INSEGNAREDUCANDO. N ° 17 - 3/2012

Page 1

News 17 012 Marzo 2

Sommario 1. Voti inutili: la valutazione che dis-educa 2. E se il nostro sistema di valutazione fosse...un grande abbaglio? 3. Questo metodo non funziona! 4. Caro prof, il voto me lo do io! 5. Meritocrazia = l’ingiustizia sdoganata 6. Insegnare la metacognizione 7. Scuola accogliente... 8. Scuola competente

Educa

Voti inutili: la valutazione che dis-educa.

re all’ appre ndime s ig nto nif educ are a ica ll’AUT O-STIM A = svilup pare la cap estima acità rsi da di s o li, v alutar comp si, rende r il prop e a che pu n r e pro gram io percorso to è mare tem per p roseg pi e modi uire il cam mino.

spina cchiamo la A volte sta o m ia e ci adegu massa. i d ro e al pensi la, Ma a scuo ioso: ttivo è risch ie b o l’ re e perd anno!! si può far d to che E’ accadu dattati ci siamo a iudizi... tazioni e g lu a v re a d a che E pensare o bene: lo sapevam ato e bacchett “Chi cresc lo so cammina e”. col baston questo E’ proprio are? mo insegn che voleva

Cari colleghi, fermiamoci a pensare. La scuola passa metà del suo tempo ad organizzare una valutazione “oggettiva”. Numeri, tabelle, grafici, istogrammi, proporzioni, calcoli di peso e medie matematiche. Buona parte delle riunioni tra insegnanti servono a confrontare le valutazioni sugli allievi e il consiglio di classe finale raggiunge tutti i record: ore di contrasti e litigate per stabilire la pagella degli asini a cui facciamo scuola. Da più di un decennio funzioniamo così. Perché così ci hanno detto di fare. Complimenti! Tutto è iniziato quando i dirigenti hanno fatto il corso da manager, istruiti da industriali esperti nel monitorare con efficacia la produzione. Il corpo docente italiano, capacità critica uguale a 0, non ha potuto/saputo far altro che adeguarsi. Poche solitarie voci, subito relegate in qualche angolino, gridavano inascoltate: “Ma, se fosse un grande abbaglio? Se fosse dannosissimo per l’apprendimento questo sistema di valutazione”? Ora, dopo anni di valutazioni e tanti confronti, convegni, ragionamenti e riflessioni in sinergia con chi non ha mai perso di vista l’obiettivo profondo della scuola (educare all’apprendimento), ne siamo certi: abbiamo sprecato tempo a fare danni! Danni grossi, molto grossi se si pensa che in un decennio la scuola viene

attraversata da un’intera generazione di ragazzi. Il controllo sistematico, scandito, puntuale, incasellante della valutazione proposta in massa dalle menti più eccelse, ha impedito in questi anni l’apprendimento dell’abilità analitica di sè, dell’AUTO-STIMA come capacità di estimarsi, valutarsi, comprendere a che punto è il proprio percorso e adguarlo, da soli. Non chiedeteci perché abbiamo deciso di alzare questo polverone proprio ora... uno resiste fino ad un certo punto, poi sbotta! Soprattutto se è un insegnante che continua a provarci e riprovarci, a rappezzare i danni di tanti giudizi e medie matematiche che tranciano i cammini di chi fa fatica, riportando l’apprendimento ad un numero da raggiungere. Chi lavora con gli ultimi della classe sa bene cosa aiuta e cosa confonde: da sempre evita il giudizio, il voto e inventa “altri modi” per dare agli sfigati le scarpe giuste per intraprendere un cammino di apprendimento. Ma questi sparuti insegnanti non bastano! Ci vogliono pedagogisti che motivino e approfondiscano la questione dal punto di vista educativo! Speriamo che, avvicinandosi la Pasqua, risorgano anche loro dalle tombe silenziose in cui sono stati messi a tacere per tanti anni. Sarebbe proprio una bella primavera! LG

1


News insegnanti Gruppo Abele

La bussola

E se il nostro sistema di valutazione... si p

L one a doc com imo e o logia di t b r d tram i valu ovare iettivo com ite v tazio meto quel ne lo di e te arie st, p tipo ogge tti lo ro non ve str gie di vi, stru uttur prov a e ttur per ate te, pr , La v m o . ve e ap p tt a ren e di c lutazio ollo don ca ne o in cor re co su u un li rispo loro c v nde na sca ello, nza he l a ad di o Ciò bie ordina p t t tivi. a scie erme nza tt agl e di fa i stu r pr con denti ender d e de , ec l s 0 l e i vell u1 o d guiti e i prog ori, 7 s sì e ress i m c i o co , ei nu ma omp “Qu l rimand ellabile e t u t e r a p w n e p t u z ww o a a q o .wik dott o e in i pe ettiv mai pro sità, g g d o ia.o rio ha rg non ita né cu to”. n c s a e c cr in is d solo

Così funziona , ma... siamo certi che sia davvero efficace?

... fosse un grande abbaglio? A scuola la frenesia incalza: - Dobbiamo preparare altre schede di verifica! È importante dare agli allievi un rimando che faccia capire a che punto sono. Ascolto attonita e incalzo i colleghi: - Pensate davvero che abbiano bisogno di sentirselo dire? Da soli non capiscono la loro difficoltà? E quando avremo detto loro quello che ancora non sanno fare, impareranno di più? La faccia dei miei interlocutori si fa interdetta: non sanno rispondere. Certo. Abbiamo toccato il nocciolo della questione. Gli allievi sono in grado di capire il percorso che hanno fatto, oppure no? Attenti a rispondere: la questione è delicata! Se rispondiamo in forma negativa, significa che abbiamo ben chiaro chi sono i nostri allievi: degli inetti, incapaci di intendere e di volere, così immaturi e “verdi” da dover essere condotti passo passo nella comprensione del loro cammino; a loro, insomma, dobbiamo dire tutto, sennò “non ci arrivano proprio”. A noi il compito di dover pensare una serie infinita di test, dai prerequisiti ai quesiti iniziali, a quelli in itinere, a quelli

2

finali, senza lasciare mai nulla di non detto, non sottolineato, rimarcato, incasellato, visualizzato. Solo così quei poveri imbecilli che dobbiamo istruire potranno vedere il loro percorso nero su bianco, magari con qualche diagramma di flusso che evidenzi quanto stanno calando nell’ultimo quadrimestre. Oppure… Proviamo a interrogarci: pensiamo alla nostra storia e con sincerità contiamo quante volte ci è stato di stimolo al miglioramento, il rimando esterno di qualcuno che sottolineava i nostri traguardi incompiuti. Beh, non so voi, forse io sono stata sempre un po’ ribelle, ma ho ancora nitido, dopo 40 anni, il ricordo della mia maestra, il dito puntato e le vene gonfie sul collo che gridava: “Ancora 7 errori nel dettato! 7 su 10, una vergogna! Dopo tutto il tempo perso a spiegare quando mettere la è o la e, continui a sbagliare”! La verifica era il venerdì, puntuale, fissa, inderogabile, a ricordare a tutti noi le nostre imbecillità. L’effetto della presa di coscienza su di me e sulle mie compagne, non ha mai funzionato, a parte il fatto di aver suscitato una tale insicurezza da indurmi a pensare di essere la sola defi

ciente della terra che non avrebbe mai imparato a distinguere verbo e congiunzione. Contro ogni aspettativa, appena l’incubo della scuola primaria (e della maestra), per grazia ricevuta, finì, d’incanto, senza perché, capii tutto e per sempre. Quei numeri, 7 su 10, quel rimando così oggettivo e inappellabile, non ha mai prodotto crescita né curiosità, solo disincanto. Quando si insegna con l’idea che gli allievi siano i protagonisti del loro percorso di apprendimento, è tutta un’altra faccenda! La verifica non è mai un dato, un numero, una cifra, una casella, una risposta esatta: la verifica è auto-riflessione. Quando insegnavo ai piccoli, prima elementare, chiedevo spesso: - Vi sembra di aver capito? È meglio rivedere qualcosa oppure proseguire? Avevano 6 anni i miei allievi, eppure ogni volta mi sorprendeva la schietta lucidità di cui erano capaci: - Facciamo ancora un po’ questo lavoro, così mi sento più sicuro – rispondeva Luigi, non certo il primo della classe.


News insegnanti Gruppo Abele

La bussola

Questo metodo non funziona! Se la scuola vuole fare progressi, ci vuole ben altro.

Qua ndo si c o n l’id insegna gli a llievi ea c s del l iano i pr he oro ota app percor gonisti so re è tut ta u ndimen di n’alt t ra fa o, non L cc a verif è ma ica enda! i un dato una cif ,u una ra, una n nume c rispo r la ve sta e asella, o, rifica s a è au to-ri tta: fless ione .

È facile a 6 anni l’auto-riflessione? Difficile a 12, a 16…? No! Siamo stati tutti adolescenti e sappiamo come a quell’età si pesi ogni cosa: la relazione, l’amicizia... la giustizia. L’età della bilancia non ammette sconti per nessuno, tantomeno per se stessi. Gli adolescenti sanno benissimo quanto è coraggioso o traballante il loro percorso di apprendimento, conoscono perfettamente il livello del loro scarso impegno e come compiere con forza un’accelerata che faccia recuperare. Perché allora non si muovono? Perché, da quando sono nati, il loro agire è spinto, speronato, disciplinato, organizzato, controllato da qualcun altro al di fuori di sé. Quali spazi esistono per la riflessione? Quali momenti per guardarsi dentro e scegliere da che parte andare, come, quanto e se accelerare o rallentare il cammino?

Crediamo davvero che saranno le nostre ramanzine a farli riflettere! Le lavate di capo, che sottolineano i livelli di ciascuno, speso sono spazi giudicanti che inducono gli allievi a trovare strategie per non fare la figura del cretino davanti ai compagni. Se l’insegnante sottolinea i miei limiti, quelli diverranno la mia forza: sarò il più rimproverato della classe, quello che colleziona più note, quello che andrà più volte dal preside…la mia gara con l’autorità mi vedrà vincitore…del peggio! D’altronde, se non è possibile vincere, almeno ci si guadagni l’onore di una perdita gloriosa, che tutti ricorderanno! Ecco perché la valutazione non porta alcun risultato. Ecco perché, nonostante più di un decennio di INVALSI &C e migliaia di parole sprecate a giustificarne costi e metodi, siamo sempre gli ultimi della classe. Qualcuno dovrà pur dirlo: questa valuta-

zione non funziona!!! Se vogliamo fare progressi nell’apprendimento, togliamo i voti, le schede di verifica, i test, le pagelle: istituiamo spazi di auto-riflessione in contesti in cui la relazione sia l’elemento fondante e i ragazzi possano sentire di non essere giudicati. Regaliamo loro tempi e modi per scegliere il ritmo della corsa e le pause. Insegnamo loro la metacognizione in cui osservarsi, individuare da soli le difficoltà e i nuovi traguardi, proporre cosa approfondire e cosa tralasciare. Allora, solo allora, la consapevolezza degli allievi, anche quella dei maggiori provocatori, potrà esprimersi e dire ad alta voce: “Credo di aver ancora tanto da imparare”. Grazia Liprandi

5 3


lo stuzzicadenti

News insegnanti Gruppo Abele

Caro prof, il voto me lo do io... Abbiamo sempre dato voti. Cambiare? Come si fa a farne senza? Ecco un facile esercizio per educare gli allievi all’auto-valutazione. Ogni componente del gruppoclasse è invitato a capire a che punto è giunto il suo percorso di apprendimento relativo ad una particolare disciplina. 1) Se volessi metterti alla prova e capire cosa sai fare di …(italiano, geografia, fisica, storia, matematica …) che attività proporresti per verificare il tuo percorso di apprendimento? a- Un tema/testo b- Una lettura con domande di comprensione c- Un colloquio su un argomento d- L’analisi di un testo e- Un problema, un quesito da risolvere e- Altro: …………………. 2) Perché proporresti quest’attività? 3) Quale escluderesti? 4) Perché la escluderesti? 5) Inizia a fare quello che hai deciso. Chiedi all’insegnante di suggerirti il materiale (testo, titolo, problema…) più adeguato. 6) Al termine del lavoro, rileggi tutto con attenzione (nel caso del colloquio, rivedi la registrazione), poi rispondi (dentro di te e con molta onestà) alle seguenti domande: a- sei soddisfatto del lavoro effettuato? b- Se si, perché? c- Se no, cosa ti dispiace maggiormente? d- Avresti potuto svolgere il compito diversamente? e- Quali vantaggi o svantaggi ne avresti avuto? f- Osservando il tuo lavoro decidi se: Sei pienamente sicuro e ti senti capace di svolgere altri compiti simili Hai bisogno di rivedere alcuni

4

argomenti legati al compito. Hai bisogno di esercitarti su ... (cosa?) Avresti bisogno di rivedere al cune parti con l’aiuto di un compagno. Avresti bisogno di rivedere al cune parti con l’aiuto dell’insegnante. Puoi farcela da solo. Dovresti dedicare un po’ di tempo questa settimana ad approfondire qualche argomento legato al compito. 7) Ora programma per scritto il lavoro da fare nel prossimo mese, partendo dalle tue analisi:

a- Quali argomenti approfondirai? b- Lavorerai da solo, a coppie o a piccolo gruppo? Con chi? c- A quale insegnante chiederai un aiuto? d- Quante ore alla settimana dedicherai a questo impegno? e- Lavorerai a casa o a scuola? f- Di quali spazi hai bisogno? g- Di quali materiali? h- Dopo questo allenamento, cosa pensi di riuscire a fare fra un mese?

ovare? non pr e, è h c r il Pe rà fac ato ad Non sa no mai prov re ripete on han llievi n si, occorrerà izio. a li g e r s eserc aluta auto-v dicamente l’ potranno , essi perio po erano id s lo grup e o d c lo ic e p S ntarsi in confro


News insegnanti Agorà libera Gruppo Abele

News insegnantiIlGruppo Abele binocolo

La metacognizione che aiuta a studiare Cosa sto facendo? Perchè? Come posso essere più efficace? Insegnare ad auto-interrogarsi aiuta ad apprendere di più. Un soggetto che “usa” bene la metacognizione è una persona che riesce a porsi almeno tre domande fondamentali durante l’esecuzione di qualsiasi attività di problem solving: 1.Cosa sto facendo? 2.Perché lo sto facendo? Qual è lo scopo per cui sto facendo questa determinata cosa? 3.Come posso agire per fare in modo che tale processo sia massimamente efficace? Si può quindi affermare che la metacognizione è uno strumento di apprendimento mediante il quale si rendono le persone consapevoli del modo in cui affrontano i compiti cognitivi e, si insegna a gestire in modo efficace i processi che mettono in atto. (...) L’autoconsapevolezza deve basarsi anche sulla distinzione tra la valutazione di se stesso come persona e la valutazione del proprio comportamento. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che il proprio comportamento non coincide con la persona

e, tenere questi due ambiti uniti, potrebbe creare delle difficoltà di autostima. E’ importante infatti osservare il comportamento in sé e mai la persona, e poter offrire delle modalità di confronto positivo tra le strategie che risultano non efficaci e quelle invece che lo sono, ed insegnare alla persona ad autointerrogarsi sul proprio modo di procedere. E’ quindi importante imparare (ed insegnare) a porsi domande come: «Sono concentrato?», «Mi sono cominciato a stancare?», «Come faccio a memorizzare gli elementi più importanti?», «Tendo a distrarmi?»…(...) Le ricerche in questi ambiti hanno confermato che le prestazioni degli studenti che hanno una buona consapevolezza metacognitiva, in generale, sono migliori poiché il compito viene affrontato con maggior coinvolgimento personale. La variabile emotivo-motivazionale appare quindi avere un ruolo fondamentale; (essa) si poggia direttamente sulla fiducia nelle proprie capacità di portare a termine con successo delle attività, che prende il nome di autoefficacia. (...) In un qualsiasi evento, gli ostacoli o le difficoltà che possono presentarsi, sono perce-

piti come stimolanti per un maggior impegno nel superarli da chi ha un alto grado di autoefficacia (cioè si sente competente), mentre sono percepiti veramente difficoltosi, spesso con la conseguenza di un abbandono del compito da chi ha un basso grado di autoefficacia. La percezione che si ha della propria autoefficacia può cambiare nel tempo grazie ai rinforzi che si ricevono, alle persone che dimostrano di credere nelle abilità dell’altro, dai precedenti successi, l’importante è attribuire (e imparare ad attribuire) ai successi la propria competenza. Quindi, la metacognizione e la motivazione si influenzano a vicenda influenzando a loro volta i processi di apprendimento. E’ perciò importante il modo con cui l’insegnante trasmette questi concetti. Non bisogna solo essere dei “trasmettitori di sapere”, ma è vitale riuscire a trasmettere il messaggio, a chi ci sta di fronte, del valore che riveste per se stesso e per gli altri.

e? re: zion capi i n r g e o tac se p me tti ba a ul l ali: te s nce s’ è ner riflet siero; Co ni co e g u he en ve al c niti ona c si di p o g c s o s de c e Ec er ssie eta lla p i proc : o e m p e r ch na nze o d rop cifi sce ment dei p pe perso s o n ve e la Co ggia nto ; niti 1- l’atte ame og oni ch lettivo c n l a ri i t o z i e t e z rop m orma to in p fun e i z f n llo: ifica cen le in me ntro o ver nos etti e ziona o o c C n c ett di 2- i con ti il fu tivi l sogg i n n . i re e2 cog cui ine i1 t eta con n m u i ess one vi. ai p roc erazi gniti ato d P o 3- le op ssi c enz ce è influ o r p 3 nto lI pu

Paola Romitelli - tratto da: http://www.ilprisma.org/articolo39.htm

5


News insegnanti Gruppo Abele

C’é posta per...

M er e r i t o cr az a z ia = l’in l’ in g iu st izia iz ia sd oganata ogana t a Canevaro ci ha regalato una lunga intervista via mail in cui condivide il suo pensiero sulle mode della scuola di oggi. Una bellissima riflessione che smonta falsi miti della modernità. Tratto da : http://lascuolariguardatutti.blogspot.it/ La scuola sembra ancora un bosco in cui ci si può perdere. (...)L’appartenenza famigliare non protegge da incursioni che possono scombinare(...) Chi cresce è esposto a molte seduzioni che scombinano la vita. Mi domando come abbiamo fatto a corrompere a tal punto il linguaggio da utilizzare il termine “merito” e il suo derivato “meritocrazia”. A volte sembra che con meritocrazia si desideri regolare dei conti, in particolare con l’idea di una scuola aperta e accogliente per tutte e tutti. Mi piace citare Luigi Ciotti: “[…] dobbiamo augurarci tutti – e noi adulti per primi - di essere analfabeti. Quell’analfabetismo che non ci fa mai sentire arrivati, chiusi in illusorie certezze, ma disponibili allo stupore da cui nasce prepotente il bisogno di capire” (L. Ciotti, 2011, La speranza non è in vendita, Firenze-Torino, Giunti-EGA, p. 116). E aggiungere Kipling: “Tutti quelli che ci assomigliano sono Noi, e tutti gli altri sono Loro” (R. Kipling, We and They). Il merito sembra riconosciuto unicamente se assomiglia al mio, al nostro. Per chi ha questo merito, indipendentemente dalla famiglia da cui proviene, il bosco vuol dire un sentiero tranquillo. Preferisco un merito da scoprire, sentendosi sanamente analfabeti, come aveva fatto Paulo Freire sentendosi analfabeta di fronte a contadini che si ritenevano analfabeti ma conoscevano molte cose che Freire ignorava. Riscopriamo il valore delle parole. Sentiamoci analfabeti. Troveremo la speranza. Per una certa occasione, ho scritto, e mi autocito con presunzione. “Merito è una parola molto utilizzata, soprattutto nel suo derivato meritocra zia. Uno degli obiettivi, e uno dei vanti, di un certo modo di proporre un progetto politico fa riferimento alla necessità di restaurare i principi meritocratici. Che, nella corruzione delle parole, sono intesi come meriti da confermare. Chi nasce fortunato, e chi nasce sfortunato. Secondo questo presupposto, i principi meritocratici possono essere interpretati come l’individuazione il più possibile precoce dei fortunati, i meri-

6

tevoli, che devono ricevere tutte le attenzioni. Mentre gli altri, gli sfortunati immeritevoli, devono essere messi in condizione di non far perdere tempo, energie e soldi. Per questo, coerentemente, è non solo inutile ma dannoso come ogni sperpero: organizzare tempo pieno scolastico, insegnanti specializzati per l’integrazione, compresenze, e altri accorgimenti didattici. E nelle università è dannoso perdere tempo, energie e soldi per la ricerca didattica che tenga conto dei bisogni speciali di alcuni, gli sfortunati. In questa impostazione, risultano spese improduttive quelle che riguardano quel settore che viene sovente indicato come “il sociale”, e che si occupa di soggetti problematici (sfortunati e immeritevoli)”. Le spese considerate improduttive sono sempre le prime candidate ad essere tagliate. E’ evidente che questa conce-

zione di principi meritocratici ha un risvolto economico di grande importanza. L’individualismo di questi principi é rinforzata, e si rinforza, con una dimensione individualistica dell’economia. Ma una dimensione individualistica dell’economia può avere prospettive di futuro unicamente rinforzando le difese – e quindi spendendo, ma in difese… nei confronti degli altri. Il merito, e il demerito, come destino, favorevole o avverso, ma sempre individuale. E il merito come carta di credito ricevuta dalla fortuna e che permette di sfuggire al faticoso calcolo della realtà, al pesante sacrificio che rende possibile ciò che si desidera. Mette fuori gioco la fatica del lavoro per un progetto. Mette fatica e strategia al servizio della caccia alla fortuna. Illude che si possa vivere avendo immediatamente ciò che si desidera e che non si è ancora conquistato.


La collezione

News insegnanti Gruppo Abele

Scuola accogliente... E’ appena uscito un libro di Italo Fiorin, docente di Didattica e Pedagogia all’Università LUSMA di Roma e direttore di “Scuola Italiana Moderna”. “Se nella scuola-impresa lo studente è sollecitato ad acquisire abilità necessarie al successo, nella scuola-comunità la relazione con gli adulti lo incoraggia a sviluppare le proprie potenzialità per essere pienamente se stesso”. L’insegnante è di fronte alla classe: pone domande agli allievi. Dopo ogni domanda un numero di mani si alza. Alcuni allievi allungano le mani nella speranza di essere chiamati. Altri non alzano la mano e cercano di non incrociare gli occhi dell’insegnante nella speranza di non essere chiamati. L’insegnante chiama Diane. William, che siede vicino a Diane, conosce la risposta giusta e sa che, se Diane non riesce a rispondere, l’insegnante può chiamare lui. In effetti, l’unico modo in cui William può ottenere un riconoscimento in questa situazione è che Diane fallisca. E’ naturale che, in questa struttura di classe così competitiva, gli studenti comincino a provare piacere del fallimento degli altri. (Kagan S.) Nella scuola l’esperienza del “successo” ha un ruolo fondamentale. Il successo scolastico come esito finale rappresenta il risultato di una lunga catena di successi parziali, conseguiti in seguito al superamento dei numerosi compiti di apprendimento che continuamente gli insegnanti pongono, durante le lezioni, nei momenti di verifica, negli esami finali … Il voto sancisce il livello ottenuto ad ogni prova, ma agisce anche da molla motivazionale. Si può studiare “per il voto”, perché questo mi dà accesso al riconoscimento sociale (apprezzamento dell’insegnante, dei genitori…). Si può anche studiare quanto basta per non prendere un “brutto voto”, così da evitare sgradevoli conseguenze a scuola o in famiglia. Si può, infine, cercare di ottenere “il massimo dei voti”, in competizione con gli altri. Tuttavia, affrontare la realtà dell’apprendimento impostando la motivazione sul riconoscimento esterno è molto

parziale e rischia di produrre più danni che benefici. Il limite principale consiste nell’ignorare che le persone agiscono non solo per ragioni di tipo utilitaristico ed estrinseco, così come non lo fanno solo per motivi razionali. Noi non ci mobilitiamo esclusivamente per ciò che è ricompensato, ma ci impegniamo, e molto di più, senza calcoli utilitaristici, per ciò che è, in sé, per noi una ricompensa, a prescindere da ogni altra attestazione esterna e da ogni vantaggio pratico che possa derivarne. Ci sono cose che sentiamo molto importanti, che facciamo per il piacere di farle o per la passione che ci anima. Hanno senso per noi, ci ripagano della fatica. Una motivazione basata sul riconoscimento esterno non mobilita la dimensione interiore della persona e quindi non costruisce indipendenza, autonomia, fiducia nelle proprie possibilità, proprio quei valori che si desidera perContinua a pagina 8 seguire.

nto name nni, g e s in l’ -alu posta nante Se si im zione inseg orsa sociale e ris rela po, come do la grand a dal grup t n a a t r a n ese r lev igno rappr bile fa che è asi inevita estrinseca è qu ione uale. otivaz individ hezza sulla m petizione ricc com enziale gli altri t a ll o u p s o so la za de sto ca resen In que uita alla p i di classe) costit pagn ata. (i com ché inutilizz so è pres

7


News insegnanti Gruppo Abele

... Scuola competente Dall’ultimo libro di Italo Fiorin, ed.La Scuola Il paradigma attualmente prevalente nelle scuole, almeno ufficialmente, promuove la competizione e l’eccellenza. Ma se uno deve “competere” ed “eccellere”, l’implicazione è che altri devono perdere, persino fallire. Puntare su meccanismi competitivi può favorire l’impegno nello studio e il raggiungimento di buoni o eccellenti risultati da parte di alcuni, ma può anche agire da fattore depressivo e disincentivante nei confronti di chi è consapevole che per lui non ci sarà gara, troppo distante dai migliori per poter misurarsi coltivando aspettative di successo. (...) Non si tratta di rifiutare la competizione, ma di cambiare il contesto nel quale è richiesta. È importante collegare il successo alla responsabilità

Continua da pagina 7 personale, piuttosto che al confronto con i compagni di classe, evitando di incrementare la contrapposizione e favorendo la condivisione della responsabilità del successo. Questo è possibile quando c’è uno scopo generale, che il gruppo sente importante(...) Un esempio illuminante ci è offerto dagli sport di gruppo, nei quali la prestazione del singolo è la condizione del successo di tutta la squadra. Avere uno scopo comune consente di inserire la spinta individuale all’autorealizzazione e al successo all’interno di un orizzonte di senso più ampio ed arricchente. Tratto da: Scuola accogliente, scuola competente Italo Fiorin - Ed. La scuola

, zionare le e s è non Istruire contrario tti, al scire tu iu r r a f i arsi d è sforz quindi lottare s è Gauss i d a v r la cu dello contro me mo o c a s e pr zione. di sele e dsheer n a L e G. D

abbiam Cari co o perchè voluto provoc lleghi, crediam are e s alla rice uscitare o rca de Sul pro in lle scuo che un’altra ssimo n Contin scuola terrogativi, le c he funz uate a umero è poss io segnala vi rci le sc racconterem nano come c ibile ... omunit o di un uole-pe à ’altra b rla c ellissima educanti è g scuola@ he conoscet ià inizia e sperien e e scri grup to. za. vete le Buon la poabele.org v ostre im voro a pressio tutti! ni a

Il nostro

8

viaggio


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.