INSEGNAREDUCANDO N°26 - aprile 2013

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per educare un bambino

ci vuole un villaggio

N° 26 - Aprile 2013

S’impara... nonostante la scuola! Che belle le nuove indicazioni per il curriculum verticale! La prima volta che sono state presentate dalla voce di Giancarlo Cerini, membro del nucleo redazionale, durante un convegno del Forum delle Scuole del Piemonte, hanno suscitato commozione in chi aveva alle spalle più o meno 30 anni di servizio. Dopo un ventennio di parcelizzazione dell’ apprendimento, queste giungono portando aria fresca e restituiscono funzione sociale alla scuola. Lo fanno partendo da un dato di realtà piuttosto crudo, scritto nella premessa: “Per acquisire competenze specifiche spesso non vi è bisogno dei contesti scolastici. La scuola non ha più il monopolio delle informazioni e dei modi di apprendere. Le discipline e le vaste aree di cerniera tra le discipline sono tutte accessibili ed esplorate in mille forme, attraverso risorse in continua evoluzione”. La Scuola non serve più per conoscere! E allora a cosa serve??? Un attimo di silenzio prima di tentare una risposta. Il silenzio fa bene, ma lo abbiamo dimenticato. Prendiamoci una pausa per immaginare che la scuola sparisca del tutto: via edifici, aule, scale fredde e mura scostate; via libri e banchi mezzi rotti e via materie, professori delle materie... I ragazzi escono per strada la mattina, concentrati sul loro ultimi cellulari con connessione internet incorporata e sanno tutto! Cosa manca loro? L’immaginazione mi porta indietro nel tempo, ai primi anni della mia carriera in una super-pluriclasse in aperta campagna. La grammatica era un optional, ma la matematica era utile ai piccoli contadini. Venivano a sedersi nei banchi con gli orecchi tesi alle

finestre per captare l’arrivo della mietitrebbia. Sapevano tutto di semine e raccolti, mi insegnavano ogni giorno qualcosa del loro mondo e io con fatica cercavo di portarli oltre, verso orizzonti che non avevano mai considerato. Andammo a vedere il mare, perché sconosciuto, ma anche a spasso nelle loro terre a fotografare i rigagnoli d’acqua dove finivano gli anticrittogamici che loro distribuivano copiosamente sulla terra dopo la semina. Osservavamo molto, aprivamo finestre e ci confrontavamo, facevamo collegamenti, raccoglievamo le nuove conoscenze in grandi mappe che cercavamo di non chiudere mai. Il loro mondo era di terra; io dovevo pormi in ascolto e imparare quel “sapere” per poi riuscire a parlare loro d’acqua e di cielo, di ecosistemi ed equilibri. A partire dalle loro competenze, costruivamo insieme tutte le altre. Finivano gli anni ‘80. Vygotskij era un faro... Poi, le attenzioni della scuola si sono concentrate sulle singole discipline; ognuna è diventata un mare in cui tuffare gli allievi, senza il tempo di capire le connessioni tra una materia e le altre, tra la scuola e la vita. Nell’ottica di questa modalità di apprendimento, gli studenti hanno trovato altri maestri: i loro magici Iphon pronti a fornire tantissimi saperi veloci e spezzati. A loro basta. Non se ne fanno più nulla di insegnanti sapientoni in cattedra. E ce lo dicono apertamente. Anche le indicazioni per il curriculum affermano che i ragazzi hanno bisogno d’altro. Troveranno maestri capaci di aiutarli a osservare e ascoltare, fermarsi e confrontare, riflettere e discernere, includere e collegare, collaborare e costruire insieme? “Fare scuola oggi significa mettere in relazione la complessità con un’opera quotidiana di guida, attenta al metodo”. Vygotskij è tornato. Ce n’era bisogno! Possiamo ripartire. G.L.

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