per educare un bambino
ci vuole un villaggio
N° 30 - novembre 2013
Inclusività. Un’idea che ha 2400 anni La parola del nuovo anno scolastico è INCLUSIONE. A noi piace soffermarci sul significato profondo dei termini per comprenderli appieno. IN-clusione nasce da IN che significa DENTRO: inserire, comprendere, accogliere. INCLUDERE presuppone uno sguardo aperto e capace di guardare fiduciosamente il mondo intorno a sé. Ecco un passaggio fondamentale: INCLUSIONE è legato a FIDUCIA. Non avviene inclusione educativa se non c’è stima per il contesto nel quale operiamo. Lo sguardo inclusivo nasce da una visione educativa molto diversa da quella che ha dominato la scena fino a oggi, ed è consapevole che ogni essere umano, messo in condizione di sperimentare, raffrontare, cooperare, ipotizzare, verificare, confrontarsi, ha la capacità di apprendere. Il motore dell’apprendimento, al centro di una scuola inclusiva, èallora la circolarità e la contaminazione dei saperi, tra peer e con il mondo adulto, andando ben oltre l’insegnamento frontale, avendo chiara la potenzialità insita in una lezione problematizzante e dialogica. Questo approccio metodologico, oggi sembra rivoluzionario, se pensiamo a come e con quale setting vengono svolte lmolte lezioni. In un libro appena uscito, “BES e Inclusione”, di cui accenniamo in questa news, un nostro collega ci accompagna nell’individuazione di “una scuola veramente inclusiva”, partendo proprio dall’adozione di questo sguardo pedagogica, a dire il vero, antichissimo. Il primo a parlarcene fu Socrate, 2400 anni fa:* “ ... da me non hanno imparato nulla, bensì proprio e solo da se stessi molte cose e belle hanno trovato e generato; ma d’averli aiutati a generare, questo sì, il merito al dio e a me” L’idea di apprendimento basato sul dialogo e sulla partecipazione attiva alla costruzione del proprio sapere (…) prosegue con altre autorevoli opinioni.
Comenius: “L’uomo, come animale razionale, sia guidato dalla propria e NON dall’altrui ragione; e si abitui non soltanto a leggere e capire nei libri le opinioni altrui, ma a penetrare da solo alla radice delle cose”. Rousseau: “ Che non sappia nulla perché voi glielo avete detto, ma perché lo ha capito lui stesso: che non impari da altri la scienza; la inventi. Appena sostituirete nel suo spirito l’autorità alla ragione, non ragionerà più, non sarà più che il trastullo dell’opinione degli altri” Fino ad arrivare ad autori più recenti quali J.Dewey, C. Freinet, U. Bronfenbrenner, J.Bruner, il quale scrive: “Un ruolo attivo di protagonisti, non di spettatori che si limitano ad eseguire i propri compiti canonici secondo la regola e in risposta a segnali prestabiliti… Allora anche l’educazione deve essere improntata allo spirito del forum, alla negoziazione e interpretazione del significato” (…) Occorre però uno scambio di idee in gruppo e qui emerge la dimensione sociale dell’apprendimento (…) con le riflessioni di Vygotskij: “La vera direzione dello sviluppo del pensiero non è dall’individuale al socializzato, ma dal sociale all’individuale” Da qui la necessità di considerare una gestione cooperativa della classe per favorire lo sviluppo delle competenze sociali e della solidarietà, così come delle competenze disciplinari. L’educazione problematizzante e dialogica si basa su un dialogo che NON è un tentativo di imporre la propria verità e nemmeno un semplice scambio di idee, ma un atto creativo e collaborativo nel quale insieme si va alla conquista della conoscenza del mondo. Un dialogo che (…) permette di sviluppare la conoscenza in un contesto collaborativo, umanizzante e tale da risultare un contesto di liberazione*, come ci ricorda Paolo Freire. G.L. * Tratto da Bes e Inclusione. Bisogni educativi “normalmente speciali” di Claudio Berretta, Ed La Tecnica della Scuola 2013 – Cap. 3 pag. 51,52
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