dai nuovi e crescenti bisogni di un consumatore sempre più evoluto continua a cambiare continuamente le sue coordinate di navigazione. E allora, nel cominciare a correre, bisogna allo stesso tempo programmare ed essere sempre pronti a... riprogrammare.
Altra variabile non da poco... bisogna fare in fretta! In questo numero di Spyridon Louis, qualche piccolo suggeri mento (non richiesto) ci permettiamo di darlo.
Tirate fuori il TomTom e cominciate a digitare.
IImpostiamo il nuovo cammino. Prepariamoci al viaggio, con sapevoli che non sarà una passeggiata.
Il mondo della distribuzione Horeca sta cambiando, nuovi attori incombono sulla scena: si chiamano marketplace, si chiamano portali di e-commerce.
Anche le dinamiche della filiera si evolvono. Il classico filotto: Produttore - Distributore - Punto di Consumo smarrisce il suo incedere meccanico per trasformarsi in un ecosistema dove tutto è più variabile, incerto, imprevedibile, dove il modus operandi si declina in nuove e più evolute for me nelle quali gli operatori Horeca, di volta in volta, potranno anche scambiarsi i ruoli, fluttuando e cavalcando i repentini cambiamenti in atto.
Sarà quindi un viaggio mai compiuto, in una dimensione nuo va e, allo stesso tempo, affascinante. In questo spazio ancora inesplorato e da conquistare vi è solo una certezza. Non mancheranno gli ostacoli. No, quelli non devono mancare mai. Perché un fatto è certo, un percorso senza ostacoli non porta da nessuna parte! E se gli ostacoli sono insormontabili? Niente paura: Spyridon potrà essere sempre aiutato da Melpomene.
N“Nulla sarà come prima” è il mantra che si sentiva recitare nei mesi più caldi della crisi pandemica.
Sarà così? È fuori discussione che la crisi da Covid-19 ha in dotto una serie di cambiamenti sul mercato dei consumi fuori casa, ma va anche chiarito che alcuni fattori, specie a ri guardo delle abitudini e attitudini dei consumatori, erano già in nuce prima della crisi che, in questo caso, ha rappresentato un potente acceleratore.
Sta di fatto comunque che in era Covid - perché convincia moci il virus, anche se con picchi meno virulenti, di variante in variante, ci accompagnerà ancora per qualche anno - gestori di locali e distributori sono chiamati a soddisfare i bisogni di un consumatore che non ha più voglia di rinunciare a fattori come salute e sostenibilità, quindi parliamo di un consumatore sem pre più attento, che si approccia ai consumi fuoricasa con una mutata consapevolezza, compie scelte sempre più autonome e presta la massima attenzione alla qualità del prodotto, alla provenienza e agli ingredienti che creano benessere.
Un consumatore che vive gli spazi nei locali con un atteggiamento più scrupoloso, senza per questo rinunciare ad esperienze di consumo distintive e gratificanti.
Ebbene, se esaminiamo da vicino questo nuovo consumatore, possiamo ben dire che certamente è diverso da prima, è per certi versi un consumatore nuovo, inserito in un nuovo sce nario che la pandemia ha modificato attraverso l’imposizione di regole che prima non c’erano. Un consumatore più evoluto intorno al quale - e qui non è cambiato nulla - devono agire gli attori della filiera Horeca, nell’ordine: gestori di punti di consu mo, distributori, produttori.
Ma se dovessimo applicare il concetto di “Nulla sarà come prima” ai locali, cosa verrebbe fuori? Anzitutto, annotiamo che quelle attività che già erano in difficol tà e per certi versi sopravviveva no hanno chiuso. Quelle attività che invece erano in una sorta di galleggiamento restano ancora oggi in grave difficoltà con sem pre meno chance, alla lunga, di superare la crisi finanziaria che la crisi Covid ha scatenato. Poi, meno male, ci sono anche at tività che erano ben strutturate che avevano il controllo ma nageriale che hanno certamente sofferto, ma hanno superato la crisi e di conseguenza - mors tua, vita mea - si prenderanno il mercato. È esattamente questo il target group a cui deve puntare il distributore di bevande. Un target che presenta an cora una serie di criticità di cui il nostro distributore di bevande deve tener ben in conto se vuole operare con profitto.
Se non conosci, se non ascolti con attenzione e non comprendi le esigenze dei tuoi clienti...
Se non conosci, se non ascolti con attenzione e non comprendi le esigenze dei tuoi clienti non potrai mai e poi mai soddisfarli al meglio, ovvero, detto in altri termini...
PlanetOne ha svolto un’interessante indagine circa le proble matiche più sentite e che creano preoccupazione e difficoltà ai Gestori di Bar serali e diurni, Ristoranti - F&B Manager - Bar Manager - Chef.
La prima criticità riguarda i col laboratori e i dipendenti (vedi ta bella): il 73% annota un proble ma sulle risorse umane, difficoltà nella reperibilità di personale va lido e che possa essere motiva to e affidabile. Il 61,3% degli in tervistati invece, paradosso dei paradossi, non sa se guadagna o ci rimette nella gestione, non riesce ad impattare costi troppi alti, non vede i costi nascosti, a volte non sa neanche che esistono.
I gestori lamentano la mancanza di tempo libero. Una vita chiusi nei loro locali, ne consegue stress, stanchezza...
Ma eccome se esistono, valgono mediamente 15% del budget di spesa. Tutto ciò si traduce ovviamente in profitti al ribasso se non mancanti.
Il 58,5% dei gestori fa fatica ad analizzare con precisione il food & drink cost, poi manca di capacità nel rinnovo delle pro poste, ancora meno nelle innovazioni e nella capacità di pro
Ma quali sono le criticità, le esigenze che hanno i gestori dei locali?
porre idee diverse. Il 54,9% vorrebbe vendere di più (è il sogno di tutti) ma ha prodotti fermi e proposte ancora più ferme. Il 30% ha difficoltà nella comunicazione della propria attività e nella gestione dei social, strumenti sempre più necessari, di remmo indispensabili per fare la differenza sul mercato.
In ultimo, ma non meno importate, i gestori lamentano la man canza di tempo libero. Una vita chiusi nei loro locali, ne conse gue stress, stanchezza, mancanza di lucidità e via discorrendo. Un bel problema.
Quindi, come utilizzare queste informazioni per conquistare gestori?
Più che vendere solo prodotti (una pratica necessaria, ma non indispensabile, i prodotti sono ovunque) di fronte a questo scenario il distributore Horeca ha l’opportunità di avere un ruolo nuovo e nuove relazioni, supportando i gestori aiutan doli a fare impresa con profitti soddisfacenti, a distinguersi nel mercato con proposte di qualità che creano experience, a ge stire le attività con criteri e mezzi adeguati per ridurre lo stress e migliorare la qualità della vita, e infine per rispondere alle nuove esigenze dei consumatori.
Se tu porti valore, tu vali, se invece porti 4 casse di birra con uno sconto di 2 euro a cassa, vali a fare due conti 8 euro. In somma, essere meno commercianti e più mecenati. Dovrà essere questa la mission principale per il distributore del futuro, ed è questa la mission di Re Evolution il nuovo percorso formativo messo a punto da PlanetOne per accompagnare il
Risorse Umane 261 73,1%
Reperibilità, gestione, costi, produttività, motivazione, affidabilità.
Gestione Economica 219 61,3%
Menù 209 58,5%
Vendita 196 54,9%
Qualità della vita 106 29,7%
Non sanno mai se guadagnano o rimettono, costi troppo alti, costi nascosti, mancanza di profitti.
Vendere di più, troppi prodotti fermi.
Mancanza di tempo libero, stress.
Tasse 101 28,3% Troppe tasse e imposte.
Attirare clienti/Mktg 76 21,3%
Altro 43 12,0%
Comunicazione di pros simità, difficoltà a gestire i social.
Vari temi legati a specificità personali e dei locali.
(indagine condotta su contatti PlanetOne di Corsi professionali/Webinar/Masterclass nel 2021/22)
SSono convito che i sogni, ovvero quei desideri reconditi, sono la spinta propulsiva che guida la nostra vita, alimenta le nostre passioni e le nostre ambizioni, i sogni sono i potenti incubatori del tutto e vanno serbati come valori preziosi.
Sì lo ammetto, ho un sogno, l’ho sempre avuto sin da quando, più o meno quarant’anni anni fa, decisi che avrei dedicato la mia passione per l’informatica al settore della distribuzione di bevande. Il gestionale Bollicine con tutte le successive evolu zioni, applicazioni che negli anni si sono evolute, nasce da quel mio giovanile e forse incosciente “I Have The Dream”.
Poi, come un fumatore incallito, non ho mai smesso di sognare, ammetto anche questo. Del resto sono convito, come diceva Carl Sandburg: “Niente accade se non è preceduto da un sogno”.
E allora quel sogno continua, dedicare la mia passione per l’in formatica, ma ora anche per la tecnologia più spinta ed evo luta, al mondo della distribuzione delle bevande e dell’Horeca in generale.
Qual è questo desiderio?
Il sogno, o se volete, l’utopia?
Il paradigma non cambia. Fin sa subito, siamo negli anni 80, ho capito che per produrre un buon software di settore occorre appassionarsi e sposarlo. In altre parole, specializzarsi. La ragione è che la produzione di software costa e non hai mai finito. Occorrono quindi fattori di scala che singole commesse non possono permettersi. Soprattutto nel mercato della PMI.
Da quando si sono rese disponibili le infrastrutture, le tecnolo gie e la normativa fiscale e legale che regolamenta la demate rializzazione e conservazione dei documenti, il piano industria le su cui sto lavorando è la dematerializzazione dei processi interni (eliminazione della carta) e l’implementazione dei con nettori che permette di “dialogare” con i diversi software usati dalla filiera a partire dall’industria. In parole semplici, l’obietti vo è implementare in Bollicine i protocolli di comunicazione che permettono lo scambio elettronico di dati M2M (in gergo da macchina a macchina).
Mission impossibile?
La digitalizzazione della filiera presuppone la standardizzazio ne dei modelli, dei linguaggi e la dematerializzazione dei pro cessi aziendali. Ad esempio il ciclo passivo: invio dell’ordine, ricezione della conferma e della entrata merce. Attualmente, nella distribuzione, tutto questo è gestito con PDF ed email. In altre parole, le “macchine” non si parlano, intendendo che non c’è nessuno scambio di flussi elettronici di dati.
Questo paradigma è implicitamente dichiarato nel nome del prodotto: Bollicine Community.
Direi anche no. La tecnologia ci dice di sì.
E-mail e PDF sono documenti che devono essere trascritti dal destinatario. Per fortuna non è necessario partire da zero. Nella Grande Distribuzione queste tecnologie sono in uso da molto tempo. Anzi, per dirla chiaramente, sono il presupposto per il rapporto di partnership.
Infatti, come prima cosa, per piazzare i propri prodotti sugli scaffali, l’industria deve asse gnare un barcode e produrre e garantire l’aggiornamento con tinuo delle schede prodotto for nendo tutte le informazioni di cui la filiera ha bisogno. Con tutte le informazioni intendo proprio tutte: codici, descrizioni, dati di etichetta, allergeni, volumi, pesi, bancalizzazioni, immagini, ecc.
La seconda condizione, riguarda ad esempio il processo di ac quisto: deve avvenire con lo scambio elettronico dei dati: in gergo EDI (acronimo di Electronic Data Interchange). Nelle transazio ni EDI, le informazioni si spostano direttamente da un’applica zione del computer in un’organizzazione ad un’applicazione del computer in un’altra (M2M). In tal modo, oltre a ridurre tempi, latenze ed errori, si migliora la tracciabilità e la reportistica. Si consideri anche che tali processi possono lavorare 24 ore, 7 giorni su 7. Forse non tutti conoscono GS1 (ex INDICOD). È un consorzio (quelli che hanno inventato il codice a barre) inter nazionale la cui mission è governare questi standard. Uno dei suoi compiti è garantire l’univocità dei codici e alimentare il data base che contiene le schede tecniche e commerciali di ogni re ferenza. Allo scopo, tutto ciò che troviamo sugli scaffali qualun que sia la merceologia è passato dai loro uffici.
Per piazzare i propri prodotti sugli scaffali, l’industria deve assegnare un barcode...
Se il modello funziona per la Grande Distribuzione, perché non dovrebbe funzionare nella Distribuzione?
Per rispondere a questa domanda, con Progettica (primaria società di consulenza) abbiamo aperto un tavolo di lavoro in GS1, con l’obiettivo di individuare e risolvere eventuali criticità e lacune. Ad esempio, il fatto che i prodotti che non passa no dagli scaffali di norma non hanno un barcode e non sono schedati. Una ulteriore difficoltà è la numerica dei Grossisti e l’eterogeneità dei gestionali utilizzati. Evidentemente la diffusione di questo modello è ostacolata dal loro numero.
Il nostro impegno è quello di rimanere leader di mercato impegnandoci a continui miglioramenti.
È interesse di tutta la filiera poter contare su una soluzione la cui qualità è riconosciuta dal mercato. Come ad esempio av viene per SAP nel settore industria. Questo diversi Consorzi lo hanno capito e da tempo si sono mossi, anche con contributi economici, per ridurre il numero degli ERP usati dagli Associati, suggerendo Bollicine Community anche per le realtà più piccole.
JFROG è l’APP di Bollicine Community ad uso dei clienti per la trasmissione di ordini ricorrenti. Facile da usare, è una spe cie di WhatsApp che viene automaticamente interpretato da BCGO (L’App che usano gli agenti per inviare gli ordini alla sede). A testimonianza che i cambiamenti sono prima di tutto
This is my dream.
culturali, c’è la mancata diffusione (nella community lo utilizzano solo poche decine di Aziende).
In questo caso, la principale ragione è la resistenza degli agenti. Hanno pau ra di perdere un ruolo. Evidentemente a torto. La ragione è che i WhatsApp co munque arrivano (al momento dell’or dine, l’agente non è in presenza), ma devono poi essere digitalizzati. Lavoro evi dentemente inutile.
Perché usare questo canale, quando basterebbe aprire BCGO per trovarsi l’ordine trasmesso dal cliente già pronto, verificarlo, correggerlo e spedirlo alla sede?
In conclusione, la trasformazione di gitale, percorso obbligato, è un com pito prima di tutto imprenditoriale e manageriale. Se manca la loro volontà, sarà un percorso subito e quindi poco frut tuoso.
FFare l’ordine, ricevere la merce, scaricare e mettere a magaz zino, poi fare picking e consegnare al punto di consumo, re cuperare i vuoti, controllare le scorte, e poi ancora ordinare, riordinare e... via discorrendo: il flusso di operazioni che deter minano la “logistica” in un’azienda di distribuzione di bevande è una voce di costo importante nel conto economico aziendale, dove fatto 100 il costo della logistica, un 30% lo assorbono i costi di magazzino e un 70% la distribuzione.
UNA VOCE DI SPESA CHE DURANTE LA PANDEMIA È NOTEVOLMENTE AUMENTATA CONSIDERANDO LA FRAMMENTAZIONE ORDINI CLIENTI COSTRETTI A CONTITNUI STOP&GO, DEI VINCOLI CRESCENTI PER LE CONSEGNE - VEDI ORARI E ZTL - A CUI SI È AGGIUNTO IL PROBLEMA DELLA CARENZA DI AUTISTI E I MAGGIORI COSTI DEI MEZZI E DEI COSTI DI CARBURANTE.
Nulla sarà come prima è stato più volte ribadito durante i mesi più “duri” della pandemia, un’affermazione che vale certa mente e ancor più per la logistica della distribuzione beverage. Non si torna indietro. Di fronte a questo scenario appare evi dente che la logistica della distribuzione Horeca, con i suoi mi lioni di viaggi e consegne, si trova di fronte a nuove sfide ed è obbligata a scrivere una nuova grammatica operativa dove il
diktat è: la ricerca dell’efficienza attraverso la digitalizzazione dei processi.
Non è più il tempo di gestire le merci con attività visive: “Sono andato a dare un’occhiata in magazzino, di birra da 33 cl., an cora ce n’è…”. Non ha logica ge stire le codifiche e le anagrafiche di base dei prodotti in modalità non meccanizzata, con conse quenziale incremento dei costi diretti (manodopera di attivazio ne e mantenimento) e indiretti.
Non ha più senso gestire in au tonomia le informazioni ritenute necessarie per la gestione di un processo commerciale, logistico o di certificazione.
Senza contare che in questa sor ta di Babele aumentano le attività ridondanti, gli errori e i di sallineamenti
gli stock di prodotto sono gestiti in modo
e gli spazi nei magazzini non sono ottimizzati.
vorticosi? E soprattutto come ottimizzare il costo della logistica sul conto economico?
La risposta è nell’uso di una tec nologia già disponibile e da tem po in uso nel canale moderno che fa capo a GS1 Italy (Ex Indi cod) quelli dei codici a barre per intenderci.
L’applicazione del codice a bar re univoco per ogni prodotto sul mercato, fa cadere la torre di Babele, è diventa quel linguag gio comune che oggi manca lun go la filiera Horeca e che è il pre supposto indispensabile per una nuova organizzazione logistica più EFFICENTE, perché velocizza i processi, RIGOROSA, per ché annulla di fatto gli errori e RISPARMIOSA perché davvero quando si parla la stessa lingua si risparmiamo tempo e quindi un pacco di soldi. Quanti?
131 milioni di euro. Lo certifica uno studio realizzato da Pro gettica. I 131 milioni saltano fuori dalle analisi compiute su 25 aziende di distribuzione (11 nel food e 14 nel settore bevande) parametrizzati sul numero complessivo delle aziende di distri buzione operanti in Italia che sono 3900 Food&Beverage e che generano, nel loro insieme, un fatturato di 17,2 miliardi di euro (fonte: Database Progettica, 2019). Vediamo nel dettaglio come è ripartita questa cifra. La parte più consistente è legata all’attività di Pick dei prodotti (46 mi lioni); seguono ricezione merce (24 milioni), ordini ai fornitori (20 milioni), chiusura degli ordini e carico a sistema (quasi 18
Le economie vanno a beneficio di tutti i distributori, ovviamente in proporzione alla loro dimensione e al loro fatturato. Piccoli e grandi, nessuno escluso.
milioni), anagrafica e codifica articoli (quasi 15 milioni) e rettifiche e riconciliazioni inventariali (quasi 8 milioni di euro).
Le economie vanno a beneficio di tutti i distributori, ovviamen te in proporzione alla loro dimensione e al loro fatturato. Pic coli e grandi, nessuno escluso. Se volessimo avere un’idea in percentuale?
Lo studio ha cavato fuori anche questo dato: le best pratict attraverso gli standard di GS1 portano a risparmi nei costi di magazzino del 3,1% nel beverage e del 3,8% nel food. E non finisce qui: l’uso virtuoso dei barcode GS1 si riverbera anche in amministrazione dove i benefici sui costi amministrativi sono del 4,3% beverage e del 4,5% food. Badate bene, il vantaggio non è solo economico, si avrebbero meno errori nella gestione della merce, nel richiamo di prodot
to, dei resi e dei vuoti, oltre che a un’intercettazione preventiva dei saldi precisi per partita a riduzione dello smaltimento merce per scadenza e flussi di riordino ottimizzati. E poi, cosa non trascurabile, la maggiore precisione conte stualmente alla velocizzazione delle operazioni consentireb be di liberare tempo e risorse e innescare di fatto un circolo virtuoso che conduce a una maggiore professionalizzazione di tutta la filiera. In altri termini per tornare al punto dal quale siamo partiti: la ricerca dell’efficienza attraverso la digitalizza zione dei processi.
PERCHÉ ALLORA NON AVVIARE SUBITO, GIÀ DA DOMANI MATTINA QUESTO PROCESSO VERSO L’EFFICIENZA? QUAL È L’OSTACOLO CHE IMPEDISCE DI ADOPERARE DA SUBITO LA TECNOLOGIA DEI BARCODE? CHI IMPEDISCE QUESTA EVOLUZIONE VIRTUOSA?
Nessuno, certamente non l’industria che del resto già opera da anni con i barcode per i prodotti che veicola nel canale mo derno; non dipende dai punti di consumo che dovrebbero solo “subire” questo modus operandi, dove nel subire avrebbero comunque grandi vantaggi come la precisa conoscenza dei loro flussi di vendita al consumatore finale. Lo impedisce allora la distribuzione? No, di fatto non lo impe disce, solo che al momento è incapace di coagulare la volontà di 3900 aziende (La torre di Babele è dura a crollare) per accelerare questo processo che è, nei fatti, un processo di coo perazione che non ha alcun senso rimandare. Un processo inevitabile, di quelli Win Win, più tardi si avvia e più tardi quei 131 milioni di euro che oggi sono nella colonna costi, passeranno alla colonna utili. Vogliamo aspettare ancora?
non si sente mai
A SUO AGIO, se non ha
davanti a sé.
NNei momenti storici complessi ed incerti come quello che stia mo vivendo, l’improvvisazione trova uno spazio sempre più risicato e diventa ancor più determinante in ogni azienda il valore della professionalità, intesa come formazione conti nua e cura del cliente, che a sua volta si fa sempre più esigen te ed informato. Me ne accorgo confrontandomi con i colleghi sommelier che frequento: ogni giorno vengono proposti nuovi corsi di avvicinamento al vino, nascono nuove associazioni con al centro la promozione della viticultura locale... nemmeno la pandemia ha frenato la crescita di gruppi di sommelier e degustatori.
Anche in pieno lockdown AIS, FISAR e ONAV hanno subito fatto proprio ogni supporto digitale utile, in viando a casa di ciascun iscritto prima della lezione settimanale i campioni di vino selezionati per l’argomento o la zona da trat tare. Immaginate poi con qua le entusiasmo, una volta tornati
finalmente in enoteca o al ristorante, questi corsisti abbiano coinvolto la propria famiglia o il proprio gruppo di amici. Immaginateli mentre spiegano che serve una bollicina per “sgrassa re” la bocca, mentre argomentano che “sì, con il pesce cucinato in quel modo sta bene anche un vino rosso” o mentre si lascia no prendere dallo sconforto quando qualcuno al tavolo ordina un contorno di carciofi, che rendono praticamente impossibile ogni abbinamento.
Dobbiamo riconoscerlo, ben poche cose uniscono le persone e stimolano le conversazioni come un buon piatto abbinato al giusto calice di vino. Questo i ristoratori lo sanno da sempre, ma solo da pochi anni si sentono davvero motivati a rivedere in toto le proprie carte dei vini. Naturalmente, con una giusta e comprensibile prudenza: abbiamo ahimè visto troppi risto ranti, anche molto prestigiosi, chiudere e svendere così dei veri e propri caveaux di bottiglie preziosissime.
Perché è sì vero che sul vino il ristoratore può stabilire un buon margine nella vendita al pubblico, ma è altrettanto vero che questo rimane una “scommessa” finché non viene stappato, ed investire in grandi stock di bottiglie con le condizioni sociali e sanitarie attuali non è una scelta sostenibile per tutti.
Ecco, dunque, che l’ascolto ed il supporto strategico di un distributore di fiducia possono fare la differenza. Un assortimento variegato di bottiglie, modulabile nella quantità, concede al ristoratore più respiro ed una concentrazione maggiore su ciò che conta davvero per la soddisfazione dei suoi clienti, ovvero la qualità. Della maggiore e più diffusa conoscenza del vino citata sopra si ha un riscontro evidente anche nelle macro tendenze delle vendite.
Proprio mentre ero a GulFood Dubai lo scorso febbraio con una missione di Confindustria Lombardia, diversi colleghi sales&marketing del vino erano a VinExpo di Parigi, e tutti mi hanno confermato la stessa impressione ricevuta dai buyer: il pubblico si sta progressivamente, ma sempre più velocemente, polariz zando in due approcci opposti durante l’acquisto del vino. Estre mizzando brutalmente, sceglie un vino in Tetra Pak (disponibile da alcuni anni anche in vetro) oppure sceglie un vino che gli regali un’esperienza. Non sorprende quindi come alcune cate ne della grande distribuzione e hard discount stiano dotando i loro punti vendita di vetrine con vini e spumanti selezionati, per distinguerli dalle proposte più “mass market” che mantengono sugli scaffali.
Questi sono segnali importanti che gli operatori del largo con sumo trasmettono ai professionisti dell’horeca, dunque, anche ai distributori beverage che, come anticipato nel titolo, vince ranno se affiancheranno alla propria consueta attività di di stribuzione anche costanti e convinte azioni di divulgazione. In che modo? Anticipando la ricerca di qualità e di novità dei propri clienti.
Se è vero che un Prosecco al momento dell’aperitivo non può mai mancare, è anche vero che si potrebbe usare più fantasia nel non proporre sempre i soliti nomi.
Se un ristorante propone cucina tipica locale, i produttori del territorio dovrebbero superare abbondantemente la metà delle etichette proposte nella carta dei vini, ma spesso così non avviene perché il ristoratore si sente confortato dal fatto che “i clienti bevono sempre quello” e non fa lo sforzo di andare a conoscere una per una le cantine locali.
Peccato, perché scoprirebbe realtà produttive af fascinanti e forse (ri)scoprirebbe i propri clienti più curiosi e corag giosi di quel che pensava. Per far uscire i clienti ristoratori dalla propria zona di comfort in ma niera graduale e coinvolgente, portandoli a scoprire nuovi territori e nuovi prodotti senza imporre loro prove d’acquisto a freddo, il mio consiglio è quello di divulgare la cultura del vino con chi il vino lo produce. Proporre dunque eventi di degustazione, in sede, in una cantina partner oppure - meglio ancora - in un luogo simbolo del territorio (i portici del centro, la sala di un palazzo...).
In questo modo, si potranno coinvolgere anche più produttori e creare un coinvolgimento divertente e memorabile di tutta la comunità locale, oltre che dei propri clienti. L’azienda di distribuzione verrà ricordata in questo modo non solo come un partner organizzativo dell’evento, ma come un vero e proprio generatore di relazioni.
E le relazioni sincere, come si sa, danno linfa e passione al business rendendolo sempre più florido.
TTutti, a parole, danno importanza ai più giovani perché saran no i compratori di domani. Ma pochi - almeno nel mercato del la distribuzione beverage nazionale - li trattano davvero come pubblico senziente, e quasi nessuno si preoccupa di capire davvero che cosa a loro interessa nelle decisioni d’acquisto.
Questo perché, tecnicamente, non compaiono nel bacino d’u tenza di una zona geografica: non sono locali con un’insegna, tavoli, ed altre attrezzature, non sono partite IVA a cui emet tere fattura.
Gli istituti alberghieri coltivano il pubblico che ancora non sai di avere, e si tratta di un pubblico attento alle nuove tendenze, tecnicamente preparato ed attivissimo sui social. Inoltre, è decisamente più curioso e aperto alla sperimenta zione della tua clientela consolidata. Certamente, non ha le capacità finanziarie e di stoccaggio
Caro distributore approfitta di questo torpore generale per far breccia nel cuore dei tuoi prossimi clienti!
della tua clientela consolidata... e qui viene la parte per te più sfidante: consegne capillari di piccole dimensioni a privati, in “stile Amazon”, saranno essenziali per veicolare la tua propo sta di valore al tuo giovane pubblico. Pubblico che è già tuo, ma ancora non lo sa, e che quindi ti devi preparare a coinvolgere attraverso profili social accattivanti e tempi di risposta rapidi, come spiegato nel primo numero di Spyridon Louis dal social media manager Eros Lovece. Per convincerti a dare più importanza ai professionisti in erba, voglio raccontarti un caso aziendale secondo me molto signi ficativo.
LA CATENA INTERNAZIONALE DI HOTEL DI LUSSO BELMOND HA SCELTO DI POSIZIONARE NEI MENU DELLE STRUTTURE DEL NOSTRO PAESE LE CREAZIONI DI GIOVANI E PROMETTENTI CHEF.
Una scelta dirompente, perché i grandi marchi internazio nali dell’ospitalità, abituati a lavorare finora nel nostro Paese con una clientela stra niera d’élite, hanno quasi sempre proposto una cucina italiana fatta di tradizione, limitandosi a ricalcare l’immaginario che gli stranieri si aspettano di trovare qui, una cucina espressione della storia gastronomica del territorio, più legata al sapere delle nonne che all’alta ristorazione.
La decisione di un gruppo come Belmond d’ingaggiare giovani
interpreti della cucina creativa ci suggerisce che forse è arrivato il momento di fare il salto.
Pizza, ragù alla bolognese e trofie al pesto rimarranno naturalmente imprescindibili, ma dobbiamo far percepire che l’Italia è anche innovazione e ricerca agli stranieri che viaggiano e sono opinion leader nei loro Paesi.
Perché se questi clienti d’élite capiranno che c’è una nuova mo dalità di intendere la cucina italiana, che ci si può approcciare al territorio con grande dinamismo e sapori più evoluti, allo ra il passaparola si attiverà efficacemente e l’evoluzione della cucina italiana potrà passare al livello successivo, portando anche gli altri viaggiatori a cercare alternative, e non solo la tradizione sul nostro territorio. Rendere l’Italia una meta eno gastronomica più prestigiosa a livello globale aiuterà tutto il comparto turistico e contribuirà allo sviluppo della ristorazione e di tutto il settore Horeca, a cui la distribuzione beverage con tribuisce in maniera strategica.
Attiva profili social e strumenti di messaggistica efficaci, trova il modo di coinvolgere le scuole alberghiere della tua zona, magari facendoti ospitare insieme ad un mixologist per lezio ni fuori programma, ed elabora “kit di degustazione/speri mentazione” con la miglior selezione spirits del tuo listino da far provare agli studenti. Come ogni investimento, richiederà pazienza e tenacia, ma sono certa del ritorno d’immagine che genererà e della fidelizzazione che farà scaturire nei barten der, nei ristoratori e negli albergatori di domani.
Einstein)
II colleghi che con me hanno finora condiviso spazi in questo interessante progetto editoriale hanno concentrato molti dei loro interventi sulle innovazioni web e digital che stanno facen do evolvere il mondo horeca: metaverso, NFT, realtà virtuale, realtà aumentata, social network in ascesa e social network in declino...
In questo mare digitale, in questo web che ci vede tutti navi gare - chi con maggior destrezza e chi con qualche difficoltà - alla ricerca del miglior posizionamento SEO o dei lead più qualificati, che ci diano quella tanto anelata svolta alle vendi te, ho preferito fermarmi su un’isola analogica e ho iniziato a riflettere sulla composizione di uno dei pianeti più tradiziona li nel macrocosmo del marketing, quello popolato essenzial mente dai PACCHI OMAGGIO, quell’onere ingombrante ed un po’ fastidioso a cui le aziende cominciano a pensare a settem bre, per liberarsene auspicabilmente entro la fine di febbraio dell’anno successivo (“Quando rivedremo quel cliente? Non gli abbiamo ancora dato l’agenda/il panettone/il calendario!”).
Questo pezzo vuole essere semplicemente un invito a rappa cificarci con l’omaggistica, uno stimolo a viverla come ingre diente utile - e fantasioso - delle proprie ricette promozionali in ogni momento dell’anno, e non più come l’ennesima voce da
spuntare tra i regali di Natale comandati, per “non fare brutta figura”. Partiamo, non per vezzo nozionistico, ma per far sì che ogni distributore parta da quanto di buono ha già a portata di mano, dal concetto di merchandising.
Il merchandising, almeno nella sua accezione riferita alla promozione delle vendite all’interno dei negozi, si riferisce a tutte quelle azioni messe in campo nel punto vendita per valorizzarne gli spazi, così da rendere l’esperienza di acquisto più facile, piacevole e, dunque, auspicabilmente proficua.
Ecco dunque attivarsi una serie di tecniche di comunicazione visiva e sensoriale per conferire un ruolo attivo ai prodotti presenti nel punto vendita, coinvolgendo l’architettura com merciale, l’insegna, la vetrina, l’ingresso, il design degli am bienti, la segnaletica, la cartellonistica, nonché tutto il mate riale pubblicitario ed espositivo realizzato per ogni specifico prodotto.
Su questo la grande distribuzione investe molto, perché sa di poter contare su un’audience complessiva nel giorno medio di 14,5 milioni di persone (praticamente lo share televisivo di una finale di Sanremo o di un importante match internazionale di calcio), con una durata media della visita di 25 minuti per i su permercati e di 40 minuti per gli ipermercati. Ora, certamente i bar, hotel e ristoranti da voi serviti non pos sono contare su questo traffico di avventori quotidiano, ma la permanenza di questi può essere anche molto più lunga, e decisamente più attenta. Sfruttate quindi ogni occasione per mostrarvi disponibili e pro
attivi con il gestore del locale, con domande come: «Ti potrebbe essere utile un espositore fatto in questo modo? Se non ce lo manda il fornitore, mi organizzo per preparartelo io!». «Come sta girando quel prodotto? Se ai tuoi clienti piace quel la marca, ritieni che potremmo fare qualcosa per renderla ancora più visibile? Posso chiedere al fornitore se ci manda vestiario coordinato per i tuoi ragazzi, non potrà ignorare i nu meri che state facendo!».
A proposito di vestiario e gadget coordinati... anche tu, caro distributore, potresti pensare a crearti uno stock di omaggistica a tuo nome. Parlando di bevande, posso assicurarti che cavatappi e stopper sono oggetti intramontabili. Nelle degustazioni in cui faccio servizio sommelier il pubblico me li chiede puntualmente... figuriamoci come li cerca chi li usa ogni giorno per lavoro! A prescindere da quelli che decideran no di omaggiare i fornitori, procurati i tuoi. Assicurati che siano di buona qualità e portali di persona ai tuoi clienti.
Sono d’accordo con te... è un lavoro che richiede tempo.
SSocial media: sono oltre 3,48 miliardi gli utenti nel mondo, un numero in continua crescita. Bar di successo, ristoranti sempre pieni, pizzerie di grido: che bello avere clienti altovendenti, di quelli che lavorano bene e... pagano meglio.
Ma ti sei mai chiesto come aiutare i tuoi clienti ad ampliare il loro mercato (che è poi il tuo mercato) a fare più clientela e a vendere di più?
Oggi c’è un’arma in più, sempre più sofisticata e allo stesso tempo potente e incisiva, i social media. I clienti dei tuoi clienti sono tutti lì dentro. Tutti. E allora se i tuoi clienti ristoratori e baristi stanno cercando un modo per raggiungere un pubblico più ampio, sapere come utilizzare questi mezzi è essenziale per far crescere il loro business.
E allora, cominciamo con il dire che per un ristorante con bu dget limitato è importante comprendere il ritorno sull’investi mento con i social media e soprattutto evitare piccoli errori
che potrebbero limitare la copertura sul web. Persone, non followers. Uno dei trend più efficaci, in cui i social media possono aumentare le entrate, è attraverso la messaggistica di retta. Oggi i clienti possono contattare i ristoranti in maniera molto veloce. Inserire più opzioni aggiuntive per la comunica zione, significa allargare il pubblico. Altrettanto importante è rispondere ai messaggi in tempi brevi. La mancata risposta tempestiva a un cliente tramite i canali social può portare a un aumento del 15% del tasso di abbandono.
Ricorda ai tuoi clienti che dietro uno schermo, non ci sono followers ma persone, quelli che lui vuole si seggano nel suo ristorante, magari con alti tassi di frequentazione.
Se non si ha l’opportunità di farlo in maniera celere, si consiglia di impostare dei messaggi automatici che invitano l’utente a contattare il locale nella maniera che preferiscono.
I clienti (tutti noi siamo in fondo clienti) puntano all’immedia tezza, quindi più velocemente si risponde, più saranno soddi sfatti, il che porta a una maggiore fedeltà.
Oggi sia Messenger e Whatsapp (Business), che sono le app di messaggistica più utilizzate in Europa, permettono queste opzioni.
Il cliente riceve subi to un messaggio di benvenuto e non si sentirà ignorato.
Un’altra tattica molto utilizzata per aumentare le vendite tramite i social media è sfruttare le “Calls To Action” (CTA). Uti lizzando un’immagine visivamente accattivante e un pulsan te che consente di inviare messaggi sulla pagina aziendale, è possibile informare il cliente delle promozioni e incoraggiare le conversazioni con il team.
Inoltre, le CTA consentono di raggiungere potenziali clienti che non seguono la pagina del locale o che sono al di fuori della sua zona, offrendo un’ulteriore copertura e maggiori oppor tunità di portare clienti nel tuo ristorante. Coerenza sempre!
Stile e tecnica di comunicazione.
Nell’uso del colori è opportuno rimanere sempre coerente con i colori del brand aziendale e nei testi cercare di utilizzare uno stile informale. Gli utenti sono sui social per svago, quindi per catturarli nella rete, bisogna essere “aperti”, leggeri e traspa renti in tutte le comunicazioni.
Non potremmo dirlo in modo più chiaro. Le persone (i clien ti, frequentatori di bar e ristoranti) amano conoscere la sto ria dietro il locale che hanno scelto. Vogliono sapere e sentirsi parte del progetto.
Vanno dunque coinvolti, incuriositi, stimolati, ma va sempre comunicato il “valore” che esprime quel ristorante o bar. La qualità delle foto e dei contenuti conta, ma non è fondamentale. Nel 2019 su Instagram i contenuti brutti hanno superato quelli più belli esteticamente, dando sempre più risalto al va lore di quello che si vuole comunicare.
Uno dei trucchi e non cercare di vendere qualcosa, bensì sfruttare le pagine social per creare un racconto e mostrare le qualità del lavoro e dell’offerta.
Se quel pub tuo cliente ha una particolare selezione di birre (che tu gli fornisci) deve assolutamente evidenziare questo plus.
Le piattaforme di social media stanno diventando la nuova forma di comunicazione mainstream che le aziende devono sfruttare per comunicare efficacemente con i clienti.
Il tuo cliente ristoratore nella sua comunicazione social deve
sempre considerare che si rivolge a grandi gruppi demografici come i Millennials, che sono esperti di social media. Infatti, nel 2016, 5 Millennials su 6 si sono collegati con le aziende sui so cial network. Tutto questo sappiamo bene richiedono tempo e competenze.
Molti si rivolgono ad agenzie o esperti di comunicazione, ma se non si hanno le risorse necessarie per intraprendere queste collaborazioni, basta seguire poche accortezze per iniziare ad avere dei risultati.
Eccone alcune che potrai suggerire ai tuoi clienti ristoratori:
• Inserire tutte le informazioni dettagliate di geolocalizzazione e di contatto. Sembrerà banale, ma Instagram è pie no di attività che nella descrizione vi è inserita solo la via, senza menzionare il Paese (o viceversa). Non basta aver linkato Google Maps, l’utente vuole sapere subito la località senza dover perdere tempo nell’aprire la mappa e capire dove ci troviamo.
• Più testo, meno hashtag. Mettere 30 hashtag su una foto di una pizza non serve a molto se non inserisci anche il nome della pizza. Quando il cliente capita sulla pagina Instagram di quel ristorante prima di ordinare un delivery, è più attratto dalle foto, che dalla lettura del menù.
• Aiutare il cliente consumatore nella scelta con delle foto accattivanti e dei testi chiari e immediati. Non pensare mai che sia scontato che tutti capiscano quale particolare birra possono bere da una foto o dal semplice nome della birra.
• Metterci la faccia sempre. Scegliere da chi mangiare è an che una questione di fiducia. Mostrarsi in video è una tattica che aumenterà sicuramente le visualizzazioni dei contenuti. Gli utenti si affezioneranno maggiormente a quel locale e gli assoceranno un viso (ancor meglio se di tutto il team).
Bisogna essere sempre ben attenti a quello che si dice e quello che si vede, per non rischiare l’effetto opposto. Questo non significa essere perfetti, non sbagliare nessuna parola o mostrarsi per quello che non si è. Basta saper lavora re bene e far trasparire la passione per il proprio lavoro. Si può fare con un post, con un video, con una story.
Una regola che vale per tutti, non solo per baristi e ristoratori, ma anche per il grossista di bevande che li rifornisce e che ol tre ai prodotti gli avrà dato qualche buon consiglio per fare al meglio il suo lavoro.
IIl passaggio generazionale risulta uno degli scogli più grandi per le aziende, soprattutto quelle a forte carattere familiare che attualmente, secondo un’indagine di Aidaf, rappresen tano 85% delle aziende italiane, per un fatturato cumulato di 250 mld € ed un’incidenza del 15% sul Pil italiano.
Affrontare un passaggio generazionale è estremamente complesso ed è un percorso che dura diversi anni e necessita di azioni ben ponderate e eseguite con l’unico obiettivo di favorire l’insegnamento delle nuove generazioni.
Gestire un processo di subentro delle nuove generazioni com porta estrema attenzione, possiamo ormai affermare che questa fase della vita aziendale, che coinvolge oltre il 45% del le piccole e medie imprese italiane in questo momento (fonte studio Unioncamere-Mediobanca 2017), è una delle principali cause di fallimento e sempre più moti vo di rottura anche dei legami fa miliari. Ci sono da considera re 2 tipologie di passaggio generazionale, quello a ca rattere familiare che pren de forma con l’ingresso nelle attività aziendali dei figli o dei nipoti del proprietario dell’a
zienda, che molto spesso è anche la key person (amministratore, resp. commerciale, ecc.), e quello a carattere professionale, che è caratterizzato dal ringiovanimento della squadra di lavoro o ancor più forte in caso di subentro nel direttivo di giovani figure. Per dare dei riferimenti numerici l’Italia è il Paese Europeo con il maggior numero di Manager sopra i 70 anni (fonte osservatorio Aub), più del 40% delle aziende ita liane è caratterizzato da manager oltre i 60 anni di età e che nei prossimi 10 anni più del 45% delle aziende italiane si trove ranno ad affrontare il passaggio generazionale (fonte studio Unioncamere-Mediobanca 2017).
Il dato più inquietante è il tasso di fallimento entro i 5 anni che si attesta al 10% secondo i dati dello studio congiunto Union camere-Mediobanca del 2017, spesso si tende a dare la colpa alla poca capacità delle nuove generazioni, elemento sicura mente considerevole ma non esclusivo in quanto colmabile, il vero limite al passaggio generazionale risulta invece essere la mancata pianificazione di questo evento e la mancata prepa razione del management in primis e dell’intera struttura lavo rativa in secundis.
Infatti, secondo una ricerca condotta da Deloitte, il 60% degli imprenditori vuole lasciare la propria azienda ai figli nel breve periodo, ma spesso senza pianificare il passaggio; mentre, gran parte degli intervistati, si dice restia ad abbandonare la leadership ed anche solo a pensare al passaggio generazionale.
Ci sono diversi fattori critici di successo da considerare nel mo mento in cui si inizia a pensare ad un passaggio generaziona le, sicuramente il primo è definito dal fatto che l’azienda è un
aggregato di beni e persone coordinate tra loro dall’imprenditore, questo significa che per funzionare l’azienda necessita di una sintonia tra le persone che compongono l’azienda e l’imprenditore, questo fattore che chiamiamo dinamismo aziendale spesso viene dato per scontato pensando che il ma nagement o anche i singoli collaboratori aziendali accettano in automatico il nuovo imprenditore solo perché figlio d’arte, come fosse un diritto acquisito. Purtroppo questo non può avvenire proprio per la natura in trinseca dell’impresa che appunto prevede il coordinamento e quindi un rapporto di estrema fiducia e stima (cosa che si può costruire solo con il tempo) tra l’imprenditore e i collaboratori stretti o lontani. Anche l’ambito relazionale con gli stakeholder gioca un ruolo fondamentale. Ciò che possiamo trarre in maniera molto alta da questa ana lisi è che un passaggio generazionale per poter avvenire ne cessita di tempo e di azioni mirate a dare valore alla nuova figura con estrema attenzione, evitando di dare possibilità ai collaboratori di minare questo percorso.
La prima paura del collaboratore è che con le nuove gene razioni possa cambiare qualcosa e quindi perdere dei dirit ti acquisiti o vedere la propria posizione cambiare verso uno stato diverso. Sicuramente questo avverrà in parte perché sarà fondamentale per il nuovo imprenditore o il nuovo manager avere vicino a se persone di fiducia che lo sostengano nel percorso difficile di insediamento e non che minino il suo operato.
L’elemento da considerare è proprio la repulsione inconscia al cambiamento che molti di noi hanno.
Fortunatamente, lo Stato Italiano sta cercando da diversi anni di favorire il cambio generazionale, attraverso una legge che permette l’annullamento della tassa successoria sul passag gio di proprietà delle aziende ai successori o al coniuge. Uno dei principali strumenti che il legislatore ha messo a di sposizione dell’imprenditore è l’istituto giuridico dei “patti di famiglia” introdotto con la Legge del 14 febbraio 2006 n. 55.
Questo strumento permette di gestire anche eventuali contro versie future che posso no nascere tra gli eredi e definire come il passag gio generazionale debba essere gestito. Inoltre, andando ad ap portare opportune mo difiche allo statuto, l’im prenditore in uscita può mantenere delle opzioni su alcune scelte o alcune decisioni particolarmente importanti per l’azienda.
Esistono, inoltre, altri strumenti che possono favorire il passaggio generazionale, come il trust o il fondo patrimoniale, entrambi a tutela della famiglia.
La morale quindi è che per poter effettuare un buon passag gio generazionale i 2 fattori da considerare sono il tempo e la pianificazione, ogni passaggio nasce da esigenze diverse e con obiettivi multipli, proprio per questa ragione è fondamen tale effettuare una strategia di successione che comprenda soprattutto l’aspetto finanziario e manageriale dell’azienda.
TTorniamo a parlare di passaggio generazionale, questa volta voglio approfondire con voi come affrontarlo al meglio e quale è la chiave per garantire la continuità aziendale. Tempo e Pianificazione, sono questi i 2 fattori che hanno ca ratterizzato il nostro primo approfondimento e come vedremo meglio nelle prossime pagine tutto ruota intorno a questi ele menti. Partiamo dal tempo e cerchiamo di capire perchè sia così importante.
Consideriamo che stiamo trattando una fase della vita azien dale nella quale c’è un cambio non solo al timone ma anche nelle vedute, per natura la new generation ha una chiave di lettura diversa dell’ambiente nel quale l’azienda opera in quel preciso momento. Certo non è una regola generale, ma so prattutto in questo momento storico in cui il mercato e la so cietà cambiano con estrema velocità e le nuove soluzioni digi tali giornalmente si rinnovano, c’è bisogno di una freschezza e di una esperienza nel capire e anticipare i cambiamenti.
Pensate a quante cose credevamo impossibili 2 anni fa, oggi sono la quotidianità e domani ci troveremo a vivere con tecno logie che pensavamo di non vedere prima di 10 anni (1 su tutte il metaverso). Mi chiederete come tutto ciò incide nel passag gio generazionale. Vedete, prendere atto che bisogna innovare per rimanere competitivi è fondamentale, e come ben sapete i
cambiamenti difficilmente vengono accolti con entusiasmo dai nostri collaboratori. Immaginate quindi, non solo di dover far entrare in azienda la new generation e lasciarle il testimone, ma anche di dover innovare i processi e forse la vostra visione di business. Sicuramente quanto appena letto vi lascia per plessi, immaginate quanto possa preoccupare i vostri colla boratori.
Ed è per questo che subentra il fattore tempo.
Necessitano di tempo non solo i propri collaboratori ma anche tutti gli stakeholder esterni (fornitori, partner finanziari, clienti ecc), soprattutto se parliamo di aziende a gestione familiare dove l’imprenditore è il centro dell’azienda. Programmare con tempo significa di conseguenza pianificare, e qui prendiamo in analisi il secondo fattore che ci porta direttamente alla neces sità di innovare.
La pianificazione permette di analizzare tutti i fattori di rischio e le opportunità che possono nascere con il cambio generazionale, definire il punto di partenza ed il punto di arrivo, ma soprattutto come affrontare il percorso del passaggio del testimone.
La pianificazione permette di ana lizzare tutti i fattori di rischio e le opportunità che possono nascere con il cambio generazionale, definire il punto di partenza ed il punto di arrivo, ma soprattut to come affrontare il percorso del passaggio del testimone. Ci sarà una prima fase necessaria di preparazione, una fase di affianca mento, una fase di autonomia guidata e
poi si concretizzerà del tutto il cambio nella leadership dell’azienda. Questa strada prevede quindi di adeguare l’ambiente aziendale alla new generation e favorirne l’insediamento. Nella maggior parte dei casi questo avviene grazie all’innova zione dei processi, ovvero all’adeguamento dei processi azien dali rispetto alle visioni e alle capacità del nuovo leader.
Nel caso del passaggio generazionale vengono applicate tut te le 4 P DEL CHANGE MANAGEMENT (PEOPLE, PROCESS, PLATFORM E PLACE), il primo elemento da adeguare al futu ro dell’azienda sono proprio le persone, devono avere il tempo di accogliere il nuovo leader e riconoscerlo come tale; ci sono poi i processi, come sappiamo ognuno di noi ha uno stile di lavoro e una modalità di gestione, per questo sarà fondamentale adeguare i processi aziendali alle necessità del nuovo lea der; arriviamo quindi alle piattaforme, sfruttare gli strumenti digitali aiuta nell’innovazione dei processi, inserire in azienda strumenti che aiutino l’analisi dei dati e il monitoraggio delle attività, aiuterà la nuova generazione a colmare il gap espe rienziale che ci sarà con l’imprenditore che passa il testimone; infine abbiamo il luogo, cambiare l’assetto del posto di lavoro
può essere il primo passo per avviare il cambio generazionale, il nuovo leader potrà organizzare una redistribuzione dei luoghi di lavoro coinvolgendo direttamente i collaboratori, ascoltan doli per capire come possono migliorare l’operatività, questa azione permetterà di aprire i collaboratori ad un cambiamen to soprattutto verso colui che li ha aiutati a migliorare la loro situazione lavorativa. Per molti sembreranno cose difficili da applicare e che rubano tempo all’operatività giornaliera, ma immaginate che sottovalutando il passaggio generazionale potreste trovarvi con un’azienda radicalmente diversa ed inol tre, invece di aiutare la nuova generazione, gli lascerete una sfida molto difficile da affrontare.
Per questo tempo e pianificazione sono le chiavi di un passaggio generazionale di successo, ma soprattutto sarà fondamentale avere la consapevolezza del processo che si sta affrontando e la situazione aziendale di partenza e di arrivo. Esistono infatti numerose casistiche di passaggio generazionale ed ognuna necessita di un approccio diverso. In base al tempo a disposizione per fare il passaggio, piuttosto che alla capacità finanziaria dell’azienda possono scaturire scelte diverse e di conseguenza tempistiche e azioni differenti.
La cosa che posso consigliarvi è di avere pazienza, ogni cambio necessita di tempo e azioni ben ponderate, una volta riusciti nell’impresa sarà fondamentale che l’ultima parola sia sempre e soltanto della nuova generazione che necessita di essere ricono sciuta come leader unico. Non abbiate paura che la nuova gene razione sbagli, consigliate, guidate ma lasciateli liberi di crescere.
IL CAMBIO GENERAZIONALE È UNA GRANDE OPPORTUNITÀ DI CRESCITA PER OGNI AZIENDA.
è il grande valore aggiunto dell’Horeca: la convivialità e la conversazione stanno all’Italia come le bollicine stanno allo spumante. L’immateriale
è il grande valore aggiunto dell’Horeca: la convivialità e la conversazione stanno all’Italia come le bollicine stanno allo spumante. (Fabrizio Bellavista)
a cura di Fabrizio Bellavista
Esperto in Digital & Social Transformation
IIl sociologo Ray Oldenburg tratteggiò il mondo Horeca come il “terzo luogo”, un luogo cioè dove poter vivere il proprio senso conviviale anche lontano dall’ambiente famigliare, un territo rio neutrale, il cui accesso è facile e gradevole e dove la princi pale attività è quella del conversare.
Oldenburg scriveva nel 1989 che la rivoluzione digitale (1993) sarebbe arrivata da lì a poco. Bisognerebbe partire dal mo mento in cui i luoghi di conversazione si sarebbero espansi an che al mondo digitale, moltiplicandosi, dunque. In questo sen so cogliamo immediatamente un “fil rouge” da seguire, prima di domandarci: «Debbo esserci nel Metaverso?». Quest’ultimo è uno step di una filiera che inizia con il Web 1.0, ossia il sito e la newsletter; si inoltra nel 2.0, il mondo dei social e delle relazioni digitali trovando una teatrale conferma, e poi nel 4.0, in cui anche gli oggetti (ad esempio, i frigoriferi che “parlano”) dialogano tra loro e con gli esseri umani; sino ad approdare alle terre del Metaverso.
Prima di chiedersi chi potremmo essere nel Metaverso, sarebbe meglio chiedersi qualcosa riguardo l’identità delle nostre aziende nel modo fisico.
Possiamo fare un’autoanalisi riguardo il nostro comportamento in questa progressione: abbiamo accettato la sfida di mondi paralleli e spesso dialoganti, quali sono quelli digitali?
Vorrei essere ancora più chiaro: se non si è costruito una “pre senza” negli ambienti digitali precedenti, quale senso potreb be avere un eventuale sbarco nel Metaverso?
Sarò ancora più specifico: come ha superato questo biennio drammatico (2020-2022) chi non ha creato un data base dei propri clienti?
E chi non aveva attivato una newsletter di collegamento e, magari, non era presente neppure in Google Maps?
Dopo queste domande possia mo giungere velocemente ad un secondo chiarimento: non stia mo parlando di un mondo ma teriale, fatto di bar, ristoranti e hotel che dialoga con l’immate riale ed il virtuale, in sintesi non si tratta di uno scontro tra Universo e Metaverso.
Infatti, nella nostra offerta quotidiana di accoglienza la parte immateriale è determinante, soprattutto per noi italiani che, in ogni nostra proposta, sottendiamo sempre la mirabilia di un Made in Italy dirompente e unico nel suo genere, invidia to apertamente da tutto il mondo. Il sapore di una bevanda, Un Made in Italy dirompente e unico nel suo genere, invidiato apertamente da tutto il mondo.
da solo, non crea alcuna relazione o connessione o vendita. L’immateriale è il grande valore aggiunto del nostro settore: la convivialità e la conversazione stanno all’Italia come le bol licine stanno allo spumante.
Una volta compreso questo possiamo procedere.
Il Metaverso non è affatto uno scherzo, né una invenzione del la comunità tech globale, bensì è il prossimo “place to be”, ov vero “il posto dove stare e conversare” nel futuro prossimo: sia Meta Facebook (ma ci sono tantissime grandi realtà che si sono già mosse) che Microsoft sembrano confermare questa direzione, attraverso enormi investimenti in corso. Stiamo, dunque, dicendo di sbarcare al più presto e a qualsi asi costo nell’Avaterra?
No, proprio no: i tempi e le modalità sono tutti in divenire!
Il Metaverso è il prossimo passo nell’evoluzione della realtà digi tale, è “solo-un-ennesimo-pas so-nello-ambito-della-digitaliz zazione”, niente d’altro, nulla di misterioso. Include tutte le forme di immersione virtuale, trascen dendo i confini fisici per corrobo rare un mondo digitale ormai già consolidato. Tutto questo vale ovviamente anche per il merca to del beverage.
I prodotti virtuali sembrano destinati a formare la spina dor sale dell’economia del Metaverso, ma in verità la visione “ibri
da” (digitale e realtà fisica) sembra essere la via più sicura in una programmazione del futuro immediato.
Dunque il Foodverse e Beverageverse presenteranno chef, ristoranti, marchi alimentari e aziende in un’esperienza vir tuale in cui i marchi F&B possono creare la loro prima entità metaverse, vendere NFT (Non Fungible Token), prendere da gli avatar ordini da consegnare poi ad un indirizzo con codice postale, creare giochi per un engagement rivolto soprattutto al target più giovane, poter finalmente garantire (pensiamo
inizialmente al vino pregiato) la veridicità del prodotto attraverso le garanzie offerte dalla tecnologia blockchain (che sarà sempre più imprescindibile). Ad esempio
• Un distributore potrebbe appoggiarsi a Mesh di Microsoft (che ha promesso entro due anni la possibilità di call confe rence avatar munite) ed “educare” i suoi clienti ristoratori e baristi, ad abbattere le “pareti” che dividono il reale dal virtuale, fungendo da palestra al nuovo corso?
• Oppure, potrebbe un distributore aiutare la cultura dell’ibridazione con dei tutorial personalizzati al mondo Horeca?
• E ancora: potrebbe un’azienda distributrice aiutare un ri storatore a creare NFT del suo piatto top?
• Potrebbe un’azienda del nostro settore sponsorizzare un concerto nella multipiattaforma Fortnite, dove far incon trare aziende produttrici con un panel di giovani consuma tori in un linguaggio più da gaming piuttosto che da ricerca di mercato?
• Potrebbe pubblicizzare il valore aggiunto delle catene blockchain nel certificare date, provenienza, qualità, per esempio, di un vino di alta qualità?
Sono tutte domande di cui sappiamo già la risposta.
In estrema sintesi il Metaverso è una serie di sconfinati mondi digitali 3D (che attualmente ancora non dialogano), a cui si accede per una visione estremamente immersiva attraverso un visore per realtà virtuale (VR), ma accessibile comunque anche senza visori (a scapito della immersività), dove le persone possono andare a un concerto, passeggiare nel parco e persino pranzare in un ristorante: tutte attività dunque che ci interessano e molto!
È importante, a questo punto, fare un preambolo: il Metaverso rimane un concetto ancora privo di una definizione univoca. Tutto è in divenire, dunque, aperto a opportunità e sperimen tazioni. Stiamo concentrati sul termine “esperienza”: offrirne una ai nostri clienti che contempli (anche) il nuovo mondo del Metaverso potrà aggiungere senz’altro un valore aggiunto. Certamente è una grande opportunità per il marketing delle nostre aziende.
Stanno emergendo nuove “certificazioni” della qualità azien dale, certificazioni che confermano che la nostra azienda par tecipa ai grandi cambiamenti in atto: ebbene, oltre alla so stenibilità, l’attestato di TRASFORMAZIONE DIGITALE è un ulteriore valore aggiunto. Se prima si scriveva “VISTO IN TV” ora si potrà dire “SPERIMENTATO NEL METAVERSO” oppure “GUSTO CRYPTO”!
Coca-Cola.
Questa Case history presenta una serie di proposte convin centi e performanti. Coca Cola ha raccolto $ 575.000 in un’a sta online per beneficenza: ha messo all’asta quattro NFT multisensoriali ispirati all’amicizia tramite OpenSea, in occa sione della Giornata internazionale dell’amicizia. Trovo molto istruttivo valutare una serie di iniziative parallele create attorno a questo lancio:
•
The Friendship Box reinventa un refrigeratore Coca-Cola vintage con miglioramenti di movimento e illuminazione, incluso l’effetto vortice “luce viva” che collega visivamente tutti gli NFT. L’esterno è decorato con simboli di amicizia e condivisione che svaniranno all’apertura per rivelare un distributore automatico di Coca Cola vintage.
•
La giacca indossabile Coca-Cola Bubble dal design per sonalizzato è illuminata, appositamente caratterizzata da un look futuristico con sottili accenni alle nostalgiche divise della Coca-Cola Company.
• Anche la versione virtuale della giacca è compresa e può essere indossata da un avatar nella piattaforma 3D De centraland.
•
Il Sound Design al servizio di segnali audio immediatamen te riconoscibili: dal pop dell’apertura della bottiglia e dal suono della bevanda che viene versata sul ghiaccio e l’in confondibile frizzare...
•
La Carta dell’Amicizia aggiorna l’opera d’arte del 1948 uti lizzata in un set di figurine Coca-Cola degli anni ‘90 che simboleggiano l’amicizia e il ristoro.
• Il vincitore di un gaming riceverà anche un frigorifero Co ca-Cola nella vita reale.
La celebre marca olandese ha aperto le sue porte al Metaverso presentando una birra in Pixel - Heineken Silver - all’interno del birrificio digitale che si trova sulla piattaforma 3D Decentraland. Mi sembra interessante analizzare in profondità un’iniziativa crea ta nel mondo fisico per supportare Decentraland e dunque offrire una maggiore connessione tra mondo fisico e virtuale: si chiama Metabar. Heineken ha allestito a Milano un temporary shop, una specie di StarGate per meglio collegare l’Universo al Metaverso.
Bored Breakfast Club.
Sta adottando un approccio diverso utilizzando gli NFT per avviare l’abbonamento al caffè diretto al consumatore. Avere la proprietà di un NFT dalla loro collezione di 5.000 ri sorse digitali uniche sblocca le spedizioni di caffè esclusive da parte del brand.
Birreria e birre tra le più diffuse negli States lancia il proprio “Budverse”. Lo scorso novembre, Budweiser ha lanciato la sua prima collezione di lattine di birra digitali che doveva celebrare la storia iconica del marchio.
Con “Heritage Collection” la sua incursione negli NFT si è ri velata un successo istantaneo e, alla fine di gennaio, Anheu ser-Busch ha annunciato il suo nuovo progetto NFT chiamato
“Bud Light N3XT Collection”, unitamente all’acquisito del do minio Beer.eth (mondo Ethereum) con l’account ufficiale Twit ter che ha cambiato coerentemente nome.
Vinophila 3D Metaverse Wine Expo.
Per Vino, Birra e Bevande Alcoliche. Startup innovativa fon data dal manager e docente universitario Lorenzo Biscontin, con grande esperienza nel settore agroalimentare d’eccellen za. Cosa offre?
Una piattaforma di Virtual Reality ove poter far incontrare utenti e professionisti all’interno di un mondo digitale che permette opportunità diverse: comunicazione diretta nelle vendite; cercare nuovi business partner; partecipare a video meeting, webinar e showroom; scambiarsi presentazioni e/o brochure per poi passare alla vendita di prodotti reali.
Italian Wine Crypto Bank. Interessante l’offerta di Italian Wine Crypto Bank, la prima banca del vino italiano costruita con tecnologia Blockchain e con la propria virtual currency (Iwb) da utilizzare per gli acqui sti. Chi compra, riceve automaticamente due prodotti: la bot tiglia proveniente direttamente dalle cantine che aderiscono al progetto e la riproduzione dell’etichetta in NFT, che ha un suo mercato e valore parallelo.
Compagnia dei Caraibi.
Quest’azienda presente nell’importazione e distribuzione di vini, spirits e soft drinks provenienti da ogni parte del mon do disegna la sua presenza nel Metaverso come un ulteriore touchpoint di comunicazione per l’azienda, funzionale allo svi luppo di strategie B2B e di dialogo verso clienti, investitori e partner.
900wine.
Quest’azienda di spumanti traccia un percorso molto efficace: l’utente che vuole acquistare una bottiglia della “limited edi tion” ottiene un QR code attraverso il quale, accedendo alla piattaforma Opensea che ospita opere digitali da collezione, ottiene il proprio NFT 900wine dal valore di €900 - equivalen te al prezzo reale della bottiglia (fisica).
In chiusura, un’avvertenza utile per i futuri “Metaverser”. Il Metaverso è un ulteriore importante passo all’interno della trasformazione digitale, è in pieno sviluppo ed è, ad ora, di dif ficile omologazione.
Abitare con prudenza questo nuovo pianeta!
Rohn)
Perché e come la sua applicazione sta diventando strategica anche nel business del consumo fuori casa? Questa tecnica nasce negli Stati Uniti alla fine degli anni ’70 nel settore dei trasporti aerei quando, nel 1978, sotto l’ammi nistrazione Carter, ci fu una deregolamentazione che permise l’ingresso nel mercato di nuove compagnie aeree più econo miche di quelle classiche.
Per essere competitive, le maggiori compagnie iniziarono ad applicare alcuni sconti per saturare i voli, vendendo i posti che generalmente rimanevano invenduti e da qui nacque il Revenue Growth Management (RGM), che negli anni successivi prese piede in tutto il business del turismo e dell’entertainment.
Sofisticando la sua metodologia e i suoi strumenti, l’applicazio ne di questa disciplina si è allargata anche al mondo del FMCG - o meglio a tutto il business del largo consumo confeziona to - dove le aziende produttrici hanno iniziato ad analizzare e gestire prezzi, promozioni, assortimenti e investimenti com merciali con l’obiettivo di vendere il prodotto giusto al giusto prezzo, nel momento opportuno, al cliente adatto, attraverso
il giusto canale di distribuzione. E sicuramente l’RGM ha consentito a tanti produttori di recuperare e/o acquisire valore grazie a una maggiore efficacia e a una migliore efficienza il cui ritorno sugli investimenti incrementale hanno reinvestito nella crescita del business sviluppato e sviluppabile con i loro clienti.
Spesso si tende a considerare il Retail come il canale princi pale se non l’unico di applicazione del REVENUE GROWTH MANAGEMENT (RGM) in quanto più legato alle dinamiche di shopping per il consumo a casa e per una maggiore disponibi lità e accesso ai dati.
Ottimizzare i costi migliora la profittabilità ma in ottica di RGM per massimizzare il fatturato è necessario anche analizzare giorno per giorno e per ogni fascia oraria il tipo di consumatore, le consumazioni e l’occupazione del locale.
In realtà dopo i vari lockdown e a causa dell’aumento dei costi delle materie prime e dei prezzi dell’energia, anche nel business del consumo fuori casa l’applica zione e l’utilizzo delle leve di RGM
è diventata un’esigenza per sa turare la capacità dei locali re cuperando traffico - ogni sedia vuota è un mancato guadagno - e per massimizzare il fatturato. Dato che il consumo fuori casa è caratterizzato da relax, diver timento e voglia di socialità, ma spesso manca sia di cultura manageriale nella gestione dei lo cali sia di metodo nella raccolta e nell’analisi delle informazioni, l’implementazione del RGM nell’HoReCa passa spesso attraverso l’applicazione di poche regole cardine e meccaniche molto semplici ma efficaci ed ef ficienti per migliorare la profittabilità di un punto di consumo.
Prima di tutto, un punto di consumo della ristorazione non è un punto di vendita della distribuzione moderna: un’attività - sia essa un ristorante, un bar o una birreria - non è un supermercato dove si può aumentare il traffico di clienti, e quindi aumentare le vendite, utilizzando le leve di prezzo e promozione in modo massiccio. Non che non siano importanti, ma per attrarre consumatori e renderli fedeli sono fondamen tali l’assortimento - il menù e/o l’offerta proposta - il livello di servizio, l’ambientazione e l’atmosfera dato che un locale non vende solo prodotti ma experience ed entertainment. Più sono caratterizzanti e uniche più rendono il punto di consumo e l’e sperienza esclusivi generando loyalty nella clientela.
In secondo luogo, per aumentare il ricavo medio dello scontrino bisogna spingere le consumazioni che fanno guadagnare di più garantendo una marginalità maggiore. Per far lo è fondamentale conoscere il food & beverage cost di ogni proposta alla perfezione, non solo quello preventivato ma so prattutto quello consuntivato, per non correre il rischio di ave re una crescita spropositata dei costi anche a fronte di una crescita degli incassi.
Ottimizzare i costi migliora la profittabilità, ma in ottica di RGM per massimizzare il fatturato è necessario anche analizzare giorno per giorno e per ogni fascia oraria il tipo di consuma tore, le consumazioni e l’occupazione del locale. Se nei super mercati l’assortimento a scaffale e i prezzi al pubblico sono unici e uguali per tutti gli shoppers, in un bar e/o in un ristorante l’offerta può e deve variare a seconda del giorno, dell’orario e dell’occasione di consumo per offrire la proposta più adatta al target specifico. Ad esempio, molti ristoranti hanno un menù pranzo diverso da quello della cena sia nella scelta offerta sia nei prezzi così come molti bar sono multifunzionali nel senso che fanno colazioni alla mattina, offrono pasti veloci
a pranzo e organizzano aperitivi - se non apericena - la sera con prodotti e/o prezzi differenti a seconda delle occasioni di consumo. Ci sono poi le azioni di cross-selling e di up-selling che consistono rispettivamente nel promuovere il consumo di abbinamenti specifici di cibi e bevande esaltandone il valore e la perfezione esperienziale e nell’offrire o anticipare degli as saggi anche sotto forma di rituali che riducono le attese tra le portate e spesso fanno consumare più bevande. Anche se più che di strategia parliamo di tattiche di RGM, queste attivi tà spesso portano ricavi incrementali molto significativi nello scontrino medio.
È comunque inutile impostare una strategia di gestione senza la possibilità di misurare la base di partenza e i miglioramenti che le azioni sopra indicate portano al locale. Nel RGM dell’HoReCa l’indicatore della performance si chiama REVPASH che in inglese è l’acronimo di REVenue Per Avai lable Seat Hour, cioè quanto si incassa per ogni posto che si ha nel proprio locale per ogni ora. L’obiettivo è quello di fare aumentare questo indicatore sempre di più aumentando il fatturato e lo si può fare lavorando singolarmente su aspetti quantitativi come saturare di più e/o aumentare la rotazione dei coperti disponibili fino ad aumentare il numero di coperti disponibili ma ancor meglio se si agisce in combinazione con tutti quelli più qualitativi che abbiamo descritto precedente mente per aumentare anche lo scontrino medio del maggior traffico generato.
Considerando però i 350.000 punti di consumo del mondo del fuoricasa italiano, spesso a conduzione familiare o individua le e con limitate risorse d’organizzazione e di tempo, il rischio è che le regole indicate restino di appannaggio delle catene dell’horeca moderno più strutturate mentre non vengano ap plicate dalla maggior parte delle attività commerciali che, se
fossero preparate e pronte a lavorare su questi aspetti, potrebbero tranquillamente valorizzare il loro servizio e crescere migliorando la profittabilità del loro business.
Ma è proprio qui che diventa chiave il ruolo Distributore Horeca che non può più limitarsi a quello di fornitore di alimenti e be vande ma deve evolvere sempre di più verso la figura di partner e/o consulente moderno che trasferisce competenze e metodi di gestione, condivide idee e suggerimenti di marketing, promuove delle iniziative commerciali di sell-out in partnership e ovviamente sensibilizza ed educa i suoi clienti gestori di punti di con sumo all’uso e l’applicazione delle semplici tecniche di RGM. Alla fine è veramente difficile non considerare come vincente una strategia - perché è così che è e deve essere visto il RGM - che nel breve aumenta il fatturato del punto di consumo facendo crescere di conseguenza le vendite da parte del grossista che lo fornisce e nel lungo rafforza il legame fiduciario tra i due partner e la solidità di sviluppo e di crescita del business per entrambi.
a cura di Nicoletta Polliotto
Esperta di food & restaurant marketing
SSpesso hai sentito parlare di brand e branding. Sono termini talvolta utilizzati a sproposito ma ormai di enorme diffusione nonché utilità. Il branding è un insieme di tattiche e strategie per valorizzare la tua unicità e posizionarti come unico e distingui bile, nel mercato di riferimento, rafforzando la tua reputazione.
Il branding, così come viene declinato nel nostro metodo a marchio registrato Creative Restaurant Branding®, prevede 3 fasi importanti: la strategia, l’identità e poi la comunicazione.
Ma sono concetti che valgono e calzano perfettamente anche per chi ha un’azienda di distribuzione Food&Beverage.
Ecco qualche piccolo suggerimento che potrai mettere in pra tica per far emergere il tuo brand e utilizzarlo come formidabi le leva competitiva.
Dopo la fase di analisi ed elaborazione delle linee strategiche e definizione della propria personalità, si passa alla parte ope rativa di creazione di codici comunicativi: l’individuazione del tuo nome, Codice Visivo, Codice Verbale e tutti gli altri.
Stai definendo la tua identità di marca, rendendola visibile e creando quella che normalmente viene definita immagine, ossia l’insieme degli elementi tangibili ed evidenti che trasmetto no i tuoi valori e la tua vera essenza.
La prima “interfaccia” con la quale il cliente entra in contatto è la tua immagine. Lavorando bene su questa si può stimolare una cognizione più ampia e approfondita della tua realtà.
La conoscenza stimola l’incontro e la relazione: quella tra clien te e il tuo progetto di identità, passaggio imprescindibile per creare intesa, fiducia e fidelizzazione.
L’immagine della marca, l’insieme di associazioni che un’azien da di distribuzione Horeca trasmette all’immaginario del suo pubblico, è generata dalla totalità delle sue manifestazioni e dalla percezione da parte dei destinatari. È imprescindibile il legame armonico tra l’immagine che presentiamo al pubblico e la nostra identità, affinché si risulti coerenti e di conseguenza memorabili.
Costruisci strumenti e interfacce (quello che il tuo interlocutore incontra quando ti scopre o contatta) ossia loghi, colori, font, insegne, listini, shopper, packaging, gamma di prodotti, etichette, sito web, social media, food app e ogni strumento che servirà per conquistare il tuo interlocutore e cliente.
Ricorda che in questa fase tu puoi personalizzare la tua of ferta su misura delle esigenze dell’utente, creando la migliore brand experience digitale e fisica per la tua marca, azienda nel pieno rispetto del suo stile e della sua storia.
Cosa fai quando passi a rendere “visibile” o meglio percepibile la tua essenza?
Una progettazione inadeguata del materiale informativo e comunicativo della marca può causare danni all’immagine. Occorre, dunque, pensare a soluzioni progettate professional mente per migliorare il valore percepito della tua offerta. Per far breccia nel cuore e nella mente dei tuoi clienti, la brand identity del ristorante deve saper attrarre tramite “tutti i sen si”, trasformandosi in qualcosa che si può vedere, toccare, an nusare, prendere, ascoltare.
Ogni tassello di quella che si sta trasformando nella tua comunicazione, dev’essere coerente con il tuo brand, rendendo le attività di promozione coordinate e integrate in un grande progetto unitario: il tuo successo online e offline.
Di Nicoletta Polliotto e Ilaria Legato vi consigliamo “Creative Restaurant Branding”, il manuale che fornisce una preziosa griglia di lavoro per sviluppare la migliore strategia di branding. Acquistabile susono così lenti che non te ne accorgi, altri sono così veloci che non si accorgono di te.
NNon è facile in quest’era pandemica, alla quale si aggiunge una crisi internazionale dovuta al conflitto Russo-Ucraino, in terpretare i comportamenti e le dinamiche dei consumi fuori casa per trarre un’indicazione su quelle che sono le opportu nità nel mercato fuori casa.
Anzitutto, va detto che ci troviamo in un contesto che non ha precedenti, dove il consumatore ha certamente voglia di tornare a consumare fuori casa e si appresta a vivere una sta gione estiva che si preannuncia molto favorevole e che certa mente spingerà i consumi.
Ma dall’altra parte allo stesso consumatore non mancano dubbi e preoccupazioni di fronte ad una pressione inflazioni stica - mai così alta da tempo - di fronte agli aumenti dei prez zi al consumo e da un generale mood di incertezza economica.
Tuttavia l’esercizio, seppur complesso, si rende necessario per chi, come gli operatori della distribuzione Food&Beverage, sono chiamati a ri-orientare le loro scelte strategiche dopo due anni di crisi pandemica.Un mood confermato da un’indagine NPD che ha rilevato il percepito sulla situazione finanziaria futura dei consumatori, il 34% degli intervistati ci dice che ha la sensazione che la loro situazione finanziaria tenderà a peggiorare da qui ai prossimi mesi.
Ma quello che lo preoccupa maggiormente è un’inflazione che già a marzo 2022 indicava un 6,5% di crescita. Tuttavia è in teressante vedere che, di contro, l’inflazione rilevata a marzo sulla ristorazione è molto più bassa, il 3,6%.
Ciò nonostante l’80-84% dei consumatori (come rilevato dalle indagini NPD) denuncia un aumento dei prezzi all’interno della ristorazione. E allora, è interessante analizzare il comporta mento degli stessi consumatori di fronte agli aumenti. Il qua dro che emerge è sostanzialmente positivo.
In una delle nostre indagini abbiamo chiesto ai consumatori quali sono le attività che intendono ridurre o alle quali devono rinunciare a fronte di un aumento dei prezzi: solo un terzo degli intervistati ci ha detto che ridurrà le spese presso i ristoranti e i bar/caffetteria.
Gli altri due terzi, invece, hanno dichiarato che non rinunceranno a frequentare bar e ristoranti, tuttavia il 50% di costoro adotterà, nella scelta del luogo, strategie differenti, come per esempio la ricerca di promozioni presso il proprio ristorante o in un ristorante diverso da quello abituale.
Ci troviamo, quindi, di fronte ad un consumatore molto razionale nelle proprie scelte, dove però la razionalità non deve essere vista con un’accezione negativa, perché la pondera tezza contiene delle opportunità come è dimostrato dalle le zioni impartite dalla crisi che abbiamo affrontato in passato. Infatti, è stato ampiamente rilevato che nel momento in cui si manifesta una riduzione di frequenza presso ristoranti e bar, vi è di riflesso un aumento del la spesa presso gli stessi bar e ristoranti: ovvero, il consumatore punta più sull’esperienza e di riflesso tende a spen dere di meno nelle oc casioni di consumo fun zionali.
La pandemia negli ultimi anni ha innescato un processo di trasformazione destinato a rimanere nel tempo. Due fenomeni su tutti: l’esplosione del delivery che di fatto diventa una “componente” stabile del mercato, non crescerà ai tassi dei mesi caldi del Covid, ma la sua quota di mercato c’è e resta.
Per valutare al meglio le opportunità che possono essere colte dagli operatori del settore, distributori food&beverage compresi, oltre ai comportamenti di acquisto è interessante anche indagare i cambiamenti in corso nella struttura del mercato.
La pandemia negli ultimi anni ha innescato un processo di
trasformazione destinato a rimanere nel tempo. Due fenomeni su tutti: l’esplosione del delivery che di fatto diventa una “componente” stabile del mercato, non crescerà ai tassi dei mesi caldi del Covid, ma la sua quota di mercato c’è e resta. Vi è poi la trasformazione che ha riguardato soprattutto l’offerta in quello che è il comparto più importante della ristorazione in termini di numerica, il settore dei bar.
Il format bar, snello di natura, si è prontamente adeguato alle difficoltà pandemiche ampliando le sedute (vedi i dehors) ampliando e diversificando l’offerta di fronte alle mutateanche se temporanee - condizioni di consumo imposte dal la pandemia. Una trasformazione percepita e apprezzata da parte dei consumatori: rileviamo, infatti, dalle indagini di NPD una crescita di quelle occasioni di consumo nei bar dove viene espletato un servizio completo ai tavolini nei diversi momenti di consumo della giornata.
Il luogo bar assume quindi una nuova connotazione molto dinamica, frutto di trasformazione rapida ed inevitabile in una sorta di processo di ibridazione innescato dalla crisi pandemica: non si è più come ieri, non siamo ancora come domani, siamo in fase di trasformazione, di cam biamento, work in progress per usare un termine proprio, una fase delicata e decisiva che deve essere studiata e gestita con la massima attenzione anche da parte degli operatori della distribuzione food&beverage.
(Woody Allen)
FFreak Antony (1975-2014), al secolo Roberto Antoni, il mitico leader degli Skiantos, un grandissimo, facendo passare per demenziale la sua arguzia, cantava: “non c’è gusto in Italia a essere intelligenti”.
Qualche dubbio c’è, anzi... più di uno. E allora, parafrasando la provocazione, dimostrerò che in Italia ed in ogni settore abbia mo intelligenza da vendere e ad esserlo c’è anche parecchio gusto. Parliamo di fornire beni immateriali che a volte valgono più di quelli ma teriali. Come ad esempio per i di stributori di bevande, per i quali la componente servizio conta quanto se non più dell’asset merceologico.
Ma vediamo da vicino quali sono i beni immateriali che un’azienda deve mettere al primo posto delle sue dinamiche aziendali e mixare, esattamente come si fa per un cocktail dal gusto superlativo.
Al primo posto necessariamente le informazioni, poi l’uso del la tecnologia e infine il mood, ovvero il genio di chi performa.
Le informazioni sono la bussola che ci orienta, senza conoscen za non si va da nessuna parte. LE INFORMAZIONI SONO UNA MERCE PREZIOSA CHE POSSONO VALERE ANCHE PIÙ DI UN TIR CARICO DI BIRRA. Non solo per il grossista di bevan de, ma anche per un bar. Facciamo un esempio: Milano, zona uffici, due bar sono vicinissimi, il prezzo dei prodotti è uguale, la gentilezza del personale equivalente, ma uno è sempre pieno e l’altro no. Il proprietario del bar di successo stampa ogni 2 ore sulle tovagliette gli annunci di offerta di posti di lavoro (ha fat to un accordo con 2 agenzie interinali che gli mandano i files). Questo servizio gratuito gli permette di differenziarsi, di essere unico in un posto di passaggio dove la clientela prendendo un panino può ambire a cambiare carriera.
Tempo (quindi denaro) e possibilità di sbagliare quasi ridotta alla zero. L’USO SPINTO DELLA TECNOLOGIA IN UN’AZIENDA, ANCHE IN QUELLE COMMERCIALI È ORMAI UN DATO DI FATTO. MA CI SONO NUOVE FRONTIERE VERSO LE QUALI BISOGNA CORRERE. COME AD ESEMPIO IL METAVERSO. Ma cosa ha a che fare il Metaverso con un grossista di bevande, mica si beve nel Metaverso? Sì è vero, gli avatar non bevono, ma lì in quel luogo virtuale puoi far venire molta voglia
di bere, e se uno ha voglia di bere, poi da qualche parte beve davvero. Magari in quel bel localino che tu hai suggerito men tre presentavi al suo avatar l’ultima imperdibile gustosissima novità. Vogliamo chiamarlo servizio ai clienti? Ok chiamiamolo servizio. Un servizio che vale più del prodotto. Tecnologia a go gò, quindi, e poi capacità di immaginazione. Gli investimenti non sono banali, ma i piccoli aggregandosi in reti di impresa possono testare ed utilizzare il binomio (reale-vir tuale) che tra poco sarà imprescindibile, non è certo un caso che le BigTech ci stanno investendo miliardi di dollari. Metaverso quindi senza paura: prima si entra, prima si sbaglia, prima si impara e gli altri saranno, nella migliore delle ipotesi, dei followers, o al massimo incerti imitatori dei primi. Vedete quanto gusto c’è ad essere intelligenti?
Anzitutto vediamo cos’è il mood. Il mood è (vocabolario alla mano) uno stato d’animo, una specifica disposizione mentale,
una sorta di umore. La nostra vita e quindi le nostre giornate sono condizionate dal mood, il quale più è orientato e predisposto verso le migliori dinamiche che l’azienda richiede, più aumentano le possibilità di successo della stessa. Il mood giu sto diventa contagioso, nella propria azienda e verso i propri clienti. Provare per credere.
Tre ingredienti per un cocktail perfetto. Ben miscelati, magari anche shakerati e poi serviti con una guarnizione adeguata. Ma attenzione, basta che uno dei tre sia zero (o poco di più) e il cocktail non riesce, la cosa non funziona e si è costretti a ven dere solo prodotti, merci che hanno un prezzo e che richiedono uno sconto. Che barba, che noia si entra in competizione, si entra nell’asta, come il pesce al mercato. No, qui c’è davvero poco gusto anche se si è superintelligenti, e qui dò ragione anche al mitico Freak Antony.
PPartiamo dal primo punto di domanda: cosa significa “indi spensabile”? Il classico dizionario ci dice che indispensabile è la persona (o la cosa) assolutamente necessaria, di cui non si può fare a meno.
È vero che un vecchio adagio recita: “tutti sono utili e nessuno è indispensabile”, ma è anche vero che cercare o “tentare” di es sere indispensabili segna già una bella differenza con chi non dà segno alcuno di “indispensabilità”.
Assodato il significato, il secondo punto di domanda è più arti colato: come e perché si diventa indispensabili?
DI PIEROPartiamo dal perché e prendiamo, ad esempio, quello a cui gli italiani tengono di più: la mamma, la quale per definizione è indispensabile perché assiste, protegge, fa crescere i figli, forni sce loro modelli di comportamento indispensabili per rappor tarsi con le persone e le situazioni. E poi i beni materiali come cibo, vestiti, etc., ma soprattutto empatia, affetto, amore.
La madre stabilisce con il figlio una relazione assolutamente indispensabile. UNICA. Senza cadere nel patetico (non mi è mai piaciuto il libro CUORE) è questo il fattore che fa tutta la differenza del mondo. Riportando questo ragionamento al mondo commerciale, vo lendone fare un paragone da “Game”, la differenza (il valore) fra chi crea e implementa relazione - e di conseguenza fa busi ness (serie A) - e chi, invece, vende solamente (serie D al mas simo la C) è un “campionato” decisamente diverso. I più bravi e indispensabili poi giocano in Premier League.
I più bravi a creare “relazione” potranno poi assurgere al ruolo superiore: essere guida dei propri clienti quasi sempre oberati dalla quotidianità, perciò con poco tempo, per comprendere a pieno il cambiamento che inesorabile, con un impercettibile ticchettio, segna il nostro presente. Dobbiamo essere il loro ra dar: il Distributore come knowledge manager (non è una paro laccia), il “cugino smart”, sempre due passi avanti, aggiornato sui trend tecnologici, sociali, di prodotto e di vendita.
Stabilito il perché, vediamo quali sono i meccanismi basici sui quali si fonda la “relazione”. Già 20 anni fa usciva il libro “Economia delle Esperienze”, uno spartiacque del management. L’ESPERIENZA è un servizio che si fa ricordare e che genera memorabilitá e voglia di raccontare.
L’esperienza è un sistema complesso che fa risparmiare sugli investimenti di comunicazione e marketing perché genera il naturale passaparola. Questo è vero nel B2C, ma è legge scolpita nella pietra anche nel mondo del B2B dove i rapporti sono continuativi e possono durare per sempre.
L’esperienza è così composta: ciò che NON SI CONOSCE + ciò che GENERA EMOZIONE.
Il “non conosciuto” (o poco conosciuto) può essere, ad esempio, il comportamento di acquisto, la psicologia di vendita, i social più adatti per il proprio pubblico, gossip, aforismi, ma è anche, perché no, pearing originali cibo-drink.
In altre parole è la costante attenzione a portare “fiori sempre freschi” ai propri partners, primizie pratiche ed intellettuali che fanno la differenza tra chi vuole giocare in serie A e quelli delle serie inferiori che consegnano ed incassano e basta.
In altri termini, per una rete vendita il generare esperienze, base fondante della relazione, dipende dai nostri uomini di relazione (non mi piace chiamarli venditori) formati ad hoc.
Le esperienze non si improvvisano, richiedono studio, analisi, voglia di dare e darsi con ritorni dell’investimento anche lontani. Ci vuole sensibilità, pena l’essere “sgamati”, passare per finti ed opportunisti è la cosa peggiore che possa succedere. Fondamentale il trasferimento di questo modo di essere e competere: a cascata bisogna che i partner commerciali facciano provare esperienze non banali ai clienti finali.
La memorabilità dipende dalla durata del ricordo (scala temporale dall’ora scarsa a tutta la vita)
e dalla partecipazione attiva o meno. Se il cliente è il co-protagonista dell’esperienza, e la stessa è molto intensa ed insolita, egli sarà molto contento di raccontarla, mitizzarla, magari per anni. Tutta comunicazione gratuita!
In ultimo, chiediamoci anche per chi essere indispensabili, per ché un fatto è certo: non possiamo esserlo per tutti. Parlando di mercato del fuoricasa e clienti, come baristi e ristoratori, in un crescendo alla Bolero dovremmo:
• informare tutti i clienti (livello basic),
• formare (educare) i meritevoli (un 30%),
• stabilire relazioni forti per co-creare con gli affini (10%).
In soldoni: la segmentazione è il primo passo, poi bisogna ren dersi/renderli unici, pianificare le frequenze di ascolto e scam bio sincero perché tutto evolve. L’esperienza tout-court è di visa in tre parti: il prima, il durante ed il dopo, dove il dopo è spesso il momento decisivo. Non è detto che una pizzeria non abbia un servizio post vendita degno della più lussuosa casa automobilistica. La tecnologia è un mezzo che facilita, specie nella fase iniziale ed in quella finale della performance. Per il resto la “relazione” è decisamente qualcosa di molto umano, oserei dire “carnale” e, quindi, anche per questo decisamente “godibile”.
LLa storia che vi accingete a leggere gira sulle vicende realmen te accadute di questo signore vestito “strano”, dal portamento fiero e dallo sguardo orgoglioso.
Una storia che merita di essere raccontata, perché dentro ci sono tante correlazioni con il mondo della distribuzione di bevande, con le sfide che sono state affrontate e, soprattutto, con quelle che bisogna ancora affrontare.
Ve lo presento: lui è, anzi era, un greco ed il suo nome Spyridon Louis. Non stiamo parlando di un nobile, né di un aristocratico, non apparteneva ad una famiglia facoltosa, lui faceva un lavoro molto umile, faticoso, ma essenziale, un lavoro che fondamentalmente era un servizio.
All’epoca dei fatti che vi sto raccontando, siamo nel 1896, Spyridon aveva 23 anni e, a quei tempi, sulla spinta della cultura del secolo più romantico che l’umanità abbia mai vissuto, l’800, la Grecia tornò a rivivere una delle sue leggende: le Olimpiadi.
Infatti, ad aprile del 1896 ad Atene si tenne la prima edizione delle Olimpiadi dell’era moderna, che aveva l’ambizione di ri calcare le mitiche gare in favore degli dei che nella Grecia anti ca avevano segnato un’epopea durata quasi 1000 anni.
Le Olimpiadi moderne tornarono sull’onda di quel mito mai spento ed organizzate nel più puro spirito olimpico. Non c’era spazio per i professionisti, ma solo per atleti che avevano il piacere di partecipare. Ricordate il famoso detto di De Coubertain, il padre dei Giochi, colui che fortemente volle riorganizzarli:
Ma la Grecia, che giocava in casa e rispolverava il suo mito, voleva vincere, ridare al mondo il segno e il senso della sua passata grandezza, quando con i suoi filosofi, le sue polis, la sua vita sociale diede inizio a quella civiltà dalla quale tutti noi discendiamo. Ed in particolare voleva vincere quella che era, ed ancora oggi lo è, la gara simbolo delle Olimpiadi: la maratona. La corsa più lunga, faticosa, massacrante, una sfida ai limiti delle umane possibilità: 42 Km.
Una corsa che, in quella prima Olimpiade, fu istituita per ce lebrare le antiche gesta di Filippide, l’uomo che corse a perdi fiato da Maratona ad Atene per avvertire della vittoria vinta dagli Ateniesi contro i Persiani. Correva l’anno 490 a.C.. Si nar ra di Filippide che, giunto stremato ad Atene, gli rimase solo il fiato per gridare Nike (vittoria in greco antico) per poi cadere a terra morto.
I greci, quindi, avevano l’orgoglio, l’ambizione di tornare a ce lebrare la loro storia da vincitori. E per farlo dovevano giocarsi le carte migliori. Selezionarono con attenzione i loro atleti e fra questi c’era lui: Spyridon Louis.
“l’Importante non è vincere, ma partecipare”.
Organizzarono poi delle gare di qualificazione per scegliere ancora i migliori dei migliori e qui Spyridon si qualificò per un pelo, per certi versi fu ripescato, in altri termini, non era lui il più forte. Ma aveva altre doti, nascoste, come vedremo. Aveva la sua chance. Avrebbe potuto scrivere le storia. Dicevamo prima che alle Olimpiadi di allora non potevano partecipare atleti professionisti, quindi tutti i ragazzi, i giovani atleti, si guadagnavano da vivere facendo altro, avevano altri impieghi, facevano altri mestieri.
Ma che mestiere faceva Spyridon Louis quando nel pieno della sua gioventù si ritrovò ad affrontare la sfida più incredibile della sua vita?
Lui era nato nel villaggio di Maroussi - che oggi è una delle prin cipali periferie di Atene - da ragazzo aveva fatto il pastore, poi era stato sotto le armi dove fu notato dai suoi superiori per le doti atletiche, poi, quando si congedò intorno ai vent’anni, si im piegò con il padre, Athanasios, il cui lavoro consisteva nel trasportare e distribuire Acqua Minerale da Atene a Marosussi.
Sì, Spyridon Louis era un distributore di acqua minerale. In credibile, e comunque fantastico: un distributore di acqua mi nerale, un acquaiuolo, magari poi un gazzosaio, che decide di sfidare il suo destino, di cimentarsi nella gara più massacran te, difficile, al limite delle umane possibilità.
Ce la farà Spyridon ad arrivare fino in fondo e scrivere la Storia? Sì, ce la farà lo sanno tutti che ha vinto!
Ma la domanda vera è: Come ha Potuto Vincere? L’ha fatto usando tecniche e stratagemmi da Gazzosaio?
pazienza,
nel prossimo capitolo...
Merini)
LLa maratona Olimpica era fissata per il 10 aprile del 1896, un venerdì. Immaginiamo che la notte prima, il nostro Spyridon ebbe poco da dormire, il pensiero della sfida lo divorava. «Domani non posso aiutarti padre - disse Spyridon al padre la sera prima - ho da sfidare il mio destino».
«Non preoccuparti figlio mio, farò da solo - rispose Athana sios - tu pensa a correre, corri Spyrodon, corri, non ti fermare, corri. E quando sentirai la stanchezza che ti morde i polpacci, resisti, stringi i denti e non ti fermare. E quando sentirai il peso della tua testa sulle spalle, libera i tuoi pensieri e grida alla tua mente che tu sei il più forte, tu puoi farcela, tu ce la fa rai… E quando sentirai la gola arsa di fuoco e i polmoni quasi scoppiare ricordati che sei un portatore di acqua, quello che toglie la sete, che offre refrigerio, quello che rende un servizio. Pensa a chi ha bisogno di te, nel loro pensiero troverai energie nascoste. Domani non puoi mancare, non devi mancare. Corri Spyridon, corri».
Spyridon era pronto. Fisicamente pronto.
Per svolgere il lavoro di distributore di acqua minerale per correva una media di circa 30 km al giorno, con suo padre si
SIAMOrecava infatti tutti i giorni da Maroussi ad Atene e poi di ritorno a Maroussi trasportando barili di acqua, ma anche di vino: Athanasios aveva una piccola vigna. Nel tragitto il giovane Spyridon anziché salire a cassetta se guiva il carro correndo, a volte al carretto legava un filo sottile che saliva su in alto per ricongiungersi a un vecchio aquilone che, librandosi controvento, lo accompagnava nel percorso. Era come una magia. Una volta giunti a Maroussi provvedeva alle consegne, al det taglio: abitazioni, cantine, spacci... era lui il distributore di be vande. Quindi, pur non essendo un atleta di professione di cer to non gli mancava l’allenamento per affrontare una sfida di enorme fatica. Lui era pronto.
La prima maratona dell’era moderna sta per essere vissuta nel rispetto della più antica e gloriosa tradizione, e la gara ov viamente non può che partire da lì, da Maratona, lì dove tutto accadde. La battaglia vinta contro i Persiani e poi Filippide, la sua corsa, la sua leggenda… E quindi si parte da Maratona per arrivare ad Atene nello Sta dio Panathinaiko.
La Maratona è una corsa lunga 42 Km e 195 metri e dicono che i primi 30 Km si corrono con le gambe, gli altri 10 Km si corrono con le testa, 2 Km si corrono con il cuore e gli ultimi 195 metri con le lacrime agli occhi.
A metà gara Spyridon è nelle posizioni di mezzo, fatica a tenere il passo di testa, ma sta aspettando il momento opportuno per sferrare l’attacco. Lui sa quando e dove attaccare: subito dopo Maroussi, il suo Paese. Conosce benissimo quel percorso, è la
Ma torniamo alla gara. Subito dopo Maroussi il percorso, per quasi 3 Km, si sviluppa in salita, lungo il crinale di una collina, poi in cima la strada degrada a destra per proseguire verso Atene. Spyridon però conosce un percorso alternativo che si sviluppa in piano aggirando la collina e che gli permette di non sprecare energie preziose per affrontare la salita. In quel tra gitto accelera al massimo, CORRI SPYRIDON CORRI. È la scelta giusta, aggirata la collina si trova a una decina di metri dal gruppo di testa, sono in due. Li vede, può prenderli. Pensa a suo padre e alle sue parole, alla sfida della vita, strin ge i denti e aumenta il ritmo.
Sono in tre nel gruppo di testa, tre ragazzi che vogliono vince re la sfida della vita. Il volto scavato dalla fatica bestia, la gola arsa hanno sete, acqua. Vogliono acqua. Spyridon sa dove può bere e dissetarsi... devono ora attraversare Chalandri, un pae sino fra Maroussi ed Atene. Lì Spyridon ha diversi clienti e con uno di loro, un cantiniere, si è già organizzato dal giorno prima per poter prendere al volo una brocca di acqua e miele... ovvero energia liquida.
strada che percorre ogni giorno, insomma, conosce il territorio. La conoscenza del territorio è fondamentale, valeva per lui in quella gara storica, vale anche oggi per chi deve svolgere una capillare attività di distribuzione Horeca. Conoscere il proprio campo offre un vantaggio competitivo, chi sfrutta questa conoscenza ha molte più chance, valeva allora, ma vale anche oggi. Sfruttate questa conoscenza, valorizzatela al massimo, avrete delle piacevoli sorprese. NEL GIRO DI 5 MINUTI LI RAGGIUNGE.Vedete quali grandi e preziosi vantaggi offre la conoscenza dei clienti, avere relazioni, allearsi. La distribuzione Horeca non è solo commercio, no, è anche e soprattutto capacità di relazione, l’Horeca è relazione, la conoscenza degli altri ascoltare, comprendere, offrire soluzioni, servizi. Se non c’è relazione e conoscenza tutto questo non è possibile. Conoscendo è possibile molto di più. Come acqua e miele.
Acqua e miele, beve correndo Spyridon, sente come una nuo va forza che dallo stomaco si riversa potente nelle gambe. CORRI SPYRIDON CORRI. Si ritrova solo in testa. Mancano 8 Km al traguardo e comincia a fare dei calcoli...
Aveva imparato a far di conto mentre correva dietro al carro di Athanasios, sapeva correre e allo stesso tempo calcolare, teneva a mente le consegne e velocemente faceva di conto sulle dracme da incassare, insomma, sapeva sfruttare contemporaneamente questa doppia valenza: faticare e calcolare, lavoro di corpo e lavoro di testa. Ecco un altro vantaggio da mettere a frutto, oltre alla conoscenza del territorio e la relazione con i clienti, la capacità di sfruttare dati e informazioni, analizzare, elaborare stime, fare previsioni, perseguire gli obiettivi con la logica del calcolo. Un distributore che vuole vincere la gara sul suo mercato non può prescindere da questo.
Gli ultimi 2 Km, come tutte le maratone, Spyridon corre con il cuore, gettandolo oltre l’ostacolo, facendo leva sulla sua forza più nascosta, dando fondo ad ogni ultima residua briciola di energie. Ha una scopo: vincere. È il suo sogno.
Se nella vita come nel lavoro manca lo scopo, manca il sogno non ci sarà mai nulla da raggiungere, mai nulla da vincere.
Entra nello stadio Panathinaiko con le lacrime agli occhi, lacrime di sale che si impastano in bocca con il dolce del miele, alza gli occhi al cielo e gli pare di vedere il suo vecchio aquilone.
Un boato lo accoglie, con il volto trasfigurato dalla fatica taglia il traguardo e si abbandona nelle braccia del trionfo, si sente avvolto da un calore potente, quello della sua gente che da quel momento lo amerà per sempre.
Che bella storia, c’è dentro di tutto, tutto quello che in fondo vale: CORAGGIO, TENACIA, FATICA, ASTUZIA, E ANCORA TENACIA.
Anche un distributore di acqua può diventare un eroe olimpico. E siccome sappiamo che la storia ama ripetersi, ognuno di voi può diventare un eroe olimpico. È difficile, ma non impossibile. Impossibile non è per tutti, e non è per sempre. La storia ce lo insegna. CORRI SPYRIDON CORRI. Ora tocca a voi correre, con il cuore e con la testa, la strada la conoscete.
Spyridon Louis ha vinto la maratona delle prime Olimpia di dell’era moderna. Atene, 10 aprile 1896. Una storia epica che ci ha ispirato nella scelta della testata di questa speciale pubblicazione che ora state sfogliando. Anche perché, come abbiamo piacevolmente scoperto, il nostro Spyridon Louis, prima di essere un maratoneta vincente, era un distributore di bevande, una circostanza questa che ci ha parecchio intrigato nel mettere mano a questo progetto editoriale.
Ma torniamo a quella famosa gara per raccontarvi un altro aneddoto. La storia ufficiale non dice che quel giorno ai nastri di partenza per correre (con l’ambizione di vincere) la mara tona delle prime olimpiadi dell’era moderna c’era anche una donna. Sì una donna, si chiamava Stamáta Revíthi ed era conosciuta anche con il nome di Melpomene.
Donna tenace, per non dire cazzuta, Stamáta Revíthi alias Melpomene, che all’epoca aveva circa trent’anni, voleva asso lutamente correre quella gara, convinta di vincerla per poi così diventare famosa da trovare più facilmente un lavoro.
SUOI SOGNI ERANO DESTINATI AD INFRANGERSI. A CURA DI GIUSEPPE ROTOLO«Non è possibile farla gareggiare signora Revìthi» s’imposero con fermezza e senza possibilità di discussione i giudici di gara. Il regolamento di quei primi giochi, influenzato dalle tradizioni e dalla cultura del tempo, escludeva le donne dalle competizioni.
Per di più il Barone De Coubertain, ideatore dei Giochi Olim pici moderni, anch’egli contrario alla partecipazione delle don ne, credeva che il più grande obiettivo nella vita di una donna fosse quello di incoraggiare i suoi figli a distinguersi nello sport e applaudire lo sforzo degli uomini. Posizione incommentabile ai giorni nostri. Quindi, Melpomene restò al palo. Vide i suoi colleghi partire e Spyridon era fra questi.
Ma non era tipa da arrendersi. Per nulla. Il giorno successivo alle otto in punto, sempre da Maratona, Stamáta Revíthi, alias Melpomene, decise di affrontare la maratona da sola. Sì, da sola. Voleva far sapere al mondo che poteva correre come gli uomini. Prima di iniziare si cautelò di farsi certificare la parten za da alcuni testimoni, nello specifico l’insegnante e il sindaco del paese di Maratona e un magistrato della città. «Signori, voi siete testimoni, faccio la maratona: d’accordo?» Erano d’accordo sì, anche perché non c’era nessuna legge che impediva di correre da soli. E cominciò a correre: corri Melpomene, corri...
La donna diede prova di grande resistenza e caparbietà: corse la gara ad un ritmo costante e giunse ad Atene alle 13:30, dopo 5 ore e mezza, dove però fu bloccata da alcuni ufficiali dell’esercito greco che non la fecero entrare nello stadio.
La sua gara solitaria finì lì, senza onori, senza gloria e senza storia. Ma almeno la soddisfazione di ripercorrere la storica via di Maratona se l’era tolta. A Melpomene fu negata la possibilità di misurarsi ed espri
mere il suo talento e gli organizzatori delle Olimpiadi persero l’occasione per nobilitare ancor più lo storico evento. Spyridon avrebbe comunque vinto, questo è fuori discussione, ma la magia che mancò fu proprio la condivisione della sfida.
Condividere una sfida, un percorso, un’idea comune. Conquistare il cielo insieme all’altra metà del cielo. In comunione. Non esiste niente di più. È il tutto.
Spinto e stimolato da Melpomene lo stesso Spyridon avrebbe potuto realizzare un tempo migliore. Certamente Melpomene avrebbe messo in gioco la sua intelligenza tattica - ne aveva parecchia come tutte le donne - si sarebbe inventata un qual cosa per ravvivare la gara e renderla ancora più indimenti cabile. In altri termini, avrebbe indubbiamente arricchito la competizione. Ma tutto questo non avvenne.
Cosa ci dice questa storia? Una cosa molto semplice: far partecipare, coinvolgere e condividere con l’altra metà del cielo un’impresa, rende quell’impresa migliore e totalizzante.
Una regola che vale ad ogni latitudine dell’umano agire ed operare. E visto che il nostro Spyridon faceva il distributore di acqua minerale, vale anche per i grossisti di bevande di oggi.
Inclusione e parità di genere. Le donne al vertice di un’azienda migliorano l’azienda, lo dimostra il rapporto Unlocking Female Employment Potential in Europe che ha approfondito la situazione relativa alla parità di genere nei Paesi del vec chio continente riscontrando, quando una donna è nel board di comando, notevoli benefici in termini di crescita economica, di produttività delle imprese, di condizioni di vita di benessere per tutti.
È veramente uno spreco non avvalersi dei talenti e delle caratteristiche femminili: pazienza, prudenza, intuizione, empatia, pragmatismo, concretezza, disponibilità all’ascolto e al lavoro di squadra. Sono quei fattori-valori indispensabili in un settore come l’Horeca caratterizzato da elevate incertezze e da cambiamenti continui e repentini. Per avvalersi di questi vantaggi le aziende di distribuzione di bevande devono aprir si al femminile e combattere quegli stereotipi che purtroppo persistono e che vedono le donne poco credibili, emotive e poco resistenti. Non è così.
Anche la storia di Melpomene è lì a dimostrarlo. Il nostro Spyri don farà bene alla prossima maratona - che prima o poi dovrà affrontare - a correrla con Stamáta Revíthi, alias Melpomene.
Un breve inciso: nella mitologia greca Melpomene era una musa, figlia di Zeus e Mnemosine, figlia quindi della potenza e della memoria. Sempre la mitologia narra che poi dall’unione di Melpomene con Acheloo, il dio fluviale, siano nate addirittura le Sirene, quegli esseri mitologici metà donna e metà pesce capaci di ammaliare i marinai. Va beh, questa è un’altra storia, però, forse, in qualche modo c’entra anche con la nostra. La storia, lo sappiamo, ama ripetersi.
Un grazie ai preziosi e autorevoli collaboratori che con le loro ri cerche, riflessioni e idee, hanno dato corpo e sostanza a questa pubblicazione. Fabrizio Bellavista, Matteo Figura, Adele Gorni Silvestrini, Graziano Guazzi, Eros Lovece, Piero Netti, Stefano Pera, Nicoletta Polliotto, Paolo Porcelli, Marco Ranocchia.
Un grazie particolare a Febo Leondini, per i suoi suggerimenti sempre geniali. Uno speciale ringraziamento a Stefano Betti, presidente del Consorzio San Geminiano, per l’utilizzo della foto storica (la mamma con il bambino).
Progetto Grafico: Eros Lovece e Valeria Todisco Impaginato e scelte iconografiche: Valeria Todisco Stampa:
by
Bari
al R.O.C.
www.horecachannelitalia.it
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