— DOSSI ER SICI LIA —
Paesaggi d i tra s f orm a z ione verso il p a ra dig m a del la res ilienza
Li li a na Ada m o Si mon a Ca m p ione Floriana Roccasalva Gi useppe S c irè B a nc hitta Chi a ra Torris i
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Liliana Adamo Simona M. Campione Floriana Roccasalva Giuseppe Scirè Banchitta Chiara F. Torrisi relatore prof. arch. Marco Navarra correlatore prof. ing. Vito Martelliano
Agli inizi del trecento Ambrogio Lorenzetti affresca nella stanza dei Nove a Siena tre pareti con le Allegorie ed effetti del Buono e Cattivo Governo. Una straordinaria sequenza di immagini e figure allegoriche dà vita ad una prima rappresentazione “realistica” di un paesaggio urbano e di un paesaggio agricolo e naturale. «Molti studiosi hanno decifrato per noi il significato complesso degli emblemi che rappresentano le due Allegorie ed effetti del Buono e Cattivo Governo (1337-1339), tracciandone la complessa genealogia. Ciò che più sorprende l’occhio contemporaneo è la presenza massiccia di città, paesaggi, animali, mercanti, danzatori, e di come luce e spazio vengano rappresentati in maniera ubiqua. Il Cattivo Governo non viene illustrato semplicemente con la diabolica figura della Discordia, ma anche dal buio, dalla città distrutta, dal paesaggio devastato, e dalla gente accalcata. Neanche il Buon Governo viene personificato soltanto dai vari emblemi di virtù e Concordia, ma anche dalla trasparenza della luce, da un’architettura ben conservata, da un paesaggio curato, dalla diversità degli animali, la facilità delle sue relazioni commerciali, la sua arte fiorente. Non si tratta di semplice decorazione, l’affresco richiama la nostra attenzione verso la sottile ecologia del Buon e del Cattivo Governo.» Bruno Latour, Dingpolitik. Come rendere le cose pubbliche, Postmedia, Milano 2011, p. 11. Come ha evidenziato Bruno Latour, parlando della “maniera ubiqua” in cui “luce e spazio vengono rappresentati”, il dipinto di Lorenzetti mostra un’inestricabile connessione tra le azioni degli uomini e l’ambiente costruito naturale e agricolo. Nella rappresentazione del Buon Governo la bellezza e la felicità si percepiscono in ogni dettaglio e sembra che le sorti individuali non possano essere separate da quelle collettive. Nel caso del Cattivo Governo al contrario ogni elemento appare drasticamente separato da tutto il resto ed il dissesto drammatico dell’ambiente naturale e agricolo è accompagnato dai ruderi minacciosi che lacerano la città. Per tali ragioni qualcuno ha visto in queste figure una primigenia forma di visione ecologica. Le strette relazioni richiamano con forza le responsabilità degli uomini in quanto soggetti consapevoli e agenti. Il titolo stesso sottolinea come il Cattivo e il Buon Governo dipendano dalle condizioni politiche ma anche dall’esercizio di alcuni strumenti conoscitivi e operativi che, in un’azione continua, permettono la pratica del governo. Le Allegorie di Lorenzetti richiamano tra le righe la responsabilità del progetto come strumento privilegiato usato dagli uomini per governare le trasformazioni e soprattutto l’indissolubile legame tra conoscenza e azione di trasformazione che lo caratterizza.
CAOS E GRANDI ERRORI PER PICCOLI SPOSTAMENTI DECISIVI Marco Navarra
Nello spazio sottile che divide e tiene insieme i capitoli di questo racconto si aprono una serie di domande decisive. Di che tipo di progetto ha bisogno il buon governo? Quale diverso paradigma del progetto bisogna delineare soprattutto oggi dopo che il cattivo governo sembra aver avuto la meglio? La ricerca In_stability/Inst_ability. Paesaggi di trasformazione verso il paradigma della resilienza, costituisce la coraggiosa esplorazione di una frontiera confusa e incomprensibile, resa ancor più caotica dalla crisi che da alcuni anni ha colpito il mondo. La lucida definizione di un campo teorico si accompagna alla necessaria e paziente ricerca sul campo attraverso la pratica del progetto su un caso studio specifico e preciso. La rigorosa costruzione di concetti e idee si unisce alla definizione e sperimentazione di nuovi strumenti di progetto capaci di esplorare con lucidità contraddizioni e terre sconosciute. La vastità della ricerca è corroborata dalla precisione con cui sono stati scelti i frammenti e le parti su cui si è esercitata l’intelligenza interpretativa e l’immaginazione inventiva. La temerarietà e il coraggio hanno permesso di affrontare frontalmente il caos e le difficoltà tipiche di chi naviga in mari sconosciuti trasformando gli errori in un materiale prezioso su cui far maturare un pensiero originale. Si tratta di un lavoro di ricerca ancora aperto – e questa è la sua forza – ma che ha prodotto uno spostamento decisivo: mostrarci l’urgenza e la necessità di ripensare il ruolo e gli strumenti dell’architettura e di conseguenza anche il modo di insegnarla nelle nostre scuole.
La tesi dal titolo INSTABILE parla di Instabilità e prova a sperimentare i suoi influssi vitali all’interno del progetto di Architettura, rispolverando l’atteggiamento progettuale distillato nella dimensione corporea dell’architettura minore. Il lavoro, frutto di un’esperienza corale, è costituito da tre volumi – l’Antologia, l’Archivio e il Dossier Sicilia – accompagnati da un progetto. Il progetto diventa un’occasione per sperimentare il metodo d’indagine e l’atteggiamento progettuale, trasferibili su alcune delle situazioni più critiche esistenti in Sicilia.
Antologia e Archivio, resoconti della ricerca in divenire L’Archivio raccoglie i testi che hanno corroborato la tesi, realizzando uno zapping letterario sulle argomentazioni cardine come: Sperimentazione vs Specialismo, Riuso integrale, Paesaggio tra economia e immagine, Retroinnovazione e Traduzione. La post produzione dei testi – decontestualizzati dall’opera di riferimento e montati in ordine cronologico – mostrano una panoramica sulle convergenze e le divergenze relative ad alcune delle parole chiave del nuovo paradigma olistico. Il montaggio dei testi pone l’accento sul plagio come strumento necessario al progresso e sul détournement come linguaggio fluido dell’anti-ideologia, che sa di non detenere alcuna garanzia definitiva1. L’Antologia ricostruisce lo scenario di riferimento, fatto da comportamenti emergenti, azioni e progetti relativi a situazioni diffuse glocalmente (in quanto stanno sperimentando l’efficacia delle azioni locali e della condivisione globale dei risultati). Queste situazioni trovano nel nuovo paradigma olistico il comune denominatore. Per entrare a far parte del nuovo paradigma bisogna scardinare il pensiero duale che procede per dicotomie conflittuali, riconoscendo l’importanza del dialogo tra le polarità e il suo potere generativo. La raccolta suddivide lo scenario di riferimento in quattro macro temi, ognuno dei quali dimostra l’inconsistenza di una (f)rigida dicotomia.
IN_STABILITY INST_ABILITY Paesaggi di trasformazione verso il paradigma della resilienza Liliana Adamo Simona Campione Floriana Roccasalva Giuseppe Scirè Banchitta Chiara Torrisi
1. Guy Debord, La società dello spettacolo, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2008, pp. 174-175.
1. Retribalizzazione – Nomade vs Stanziale 2. Deserto – Vita vs Morte 3. Agritettura – Città vs Campagna 4. Terzo paradiso – Natura vs Artificio Emblematico è il conflitto distruttivo tra città e campagna che ha portato allo “sfacelo simultaneo dei due termini”2, oggi così evidente da stimolare innovative forme di dialogo che amplificano la tensione attrattiva e creativa tra i due opposti complementari. La divisione della tesi in quattro macro temi è un espediente che facilita la messa a fuoco delle questioni portanti, senza celare i punti di contatto tra di essi. Le interazioni più forti si hanno tra la Retribalizzazione e il Terzo paradiso, e tra il Deserto e l’Agritettura. Le prime due sono accomunate dal ritorno di categorie comportamentali
2. Guy Debord, La società dello spettacolo, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2008, p. 155. Si trova tra i testi dell’Archivio.
3. G. Borella, Dentro il “progresso scorsoio”, in Lo Straniero,n°164, Febbraio 2014, p. 80.
profonde, ritorno che vede il precisarsi, in modalità innovative, di vocazioni e desideri repressi dai pregiudizi. L’uomo ritorna a pensare a se stesso come parte dell’intero – il pianeta terra – che ha un’intelligenza superiore a quella delle singole parti, riconoscendo l’importanza che la sua capacità inventiva tecnologica può avere all’interno del sistema. Questi ritorni dimostrano la non linearità del pensiero e della storia. La non linearità è sottolineata, in alcune delle sue istanze fisiche, da un ingranaggio dell’antologia – gli orologi “conTEMPOraneo” – che supportano una lettura verticale dei frammenti che compongono lo scenario di riferimento. I frammenti, appartenenti a tempi storici e contingenze diverse, vengono collegati con nessi retroattivi che scardinano la dicotomia noto/innovativo concedendo al futuro e all’innovazione una dimensione pregressa. Un esempio è il nesso tra chinampas e acquaponica. Deserto e Agritettura sono accomunate dall’attenzione verso i sistemi autopoietici, ovvero quei sistemi in grado di preservare la propria integrità adattandosi ai cambiamenti delle contingenze esterne, grazie all’uso di feedback positivi e negativi. Un sistema autopoietico è il paesaggio, che se ben gestito può ritornare ad essere vitale attivando “un’economia concreta del paesaggio”3 lontana dall’immaginario bidimensionale da cartolina.
La traversata dalla civiltà del Logos a quella di Holos L’Olismo, matrice del nuovo paradigma, si sostituisce alla vecchia logica lineare, necessaria ma superata, che ci ha resi sempre più influenti nei cambiamenti strutturali del pianeta, trasformando la nostra capacità creativa in capacità atomica che frammentando può scatenare energie distruttive. La nuova visione diventa sempre più virale con l’accentuarsi della crisi ultimativa, crisi non solo ambientale ma anche sociale, economica e individuale. Sulla fine del mondo – che forse non a caso è una locuzione associata ad un’esperienza di estremo piacere – possiamo sorvolare guardando alle due mappe globali:
4. La ricostruzione si trova a p. 94 dell’Antologia In_stability/ Inst_ability, sezione Deserto.
5. La mappa della Nasa post prodotta si trova alle pp. 104105 dell’Antologia In_stability/ Inst_ability, sezione Deserto.
1. la ricostruzione dello scenario peggiore presentato dall’IPCC-Pannello Intergovernativo sui cambiamenti climatici, pubblicata sulla rivista New Scientist4 che vede il trasformarsi di alcuni paesaggi, attualmente vivi tra cui la Sicilia, in paesaggi energetici invivibili. 2. la mappa della Nasa sulle zone morte degli oceani e dei mari, post prodotta con l’inserimento delle 5 isole di rifiuti plastici che costituiscono lo stato federale The Garbage Patch State5. Tra l’altro le ultime notizie su uno dei problemi più scottanti, l’esaurimento delle riserve idriche, parlano dell’Ominiprocessor, il macchinario finanziato in Senegal dalla Bill & Melinda Gates Foundation per produrre 86000 litri di acqua al giorno e 260 Kw di energia dagli escrementi di 100000 persone. Sembra che ci sia sempre una salvezza di alt(r)a tecnologia dietro l’angolo.
Gli effetti negativi della vecchia visione offuscano i benefici raggiunti dalla civiltà della macchina, accelerando così il passaggio dal controllo forzato e semplicistico del nostro ambiente – guidato da analisi, soluzioni immediate, interesse per il risultato e il profitto – alla strategia della riparazione e della resilienza, che inizia a ricomporre la complessità per comprendere l’importanza delle interazioni e delle contingenze storiche. Questa transizione viene argomentata nella sezione dell’antologia “Terzo Paradiso” che in Architettura è il principio chiave del Movimento Metabolista. Kisho Kurokawa, filosofo e architetto dei Metabolisti, prevede il passaggio dall’Era della macchina all’Era della vita6 basata sul pensiero olistico e sulla simbiosi, concepita come zona fertile tra opposti complementari: Tradizione e Modernità, Vita e Morte, Occidente e Oriente, Scienza e Arte. Per i Metabolisti l’Ise Shrine – il santuario ricostruito ogni 20 anni dal 690 d.C. – diventa emblema dell’impermanenza, considerata la quintessenza del movimento. Così, “l’avanguardia Tradizionale”7 dei Metabolisti anticipa l’attuale cambio di paradigma guidato dall’instabilità, oggi riconosciuta come principio ecologico fondamentale, in quanto indicatore di vitalità e di natura. Il termine natura è vittima dell’abuso che ne ha compromesso l’uso concettuale ed estetico, ma noi ci riferiamo all’antica accezione ricordata da Ivan Illich – la natura (quasi) nascitura dicitur8 – la natura come concetto, idea, esperienza derivanti dal generare. Naturale è ciò che è nato ed è vivo. La triade concetto, idea e esperienza caratterizza il nuovo atteggiamento progettuale, costituito dall’alternarsi di osservazione e azione. La precisazione sul termine natura, scardina una delle dicotomie che strutturano la ricerca: NATURA / ARTIFICIO e ci consente di dar forza al modello paradigmatico dell’oasi, visto da P. Laureano come modello per una gestione sostenibile della terra, e da noi utilizzato come testimonianza fisica del nuovo, e allo stesso tempo antico, atteggiamento progettuale. Infatti, se consideriamo la natura come polarità nella dialettica guerresca uomo-natura, allora le oasi sono puro artificio, ma questo suona come un paradosso, perché le oasi sono a tutti gli effetti un ecosistema vivente. Se adottiamo la logica non-duale, dove il dialogo tra le polarità porta ad un arricchimento reciproco, l’oasi è natura, nata dall’artificio della cultura dei popoli del Sahara. Cultura dinamica, per necessità, tanto quanto gli ecosistemi.
L’instabilità e l’abilità istantanea nel nuovo paradigma progettuale Il nuovo paradigma del progetto, guardando all’oasi, abbandona l’approccio risolutivo (un problema – una soluzione) per concentrarsi sull’approccio sistemico che guarda alla complessità e opera come un processo in cui cambiamenti, attività e azioni sono interconnessi. Le soluzioni così trovate non sono mai definitive e riescono a rispondere simultaneamente a più esigenze: ecologiche, economiche, sociali e simboliche. Si torna ad utilizzare il progetto – spesso corale – come strumento d’indagine per mettere a punto la sceneggiatura, ovvero il copione che fissa ingredienti di relazione e strategie essenziali agli strumenti operativi
6. Kisho Kurokawa, The Philosophy of Symbiosis, John Wiley & Sons; seconda edizione, 1994.
7. Ossimoro utilizzato da Hans Ulrich Obrist in Project Japan. Metabolism talks..., Taschen, 2011, p. 19.
8. Ivan Illich, I fiumi a nord del futuro, Quodlibet, Macerata, 2009.
9. Per il termine “progettazione” leggere il terzo testo tratto da documenti nel frammento “Valparaìso” dell’Antologia In_stability/ Inst_ability, sezione Retribalizzazione.
della progett-azione. Si individuano, così, due dimensioni che dialogano: quella relativa alla conoscenza originale e alle idee (progetto) e quella legata al corporeo, all’intuizione e all’azione (progett-azione). L’ibridazione operativa di queste dimensioni (praticata da realtà didattiche come i Rural studio, Valparaìso e l’AA di Londra nel campus di Hooke Park) allontana l’architetto dall’ingenua prospettiva del perfezionismo che annulla l’opportunità dell’errore, fattore scatenante per l’innovazione, e affievolisce le potenzialità della pratica come attività cognitiva. Le realtà didattiche studiate affrontano empiricamente le riflessioni sul ruolo dell’architetto, oggi sempre più marginalizzato, rendendo evidenti le sue capacità dovute all’assimilazione di un sapere contrario alla specializzazione, all’esercizio continuo di proiezione verso il futuro e all’abitudine di affrontare situazioni ibride e rese complesse dall’incertezza. Quest’ultima è la certezza nel tempo, legata alle interruzioni, ai cambiamenti e agli elementi di resistenza del tempo. L’instabilità, anche nel progetto, è accompagnata da altri IN: l’indeterminato, l’inutile. L’inutile non è il dis-utile ma l’utile nel tempo, così come l’indeterminato – al quale guarda l’architettura lo-fi a bassa definizione – non è il non determinato ma il determinato nel tempo. L’instabilità in architettura mette in evidenza due dimensioni del tempo. La prima è la stabilità mutevole (l’in_stability) fatta da equilibri dinamici pronti al cambiamento, con i quali è possibile dialogare attraverso l’apprendimento, ovvero la conoscenza originale – il progetto – che intreccia passato e futuro, tempi e mondi appartenenti al tempo storico collettivo. La seconda è l’abilità del momento – istantanea – (l’inst_ability) caratterizzata dal susseguirsi di osservazioni e azioni nel tempo della vita del singolo, il presente della progett-azione9.
In questo modo si torna a pensare all’Architettura come disciplina indiziaria, qualitativa, che ha a che fare con casi, situazioni, documenti individuali e che presta particolare attenzione per i dettagli marginali. Le discipline indiziarie, come sottolinea Carlo Ginzburg10, non rientrano nei criteri di scientificità desumibili dal paradigma galileiano, al contrario praticano la nuova visione che ha segnato il passaggio dalla civiltà del Logos alla civiltà di Holos11. Il metodo indiziario procede sperimentalmente – provando e riprovando – provare vuol dire convalidare e tentare allo stesso tempo, creando una simbiosi tra il mondo delle idee e dell’esperienza. Il progetto
10. Carlo Ginzburg, Spie. Radici di un paradigma indiziario, in Miti, emblemi e spie. Morfologia e storia, Einaudi, 2000, p. 170. 11. Ervin László, Cambiare o non cambiare, in Verso la città territorio. L’esperienza di Danilo Dolci, a cura di G. Corsani, L. Guidi, G. Pizziolo, Alinea Editrice, 2012. Si trova tra i testi dell’Archivio.
instabile è vicino al sentire e all’operato dell’architettura minore, si prepara al confronto con le contingenze corporee soggette a mutamenti ciclici e talvolta repentini, trova soluzioni sub-ottimali quindi non definitive ma aperte ad un perfezionamento continuo, si presta alle esigenze temporanee. Il progetto instabile demolisce le pretese di ottimalità e di controllo rigido della realizzazione, tipiche del progetto moderno che crede di poter bloccare la resa finale dell’architettura su carta, esaurendo tutte le possibilità legate a prefigurazioni future dell’abitare, del comportamento e della vita in genere. Emblematico è il progetto di Le Corbusier per gli alloggi operai a Pessac, considerato un fallimento per via delle modifiche kitsch consentite agli inquilini dalla modularità di ciascun edificio, composto da elementi standard che si incastrano come tessere nella griglia della pianta libera. L’idea che l’autorialità pura e cubica di Le Corbusier fosse stata sfregiata dagli operai di Pessac, fu smantellata dallo studio dell’architetto Philippe Boudon – Pessac de Le Corbusier – nel 1969, sino ad arrivare all’architettura vissuta di Elemental. «Una volta Le Corbusier disse, in un’affermazione solitamente usata contro di lui “Sapete, è sempre la vita ad avere ragione e l’architetto ad avere torto.” Non era la confessione di un errore. Era il riconoscimento della validità del processo rispetto alla santità dell’ideologia.» Ada Louise Huxtable La stabilità mutevole spinge all’indagine utilizzando il progetto come strumento di conoscenza originale, come fase preparatoria alla progett-azione dell’indeterminato, impossibile se allo stesso tempo non si pratica.
Il Progetto e il Paradigma indiziario come dispositivi per una conoscenza originale del nostro Laboratorio, La Sicilia Il progetto sul bacino idrografico del Simeto, ha tratto linfa vitale dalla vita e dall’architettura vissuta. Ha imparato da gruppi di ricerca progettuale che guidano la didattica con esperienze reali e collettive di progetto. L’operato tra teoria e azione della scuola di Architettura di Valparaìso, dell’aula didattica pubblica dei Rural Studio e del campus di Hooke Park dell’AA di Londra. Da Valparaìso abbiamo appreso l’importanza del lavoro collettivo “en ronda” (attraverso il quale si condividono osservazioni, riflessioni, necessità di approfondimento sul progetto, preservando l’individualità dell’esperienza) e l’uso della parola (la capacità di nominare l’essenza dei luoghi come rilievo del reale e allo stesso tempo come prefigurazione progettuale). I Rural Studio sono un buon esempio di risultati estetici soddisfacenti ottenuti attraverso l’uso di tecnologie intermedie e materiali poveri. Il campus di Hooke Park è esemplare in quanto riesce a guidare le questioni estetico-formali attraverso questioni strategiche legate all’economia concreta del bosco. Il Dossier Sicilia, dopo un excursus tra le estensioni geografiche, storiche e sociali della Sicilia, mette in evidenza il metodo e gli strumenti relativi,
utilizzati nel progetto sul bacino idrografico del Simeto. La Sicilia è il nostro laboratorio per due motivi preponderanti. La Sicilia è al centro del Mediterraneo, da sempre ambiente arido che ha spinto le popolazioni ad ingegnarsi, suscitando cultura e edificando i suoi paesaggi. L’isola potrebbe svegliarsi e diventare un esempio di rinascita dalla crisi. In caso contrario sarà la prossima vittima del deserto, in quanto prossima geograficamente, orograficamente e culturalmente alla mezzaluna (in)fertile. Toccata per prima dal suo pacchetto alimentare e dalla sua agricoltura destinata allo sfruttamento intensivo. La Sicilia fa da cerniera tra i paesi in via di sviluppo e la cultura nord-euro centrica. Proprio per la sua origine, come il Cile di Valparaìso, potrebbe avviare la sua personale Ricerca del Nord, acquistando autonomia culturale dall’idea di sviluppo e di tecnologia imperante. Il nostro progetto tenta la sperimentazione di strumenti idonei ad ottenere una conoscenza originale, che diffida di se stessa e del sapere specialistico. Come uno scettico empirico, procede per prova ed errore, consapevole dei limiti della razionalità. Attraverso un atteggiamento indiziario, ha tentato di ricostruire una lettura originale del bacino combinando dettagli spesso marginali. Il progetto è suddiviso in quattro sezioni: la lettura del bacino e del luogo, le dissezioni territoriali, le strategie operative, le istantanee del progetto. La lettura ha incontrato difficoltà maggiori nel ricostruire una visione generica dello stato di salute dell’isola, a causa del tentativo di lavorare per livelli sovrapponibili. I livelli estratti da cartografie elaborate da saperi settorializzati in ambiti del sapere infinitesimali, a volte presentano incongruenze con il resoconto da noi fatto per alcune aree. Un esempio è la carta elaborata da Agromed Quality sullo stato dell’agricoltura siciliana, che campisce l’area del pachinese – industrializzata a cielo aperto dalle serre – come zona ad agricoltura intermedia e non intensiva. O la difficoltà di trovare testimonianze cartografiche sui boschi che ricoprivano la Sicilia, le cui tracce si ritrovano nella toponomastica araba di alcuni terreni della costa meridionale dell’isola12. Utilizzando tre scale diverse comparate nello stesso momento e combinando dettagli cartografici a resoconti scritti (come nel caso della permeabilità dei suoli, dove la carta a scala regionale è stata realizzata mixando una carta litologica – di lettura difficile a un non specialista – con il paragrafo descrittivo di Serafino Scrofani13) la lettura ha iniziato ad assumere un atteggiamento originale. La lettura parla dell’ECO-NOMIA del bacino, delle regole che ne gestiscono la casa, dunque le risorse idriche, il rapporto con la vegetazione, con le monocolture. Lo schema in tre dimensioni fa una sintesi dei diversi sistemi di paesaggio che partecipano all’essenza di Paternò, cerniera dell’intervento, e ne codifica gli schemi di edificazione che vanno dalla monocoltura degli agrumeti, proveniente dalla Piana di Catania, al sistema nudo degli Erei, alle coltivazioni arboree delle pendici dell’Etna che sfumano in riserve abitate da piante relitte da proteggere dall’agire antropico. Dalla ricostruzione Natura vs Artificio alla scala del bacino si vede la sovrapposizione di molte aree SIC E ZPS con il perimetro degli invasi, opere idroelettriche rigide
12. Carmelo Trasselli, Necessità di una storia della agricoltura siciliana, in LaTerza Sponda 2, Antonio Vento Editore, 1955, p. 114. Si trova tra i testi dell’Archivio. 13. Serafino Scrofani, Sicilia. Utilizzazione del suolo nella storia, nei redditi e nelle prospettive, E.S.A., Palermo, 1962, Seconda Parte - La Sicilia dell’albero differente di quella del maggese nudo, che ci viene imposto ancora dal clima, pp. 174-176.
e intrappolate nel paradosso di aver rilocalizzato le aree umide asciugate dalla bonifica, senza la possibilità di dialogare con loro. La foto scattata durante un sopralluogo alla traversa di Ponte Barca mostra come il livello dell’oasi si abbassa in maniera drastica a causa della necessaria manutenzione delle condotte che portano l’acqua del Simeto al Biviere di Lentini. In queste occasioni, soprattutto quando coincidono con la nidificazione, la fauna viene disturbata. Tra gli abitanti il pollo sultano, frutto di una operazione di reinserimento ben riuscita. La rigidità dei grandi impianti centralizzati è sottolineata anche dalla previsione del rischio esondazione, in quanto queste infrastrutture sono soggette a collassi improvvisi o a normali manovre di scarico (dettaglio marginale cucito da più cartografie specifiche ad ogni invaso). Se ci caliamo alla scala del 25.000 nell’area di progetto, che va da Pietralunga alla traversa di Ponte Barca, il punto di vista cambia e si manifesta l’invisibile che corrisponde alla zona bianca ai piedi dell’Etna nella carta a scala bacino. Al 25.000 abbiamo evidenziato il reticolo idrografico superficiale delle saje, che come fiumi – ma artificiali – scorrono tra gli agrumi sfociando come affluenti nel Simeto. La carta sul suolo evidenzia lo stato del suolo e dell’agricoltura. L’incontro tra la Sicilia nuda (o meglio denudata) delle argille e la Sicilia dell’albero della piana alluvionale. Le argille denudate dei boschi vengono dilavate dal violento ruscellamento invernale, apportando fango e detriti al fiume invece che acqua trattenuta, in parte, dalla riserva idrica del bosco. Le dissezioni territoriali esaltano il paradigma indiziario, accumulando indizi che vanno dai disegni dei Benedettini scovati all’Archivio di Stato di Catania; alla scoperta di un territorio vivace tra aziende didattiche, woofer e comunità intenzionali (testimonianza da sopralluogo – la foto della cupola geodetica di Saja Project); allo studio di carte storiche per registrare l’instabilità del fiume spesso dovuta ad azioni dell’uomo (scoperta del Gornalunga come affluente solo dal 1621); alla ricostruzione della nuova orografia della collina partendo da una base cartografica – sui calanchi, ruscellamenti, frane, colamenti, scarpate torrentizie – arricchita dal ricalco dell’ortofoto e dall’uso di google earth storia (sequenza fotografica estrapolata da google earth storia che mostra un colamento ancora non dichiarato cartograficamente); al ridisegno dei tre assi che attraversano il sistema trasversalmente, passando dagli agrumeti alla collina, sovrapposto alla sezione geologica; alle sezioni lobotomiche sul fiume e su porzioni più ampie di territorio. Tutti questi indizi confluiscono nella rappresentazione dello stato di fatto, che tenta di avvicinarsi alla qualità informativa dei disegni più datati, evidenziando la diversa densità degli agrumeti e i fossi di ruscellamento della collina (disegno che potrebbe essere migliorato, in tal senso, imparando dalla qualità di rappresentazione dell’Istituto Geografico Militare e dall’essenzialità dei disegni dei Benedettini). Le Strategie Operative vengono rappresentate: da una carta del bacino che evidenzia la posizione strategica dell’area di progetto, tracciando gli assi che attraversano il bacino e che se resi accessibili potrebbero trasformarsi nelle sue articolazioni per lo spostamento delle persone; dal programma potenziale d’insieme che mette in risalto l’approccio sistemico e
i tempi del progetto; dai dispositivi che fissano gli ingredienti di relazione essenziali ai processi d’innesco della strategia. I dispositivi provano a dare risposte istantanee alle esigenze impellenti, senza trincerarsi in posizioni rigide ma aprendosi a configurazioni future suscitate dal gioco combinatorio degli elementi eterogenei che descrivono l’essenza della rete dei dispositivi. Michel Foucault, che ha introdotto la nozione di dispositivo, ne evidenzia il senso e la funzione metodologica in 3 luoghi14: «Ciò che io cerco di individuare con questo nome è, in primo luogo, un insieme assolutamente eterogeneo che implica discorsi, istituzioni, strutture architettoniche, decisioni regolative, leggi, misure amministrative, enunciati scientifici, proposizioni filosofiche, morali e filantropiche, in breve: tanto del detto che del non-detto, ecco gli elementi del dispositivo. Il dispositivo esso stesso è la rete che si stabilisce fra questi elementi. In secondo luogo, quello che cerco di individuare nel dispositivo è precisamente la natura del legame che può esistere tra questi elementi eterogenei. (…) In breve, fra questi elementi, discorsivi o meno, c’è una specie di gioco, di cambi di posizione, di modificazione di funzioni che possono, anche loro, essere molto differenti. In terzo luogo per dispositivo intendo una specie, diciamo, di formazione che, in un dato momento storico, ha avuto per funzione maggiore quella di rispondere a una urgenza. Il dispositivo ha dunque una funzione strategica dominante. (…)» I nostri dispositivi nascono da urgenze, sono insiemi eterogenei che legano le singole unità in una rete capace di tenere in maggior conto gli eventi e i vincoli locali alle quali le unità sono soggette. I dispositivi sono uno strumento essenziale all’approccio sistemico che rivisita la logica del masterplan per farla dialogare con la diversità del luogo specifico, diversità che è possibile riscontrare in raggi di pochi metri. La loro rappresentazione usa disegni fuori scala per evidenziare i processi e le relazioni tra le misure. I dispositivi hanno a che fare con le dinamiche del sapere, contrapposto “alla sveglia meccanica dell’educazione”15 e alle dottrine disciplinari. Mettono in gioco una grammatica generativa pronta ad essere utilizzata da chiunque voglia tornare ad apprendere da se stesso, senza aspettare di essere educato all’azione. Fissano ingredienti di relazione legati agli obiettivi da raggiungere, per sperimentarli con intuito sul campo della progett-azione. Le istantanee del progetto sono un tentativo di fare un fermo immagine su una delle possibili configurazioni del parco, che può saltar fuori dalla combinazione delle strategie e degli strumenti operativi fissati dall’indagine del progetto. Le istantanee sono in attesa di essere calibrate e convalidate dalla progett-azione e hanno il ruolo di definire uno scenario plausibile ma non veritiero, in quanto rappresentazione di scenari non vivi.
14. Frammento dell’intervista del 1977 intitolata Le Jeu de Michel Foucault, estratto dall’articolo Che cos’è un dispositivo di Amos Bianchi pubblicato nella rivista Adversus, anno X, n°25, del Dicembre 2013, pp. 223-224.
15. Ivan Illich, La convivialità: una proposta libertaria per una politica dei limiti dello sviluppo, Red Edizioni, Trento, 2013, p. 85.
INDICE
DOSSIER SICILIA p.20
DISSEZIONI p.90
Lineamenti del “Magnete Siculo”
p.22
Sezioni
p.92
Il paesaggio agrario
p.24
Microtopografie
p.94
Il “Giardino”
p.27
Tracce
p.96
Il “Genoardo”
p.29
Stato di fatto
p.102
Palinsesto territoriale
p.37
Cattedrali nel deserto
p.41
Connessioni di senso
p.42
STRATEGIA p.106
Caso studio
p.46
Connessioni
p.108
Palinsesto
p.110
Dispositivi
p.116
LETTURE p.50 Agricoltura intensiva e in abbandono
p.54
Rischio erosione
p.56
ISTANTANEE p.124
Rischio da fitofamaci
p.58
Trazzerre
p.126
Rischio incendio
p.60
Via dell’energia
p.130
Copertura naturale
p.62
Via delle arance
p.132
Petrolchimica
p.64
Via del deserto
p.134
Pascolamento intensivo
p.66
Via della saja
p.136
Precipitazioni
p.68
Giardini
p.131
Salinizzazione
p.70
Giardino dell’acqua
p.142
Urbanizzazione
p.72
Giardino centrale
p.144
Lab Sicilia
p.74
Bosco Sacro
p.146
Eco-nomia
p.76
Giardino del suolo
p.151
Acqua
p.80
Suolo
p.82
Clima
p.84
Natura/artificio
p.86
APPUNTI DI VIAGGIO p. 160
20
DOSSIER SICILIA
Il Dossier Sicilia è un excursus tra le estensioni geografiche, storiche e sociali della Sicilia. La Sicilia è il nostro laboratorio per due motivi preponderanti. La Sicilia è al centro del Mediterraneo, da sempre ambiente arido che ha spinto le popolazioni ad ingegnarsi, suscitando cultura e edificando i suoi paesaggi. L’isola potrebbe svegliarsi e diventare un’esempio di rinascita dalla crisi. In caso contrario sarà la prossima vittima del deserto, in quanto prossima geograficamente, orograficamente e culturalmente alla mezzaluna (in)fertile. Toccata per prima dal suo pacchetto alimentare e dalla sua agricoltura destinata allo sfruttamento intensivo. La Sicilia fa da cerniera tra i paesi in via di sviluppo e la cultura nord-euro centrica. Proprio per la sua origine, come il Cile di Valparaìso, potrebbe avviare la sua personale Ricerca del Nord, acquistando autonomia culturale dall’idea di sviluppo e di tecnologia imperante.
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LINEAMENTI del “MAGNETE SICULO” “Il territorio è un’opera d’arte: forse la più alta, la più corale che l’umanità abbia espresso” A. Magnaghi.
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La Sicilia si trova esattamente al centro di un luogo di difficile lettura. Siamo in pieno ambito mediterraneo, oggetto nel tempo di sommovimenti geologici che ne hanno delineato una natura aspra, ma nello stesso tempo incantevole. Le parole di Fernand Braudel, storico francese, ci aiutano a comprendere meglio il concetto di mediterreneità: “che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. [...] Nel concerto del Mediterraneo, l’uomo occidentale non deve ascoltare soltanto le voci che gli suonano familiari; ce ne sono sempre altre, estranee[...] Natura, storia e anima mutano a seconda che ci si ponga a nord o a sud del mare, che si guardi esclusivamente nell’una o nell’altra direzione”.1 L’uomo per adattarsi in questo ambiente ha dovuto trovare delle soluzioni semplici alle complesse condizioni morfologiche dei luoghi, si passa da scogliere impraticabili a vasti litorali di sabbia, da zone boscate, a zone completamente desertiche. Soluzioni che costituiscono ancora oggi un campionario straordinario non di motivi formali da copiare, ma di sistemi costruttivi da studiare per la
Immagine estratta da: Inizio XVII Secolo: originale rappresentazione a volo d’uccello della Sicilia, anonimo italiano (B.N.F.) . Immagine estratta da La Sicilia d isegnata. La carta di Samuel von Schmettau (1720-1721), a cura di Liliane Dufour, Società Storia Patria Palermo, 1995, pg. 92
loro stretta aderenza ai caratteri morfologici ed ambientali del luogo su cui sono sorti. La Sicilia, crocevia del mediterraneo si presenta come un palinsesto ricco e variegato. “ [...] Il valore della posizione relativa e la lunga e ininterotta costruzione del paesaggio sono le due chiavi di lettura fondamentali del territorio siciliano[...]”2. Chi parla di Sicilia, chi cerca di descriverne i tratti peculiari, si imbatte in un coinvolgente viaggio temporale infinito, una terra sedimentata di storia, vicessitudini politiche, invasioni e conquiste. Numerosi popoli, lingue e civiltà vi si sono riversate ed incrociate.
Dai sicani, siculi, elimi (i primi ad insediarsi), ai greci, romani, cartaginesi, bizantini, arabi, normanni, francesi e spagnoli, la cui presenza è documentata da numerosi beni di oltre quattromila anni di storia. L’ambiente fisico ha subito diversi interventi, ma ciò che è mutato in maniera notevole è l’ambiente biologico, soprattutto vegetale, tanto da influenzarne clima e idrografia. Una moltitudine di configurazioni morfologiche come pianure, aree montuose, aree collinari interne e litoranee, generano paesaggi agrari profondamente diversi. Nel lungometraggio “La Sicilia vista dal
MESSINA Zancle (730 a.C.)
TRAPANI P Monte Etna
P PALERMO
AGRI GRIGEN NTO (580 a.C.) Monti Iblei
SIRACUSA (734 a.C.)
CAT ATANIA A (724 4 a.C.) RAGUSA
Principali insediamenti in età greca Principali insediamenti in età romana Principali insediamenti in età araba
Il disegno dell’isola nasce sovrapponendo canoniche cartografie redatte all’interno della Guida d’Italia, Sicilia Touring Club Italiano.
cielo”, prodotto nel 1970 da Folco Quilici e L. Sciascia, emerge la complessa identità di questa regione: “ la Sicilia è innanzitutto una terra che si slarga in pianure ora aride, ora feraci, e si raggruma in dure montagne e altipiani. Una terra povera di corsi d’acqua, ma a volte repentinamente illuminata da lucenti spazi liquidi di laghi e bacini; cretosa e arida in certe zone, o arsa dal vulcano e dalle solfare, è però fertile di messi, rigogliosa d’orti e giardini, o di boschi e pinete”.
L’analisi e il contesto territoriale su cui vorremmo trasporre le nostre visioni e attese è quella del grande magnete siculo, terra sempre più compromessa da fattori antropici e naturali. L’ isola risulta essere: “un vero laboratorio della civiltà umana, dove le lunghe e varie esperienze dell’uomo abitante e organizzatore dello spazio isolano si sono sovrapposte via via sino ai nostri tempi [...] Un laboratorio vivo,dove anche la natura è storia” 2..
NOTE E APPROFONDIMENTI 1- Fernand Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio la storia gli uomini le tradizioni, tascabili Bompiani Milano 2013 . 2- Guida d’Italia, Sicilia Touring Club Italiano, Milano 2007. 3- Lungometraggio “La Sicilia vista dal cielo” 1970 F. Quilici e L. Sciascia. 4- Magnaghi Alberto “Il progetto locale. Verso la coscienza di luogo”, Bollati Boringhieri 2010. “[...]La nostra esistenza si delocalizza, perdiamo la sovranità sulle sue forme materiali e simboliche, mentre quell’autentica opera d’arte corale che è il territorio, costruito nel dialogo vivo tra uomo e natura, subisce una spoliazione sistematica, riducendosi a supporto amorfo di opere e funzioni, quando non a collettore di veleni. Secondo Alberto Magnaghi, uno dei massimi teorici del “localismo consapevole”, è ormai improrogabile riprogettare il territorio su basi di autosostenibilità e decrescita[...]”
“Senza la Sicilia non ci si può formare nessuna idea dell’Italia, in essa si trova la chiave ” di tutto Johann Wolfgang Goethe
“Bisogna ripensare il territorio producendo nuove visioni strategiche a partire da ciò che ci è più prossimo: il luogo in cui viviamo e da cui paradossalmente siamo sempre più sdradicati”4. A. Magnaghi
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Il PAESAGGIO AGRARIO Il bisogno di ricostruire una storia dell’agricoltura siciliana, per una possibile ecologia del paesaggio.
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Parlare di paesaggio significa parlare dei segni e delle tracce che le comunità locali da una parte e la natura dall’altra, hanno impresso sul territorio. Oggi come ricorda Carmelo Trasselli nell’articolo “Neccessità di una storia dell’agricoltura siciliana ”1, tratto dalla rivista La terza sponda anno 1955 n.2-4, si evince sempre più una “necessità di una storia dell’agricoltura”. Il paesaggio agrario ereditato è frutto del lavoro di popoli passati e delle frequenti importazioni di piante e animali, da altri continenti. Le contaminazioni avvenute nelle varie epoche storiche hanno contribuito a formare un peculiare paesaggio, che come tasselli di un puzzle se indagati e studiati, illustrano e ricostruiscono il secolare rapporto tra terra e società. Ma cos’è il paesaggio? Pierre Donadieu, professore di Scienza del Paesaggio presso l’École nationale supérieure de paysage di Versailles-Marsiglia, nel testo Campagne Urbane lo definisce come “un’entità spaziale, culturale e sociale che assume il compito di garantire ad una società il proprio benessere fondando i presupposti di un contesto di vita migliore di quello che si sta costruendo, tanto in termini di spazi di vita che in nuovi orizzonti ecologici e simbolici[...]un processo di produzione di un territorio basato sull’anticipazione del suo divenire sociale e spaziale”2. Mario Di Fido ingegnere
Murales di Salvatore Caramagno, la raccolta delle arancie, piana di Catania.
idraulico, autore de “Architettura del Paesaggio”, definisce lo stesso come un sistema aperto( materiale ed energetico ) in perenne trasformazione, ossia in equilibrio dinamico. Il problema della “tutela” del paesaggio agrario e di una sua pianificazione ancora non trova una giusta soluzione che possa evitare il rischio di perdere questa preziosa risorsa economica ed ambientale. Il paesaggio agricolo oggi, può farsi veicolo di nuova alleanza tra i due ecosistemi “città - campagna” , oramai, sempre più in conflitto, ma da sempre l’una a servizio dell’altra. Sempre nel libro Campagne Urbane Pierre Donadieu, definisce questo territorio come uno dei luoghi più instabili (specie quelli in prossimità dei centri urbani). Territori in marginali , in attesa di future destinazioni (S.MARINI). Oggi, urge una consapevolezza maggiore sull’uso appropiato del suolo e sulle attività di produzione, che in un periodo di instabilità economico-sociale, possono rappresentare un’ op-
portunità di reddito garantito. Le oramai assodate pratiche agricole intensive, la concentrazione del potere produttivo alle sole grandi aziende, l’ abbandono delle piccole e medie imprese agricole, la sicurezza di un lavoro salariato certo, l’innesto di nuove colture energetiche (come il progetto ciliegino) sono tutti fattori che mettono a rischio il potenziale produttivo, sociale ed economico dell’intero territorio regionale. Oggi, risulta difficile ricostruire una storia delle colture ed inevitabilmente del paesaggio siculo agrario. I vari tasselli dalla vecchia texture agricola lasciano ancora oggi traccie ben visibili sui nostri suoli. Dal palinsesto greco-romano, alla più influente traccia invisibile lasciata dagli arabi.
280,000.00 ha
200,000.00 ha
40,000.00 ha
120,000.00 ha numero di aziende agricole
266,361.58 ha 111,161.13 ha 90,702.15 ha 150,866.22 ha 117,072.46 ha 182,518.89ha
SR
33,828 18,117
AG CL
17,336 28,590
EN
20 ,00 0.0 0
RG
CT PA ME
29,310
60,000.0 0
160,000.00
137,446.84 ha
superficie investita a seminativo
14,673 12,770
26,166
162,117.94 ha
Coltivazioni
TR
.00 000 40,
169,273.56 ha
0,00
38,887
superficie investita a legnose agrarie superficie investita a orti familiari superficie investita a prati /pascoli superficie investita ad arboricoltura
25 80 ,00 0.
.00 00 0,0 14
superficie investita a boschi
00 00.00 100,0
120, 000 .00
Rielaborazione grafica della superficie agricola (SAU), utilizzata in Sicilia, su dati elaborati dal Censimentoagricoltura.istat.it
NOTE E APPROFONDIMENTI 1- Carmelo Trasselli , “Neccessità di una storia dell’agricoltura siciliana ”, articolo tratto dalla rivista La terza sponda anno 1955 n.2-4 2-Pierre Donadieu “Campagne urbane .Una nuova proposta di paesaggio della città, Donzelli Editore, Roma, 2006. 3- Le Linee Guida del P.T.P.R. Piano Territoriale Paesaggistico Regionale. “[...]Il paesaggio agrario nasce dall’incontro fra le colture e le strutture di abitazione e di esercizio ad esse relative. Queste ultime, case, magazzini, stalle, strade, manufatti di servizio pubblici e privati, rete irrigua, vasche di raccolta, ecc. , concorrono a definire l’identità del paesaggio e ne caratterizzano i processi dinamici ed economici che le sostengono. Le superfici investite dalle colture agrarie occupano in Sicilia il 69,72% dell’intera superficie dell’isola,mentre le aree boscate, compresi i popolamenti forestali artificiali, le aree parzialmente boscate e i boschi degradati coprono l‘8,20 % della superficie totale.[...] Il paesaggio vegetale
antropico è largamente prevalente dal punto di vista quantitativo rispetto alle formazioni forestali, alle macchie, alle praterie nel territorio costiero e collinare dell’isola:il paesaggio dei seminativi si estende per il 31,7% della superficie complessiva, quello delle colture legnose per il 27,3%, il paesaggio espresso dai sistemi colturali complessi, dalle serre, dai mosaici colturali per il 10,5%. Al contrario, le superfici naturali e seminaturali rappresentano una frazione ridotta della superficie: i popolamenti forestali, formazioni autoctone, latifoglie e conifere, le formazioni degradate e le aree parzialmente boscate l’8,2%; le aree a vegetazione arbustiva o erbacea il 15,4%,le zone aperte, con vegetazione rada e le superfici denudate: il 2,3%. [...] le caratteristiche ecologiche del territorio agricolo sono estremamente importanti per la progressiva perdita di significato assoluto della quantità delle produzioni rispetto alla loro qualità”.
Rielaborazione dati sulle colture agrarie estratti da Le Linee Guida del P.T.P.R. Piano Territoriale Paesaggistico Regionale, sovrapposte a una ripartizione per zone altimetriche del territorio nazionale in zone omogenee derivanti dall’aggregazione di comuni contigui sulla base di valori soglia altimetrici adottati nel 1958 dall’Istat. 1) Area dei rilievi del trapanese 1%
AGRUMETO 16%
VIGNETO
1
COLTURE ERBACEE 14%
48%
C. I.
C. L.
collina interna
collina litoranea
montagna interna
Collina
P.
M. L.
M. I.
montagna litoranea
61,4%
pianura
Pianura
24,4%
SEMINATIVI ARBORATI
14%
COLTURE ARBOREE 6%
Montagna
MOSAICI COLTURALI
15%
COLTURE IN SERRA SUP. NON SOGGETTA A USI AGRICOLI
C. L.
10) Area delle colline della Sicilia centro-meridionale
2) Area della pianura costiera occidentale 1% 8%
14%
AGRUMETO VIGNETO
22%
10
AGRUMETO
1%
COLTURE ERBACEE SEMINATIVI ARBORATI
VIGNETO
16%
COLTURE ERBACEE 40%
24%
38%
SEMINATIVI ARBORATI
MOSAICI COLTURALI 6%
COLTURE IN SERRA SUP.NON SOGGETTA A USI AGRICOLI
2
COLTURE IN SERRA
15%
COLTURE ARBOREE MOSAICI COLTURALI
16%
COLTURE ARBOREE
SUP.NON SOGGETTA A USI AGRICOLI
C. L.
M. I.
P.
P.
11) Area delle colline di Mazzarino e Piazza Armerina
3) Area delle colline del trapanese 1%
21% 2%
17%
3
SEMINATIVI ARBORATI
28%
COLTURE ERBACEE SEMINATIVI ARBORATI COLTURE ARBOREE MOSAICI COLTURALI
COLTURE ARBOREE 11%
VIGNETO
39%
VIGNETO COLTURE ERBACEE
36%
AGRUMETO
19%
11
AGRUMETO
2%
24%
COLTURE IN SERRA
MOSAICI COLTURALI
SUP.NON SOGGETTA A USI AGRICOLI
COLTURE IN SERRA SUP.NON SOGGETTA A USI AGRICOLI
C. I. C. I.
C. L.
P.
C. L.
P.
12) Area delle colline dell’ennese
4) Area dei rilievi e delle pianure costiere del palermitano 2% 1% 9% 1% 7%
VIGNETO
VIGNETO COLTURE ERBACEE
12
COLTURE ERBACEE
SEMINATIVI ARBORATI
4% 3% 1%
4
SEMINATIVI ARBORATI 49%
AGRUMETO
27%
AGRUMETO
21%
COLTURE ARBOREE
64%
COLTURE ARBOREE
14%
MOSAICI COLTURALI COLTURE IN SERRA
MOSAICI COLTURALI
SUP.NON SOGGETTA A USI AGRICOLI
COLTURE IN SERRA SUP.NON SOGGETTA A USI AGRICOLI
M. I.
C. I. C. L.
C. I.
P. 13) Area del cono vulcanico etneo
5) Area dei rilievi dei monti Sicani
26
1%
AGRUMETO
13
AGRUMETO
18%
61%
COLTURE ERBACEE 39%
35%
SEMINATIVI ARBORATI
5
16%
COLTURE ARBOREE 4%
20%
VIGNETO
2% 3% 1%
VIGNETO
COLTURE ERBACEE SEMINATIVI ARBORATI COLTURE ARBOREE MOSAICI COLTURALI
1%
MOSAICI COLTURALI
COLTURE IN SERRA
COLTURE IN SERRA
SUP.NON SOGGETTA A USI AGRICOLI
SUP.NON SOGGETTA A USI AGRICOLI
C. L.
M. I.
M. L.
P. 14) Area della pianura alluvionale catanese
6) Area dei rilievi di Lercara, Cerda e Caltavuturo
15%
AGRUMETO
3% 8% 1%
AGRUMETO
1%
VIGNETO COLTURE ERBACEE
VIGNETO
4%
COLTURE ERBACEE
14
6
38%
SEMINATIVI ARBORATI 17%
64%
50%
SEMINATIVI ARBORATI COLTURE ARBOREE MOSAICI COLTURALI
COLTURE ARBOREE MOSAICI COLTURALI
COLTURE IN SERRA
COLTURE IN SERRA
SUP.NON SOGGETTA A USI AGRICOLI
SUP.NON SOGGETTA A USI AGRICOLI
P.
C. I.
15) Area delle pianure costiere di Licata e Gela 7) Area della catena settentrionale (Monti delle Madonie)
14%
AGRUMETO
2%
15
VIGNETO 29% 38%
COLTURE ERBACEE
VIGNETO COLTURE ERBACEE SEMINATIVI ARBORATI
7
SEMINATIVI ARBORATI
AGRUMETO
1%
2% 49%
22%
COLTURE ARBOREE 1%
30%
COLTURE ARBOREE MOSAICI COLTURALI
1%
MOSAICI COLTURALI
COLTURE IN SERRA
COLTURE IN SERRA
SUP.NON SOGGETTA A USI AGRICOLI
SUP.NON SOGGETTA A USI AGRICOLI
16) Area delle colline di Caltagirone e Vittoria 8) Area della catena settentrionale (Monti Nebrodi)
16 5% AGRUMETO
2% 11%
17%
VIGNETO
8
COLTURE ERBACEE 19%
AGRUMETO
6%
VIGNETO
1%
COLTURE ERBACEE
22%
SEMINATIVI ARBORATI
SEMINATIVI ARBORATI
COLTURE ARBOREE
67% 1%
COLTURE ARBOREE
1% 12%
36%
MOSAICI COLTURALI COLTURE IN SERRA SUP.NON SOGGETTA A USI AGRICOLI
1%
COLTURE ERBACEE SEMINATIVI ARBORATI
65% 8%
COLTURE ARBOREE MOSAICI COLTURALI COLTURE IN SERRA SUP.NON SOGGETTA A USI AGRICOLI
AGRUMETO
4% 1%
AGRUMETO VIGNETO
19%
COLTURE IN SERRA
17) Area dei rilievi e del tavolato Ibleo
9) Area della catena settentrionale (Monti Peloritani)
5% 2%
MOSAICI COLTURALI
SUP.NON SOGGETTA A USI AGRICOLI
9
VIGNETO
31%
23%
1%
7%
17
COLTURE ERBACEE SEMINATIVI ARBORATI COLTURE ARBOREE MOSAICI COLTURALI
11% 23%
COLTURE IN SERRA SUP.NON SOGGETTA A USI AGRICOLI
Il “GIARDINO” Dai greci ai romani
La Sicilia ellenica seppe preservare bene questa risorsa. Riconobbero bene la funzione primaria di difesa dall’azione violenta delle acque di pioggia. “La seppero difendere precisamente dai danni delle alluvioni perchè proprio i vicini ed i lontani monti già boscati, tali si vollero rigorosamente mantenere” 1. Dunque sin dai tempi greci, la Sicilia presentava ricchi pendii boscati , “coste ad ulivi, viti e mandorli [...]si conobbe anche la coltura del grano, ma non fu affatto la predominante.”2 I segni della preminenza agricola greca, sono ancora evidenti nelle campagne siciliane nonostante il fenomeno dell’abbandono e dell’ espansione urbana. All’epoca la campagna era strettemente in piena simbiosi con la città. E’ difficile delimitarne aree ben precise, sicuramente opere urbane ed architettoniche, come gli edifici pubblici, lasciano tracce più consistenti rispetto ad un semplice tracciato di campagna o ad un edificio rurale disperso tra le numerose vallate. La straordinaria fertilità del suolo rese possibile numerosi insediamenti da parte di coloni greci. Emilio Sereni ,scrittore, partigiano, politico e storico dell’agricoltura italiana, in “Storia del paesaggio agrario italiano” descrive il <<Giardino Mediterraneo>> fatto da appezzamenti di terra distribuiti secondo schemi irregolari e chiusi, anche se nella prima di-
Il Giardino della Kolymbethra “[...]Nelle zone più scoscese sono presenti tipiche specie della macchia mediterranea, come il mirto, il lentisco, il terebinto, la fillirea, l’euforbia e la ginestra. Nel terreno pianeggiante del fondovalle, al di là del piccolo fiume bordato da canne lungo il quale crescono salici e pioppi bianchi, si estende l’agrumeto che con limoni, mandarini e aranci di antiche varietà, viene irrigato secondo le tecniche della tradizione araba. Dove l’acqua non arriva, nascono gelsi, carrubi, fichi d'india, mandorli e giganteschi olivi saraceni”.3
stribuzione di lotti ai coloni greci, comparivano le prime regole geometriche. Queste prime distribuzioni appaiono in un documento epigrafo risalente alla fine del IV sec. a.C. , la Tavola di Eraclea. Il documento descrive con esattezza i lineamenti del paesaggio sulle terre di pertineza del tempio di Atena Poliade, ad Eraclea di Lucani. Solo con la
conquista romana il paesaggio agrario assunse dei connotati più specifici. L’ irregolarità dei campi, viene ridefinita in lotti e geometrie ben precise, il sistema del maggese prenderà definitivamente il posto rispetto a quello a campi ad erba. Geometrie e schemi, influenzati dai primi piani urbani di Ippodamo da Mileto(urbanista e architetto greco), incideranno sul territorio che verrà organizzato attraverso il tracciato di due linee fondamentali: il cardo
TAVOLA DI ERACLEA Documento epigrafo risalente alla fine del IV sec. a.C.
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(generalmente da nord a sud) e il decumano (generalmente da est a ovest) e di altre ad esse parallele, disegnate a distanze fisse. Il sistema agricolo era molto avanzato ed aveva già, una chiara propensione mercantile ed intensiva. Le prime opere di bonifica e dissodamenti dei suoli occupati da paludi fecero espandere gli insediamenti in zone apparentemente ostili all’uomo, le foreste presenti fino ad allora vennero disboscate per fare spazio alle grandi monocolture, specie quella del grano. “[...] Alla Sicilia romana si fece presto assumere un prevalente carattere granaio e pascolativo.[...] dal disboscamento dissennato di vaste zone impervie dei sistemi dei Sicani e degli Erei , del nostro interno più interno[...]sembra proprio coordinato magistralmente e diabolicamente perchè la Sicilia assolva il compito di fornire grano e solo grano[...] nei terreni di pianura
dominarono i disordini idraulici a cui i greci avevano sapientemente posto rimedio. E mentre si esauriscono da noi le proprietà, di contro si formano ovunque grandi proprietà con particolari prerogative e diritti ; vasti domini che sono veri stati[...]va-
sti domini in cui si provvede per il soddisfacimento di ogni più vario bisogno, in tal modo annullando l’economia di scambio avutasi fra città e campagna.[...] Le campagne per colmo di sventura divengono domino di bande e briganti”. 2
Assegnazioni di lotti e terre indivise nella centuriatio di Suessa.
NOTE E APPROFONDIMENTI 1-/2 - Serafino Scrofani, Sicilia. “Utilizzazione del suolo nella storia, nei redditi e nelle prospettive”.Editori Stampatori Associati ,Palermo 1962, pp. 11- 30 3- Il “Giardino della Kolymbethra”, nel cuore della Valle dei Templi. www.visitfai. it/giardinodellakolymbethra/dimora Carlo Doglio Lenardo Urbani, “La fionda sicula, Piano dell’autonomia siciliana”, Il Mulino, Bologna, 1972, pp 77-78 : “[...]Lo schema della penetrazione greca in Sicilia è come noto, per <<colonie>>: ovvero luoghi primari d’insediamento sulle zone costiere siciliane che si raggiungevano provenendo da Oriente, seguiti poi da corrispondenti linee di penetrazione che costituiscono di norma la base per la formazione di complessi<<sistemi urbani>>. [...] grandi colonie sulla costa inizialmente approdi di mercanti per un territorio tutto da costruire, da strutturare. Ecco la grande civiltà di commerci di scambi. La Polis come agglomerazione di magazzini.[..]” -Andrea Tosi, “Il paesaggio agrario della Sicilia :trasformazioni storiche ed assetto territoriale emergente.” Estratto da Territorio 15/2000, rivista quadrimestrale del Dipartimento di scienze del territorio, Franco Angeli : “[...]appariva anche all’interno accentuatamente forestato fin dall’età greca ed assumeva presso alcuni abitati costieri specie del palermitano e del catanese gli aspetti caratteristici del cosidetto <<giardino mediteranneo>>”.
Il “GENOARDO” lasciato dagli Arabi
La cultura Araba fu decisiva per la formazione culturale, colturale ed economica del mondo siciliano. Attuarono una vera e propria riforma agraria che porterà all’ isola una redenzione economica portentosa (S.SCROFANI). Abituati a scontrarsi con le criticità del deserto, videro nell’isola la terra promessa, ricca di vegetazione e acqua. Introdussero nuove colture altamente produttive, le proprietà del latifondo vennero frammentate, anche se la coltura prevalente nelle zone interne rimase quella del grano duro. Si innamorarono perdutamente dell’isola rendendola competitiva sotto ogni aspetto, specie quello economico e commerciale, questo grazie all’abbondanza di materie prime ed industrie artigianali. “[...] ovunque è fervore di grandi e di piccole opere; fervore di pionieri
Immagine cartografica della Sicilia, vista da Nord, tratta dal mappamondo in 70 fogli del geografo arabo Al-Idrisi, conosciuto come Tabula Rogeriana, “La delizia di chi desidera attraversare la terra” detto anche “Libro di re Ruggero”, 1154.
in una terra che lungamente era stata castigata, perchè pessimamente amministrata e snaturata[...]”1 .Si coltivava di tutto, riso, canna da zucchero, carrubo, pistacchio, melanzane, spinaci, cotone, canapa, lino, campi di gelsi per l’allevamento dei bachi da seta, insomma una vera e propria policoltura che creò trame di paesaggi colorati e incantati. Imposero nuove forme di governo del territorio, i regimi di proprietà corrispondevano a particolari caratteristiche dei
La Cuba di Palermo (dall’arabo Qubba, “cupola”) fu costruita nel 1180 per il re Guglielmo II, al centro di un ampio parco che si chiamava Jannat al-ard (“il Giardino - o Paradiso - in terra”), il Genoardo. Olio su tela, Rocco Lentini, anno 1922.
territori. Nelle vaste estenzioni di terre incolte vigeva un principio rivoluzionario che ne segnava l’ appartenenza, il dissodamento. Chi dissodava la terra ne diveniva proprietario. “Il dissodamento è il più duro lavoro agrario onde per ottenerne uno strato attivo idoneo per assicurare una prospera vita a delle piante arboree”2. Alcuni antichi latifondi si sostituirono al casale, detto anche Rabal,una grande azienda a conduzione collettiva. Ma, come detto in precedenza, il maggior apporto che lasciarono nel territorio fu quello idrico. Oltre ad essere agricoltori erano anche abili ingegneri idraulici. Crearono reti di canalizzazione dell’acqua, sia sopra che sotto il livello del terreno, con lo scopo di limitare l’erosione del suolo e di ridurre al massimo l’evaporazione dell’acqua, risorsa preziosa e limitata. Vennero costruiti numerose mulini, gebbie, saje, qanat, che permisero la creazione di queste “oasi ”. La Sicilia oggi più che mai ha bisogno in contemporanea di nuove industrie legate al processo agricolo.
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Veduta acquedotto Biscari, in territorio di Adrano. www.agricolaragona.it
RISOCOLTURA IN SICILIA
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Trasselli nel suo documento, citato in precendenza, dà molto rilievo alla coltura del riso in Sicilia. Sin dal XVIII secolo e fin oltre la metà dell’Ottocento il riso era coltivato in quasi tutte le pianure fluviali della Sicilia e i centri di produzione erano gli attuali Lentini, la Piana di Catania, i territori del Simeto tra Centuripe, Adrano e Paternò, Calatabiano, i terreni adiacenti al fiume Salso nell’ennese, Vittoria e Bivona attraversati dal Dirillo e dall’ Ippari e la piana di Ribera vicino al fiume Platani e al Verdura. Fino al 1300 i Genovesi lo acquistavano come bene di lusso, proveniente da più parti dell’isola. Nella piana di Catania, in zone limitrofre al Simeto, come testimonianza materiale, rimane l’acquedotto che il principe Ignazio Paternò Castello, uno dei personaggi più prestigiosi della nobiltà siciliana, fece costruire per irrigari i campi lontani dall’ asta fluviale. L’ acquedotto, realizzato nella seconda metà del ‘700 fu costruito a circa 1 km dalle campagne del Mendolito (antica città Sicula), nei pressi di Adrano, e convoglia le acque delle sorgenti delle “Fa-
vare”, presso Santa Domenica e, attraverso la contrada “ della Carrubba” , le incanala verso il feudo Aragona. Il ponte/acquedotto venne realizzato col fine di migliorare le condizioni igienico-sanitarie del territorio, ma soprattutto per dare l’apporto idrico alla coltivazione del riso, coltura molto più profiqua rispetto all’industria granaria.
L’acquedotto fu meta di scrittori e viaggiatori. Jean Houel, pittore ed architetto francese, nel suo “Voyage pittoresque...” scrive: “Egli [il principe] ha fatto costruire un acquedotto che per ardimento e dovizia è degno di rivaleggiare con quelli romani[...]Si tratta di una costruzione di utilità immensa che tanto più è costata al generoso Princi-
HOUEL, JEAN PIERRE LOUIS LAURENT. Veduta dell’acquedotto Biscari sul fiume Simeto. Fonte: www.maremagnum.com
Veduta odierna dell’ acquedotto biscari http://structurae.net
pe in quanto ha dovuto superare difficoltà di ogni genere”. Ma nel 1781, in seguito ad una forte piena crollò la parte centrale, rimasero in piedi soltanto sette archi a sesto acuto minori, rispetto ai 31 di cui la struttura era composta. Venne ricostruito nel 1791, secondo i disegni del francese Pierre Francois Léonard Fontaine, dall’architetto catanese Salvatore Arancio. La costruzione dell’acquedotto, di mulini ad acqua, di strade, ed altre opere di bonifica favorirono l’ammodernameno agricolo del territorio, con la conseguente specializzazione in alcune colture. Quella del riso durerà sino al 1877 e sarà strettamente delimitata lontano dagli abitanti per motivi igenico-sanitari. Un decreto regio del governo Borbonico, risalente al 1820 proibiva già la duffusione entro i limiti dei centri abitati e lungo le strade principali. “[...] Per la piantagione de’ risi venivano interessati l’agricola industria e la salute pubblica in un tempo.Questo prodotto quantunque non indigeno, pure dà felici successi in vari punti della Sicilia, ma nasce grave inconveniente nell’atto del germoglio, giacchè l’aria diviene malsana e produce delle perniciose malattie la coltura del riso ha in ogni tempo richiamato l’attenzione del governo, emettendo energici provvedimenti per impedire i mali che cagiona a scapito della pubblica salute[...]Re Ferdinando considerò in primo luogo il danno dell’abusiva coltura.[...]Nel 1820 non poteano più piantarsi che alla distanza di tre miglia da qualunque popolazione” 1 . Si promuoveva così la coltivazione
a secco ma con scarsi risultati, soprattutto nelle rese. Un altro dei luoghi più redditizi di proprietà dei Biscari caratteristici per la risocoltura era in territorio di Acate in provincia di Ragusa. Quest’ultima, attraversata dal fiume Dirillo, aveva una configurazione territoriale più idonea ad accogliere le risaie in quanto il terreno predisponeva di un leggero pendio. “Le acque del Dirillo erano fatte risalire attraverso un sistema di piccoli canali artificiali nelle risaie più elevate e poi fatte passare ai terrazzamenti posti più in basso, per arieggiare con il ciclico ricambio dell’acqua le piantine di riso. Più anticamente, l’acqua prelevata dal fiume era trasportata quotidianamente dai contadini con gli animali da soma in enormi secchi o contenitori e portata in cima alla risaia più elevata e in questa riversata. Il prezioso liquido, per
Immagine estratta da: http://www.acateweb.it
caduta naturale, poi discendeva lentamente nelle risaie più in basso fino ad arrestarsi al livello desiderato. L’acqua, infatti, ha la duplice funzione di mantenere costante la temperatura delle piantine, proteggendole dalle variazioni termiche e di ossigenarne le radici, attraverso il suo costante e continuo movimento. [...]Le tecniche per estrarre i chicchi di riso dalle spighe erano, nel 1700, molto primitive e si basavano esclusivamente sull’utilizzo di molta manodopera umana[...] In Sicilia e in molte regioni italiane questi metodi furono usati anche per tutto l’Ottocento e furono abbandonati solo agli inizi del secolo scorso, quando cominciarono a diffondersi le trebbiatrici, le macchine per la lavorazione del risone e gli essiccatoi meccanici”. 2 31
NOTE E APPROFONDIMENTI
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1-/2 - Serafino Scrofani, Sicilia. “Utilizzazione del suolo nella storia, nei redditi e nelle prospettive”.Editori Stampatori Associati ,Palermo 1962, pp. 34- 35 1- Nota estratta da e-book in www.liberliber.it : “Storia cronologica dei vicerè, luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia”, Di Blasi Giovanni Evan gelista, Palermo dalla stamperia oretea Via dell’Albergaria n. 240. , 1842., edizione elettronica 2008. 2-Archivio Notizie 2008/12 “La coltura del riso a Biscari”, un racconto a cura del prof. Vittorio Pavone. www.acateweb.it -Corrieredelmezzogiorno.corriere.it Redazione online 21 novembre 2011(ultima modifica: 22 novembre 2011) , Il riso ritorna a crescere sull’isola Adesso arancine «made in Sicily». PALERMO - Arancine con il riso «made in Sicily»? Si può e presto sarà realtà. A sollevare il caso La Stampa. La giornalista Laura Anello ha infatti intervistato un imprenditore di Enna, Angelo Manna, uomo controcorrente che ha deciso di tornare a coltivare e a produrre in Sicilia il riso, anche se nell’ultimo secolo nessuno ci aveva più provato. Giorni fa, quando Angelo Manna e suo padre si sono recati ai campi per la prima mietitura, si sono accorti di aver vinto la scommessa: il riso cresce anche a chilometri di distanza dalla pianura emiliana o padana. Le coltivazioni saranno adesso inviate in Calabria per le operazioni di «brillatura», ma i chicchi «made in Sicily» hanno già trovato un’acquirente. Il riso ennese è già stato quasi tutto venduto ad alcuni chef siciliani, desiderosi di aggiungere alle proprie ricette la preziosa «etichetta». UN’ANTICA TRADIZIONE - «Il riso in Italia e in Europa», ha spiegato a La Stampa il produttore siciliano Manna, «è arrivato attraverso la Sicilia con gli arabi, e così lo zafferano, portato come spezia preziosa dagli emiri e ancora adesso coltivato qui. Nel seicento e nel settecento», prosegue l’imprenditore mostrando alcuni documenti inviatigli da Roberto Paternò Castello, principe di Biscari ed erede di una famiglia che nella provincia catanese aveva molti feudi, «in Sicilia si coltivava riso tanto da esportarlo». La coltivazione sarebbe poi scomparsa definitivamente dall’isola dopo le bonifiche volute da Mussolini. Qualche decennio prima però, subito dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia, il governo proibì la coltivazione del riso nei pressi dei centri abitati, con l’intento di scongiurare la diffusione della malaria. Il provvedimento ebbe l’effetto di scoraggiare la coltivazione del riso, visto che i contadini siciliani erano abituati ad arare i terreni vicini alle proprie abitazioni. IL METODO DI COLTIVAZIONE - Il procedimento utilizzato dall’imprenditore di Enna per produrre il riso «made in Sicily» è stato quello meglio noto come sistema di coltivazione «semiasciutto», tenendo il terreno sempre umido, ma mai inondandolo.
IL PASSATO AVEVA GIÀ I PRESUPPOSTI PER UNO SVILUPPO DELL’ INDUSTRIA CHEMIURGICA SICILIANA: COTONE-CANAPA-LINO-SETA. Stesso destino ebbe la coltura del cotone. In Sicilia la superficie coltivata sino al 1864 era di 335000 mq. Giuseppe Barone nel saggio all’ interno della rivista «Meridiana», n. 33, del 1998 “Dall’agricoltura all’industria, il cotone nazionale tra le due guerre” parla di cotonicoltura nell’ex Feudo Marina a Terranova e Biancavilla in provincia di Catania , gli unici centri che resistettero alla grande concorrenza internazionale. Difatti, verso la fine del Medioevo, quando cominciarono a giungere in Europa i cotoni del Levante e delle Indie, e più tardi quelli americani, la nostra cotonicoltura decadde. Spiega ancora G. Barone che campioni di colture vennero addirittura inviate per l’ Esposizione Internazionale di Londra da alcuni privati proprietari e dai municipi di Catania, Paternò, Adernò, Biancavilla, Pachino, Noto, Comiso e Terranova, con risultati superiori alle qualità indiane. Alcuni pionieri del tempo si spinsero oltre, crearono industrie tessili, alcune non ebbero una fortunata sorte, ma per l’imprenditore catanese
Vincenzo Feo, l’investimento si rivelò molto produttivo. “[...]Feo, che dopo aver rilevato nel 1886 una modesta tintoria dove erano occupati dieci operai, dal 1888 al 1892 riuscì ad allargare il ciclo lavorativo e ad aprire rappresentanze commerciali nelle principali città dell’Italia settentrionale, e inoltre a Costantinopoli, Salonicco e Smirne. Benché sul ristretto mercato di consumo isolano gravasse la forte concorrenza dell’industria napoletana, la crescente domanda di filati colorati convinse Feo dell’opportunità di avviare nel 1895 un nuovo stabilimento per le operazioni di ritorcitura, dove furono impiegati subito 1200 fusi con 150 operai. Due anni dopo il cotonificio Feo marciava al ritmo giornaliero di 1500 chili di filati e poteva vantare un’occupazione stabile di oltre 400 addetti. Nato come esperimento isolano nel clima drammatico della crisi agraria e dei Fasci, il tentativo di Feo ebbe l’appoggio incondizionato di Crispi per diffondere nuove e più redditizie colture e dimostrare la possibilità di sviluppare industrie «naturali» che traessero alimento da un’agricoltura”.1
Vetrina espositiva della ditta Feo Fonte: www.siciliamagazine.net
Una pianta di cotone Fonte:www.gelacittadimare.it
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Gela era un’altra delle città che godeva della floridezza e ricchezza del cotone, aveva tredici opifici e stabilimenti per la lavorazione del cotone. Lo chiamavano l “oro bianco”e rappresentava l’85% della produzione nazionale. Processo che durò fino agli anni ‘50 -’60, quando la fibre naturali vennero pienamente sostituite da quelle sintetiche. I contadini preferirono abbandonare i campi per la sicurezza e la prospettiva economica delle prime fabbriche petrolchimiche. Oggi un progetto sperimentale finanziato da un’azienda svizzera, incalza in territorio gelese.“La reintroduzione della coltura del cotone in Sicilia” è durato tre anni, progetto coordinato dalla Facolta’ di Agraria dell’Universita’ Mediterranea di Reggio Calabria, in collaborazione con l’ Ente di sviluppo agricolo e alcuni ricercatori e tecnici dell’ Ateneo di Catania. Sono stati raccolti circa 50 quintali per ettaro, ma ad oggi la regione non ha ancora deciso che fare. “[...]Secondo l’Istituto centrale di statistica del Regno, la cotonicoltura avrebbe avuto nel 1930 il seguente andamento: In Sicilia, secondo l’Osservatorio economico del Banco di Sicilia l’estensione della coltura è di circa 5500 ettari, di cui 2500 a Gela (Terranova), 1000 a Sciacca e il resto in punti sparsi specialmente nella Piana di Catania e nella provincia di Trapani; la produzione è di 9-10 mila quintali di cotone sgranato; 13-17 mila quintali di semi si esportano per Malta. All’epoca della guerra americana di secessione la coltura raggiunse i 30.000 ettari, e durante la guerra mondiale i
10.000. La coltura in Sicilia si pratica nella massima parte a secco, in piccola parte è irrigata, però scarsamente, e talora soltanto prima della semina”. (Enciclopedia Treccani)
Frame estratte dall’archivio storico “CineCittà Luce” 1924-2014, Giornale Luce B1606 del 25/10/1939. Sopra: contadini raccolgono il cotone nella piantagione. Sotto: Gela anni 20 - L’assenza di opere irrigue costringeva i contadini a trasportare l’acqua del fiume Gela in botti per irrigare il cotone a “fossette”.
Immagine estratta da: Sebastiano Crino“Importanza della Cotonicoltura Siciliana, per la soluzione del problema Cotoniero Nazionale”, Presso la reale società geografica Italiana, via del plebiscito 102, Roma 1924.
Per dare incremento alle industrie tessili, si diede impulso non solo alla coltivazione del cotone, ma anche a quella del gelso, del lino e della canapa. A partire dal basso Mediovo, le colture tessili rappresentavano in Sicilia una ricca fonte economica. Abbiamo parlato più specificatamente della cotonicoltura, ma lino, canapa e seta erano parte integrante del sistema economico. La coltura del lino e della canapa, fino a qualche decennio addietro, erano indispensabili per ricavare le fibre che venivano utilizzate per tessuti di prima necessità. “ Il lino era nativo di Egitto, il canape della Persia; sono piante assai coltivate in Sicilia; la scorza del lino fa tela, il seme olio. Allorchè i siciliani videro ridotti ad abbandonare la coltura della canna da zucchero, le terre prima destinate ad esse le coprirono allora di lino e di canapa e la coltura divenne quasi universale.”2 Fonti storiche attestano che largo impiego vi era nel nord dell’ Italia, in particolare in Emilia per quanto riguarda la canapa. Testimonianze risalgono ancora all’interno del Principato di Biscari della famiglia Paternò. Oltre che enormi
estensioni di risaie lungo i terrazzi del fiume Dirillo, fino al 1790 il feudo vantava floride attività per la lavorazione della seta, della canapa e del lino, attività protattesi fino al 1800. Per i processi di lavorazione, in particolare la macerazione delle suddette colture si utilizzavano le risaie. Ma tra i processi di industrializzazione, la meccanizzazione, la concorrenza estera, e l’esalazione malsana che producevano durante la macerazione per gli abitanti di Biscari, vennero abbandonate. Il cotone, molto più redditizio prese il posto della canapa e del lino.
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Anni ‘50 rilancio del cotone. Progetto per il ‘Cotonificio Siciliano’, a Partanna-Mondello, di Pietro Ajroldi e Franco Gioè. Fonte: www.arcduecitta.it
Immagine sotto estratta dal libro di Emilio Sereni, Storia del paesaggio agrario Italiano,è un dipinto del Guercino “ La lavorazione della canapa” risalente al sec. XVII.
NOTE E APPROFONDIMENTI
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1- Giuseppe Barone, “Dall’agricoltura all’industria, il cotone nazionale tra le due guerre”, rivista «Meridiana», n. 33, 1998. 2- Frammento estratto da: “Storia generale della Sicilia antica e moderna” del professore CAVA.F. FERRARA, tomo IX , Palermo - www.siciliainformazioni.com 11 ottobre 2013 - 18:20 La Regione crede nell’oro bianco, il cotone rinasce a Gela. “ [...] Bisogna portare indietro la lancetta dell’orologio di sessanta anni per trovare in cronaca il cotone di Gela. Negli anni Quaranta e per i primi anni Cinquanta, il cotone di Gela dominava le pagine dedicate all’agricoltura. La produzione della Piana di Gela costituiva l’85 per cento della produzione nazionale, prima che la coltivazione fosse soppiantata dalle fibre artificiali, meno costose, subendo lo stesso trattamento dello zolfo e delle miniere estrattive siciliane. Il cotone era definito l’oro bianco. Zolfo e cotone, dunque, furono le prime vittime del boom industriale italiano nel sud d’Italia, per ragioni diverse ma coincidenti su un punto: i costi di produzione. Il petrolio, e la petrolchimica, fecero la loro parte. Il cotone non regalava ai produttori il necessario per vivere, mentre la scoperta del petrolio, preceduta dal miraggio della ricchezza e del benessere, si prese la testa e il cuore dei gelesi, e non solo. L’oro nerò seppellì l’oro bianco. Così il cotone, fiore all’occhiello dell’agricoltura gelese, insieme alla cerealicoltura, scomparve in larghissima parte. Ora il cotone si prende la rivincita, è stato resuscitato ed è tornato in cronaca, al punto da diventare oggetto di polemica politica. Un segno quest’ultimo, che le cose sono cambiate, e come, visto che ci si contende il primato sulla sua riscoperta”. -Archivio on line GIORNALE DI SICILIA 04 Ottobre 2013- Coltivazione sperimentale a Gela Cotone, raccolto da record. “Lo avevano ribattezzato l’«oro bianco». A distanza di tre anni, il campo sperimentale-dimostrativo di coltivazione del cotone in contrada Rinazzi si è concluso con un raccolto record. Sono stati raccolti oltre 50 quintali per ettaro, un risultato giudicato positivo dall’università del Mediterraneo di Reggio Calabria che ha coordinato il progetto triennale in collaborazione con l’ente sviluppo agricolo e di ricercatori e tecnici dell’ateneo di Catania. L’intero raccolto finirà al macero e la produzione sarà sospesa in attesa che il governo regionale provvederà a registrare questo tipo di coltivazione nel piano colturale nazionale. «Si rischia di perdere una grande opportunità di sviluppo accusa Francesco Vacirca, agronomo, imprenditore e dirigente del sindacato Upa - perché a Gela ci sono già numerosi investitori pronti a scommettere su una produzione doc del cotone e sulla sua trasformazione in filato pregiato, senza pretendere contributi pubblici né aiuti protezionistici». Per la città del Golfo l’avvio della coltivazione del cotone segnerebbe un ritorno al passato. Intanto campioni di prodotto sono stati inviati in Spagna per determinare la qualità della fibra, già definita ottima dai periti, mentre i semi saranno analizzati in Italia per stabilirne il contenuto in olio e proteine.[...]”.
PALINSESTO TERRITORIALE GLI ANNI DELLE GRANDI BONIFICHE IN SICILIA “Il territorio, sovraccarico com’è di tracce e di letture passate, assomiglia piuttosto ad un palinsesto”. A. Corboz
Andrè Corboz, docente di Storia dell’ Architettura all’Università di Montreal, parla di territorio come di un “palinsesto”.: “Il territorio non è un dato, ma il risultato di diversi processi. Da un lato, si modifica spontaneamente: l’avanzare o il ritirarsi delle foreste e dei ghiacciai, l’estensione o il prosciugamento delle paludi...[...]dall’altro lato, il territorio subisce interventi umani: irrigazione, costruzione di strade, ponti, dighe, canali, aperture di tunnel, terrazzamenti, dissodamenti, rimboschimenti, arricchimento dei terreni, gli stessi atti quotidiani dell’agricoltura fanno del territorio uno spazio incessantemente rimodellato”1. Oggi il palisensto territoriale siculo è il risultato prodotto dallo sviluppo che negli ultimi 50 anni ha travolto l’isola. Gli anni del ventennio fascista in Sicilia rappresentano momenti di grandi trasformazioni territoriali, sociali ed economiche. All’interno della politica agricola del ventennio si celano ancora testimonianze materiali (tra il 1923 e il 1965) di numerosi borghi rurali case coloniche e villaggi operai, costruite per risolvere il problema del latifondo e della bonifica delle terre. “[...]enormi sperperi si sono avuti
con opere, strade, borghi rurali, case di abitazione, là dove ci si era illusi di poter far sorgere una nuova agricoltura che invece non si è avuta, nè poteva aversi, perchè mancavano i presupposti di caratteristiche fisiche dei terreni[...]”2. Gli agrosistemi, rappresentavano in passato un buon equilibrio tra le attività antropiche e il territorio. Ma, con l’ avvento dell’industria e le prime azioni di bonifica dei territori si ebbe un crescente consumo delle risorse che scardinò gli equilibri tra città e campagna, causando enormi cambiamenti climatici, enormi danni ambientali generando così nuove realtà paesistico/territoriali. Paesaggi tossici dei poli petrolchimici (Gela, Priolo, Augusta, Melilli), paesaggi delle discariche abusive, paesaggi agricoli in abbandono, paesaggi intaccati dal fenomeno della desertificazione3, paesaggi energetici, si intersecano oggi a tasselli di territorio rimasti immutati nel tempo. E’ la Sicilia! Territorio instabile, pieno di contraddizioni. “La Sicilia è questo luogo di contraddizioni e paradossi, bisogna guardarla dritto negli occhi avendo l’onestà di descrivere nello stesso momento il brutto e il bello, il buono e il cattivo, che stanno l’uno accanto
all’altro e spesso si intrecciano indissolubilmente”4. Impossibile ricostruirne un quadro lineare. Testimonianze e archeologie rurali sopravvivono talvolta incastonate in zone periferiche, altre all’interno di zone fortemente antropizzate o disperse nelle varie morfologie dell’isola. Il declino e la scomparsa di economie locali tradizionali, l’introduzione di particolari modelli insediativi che hanno accelerato l’urbanizzazione, l’utilizzo di terre fertili per l’agricoltura intensiva e la collocazione di insediamenti industriali dovuta alla politica dei poli di sviluppo durante gli anni ‘60 e ‘70, portarono ad un’ innarestabile migrazione della popolazione verso le fasce costiere, scompaginando sempre più il mondo rurale. La Sicilia orientale, in particolare le zone litoranee, furono quelle maggiormente investite da uno sviluppo e da una dissennata urbanizzazione. Si può dunque generalizzare suddividendo l’isola in un’ isola interna, quasi segreta, dove si alternano aspri insediamenti arroccati al costone di una montagna ad estesi territori collinari privi di insediamenti e collegamenti infrastrutturali, a grandi pianure bonificate, lavorate con colture più redditizie. Sono i territori delle
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MAR TIRRENO
imera
Val Demone Demone Val
Val di Mazara salso
MAR IONIO
imera meridionale
Val di Noto
MAR MEDITERRANEO
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colture agrumicole e ortofrutticole in campo aperto e in serra. La monocultura, le nuove logiche di produzione prenderanno il posto della policoltura, cancellando in parte molti dei tratti originari del paesaggio storico. L’azione continua e sinergica di questi fenomeni amplificherà la diversità tra l’organizzazione delle aree interne e costa. Le prime azioni di bonifica imposero l’esigenza di operare nell’unità del bacino imbrifero, come ricorda S. Scorfani “Nella visione che abbiamo del bonificamento siciliano[...]mettiamo al primo posto il problema dell’acqua che dà alla nostra bonifica il particolare indirizzo di bonifica di irrigazione[...] La bonifica idraulica ed irrigua è la vera condizionatrice del divenire economico della Sicilia”5. Elemento primo di ogni habitat umano e non, l’acqua è vita, fonte di alimentazione e sicurezza.
“Seguendo un idea tradizionale, la Sicilia si può considerare suddivisa in due sub-regioni storico geografiche , situate a occidente e a oriente delle valli del Salso e dell’Imera. La Sicilia occidentale corrisponderebbe a un dipresso all’antico Val di Mazara, sarebbe pure la parte dell’isola dove perarrebbero le più arretrate strutture economiche e sociali”. Guida d’Italia, Sicilia Touring Club Italiano,Milano 2007.
Ma se non controllata e gestita in maniera oppurtuna l’acqua può diventare minaccia per il territorio e i suoi abitanti. Si parla spesso di rischio idrogeologico e la Sicilia, specie nei versanti settentrionali, in particolare la catena montuosa dei peleoritani, è spesso investita da questi fenomeni di natura catastrofica, soprattutto per l’ irruenza delle forti piogge. Uno dei tanti motivi risiede nell’abbandono di questi versanti, un tempo coltivati e pieni di vegetazione, oggi invece preda di fenomeni urbani indi-
sciplinati. La regione a tal proposito presenta due condizioni climatiche in forte contrasto tra loro. Nei versanti settentrionali, come detto pocanzi, si ha un’ eccedenza di acqua mal gestita e non sfruttata. I versanti meridionali sono invece aridi , il suolo è compromesso, eroso, altamente salino specie per l’utilizzo di tecniche irrigue non adeguate che sfruttano l’ acqua proveniente dal mare.
Nicosia (ENNA)
Gela (CALTANISSETTA)
Geraci Siculo (PALERMO)
Giampilieri (MESSINA)
Priolo (SIRACUSA)
Marina di Acate (RAGUSA)
Immagini rappresentanti due tipi di paesaggio fortemente in contrasto. Il lento entroterra e alcuni versanti litorali fortemente antropizzati .
“In Sicilia si riconoscono due forme di paesaggio agrario che si sono costituite storicamente differenziando la parte occidentale da quella orientale. Nella sicilia occidentale il contesto rurale e gli insediamenti contadini sono rimasti gli stessi da secoli, ma attualmente risentono di fenomeni di degrado dovute alle mutate condizioni socio-economiche e ai nuovi sistemi di organizzazione agraria. Si impongono come necessari strumenti di riprogettazione del paesaggio in senso ecologico-naturalistico che gli restituiscano la sua ricchezza morfologica, migliorino le condizioni ambientali ed attuino una difesa idrogeologica.Nella Sicilia orientale si sono avute maggiori possibilità di innovazioni che hanno arricchito e diversificato il paesaggio agrario specie nelle zone costiere.” Territorio 15/2000, rivista quadrimestrale del Dipartimento di scienze del territorio, Franco Angeli., pg. 13
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NOTE E APPROFONDIMENTI
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1-Corboz A., “Il territorio come palinsesto”, Casabella, 516, Sett 1985 : “[...]il territorio non è un contenitore a perdere ne un prodotto di consumo che si possa sostituire. Ciascun territorio è unico, per cui è necessario “riciclare”grattare una volta di più ( ma più possibilmente con la massima cura) il vecchio testo che gli uomini hanno inscritto sull’insostituibile materiale del suolo, per deporvene uno nuovo, che risponda alle esigenze d’oggi, prima di essere a sua volta abrogato. Alcune regioni, trattate troppo brutalmente e in modo improprio, presentano dei buchi, come una pergamena troppo raschiata: nel linguaggio del territorio, questi buchi si chiamano deserti”. 2-5- Serafino Scrofani, Sicilia. “Utilizzazione del suolo nella storia, nei redditi e nelle prospettive”.Editori Stampatori Associati ,Palermo 1962, pg. 386 3- Desertificazione la UNCCD (Convenzione per Combattere la Desertificazione in quei Paesi che soffrono di Gravi Siccità) definisce la desertificazione come: “[…] il degrado del territorio nelle zone aride, semi aride e sub umide secche attribuibile a varie cause fra le quali variazione climatiche e le attività umane”. 4- Marco Navarra, Abiura dal paesaggio. Architettura come trasposizione,Il Nuovo Melangolo, 2012. - S.Marini, Nuove terre, “Architetture e paesaggi dello scarto ,”Quodlibet Studio, Macerata 2010. pg. 26 28: “[...]Corboz sottolinea il rapporto sbilanciato tra territorio e città riportando queste due figure in uno stratificarsi di piani di cui uno resta in evidenza e l’altro all’orizzonte. La disamina di questo dualismo si chiude con l’affermazione che all’oggi questa dicotomia è sfumata, data l’urbanizzazione diffusa di tutto il territorio.[...] L’ autore sottolinea che il territorio non è un dato ma il risultato di diversi processi, spontanei e costruiti, e che il dinamismo dei fenomeni spinge ad affermare che i territori stessi nella loro costruzione rappresentano un vero e proprio progetto[...] Ora andando alla definizione di “palinsesto”, se ne trae che è un testo, un manoscritto sul quale si sono affastellate più scritture in seguito a problemi di censura e a volte di indigenza, di vera e propria mancanza di supporto sul quale scrivere”. -A. Tosi, “Il paesaggio agrario della Sicilia:trasformazioni storiche ed assetto territoriale emergente”. Estratto da Territorio 15/2000, rivista quadrimestrale del Dipartimento di scienze del territorio, Franco Angeli. pg. 44- 46: “[...]La competizione fra agricoltura ed espansione urbana in una regione con pianure particolarmente esigue ha visto una pressione insediativa tumultuosa e incontrollata dove le splendide pianure delle Conca d’Oro e di Catania sono un ricordo storico e dove l’agrumicoltura scacciata dall’edificazione selvaggia delle costa sta faticosamente conquistando delle nuove terre (come Lentini) un tempo coltivate a grano e a pascolo. [...] Questo versante ha risentito maggiormante della dominazione araba normanna, quest’ultima portatrice dell’istituto del feudo e quindi del latifondo e se da un lato rappresenta la parte dell’isola più ricca di storia, nello stesso tempo è quella più immobile: la struttura del suo paesaggio, nelle grandi linee, sembra essersi cristalizzata entro schemi di organizzazione territoriale fermi al settecento,mentre la Sicilia orientale ( dove c’erano presenze di acque utilizzabili e migliori condizioni pedologiche) grandi proprietari e istituzioni religiose trovarono conveniente cedere parte delle loro terre in affitto (patto enfiteusi) gettando le basi per una graduale trasformazione delle strutture economiche feudali, favorendo la formazione di una borghesia agraria imprenditoriale.[...]In sintesi nella sicilia orientale si sono avute maggiori possibilità di innovazioni che hanno arrichito e diversificato il paesaggio agrario specie nelle zone costiere”. - Guida d’Italia, Sicilia Touring Club Italiano,Milano 2007 : “[...] In molti di questi centri le case si stringono, quasi cercando protezione, ai fianchi din una montagna, in un groviglio inestricabile di strade e si scale, dominato dai palazzi dei grossi possidenti terrieri, dalla chiesa e dal castello. Altri invece sorgono mollemente distesi sul pendio di una collina:nella regolare scacchiera formata dalle loro ampie strade[...] I confini dell’abitato, nel quale non esiste neppure una macchia di verde sono netti ;nella campagna sorgono grosse masserie spessi fortificate”.
CATTEDRALI NEL DESERTO Borghi rurali, testimonianze architettoniche connotanti il paesaggio agrario nel dopoguerra. Durante il ventennio fascista la Sicilia venne investita da nuove politiche economiche e sociali che cambieranno per sempre l’assetto territoriale. Questa occasione fu colta dai “tecnocratici” che avevano già avviato le prime indagini sullo stato dell’isola. Nel 1922 lo stato fascista comincia ad interessarsi ai problemi relativi al settore primario agricolo e alle difficoltà relative alla geomorfologia dell’isola, alla tutela e alla regimazione delle acque, istituendo così un vero e proprio “piano di sviluppo”. Ma solo nel 1933, con l’emanazione di un nuovo testo unico delle leggi di bonifica, vennero attuate le prime azioni di modernizzazione(L.DUFOUR) “[...]dalle strade alla fornitura dell’acqua, dal riordino idrico alle sistemazioni delle zone montane, dai dissodamenti alle piantumazioni, dalla costruzione di fabbricati rurali alle eventuali borgate”1 . Tra il 1934 e 1939 verrano costruiti molti villaggi operai, atti ad ospitare i lavoratori per la bonifica del territorio e numerose case cantoniere destinate ai lavoratori impiegati per la costruzione delle opere infrastrutturali. Ma per attuare un vero e proprio piano di bonifica bisognerà aspettare gli anni ‘40, con l’emanazione della legge n.1 del 2 Gennaio intitolata “Colonizzazione del latifondo siciliano”. Con essa l’Istituto Vittorio Emanuele III per il bonificamento della Sicilia venne sostituito con l’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano. Nel primo anno di lavoro l’ente iniziò la costruzione
“Architettura come mezzo di comunicazione per la propaganda del regime e volontà di governo”. L. Dufour
Borgo Rizza
dei primi otto borghi rurali, veri e propri poderi autosufficienti, dotati di case coloniche e servizi annessi: borgo Fazio, borgo Gattuso, borgo Cascino, borgo Rizza, borgo Giuliano, borgo Lupo, borgo Schirò e borgo Bonsignore. Questi nuovi nuclei comunitari, costruiti sul sistema della centuratio romana che ne definiva i lotti, dovevano divenire il punto di riferimento per i coloni del territorio circostante. Ogni borgo doveva servire una
superficie di 3500 ha circa su una distanza di 10 km dal successivo borgo. Queste archeologie rurali sono oggetto di numerosi studi. Vincenzo Sapienza nel suo testo “La colonizzazione del latifondo Siciliano esiti e possibili sviluppi “ affronta e analizza le loro tecniche costruttive e i loro possibili usi. Opere pubbliche come “[...]Scuole, ospedali, sanatori, abbeveratoi oggi ancora non si riconoscono come bene culturale ma grazie ad uno studio sui luoghi della memoria, si è ampliato il concetto di Bene Culturale[...]per introdurre valori legati alla storia dell’uomo e della società”2. L’architettura divenne più uno strumento di propaganda con caratteri formali lineari e ben riconoscibili. “non si può non nutrire-per l’esperienza di questi anni-la grandissima preoccupazione che possono aversi altri cimiteri di opere pubbliche: strade inutilizzate, bevai senza acqu, borghi rurali disabitati, invasi destinati ancora a disperdersi al mare e canalette irrigue lasciate distruggere. Questa, che è realtà di oggi, non potrà certo lasciarsi continuare”3.
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CONNESSIONI DI SENSO
Le ultime, e uniche, politiche e opere di ammodernamento del territorio hanno contribuito ad un ulteriore e rapida trasformazione del paesaggio. Le lancette dell’orologio sono ferme proprio agli ultimi ventanni. L’arretratezza del territorio si evince soprattutto dal sistema viario. Ponti che crollano, statali, provinciali e antiche arterie storiche ostruite e malridotte sono lo specchio del disinteresse colletivo da parte di enti competenti. Il sistema viario è pro-
“ Un insediamento vive se esiste una strada per giungervi ed una strada esiste per portare in un luogo” L. Santagati
blematica ben visibile specie nel collegare i grossi centri urbani ai più piccoli e lenti centri dell’entroterra. “Attraversare i territori è una necessità per qualunque società, in qualunque periodo storico. Dalle prime piste erbose alle moderne infrastrutture di trasporto, i tracciati collegano luoghi, definiscono relazioni fisiche, culturali ed economiche, stratificano percorsi, concorrono a formare il palinsesto territoriale e a individuarne la storia”.3. Sono le zone più imper-
vie a conservare in parte lo storico sistema viario. La scompaginazione ebbe inizio con le grandi opere borboniche. Succesivamente con l’ avvento dell’Unità d’Italia parte di questo patrimonio venne sostituito con la costruzione delle “grandi rotabili e delle strade ferrate. Il palinsesto territoriale assumerà ancora una volta nuovi connotati.
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NOTE E APPROFONDIMENTI 1-Paola Barbera, “Architettura in Sicilia tra le due guerre”, Sellerio editore, Palermo, 2002. “[...]L’analisi della politica economica del regime in Sicilia nell’arco dell’intero ventennio individua chiaramente, come unico tema costante, quello di una connotazione agricola della regione;[...]La propaganda insiste sulla necessità di sviluppare la produttività agricola della regione. [...] Si tratta per la Sicilia, e per l’intero Mezzogiorno, di ipotizzare un vero e proprio piano regolatore delle acque che, in maniera coordinata, tenti di dare una risposta ai diversi e contrastanti problemi originati da una particolare condizione geomorfologica e da un secolare dissesto idrogeologico. Acqua, energia e agricoltura risulteranno così, già nel primo decennio del Novecento, elementi inseparabili di un unico progetto territoriale ed economico che per la prima volta viene proposto all’attenzione delle forze politiche e di emergenti gruppi economico-finanziari. [...]”. (pp. 139-140-141) “[...]La colonizzazione del latifondo si imposta sulla necessità della presenza del contadino e della sua famiglia sulla terra, dunque una serie di case coloniche isolate sorgeranno sull’intero territorio; l’insediamento sparso si sostituisce alle grandi concentrazioni demografiche esistenti e ai villaggi rurali pensati nella prima fase dell’operazione di bonifica. Gli indispensabili servizi alla residenza saranno garantiti da appositi <<centri rurali>> dai quali risulta programmaticamente esclusa qualsiasi unità abitativa se non per coloro(maestra, infermiere, artigiano...) che al centro lavorano.[...] Si realizza così un brano urbano surreale, co-
stituito dai soli servizi in assenza di tessuto residenziale nell’immobilità della campagna siciliana[...] La scelta della casa isolata al posto di piccole strutture aggregate di natura cooperativa è una scelta politica, è un segnale chiaro della volontà di non facilitare la creazione di gruppi con interessi di classe analoghi: l’immobilità sociale è garantita prima di tutto dalla segregazione e dall’isolamento. [...]i centri rurali si differenziano, per ampiezza e numero di servizi, in tre classi; i centri più piccoli saranno quelli presenti in numero maggiore sul territorio, mentre più radi saranno quelli di tipo medio e in numero ancora minore quelli di tipo grande.[...]dal punto di vista costruttivo i centri rurali sono costituiti da edifici con struttura portante in muratura, solai latero-cementizi e copertura a tetto[...]”. (pp. 147-148) 2-Serafino Scrofani, Sicilia. “Utilizzazione del suolo nella storia, nei redditi e nelle prospettive”.Editori Stampatori Associati ,Palermo 1962, pg. 434. 3- Liliane Dufour, “ Nel segno del Littorio. Città e campagne siciliane nel ventennio” , Lussografica editore, 2006. 4-Vito Martelliano, “Attraversare il territorio, scoprire il paesaggio. Dal percoso storio al percorso paesaggistico”,in : Le forme del paesaggio. Dall’Etna agli Iblei , Anabiblo Edizioni, Roma, pg. 83 Luigi Santagati , “Viabilità e topografia della Sicilia antica” ,volume I. La Sicilia del 1720 secondo Samuel von Schmettau ed altri geografi e storici del suo tempo. Realizzato con il patrocinio della REGIONE SICILIANA, Assessorato regionale dei Beni Culturali Ambientali e della Pubblica Istruzione, Caltanissetta, 2006.
Rilievo fotograďŹ co diretto di alcuni Borghi rurali presenti lungo la catena montuosa dei Peloritani, Sicilia nordorientale.
Versanti nord-orientali.
Da Novara di Sicilia,proseguendo lungo la ss 185, si scorgono in lontananza alcune case coloniche.
Allaccio alla rete idrica. Acquedotto ERAS, Ente per la Riforma Agraria in Sicilia.
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Primo comparto di case coloniche, appartenenti al Borgo MorďŹ a a ridosso della SS185 proseguendo in direzione Francavilla di Sicilia.
Mattoni rossi, elemento costruttivo tipico delle opere durante il ventennio.
Borgo Morfia.
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Strada dissestata, che collega Borgo Morfia a Borgo Piano Torre.
Veduta panoramica da Borgo Morfia.
Abbeveratoio e chiesa .
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Borgo Schisina.
Ingresso del Borgo Schisina. SP 5 in direzione Francavilla di Sicilia.
CASO STUDIO: Il BACINO IDROGRAFICO DEL FIUME SIMETO
Sorgenti territoriali paesistiche
PROTOSIM T ETO
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Per comprendere il territorio oggetto di studio è stato utile ripercorrere la sua evoluzione da più punti di vista. Eseguendo un indagine accurata dei segni è possibile acquisire una scansione delle tracce storiche, geologiche e tecnologiche, ovvero gli organismi di base sui quali costruire una strategia di retroinnovazione. Il paesaggio è come una carta d’ dentità culturale, fatto di storia di tradizione, di contemporaneità, ricco di risorse economiche sociali e culturali. L’indagine ricade su un territorio che in qualche modo rappresenta la sintesi di un processo territoriale in continua evoluzione. Il bacino del fiume Simeto ricade nel versante orientale dell’Isola. Si sviluppa principalmente, nei territori delle province di Catania, Enna, Messina. Ricopre una estensione di circa 4.168,93 Km2., e l’asta principale misura 113 km. Nasce a settentrione sui rilievi montuosi dei Nebrodi ,dalla confluenza dei tre Torrenti Cutò, Martello e il Torrente Saracena. Il fiume non attraversa nessun centro abitato, ma lambisce i territori di Bronte, Adrano, Paternò e Ramacca. Convenzionalmente dallo studio del documento redatto dalla Regione Sicilia “Piano Stralcio di Bacino per l’Assetto Idrogeologico (P.A.I.)” l’asta fluviale viene suddivisa in cinque principali tratti Tavola 1.
Monti Nebrodi
FF. Alcantara r
F. SIMETO
Dalle letture e gli studi del PAI risultano emergere due fondamentali caratteristiche del bacino, strettamente correlati alle componenti idrografiche e geomorfologiche. Ad ovest verso le colline dell’ennese si ha un fitto reticolo idrografico generato da numerosi affluenti sulla sponda. Procedendo da monte a valle, la geologia dei terreni argillosi e impermeabili, crea la strada per il F. Troina, il Salso, il Gornalunga e infine il Dittaino.Condizione morfologica su cui sorgerenno le prime grandi infrastrutture idrauliche (Sistema invasi).Nel versante est la situazione si presenta geologicamente opposta a quella del versante ovest del bacino,caratterizzato dai terreni vulcanici altamente permeabili. Qui il reticolo idrografico non è strutturato, ma genera numerose sorgenti intrappolate e preservate all’interno del grande cono vulcanico etneo. Un enorme Qanat naturale, un immenso contenitore d’acqua e nello stes-
so tempo di fuoco. Tutto il perimetro è costellato da numerose sorgenti che infiltrandosi nel suolo alimentano ciclicamente la falda. L’enorme complesso vulcanico si è formato nel corso delle ere con un processo di costruzione e distruzione iniziato intorno a 570 000 anni fa, nel periodo Quaternario. Al suo posto si ritiene vi fosse un ampio golfo nel punto di contatto tra la zolla euro-asiatica a nord e la zolla Africana a sud, corrispondente alla catena dei monti Peloritani a settentrione e all’altopiano Ibleo a meridione. Fu proprio il colossale attrito tra le due zolle a dare origine alle prime eruzioni sottomarine di lava basaltica fluidissima con la nascita dei primi coni vulcanici, al centro del golfo primordiale detto pre-etne. Il neck, la collina storica di Paternò, insieme a quello di Motta S. Anastasia sono tra i primissimi coni vulcanici originatosi piu di 500 000 milioni di anni fa.
RIVIERA FLUVIALE DI PATERNÒ - OASI PONTE BARCA.
L’area oggetto d’interesse ricade all’interno di una condizione di estrema complessità geomorfologica, comprendente tre specifici ambiti territoriali, il 12 inerente all’ambito paesistico delle colline dell’ennese, il 13 comprendente l’ area del cono vulcanico etneo e il 14 l’ area della pianura alluvionale catanese. La complessa instabilità del bacino ha mutato gran parte del territorio e di tutti gli insediamenti che coronano l’ Etna nei suoi tratti meno impervi. Il primo insediamento sorge su un neck ,posto ad ovest della città, un colle vulcanico di origine preistorica, la cosidetta “collina storica”. La città, sin dai tempi più remoti è stata investita da svariate colate che ne hanno distrutto i boschi, le colture e ostruito sorgenti. Non meno importante delle attività legate al vulcano è la storia e il controllo dei primi insediamenti umani che si stanziarono vicino all’unica fonte di sopravvivenza, primo motore di sviluppo di una comunità, l’acqua, il fiume Simeto e le numerosissime sorgenti ricadenti nella parte orientale del fiume. Dunque tutta la valle del Simeto è un luogo storicamente importante in quanto sede delle prime civiltà fluviali, che analogamente a quelle sviluppatesi in Mesopotamia lungo la valle del Tigri e l’Eufrate , riuscirono a sfruttare le stagioni delle piene del fiu-
me, che rendeva i terreni a valle fertilissimi, dando origine alle prime forme di agricoltura.Fu proprio per la feracità dei suoi terreni e l’ abbondanza d’acqua che nel medioevo Paternò ricevette l’appellativo di “CIVITAS PATERNIO FERTILISSIMA”1. I primi insediamenti quasi sempre erano distanti dai corsi d’acqua, ma quando l’uomo iniziò a capire che anche l’acqua poteva essere controllata nacquero i primi sbarramenti, le prime costruzioni di canali, bacini, dighe e cisterne, tutte opere che permisero agli insediamenti umani di svilupparsi e di beneficiare dei vantaggi dell’acqua. Questo consentì una rapida crescita degli stanziamenti umani e la nascita delle prime città. Da sempre le sue acque sono state risorsa per i territori circostanti, sia per uso civile che irriguo, dato che emerge per l’alta concentrazione di colture a reddito, specie quelle agrumicole che a partire dal dopoguerra in poi hanno avuto un’ inarrestabile sviluppo in tutto il territorio. Ma saranno gli anni della bonifica, gli anni ‘50/’60 a cambiare drasticamente la situazione del fiume. L’intervento antropico si fa sempre più pesante, sbarramenti, traverse(Ponte Barca), invasi artificiali(Ancipa e Pozzillo) posti a monte dell’asta fluviale principale manipolano le acque causando un notevole abbassamento della portata. Evento
che oggi si rende sempre più manifesto con l’arretramento della foce, la scomparsa del sistema dunale e la vegetazione ripale. La città è ricca di stratificazioni storico culturali, un luogo complesso, dove da sempre effetti antropici e naturali coesistono avviluppati in una rete di stratificazioni. Dai siculi, ai greci, ai romani agli arabi, le tracce dei primi insediamenti e delle prime archeologie agricole a volte saltano fuori, altre volte si intrecciano e sovrappongono dando origine complesse letture territoriali. L’ambito paternese è inoltre percorso da fitte reti di acque, naturali e artificiali. L’acqua, sembra essere l’unico elemento unificante, preziosa risorsa limitata, va gestita nella consapevolezza del suo valore insostituibile. Purtroppo l’uso smodato delle risorse naturali e la loro immorale contaminazione, da parte di aziende agricole e insediamenti industriali, sta avvelenando i corsi d’acqua, prosciugando le sorgenti, desertificando i colli. Rifiuti di qualunque genere a cielo aperto trasformano strade e tratti del lungofiume, in vere e proprie discariche. In questo contesto ostile bisogna concedersi la possibilità di immaginare un progetto esteso di riqualificazione del territorio, mirato anzitutto a rivitalizzare il patrimonio naturalistico per riconnetterlo alla città attraverso la campagna.
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La stessa campagna a servizio delle città, oggi non comunica più, né trae beneficio da essa. La texture agricola è frutto di una società post industriale, legata al solo profitto intensivo delle risorse, che non rientra più e non può più competere con la concorrenza e le logiche del mercato internazionale. Più del 50% delle aziende presenti nel territorio hanno abbandonato il proprio appezzamento. Eppure la storia agricola del paese ci ricorda la ricchezza e la floridezza avutasi specie durante il dominio Arabo-Normanno. Canapa, cotone, riso, mandorli oliveti, carrubeti, erano parte di un sistema policolturale ecologicamente integrato con il territorio. Nota non meno importante, è l’uso sapiente delle risorse idriche. Sistemi di adduzione, captazione, e distribuzione furono perfezionati attraverso la costruzione di saje, gebbie, senie e norie, che con la sola forza idraulica e la trazione animale riuscivano ad assicurare il giusto apporto idrico alle colture e alla città. I primi che diedero un forte contributo furono i Romani, con la costruzione di un imponente opera di ingegneria idraulica l’ “Acquedotto Romano”. (Lungo 23 km, parte dal territorio di S.M.di Licodia a nord-ovest di Paternò, per arrivare a Catania. Alcuni dei resti si trovano a passo d’Ipsi sulla sponda sinistra del fiume in corrispondenza della Regia trazzera. Il fiume divide l’area oggetto di studi in due parti ben distinte. Da una parte abbiamo il deserto “fisico” e “sociale”, l’ ambito collinare ennese che per la sua natura argillosa non permette alle acque di permeare nel terreno, causandone il dilavamen-
to e ampi fenomeni di erosione noti come Calanchi. Problematica che in passato non si poneva in quanto la maggior parte delle colture innestate, proteggevano questi pendii dall’erosione. La regimazione delle acque superficiali nelle aree agricole è un patrimonio culturale antico e consolidato in tutto il mondo. Tecniche di raccolta come le antiche gebbie, stagni di rugiada, saje costituiscono una soluzione per assicurare il patrimonio paesistico. Altri metodi come il ripristino dei muri a secco e i tu rat (“Pietre spremi acqua” che lavorano per condensazione dell’aria )rappresentano un’alternativa alla poca disponibilità d’acqua. Questo perché l’acqua può trovarsi ovunque nei tre diversi stadi di cambiamento: solido, liquido e gassoso. “L’aria si distingue per via di rarefazione e di condensazione nelle varie sostanze. E rarefacendosi diventa fuoco, condensandosi invece diviene vento, poi nuvola, e ancora più condensata, acqua, poi terra, e quindi pietra”. (TEOFRASTO in Simplicio, Fisica, 24, 26) La parte orientale del fiume invece è investita da una mancata pianificazione della rete idrica. I reflui della città scaricano in fiume, e le purissime(?) acque delle sorgenti si disperdono nelle campagne per irrigare un esteso sistema agrumicolo specializzato non più di supporto all’economia locale della città. L’ abbondanza di acque nella parte orientale e la mancanza della stessa dall’altra, delineano interventi mirati al ripristino e alle gestione delle acque con relativi sistemi di intercettazione e captazione prima che queste arrivino al fiume.
Da questo processo conoscitivo appare impossibile analizzare la singola componente del sistema senza coinvolgere tutte quelle circostanti. Queste archeologie di futuro, saje, i mulini, le gebbie, le regie trazzere, le colture, i vecchi casolari, il fiume, le salinelle, i calanchi, i resti archeologici, si posizionano così inscindibilmente su un nuovo livello, affermandosi ancora una volta all’interno dell’apparato paesaggistico. Questo livello si suddivide in una serie di azioni progettuali che lavorano sulle criticità e sui caratteri peculiari del luogo, proponendosi di stabilizzare le anomalie del sistema: 1) Rinaturalizzazione della zona collinare attraverso l’impianto di un grande bosco (agroforesta, cimitero ecologico, bosco ceduo), con tutte le sue funzioni produttive, protettive e di salvaguardia dell’ambiente naturale. 2) Permeabilizzazione del parco fluviale attraverso il ripristino e ricucitura della vecchia traccia viaria delle Regie trazzere, oggi comuni statali, intervallati da aree di sosta e punti panoramici. 3) Potenziamento dei tratti di vegetazione ripale compromessi ed inserimento di laboratori artigianali legati alla sperimentazione di alcune tipologie vegetali (canapa, arundo donax, bambù). 4) Recupero e riconversione di alcuni beni isolati censiti come architetture di produzione, testimonianze materiali aventi valore di civiltà.(mulini, saje, casolari) e realizzazione ex novo di altri dispositivi attraverso tecniche di architettura naturale come la terra cruda, balle di paglia e vegetecture.
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LETTURE
Le letture sono suddivise in due momenti, l’Abecedario delle criticità e la lettura del luogo di progetto. Il salto tra queste due fasi di lettura non consiste in un salto di scala, ma è caratterizzato dal passaggio ad una metodologia diversa che ci ha spinti dal confronto con un sapere specialistico all’uso del paradigma indiziario. “Lo specialista è colui che non fa mai piccoli sbagli mentre avanza verso un grande errore.” * Sul versante opposto al (f)rigido sapere settorializzato troviamo il sapere olistico, empirico per necessità di confronto con la complessità, legata alle relazioni tra i sistemi. Il paradigma indiziario usa questo sistema dinamico del sapere procedendo per prove ed errori, consapevole dei limiti della razionalità e guidato dall’obiettivo di raggiungere una conoscenza originale. L’Abecedario nel tentativo di ricostruire una visione generale dello stato di salute dell’isola, sovrappone livelli estratti da cartografie elaborate da saperi settorializzati in ambiti infinitesimali, che a volte presentano incongruenze con il resoconto da noi fatto per alcune aree. La lettura indiziaria tiene insieme 3 scale di riferimento (1:1.000.000, 1:200.000, 1:25000) attraversandole e permettendo un continuo zoom avanti/indietro. Le 4 carte (acqua, suolo, clima e natura/artificio) sono state realizzate mixando dettagli cartografici a resoconti scritti, in modo da mettere a fuoco le questioni cardine relative alla conoscenza originale. Quest’ultima è consapevole della sua temporaneità e aleatorietà, in quanto contingente, parziale, situata, ma allo stesso tempo ha la forza per sedimentare prefigurazioni progettuali. Gli schemi in tre dimensioni sono dei fuori scala che mettono in risalto le relazioni tra le misure, per leggere le differenze d’insieme, non solo altimetriche e orografiche. Un ulteriore punto di vista, essenziale alla lettura, è stato fornito dai sopralluoghi, eseguiti sia in avanscoperta che con la guida di conoscitori. * M. McLuhan, Capire i media. Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore Editore, Milano, 2008, p.124
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ABECEDARIO DELLE CRITICITÀ
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AGRICOLTURA INTENSIVA & IN ABBANDONO Vengono definite rurali tutte quelle regioni territoriali con una densità di popolazione inferiore ai 150 abitanti per chilometro quadrato. La differenziazione delle aree rurali in quattro categorie mette in evidenza due dimensioni opposte dell’assetto del territorio: le aree ad agricoltura intesiva specializzata e quelle con problemi complessivi di sviluppo. La pratica della monocultura, appartenente alla prima categoria, porta con sè la meccanizzazione dei processi e la crescente disattenzione ai saperi locali e tradizionali capaci di mantenere un equilibriato rapporto con il territorio. Essa risponde ad un unico e fondamentale bisogno di ottimizzare e massificare la produzione , servendosi di unità tecniche meccanizzate, prodotti chimici ed elevati quantitativi d’acqua. La seconda tipologia rurale si riferisce a regioni con carateristiche fisiche e climatiche con forti limitazioni all’utilizzo delle terre agricole. Tali zone mantengono un carattere naturale importante per la salvaguardia della biodiversità, ma necessitano di particolari attenzioni soprattutto a causa del fenomeno di abbandono delle terre.
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Aree rurali
area caratterizzata dalla presenza del petrolchimico, evidenziata dalla carta come area ad agricoltura intensiva.
aree con problemi complessivi di sviluppo
aree ad agricoltura intensiva specializzata
area del pachinese da noi aggiunta alle aree ad agricoltura intensiva.
Fonte: Agromed Quality, programma operativo europeo Italia-Tunisia per la cooperazione transfrontaliera. Nome della carta: Suddivisione del territorio rurale siciliano, elaborata nell’ambito dell’attività C.1.1. per la realizzazione di una indagine sullo stato dell’arte e l’attuazione di procedure di qualità in campo economico euro-mediterraneo (arg.5-L’agricoltura in Sicilia), 2007-2013.
La variabilità degli ambienti isolani in cui si è diffusa l’agricoltura ha consentito al grande numero di specie e varietà via via introdotte nel corso del tempo, di diffondersi, selezionarsi e adattarsi negli areali più idonei. Tutto ciò ha contribuito ad arricchire il patrimonio genetico regionale.(...) Come in altre aree d’Italia, anche in Sicilia alcune tecniche e pratiche dell’agricoltura moderna, quali ad esempio l’adozione della monocoltura e l’abbandono delle rotazioni, l’incremento della meccanizzazione, l’uso di erbicidi e fertilizzanti inorganici, l’eliminazione delle siepi, l’abbandono dei tradizionali manufatti (muretti a secco, fossati, ecc.), la perdita di habitat hanno certamente avuto effetti destabilizzanti dentro e fuori i margini degli agroecosistemi. L’industrializzazione dell’agricoltura e la spinta alla massima produttività delle colture hanno richiesto la selezione e la diffusione di varietà uniformi e standardizzate sia a livello delle loro sementi che del loro metodo di coltivazione. Le nuove varietà così costituite hanno velocemente soppiantato le numerose varietà e gli ecotipi locali esistenti; molti di questi oggi sono trascurati ed esposti al rischio di estinzione. Questa evoluzione ha anche impoverito la qualità del nostro regime alimentare. La diffusione della monocoltura a grano nelle aree interne collinari ha provocato la progressiva scomparsa delle tradizionali rotazioni con conseguente peggioramento delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche dei suoli. Basandosi, nel tempo, sull’utilizzo costante di principi attivi ad azione erbicida, la monocoltura ha accentuato i processi di semplificazione dell’agroecosistema e di riduzione del livello di biodiversità paesaggistica(...) il prosciugamento o l’inquinamento di fonti idriche naturali, quando non hanno causato la distruzione completa di habitat terrestri, acquatici e riparali, hanno comunque contribuito alla progressiva scomparsa degli elementi diversificatori del paesaggio agrario, quali siepi, muretti di pietrame a secco, bivieri, abbeveratoi, ecc., aumentando il grado di artificialità e vulnerabilità degli agroecosistemi.
MONOCOLTURE IN SERRA E TECNICHE DI FUORI SUOLO L’agricoltura industriale a fronte di una costante crescita della produzione mette in atto pratiche e tecnologie a disposizione per migliorarne la resa .I territori costieri dell area sud orientale della sicilia, in particolare l’area del Pachinese, sono destinati alle monocolture in serra. In generale, le coltivazioni in serra (Ortoflorovivaistiche) in Sicilia ricoprono un ruolo di primaria importanza nel quadro dell’economia isolana sia in termini di superficie che di resa produttiva. La coltivazione specializzata e ripetuta delle specie orticole ha posto notevoli problemi di ordine fitopatologico che hanno reso sempre più necessaria la disinfezione e disinfestazione del terreno. Fino ad oggi la pratica più diffusa è stata il ricorso alla sterilizzazione con bromuro di metile, sostanza chimica che, coltura dopo coltura, ha permesso di “rigenerare i terreni”. Attualmente, l’uso del bromuro di metile è stato bandito facendo nascere una pressante necessità di definire nuove strategie di intervento che consentano di “superare” il problema permettendo agli imprenditori agricoli di mantenere un’ alta redditività. A fronte di ciò è stata sperimentata e messa in pratica la coltivazione fuori suolo, per le colture fuori suolo sono stati realizzati 28 impianti pilota, dislocati in tutte le zone a vocazione ortofloricola della Sicilia (22 per le ortive e 6 per le floricole). Emerge da questo quadro informativo una chiara immagine di come risultino compromessi e improduttivi i suoli su cui viene attuala la pratica agricola in serra e fuori suolo.
pp. 56 57 58 (AR)
Assessorato delle Risorse agricole e alimentari, Programma di sviluppo rurale Sicilia 2007/2013, Palermo, 11/2012.
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RISCHIO EROSIONE Per erosione si intende quel fenomeno ambientale che ha come effetto il raggiungimento di un equilibrio del profilo terrestre attraverso l’asportazione graduale di suolo o roccia ad opera di agenti naturali (vento, pioggia, fiumi, mare, ghiacci) o per effetto di movimenti gravitativi o di organismi viventi (bioerosione). Questo processo è facilitato anche dai fattori antropici che snaturano il regime vigente di alterazione delle rocce e di formazione del suolo: incendi, sostituzione di coltivi alle aree con vegetazione spontanea, errate lavorazioni e tecniche agricole, disboscamento, pascolamento intensivo, cementificazione. Le aree più a rischio sono quelle collinari e montane, costituite da suoli sottili e da versanti con forti pendenze, dove l’azione dell’acqua può causare smottamenti e dissesti catastrofici. Anche nelle zone costiere la combinazione dell’aumento del livello del mare e venti sempre più potenti, provoca un arretramento costante della linea di costa.
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Suoli sottili su forti pendenze
aree vulnerabili
Fonte: Atlante Nazionale delle aree a rischio desertificazione, C.R.A. - Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo, Centro Nazionale di Cartografia Pedologica, Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA), finanziato e patrocinato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare., 2007. Regione Sicilia, sistema di degradazione delle terre “EROSIONE”, indice di impatto: suoli sottili su forti pendenze,2007.
Fra i sistemi di degradazione del suolo, l’erosione idrica è senza dubbio il più rilevante. Un elemento comune che associa molte aree soggette a desertificazione è la progressiva riduzione dello strato superficiale del suolo e della sua capacità produttiva. Questo fenomeno è legato alla storia dell’uso del suolo sia agricolo che extra-agricolo e si stima che negli ultimi decenni, con la modernizzazione dei sistemi produttivi, l’erosione abbia superato di 30 volte il tasso di erosione tollerabile (Pagliai, 2004; Pimentel, 1993). L’erosione, provocando la perdita dello strato fertile di suolo, degrada le terre coltivate, fino a renderle, nei casi estremi, improduttive. Oltre alla perdita di suolo, l’erosione crea notevoli problemi ambientali. I fertilizzanti e i pesticidi, utilizzati in modo massiccio, vengono asportati con le particelle del suolo creando un danno economico, di inquinamento e di distruzione degli habitat naturali. Le cause principali di tale erosione accelerata sono dovute essenzialmente ad un non corretto uso del suolo e non solo per finalità agricole. Effetti non trascurabili sono dovuti in parte anche ai cambiamenti climatici: sono sempre più frequenti, infatti, eventi piovosi notevoli concentrati in poco tempo che aumentano l’aggressività erosiva delle piogge. Lo spessore è una caratteristica del suolo su cui agiscono direttamente i processi d’erosione, cioè determina la potenziale evoluzione verso uno stato di sterilità funzionale. Il dato sullo spessore del suolo è stato ricavato dalla banca dati dei suoli d’Italia. I suoli considerati potenzialmente vulnerabili sono quelli con profondità radicabile minore di 50 cm. Una componente territoriale è stata considerata potenzialmente vulnerabile quando almeno il 40% dei suoli che la descrivono sono vulnerabili.
pg. 14 (INEA)
INEA, Atlante Nazionale delle Aree a Rischio di Desertificazione, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, 2007.
pg. 33 (INEA)
Gli effetti sono evidenti anche in Italia: un quarto delle nostre coste basse è soggetto ad erosione con un bilancio negativo impressionante di ben 5 milioni di metri quadrati di spiagge già perse. Una catastrofe dal punto di vista ambientale e per gli effetti negativi sul turismo balneare. Decenni di cementificazione delle coste, deviazioni dei fiumi non più in grado di portare sabbia e ghiaia che compensano l’erosione e l’inefficacia e l’inesitenza di vincoli nel periodo che va dagli anni ’50 sino agli ’80, ha causato la perdita di gran parte del sistema di dune che venivano demolite per ricavarne materiale da costruzione o per sostituirle con lungomari, campeggi, villette, condomini, stabilimenti balneari, strutture alberghiere e ferrovie.
Michele Sasso, In Italia il mare avanza e «si mangia» 1500 Km di costa, articolo su LINKIESTA, 21/9/2011.
La profezia del disastro di Messina si nascondeva in un elenco di 274 voci contenuto nel “Piano stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico”. Un documento redatto per mettere in evidenza tutte le zone della Sicilia che rischiano di sbriciolarsi quando la pioggia viene giù con violenza. L´Area che si sviluppa tra il bacino del torrente Fiumedinisi e Capo Peloro ha 274 punti a rischio e di questi 36 sono al livello 4: il più elevato. La zona di Scaletta è citata trenta volte e in sette punti il rischio è massimo. Giampilieri Superiore, invece, compare una sola volta e nella scala della pericolosità si ferma al terzo gradino su quattro. Questi dati rivelano che il Comune di Scaletta ha evidenziato già da tempo la pericolosità del suo territorio mentre da Giampilieri, frazione di Messina, non è arrivato alcun sos. Messina ha già chiesto 22 interventi (5 per Scaletta). Tuttavia, la costruzione di muri, l´installazione di reti paramassi e gli interventi di bonifica dei corsi d´acqua hanno un valore relativo al cospetto del numero abnorme di zone a rischio a causa non di fattori naturali ma degli interventi dell´uomo. A incidere sono soprattutto l´abusivismo edilizio e il disboscamento che porta via le radici degli alberi, cioè il migliore freno agli smottamenti.
Massimo Lorello, Ad alto rischio il 70 per cento della Sicilia, articolo su La Repubblica, 3/1o/2009.
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RISCHIO DA FITOFARMACI I fitofarmaci, più comunemente conosciuti come pesticidi, sono prodotti prevalentemente chimici derivati dalla lavorazione dell’azoto nelle sue diverse forme (concimi, insetticidi, fitoregolatori,etc.), che vengono ampiamente utilizzati nei settori della zootecnia e dell’agricolura. L’impiego costante e massiccio, come nel caso dello spargimento di liquami impiegati a fertilizzanti generati dagli allevamenti che utilizzano a loro volta componenti chimiche, ne provoca l’assorbimento da parte del suolo e degli acquiferi sottostanti. La presenza nelle falde di fitofarmaci e nitrati rende inutilizzabile la risorsa idrica, che diventa altamente nociva sia per l’ecosistema che per l’uomo.
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Rischio di inquinamento da fitofarmaci nei bacini idrografici
r. alto
r. molto alto Fonte: carta regionale delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, elaborata dall’Assessorato Regionale Risorse Agricole e Alimentari - Dipartimento Interventi Infrastrutturali, è stato elaborato anche un Web-Gis (Sistema Informativo Territoriale per l’agricoltura) consultabile on -line sul sito istituzionale dell’Assessorato, 2006.
L’utilizzo dei prodotti fitosanitari in agricoltura esercita una notevole influenza sulla qualità delle acque. La presenza nei corpi idrici di residui derivanti dall’immissione dei prodotti fitosanitari nell’ambiente costituisce infatti, in alcune realtà agricole ad elevata intensità produttiva, una importante contaminazione da fonti diffuse che può alterare in modo significativo lo stato delle risorse idriche. Si pone pertanto il problema di pervenire ad una mitigazione del rischio da prodotti fitosanitari attraverso l’attivazione di specifiche attività di prevenzione e controllo. Il quarto programma d’azione delle Comunità europee in materia ambientale (7) specifica che la Commissione intende presentare una proposta di direttiva sul controllo e sulla riduzione dell’inquinamento idrico risultante dallo spandimento e dallo scarico di deiezioni del bestiame o dall’uso eccessivo di fertilizzanti;(...) l’uso eccessivo di fertilizzanti costituisce un rischio ambientale; che per controllare i problemi derivanti dall’allevamento intensivo è necessaria un’azione comune e che la politica agricola deve prendere maggiormente in considerazione la politica ecologica;(...) i nitrati di origine agricola sono la causa principale dell’inquinamento proveniente da fonti diffuse che colpisce le acque comunitarie; considerando che per tutelare la salute umana, le risorse viventi e gli ecosistemi acquatici e per salvaguardare altri usi dell’acqua è pertanto necessario ridurre l’inquinamento idrico o provocato da nitrati provenienti da fonti agricole ed impedire un ulteriore inquinamento di questo tipo;a tal fine è importante prendere provvedimenti riguardanti l’uso in agricoltura di composti azotati e il loro accumulo nel terreno e riguardanti talune prassi di gestione del terreno.
MONITORAGGIO DELLA DIRETTIVA NITRATI IN AGRICOLTURA Le “Zone Vulnerabili da Nitrati di origine agricola” (ZVN) sono rappresentate dalle aree che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali scarichi.(...) Il Programma d’Azione obbligatorio per le zone vulnerabili”, è finalizzato a ridurre l’inquinamento idrico provocato da composti azotati di origine agricola e volto al ripristino del corretto equilibrio tra la produzione agricola e l’ambiente. Gli elementi che hanno condizionato la scelta delle aree su cui effettuare il monitoraggio sono stati principalmente la vulnerabilità ambientale delle stesse e la volontà di conoscere la pressione ambientale esercitata dalle diverse realtà agricole presenti nel territorio siciliano. Nel distretto Ragusa sono stati individuati i bacini idrografici dei fiumi Dirillo e Ippari; si tratta di un’area dalle caratteristiche peculiari, in quanto compresa nella più grande area serricola d’Italia e caratterizzata da un’elevata incidenza di ZVN. I comuni interessati sono quelli di Vittoria, S.Croce Camerina, Acate e Ragusa: in questi territori la pressione degli input agrotecnici (fertilizzanti azotati e irrigazione) è spinta al massimo, proprio per far fronte alle elevate esigenze nutritive delle colture in serra. Se a questo si unisce anche la capacità protettiva da bassa a media dei più diffusi tipi pedologici si comprende come i processi di lisciviazione dei nitrati siano così intensi.
ARTA Sicilia, Piano distretto idrografico, 2000.
pg. 1 (CEE)
Direttiva 91/676/CEE del Consiglio, protezione delle acque, dell’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, 12/12/1991
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RISCHIO INCENDIO Gli incendi boschivi possono considerarsi come una delle principali cause del degrado, della perdita di copertura vegetale e del depauperamento forestale. Spesso le aree confinanti con i boschi, composte da superfici agricole non più in uso e ricoperte da superficie erbacea e cespugliosa spontanea rappresentano nella stagione secca la causa d’innesco incendi. Sono stati classificati i fattori predisponenti definiti come quelli che favoriscono l’innesco di un incendio e la propagazione del fuoco, quali: condizione di aridità del suolo, scarsa umidità, ventosità caratterizzata dallo scirocco, bassa frequenza di precipitazioni, alte temperature, presenza di vegetazione secca, stato di manutenzione delle aree boscate. Altre componenti che possono modificare le condizioni del territorio rendendolo più esposto ad incendi sono dovute ad interventi di rimboschimento, che se effettuati con elementi vegetali poco adatti alle aree di innesto possono diventare una componente di rischio. La presenza inoltre di fattori inquinanti nel suolo contribuisce ad un indebolimento dell’ habitat boschivo, che risulta carente di vegetazione da sottobosco e facilmente incendiabile. 60
Aree a rischio incendio
r. molto alto
Fonte: “Carta Operativa delle aree a rischio di incendio” a valenza triennale ( 2003 -2006), approvata con Decreto Assessoriale n. . 99120 del 23/09/03, pubblicato nella G.U.R.S. n.45 del 17/10/03, redatta dall’Ufficio Speciale Servizio Antincendi Boschivi dell’Assessorato Agricoltura e Foreste, Regione Sicilia.
La pianificazione antincendio consente di classificare il territorio sulla base di alcuni indici di rischio, o di vulnerabilità, nei confronti degli incendi boschivi sono stati elaborati i dati disponibili per poter rappresentare l’indice di rischio. L’indice adottato, definibile appunto come indice strutturale (o indice statico), è legato ad alcune caratteristiche territoriali, viste in un’ottica di medio-lungo periodo, che possono considerarsi determinanti sulla dinamica degli incendi: distribuzione statistica degli incendi, principali caratteristiche climatiche, distribuzione e caratteristiche della vegetazione naturale e della superfici boscate, principali componenti morfologiche (esposizione dei versanti e pendenza. A riguardo del patrimonio forestale siciliano, in questo ultimo secolo si sono registrati numerosi cambiamenti, riconducibili soprattutto ad un incisiva azione antropica sul territorio. Oggi il paesaggio siciliano è caratterizzato da poche formazioni forestali che, in maniera discontinua, ricoprono i maggiori sistemi montuosi della Sicilia, quali l’Etna, i Peloritani, i Nebrodi, le Madonie e i Monti Sicani. Il resto del paesaggio siciliano è caratterizzato da sistemi agricoli molto spesso in stato di arretratezza colturale e da pascoli più o meno ricchi di arbusteti. Alle formazioni boschive naturali o sub¬naturali, in alcuni casi molto degradati, ricadenti principalmente nei maggiori sistemi montuosi siciliani, si aggiungono circa 123.000 ettari di boschi, realizzati in questo ultimo secolo dall’Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana, dall’E.S.A (Ente Sviluppo Agricolo), dai Consorzi di Bonifica e, in piccola parte, dai privati e dai Comuni. Negli ultimi decenni, infatti, la politica forestale in Sicilia si è trovata in una grave situazione di stallo.(...) L’attività di forestazione e imboschimento si è tuttavia scontrata con il ripetersi degli incendi che hanno arrecato non poco danno alle formazioni forestali, divenendo una delle cause che hanno determinato, negli ultimi decenni, la stasi nell’attività di imboschimento. In definitiva, la Sicilia ha necessità di una duplice azione: la salvaguardia dei propri boschi e la realizzazione di nuovi rimboschimenti.
PRATICHE ERRATE DI RIMBOSCHIMENTO L’azione svolta dai diversi enti per la salvaguardia delle aree forestate e nella prevenzione degli incendi non è sempre accompagnata da una corretta azione di rimboschimento con piantumazioni adeguate. Numerosi continuano ad essere i casi di foreste che proprio per la loro elevata infiammabilità causano l’innesco di incendi. La composizione di un delicato ecosistema colturale strutturato da una sua coerenza vegetazionale è stata malamente sostituita con altre specie (ad es. conifere) non adatte ad adempiere le stesse funzioni. Risultano indebolite le riserve naturali, in particolare le aree boschive dei Nebrodi e alle pendici dell’Etna.
pg. 5 (AAF)
Assessorato Agricoltura e Foreste, Carta operativa delle aree a rischio incendio, Ufficio speciale servizio antincendi boschivi, 6/2003
Assessorato Energia e Servizi di pubblica utilità, Osservatorio delle acque, aree a rischio, analisi critica, Regione Sicilia
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COPERTURA NATURALE L’indice di vegetazione naturale serve a valutare la risposta della vegetazione a forti stress ambientali e antropici, con la possibilità di descrivere il territorio naturale tramite un indicatore oggettivo sul “vigore” dell’attività vegetativa. Il dato costituisce un valido contributo per la definizione del grado di sterilità funzionale agricolo-forestale, soprattutto per la componente dello stato delle aree naturali, da cui si estraggono i valori più rilevanti, ad esempio quelli negativi che indicano la presenza di stress nella vegetazione dovuta a carenze idriche, differenze nelle rese delle colture, presenza di patologie o di attacchi parassitari. Gli effetti di tale malessere si manifestano con una sempre più frequente scopertura del suolo, che porta alla perdita di specie, habitat e biodiversità. In generale il degrado delle terre può essere causato da molteplici fenomeni e si relaziona alla diminuzione di una o più qualità del suolo sino ad arrivare alla sterilità funzionale, che corrisponde ai caratteri delle aree desertiche, lasciate incolte ed inutilizzate perchè incapaci di assolvere a funzioni agricole/produttive.
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Analisi NDVI delle aree naturali
aree scoperte: sterilità funzionale
Fonte: Atlante Nazionale delle aree a rischio desertificazione, C.R.A. - Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo, Centro Nazionale di Cartografia Pedologica, Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA), finanziato e patrocinato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare., 2007. Regione Sicilia, sistema di degradazione delle terre “EROSIONE”, indice di impatto: analisi NDVI delle aree naturali, 2007.
Nell’Atlante viene illustrato il fenomeno della desertificazione in Italia facendo riferimento alle aree che risultano funzionalmente sterili, vulnerabili o sensibili. Il concetto di area a sterilità funzionale non entra nel merito di stabilire se la sterilità funzionale è stata causata da un processo naturale o antropico, attuale o passato, ma si richiama alla definizione dell’UNCCD di degrado delle terre come diminuzione o scomparsa [...] della produttività biologica o economica(...). Il termine terre designa il sistema bioproduttivo terrestre comprendente il suolo, i vegetali, gli altri esseri viventi e i fenomeni ecologici e idrologici che si producono all’interno di questo sistema” e “l’espressione degrado delle terre designa la diminuzione o la scomparsa, nelle zone aride, semi-aride e subumide secche, della produttività biologica o economica.(...) Un’area a rischio di sterilità funzionale è un territorio che è vulnerabile o sensibile ai processi di forte ed irreversibile degradazione del suolo. In un’area vulnerabile, le caratteristiche dei suoli sono vicine a quelle dell’area a sterilità funzionale, ma alcuni fattori, per esempio la copertura della vegetazione o l’irrigazione, attenuano con successo il processo di desertificazione. D’altra parte, una terra sensibile è una superficie in cui il processo che conduce alla desertificazione è attivo, anche se il suolo non ha ancora sterilità funzionale.
pp. 1 5 (INEA)
INEA, Atlante Nazionale delle Aree a Rischio di Desertificazione, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, 2007.
COPERTURA VEGETALE DEL MONTE SPARAGIO Le aree con copertura vegetale scarsa o assente in sicilia continuano ad aumentare in numero ed estenzione. Le motivazioni risultano essere una combinazione di fattori di tipo climatico e antropico. Lo studio del fenomeno ha messo in evidenza alcune aree, tra le più colpite è la porzione di terriorio fra il Palermitano e il Trapanese. Al fine di fornire un contributo alle conoscenze vegetazionali di quest’area della Sicilia si riportano i risultati di un’analisi della vegetazione condotta sulla base di rilevamenti fitosociologici. Essi offrono informazioni sulla qualità floristica e sulle relazioni con il resto della vegetazione forestale mediterranea. L’interesse ambientale riguarda la condizione di copertura forestale di Monte Sparagio oggi caratterizzato da aspetti steppici, risultato della concomitante azione del disboscamento, del pascolo e dei ricorrenti incendi. L’assenza di copertura vegetale stabile ha favorito anche l’erosione del suolo con l’affioramento generalizzato della nuda roccia. Alcuni esemplari adulti di leccio crescono isolati su versanti ormai privi di suolo, con le radici tra le rocce, mentre altri formano insieme veri e propri lembi di bosco che resistono sui versanti più ripidi e rocciosi.
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PETROLCHIMICA L’industria petrolchimica, branca della chimica industriale, si occupa della lavorazione del grezzo per la produzione di derivati con caratteristiche chimiche. Petrolio e gas naturale sono le principali fonti di idrocarburi, oltre a rappresentare, insieme al carbone, le più importanti fonti energetiche. A seconda della composizione del greggio le raffinerie possono produrre derivati del petrolio con caratteristiche differenti, anche se la maggior parte della raffinazione è orientata alla produzione di carburanti. Notevole importanza ha anche il commercio di zolfo, idrogeno e carbonio. La produzione massificata di beni e servizi di largo consumo provoca un’eccessiva pressione sui sistemi naturali a causa di emissioni atmosferiche, inquinamento idrico, generazione di rifiuti tossici e prosciugamento delle risorse naturali non rinnovabili. I danni di questa tecnologia sono irreparabili e vengono classificati come disastri ambientali chimici. Il riscaldamento globale è un dato inequivocabile, le concentrazioni di gas serra in atmosfera (diossido di carbonio, diossido di azoto, metano, etc.) hanno raggiunto livelli allarmanti, e la colpevolezza di tutto ciò ricade per il 95% all’attività estrattiva di combustibili fossili e a pratiche di agricoltura intensiva. 64
aree a rischio poli petrolchimici
Fonte: Piano Regionale di Coordinamento per la tutela della qualità dell’aria, carta sulle Aree ad elevato rischio ambientale, redatta dall’Ufficio Speciale aree ada elavato rischio di crisi ambientale (A.E.R.C.A), 2007.
In alcune aree della Sicilia la situazione dell’ambiente, dell’aria e delle acque è ormai ai limiti della sostenibilità. Le conseguenze del miraggio industriale hanno prodotto e produrranno gravi disagi e gravi malattie danneggiando irreparabilmente luoghi di grande rilievo naturalistico e turistico. Studi condotti sul territorio siciliano riferivano circa la criticità dell’impatto ambientale prodotto dall’attività industriale di natura petrolchimica. Indagini condotte già negli anni Settanta avevano rilevato nell’aria, la presenza di alcuni metalli (vanadio, arsenico, cromo, cadmio) in quantità significativamente rilevanti nei territori interessati da industrie petrolifere. Per questo motivo le aree di Gela, Augusta-Priolo e Milazzo nel 2002, vengono dichiarate “a elevato rischio di crisi ambientale”. In base alla legge n. 389 del 1986, un territorio può essere definito “a elevato rischio di crisi ambientale” quando si verificano gravi alterazioni degli equilibri ecologici nei corpi idrici, nell’atmosfera o nel suolo. Alterazioni tali da costituire un rischio per le popolazioni e l’ambiente. Oggi, a distanza di vent’anni e passa dai primi studi cosa è stato fatto in concreto per risolvere le problematiche delle aree ad alto rischio della Sicilia che costituiscono un costo non indifferente per la nostra Regione, sia sotto il profilo umano, sia sotto il profilo economico? L’impatto sull’ambiente di certe industrie presenti sull’isola non è un rischio ma una certezza.
Carmelo Catania, Sicilia e le città perdute, articolo su I SICILIANI, 7/2013
Il rischio industriale è proprio delle attività dell’uomo che comportano la presenza nel territorio di impianti produttivi o di trasformazione, infrastrutture, reti primarie e tecnologiche che, a causa delle sostanze utilizzate o depositate, costituiscono una potenziale fonte di pericolo per l’ambiente e per l’uomo. Il rilascio di tali sostanze, a seconda della concentrazione e volatilità, possono avere effetti rilevanti legati ai danni provocati alla salute di uomini e animali, alla contaminazione dei terreni e delle falde acquifere, delle coltivazioni e del patrimonio vegetale.
REGIONE SICILIA, PRESIDENZA DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE, Rischio Ambientale, Industriale ed Antropico.
Sul territorio siciliano esistono tre “aree ad elevato rischio di crisi ambientale”: Caltanissetta (comuni di Butera, Gela e Niscemi); Siracusa (comuni di Priolo, Augusta, Melilli, Floridia, Solarino e Siracusa); Comprensorio del Mela (comuni di Condrò, Gualtieri Sicaminò, Milazzo, Pace del Mela, S.Filippo del Mela, S.Lucia del Mela e San Pier Niceto). In questi luoghi il livello di inquinamento ha comportato una notevole ricaduta sulle diverse matrici ambientali: aria, acqua, suolo, ma anche biodiversità. La Rada di Augusta, situata nel territorio di Priolo Gargallo, è interessata da fenomeni ricorrenti di inquinamento ambientale, la cui origine risalirebbe già agli anni Sessanta, data di realizzazzione del polo petrolchimico Augusta-Priolo-Melilli. Le numerose aziende susseguitesi negli anni, hanno avuto la possibilità di attingere indisturbate ad ogni tipo di risorsa naturale e gli effetti della devastazione risiedono nei suoli inquinati, negli acquiferi prosciugati, nella produzione di rifiuti mai smaltiti e nei fumi tossici inalati dai lavoratori e dagli abitanti del circondario.
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PASCOLAMENTO INTENSIVO Nel corso degli ultimi decenni si è assistito in Italia ad una riduzione generale del patrimonio zootecnico e ad una sempre più forte attività di allevamento intensivo. Ciò ha modificato l’uso del territorio: in pianura si assiste a fenomeni di inquinamento ambientale dovuto alla necessità di smaltimento delle deiezioni animali su superfici troppo limitate, mentre in aree collinari e montane si assiste ad un più incisivo ricorso all’utilizzo di aree pascolative. L’azione del pascolo eccessivo (brado e permanente) riduce complessivamente l’efficienza bioecologica del territorio con effetti distruttivi sulla vegetazione e sul suolo. Tra i fenomeni di degradazione fisica che il pascolamento intensivo può innestare (riduzione della densità del soprassuolo, danni alla rinnovazione vegetale, trasformazione della composizione floristica, erosione idrica ed eolica) il principale è costituito dalla compattazione, ossia dalla distruzione della porosità strutturale del terreno indotta dal sovraccarico animale, con conseguente riduzione della capacità di infiltrazione di acqua e aria. Nelle aree più vulnerabili questi fattori azionano veri e propri processi di desertificazione. 66
Pressione di pascolamento
pascolamento molto intenso: aree sensibili
Fonte: Atlante Nazionale delle aree a rischio desertificazione, C.R.A. - Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo, Centro Nazionale di Cartografia Pedologica, Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA), finanziato e patrocinato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare., 2007. Regione Sicilia, sistema di degradazione delle terre “EROSIONE”, indice di impatto: pressione di pascolamento, 2007.
Il carico di bestiame rappresenta la quantità di bestiame mantenibile al pascolo per unità di superficie per tutta la durata del pascolamento. L’individuazione del carico ottimale permette di mantenere nel tempo una vegetazione equilibrata e produttiva. Un eccessivo carico di bestiame ostacola in modo particolare la funzione vegetativa e riproduttiva delle specie poliennali con conseguente perdita della loro rappresentatività nella cotica erbosa. Inoltre l’eccessivo calpestio, dovuto ad un eccessivo carico, determina compattamento del terreno, asfissia radicale, ristagni idrici, cui segue la riduzione del numero di piante per unità di superficie, fino ad arrivare a stadi di degradazione vera e propria, con aree più o meno ampie di terreno privo di cotica. Il pascolo può assolvere pienamente alle molteplici funzioni di carattere produttivo, ambientale, paesaggistico, ecologico e protettivo ad esso riconosciute solo se condotto in modo tecnicamente corretto. I sistemi vaganti o liberi non sono assolutamente adeguati a questo scopo. Solo piani di pascolamento razionali possono assicurare una buona alimentazione al bestiame (prelievi e qualità), il mantenimento o miglioramento della qualità foraggera delle cotiche, la loro integrità , elevata biodiversità vegetale e animale e la conservazione di uno spazio aperto e fruibile. Elemento centrale attorno al quale ruota l’organizzazione di un piano di pascolamento è l’indice di utilizzazione del pascolo, che può essere definito teoricamente a partire dal profilo floristico della vegetazione e dallo stato fisico del suolo. Carichi animali, organizzazione della mandria, disegno dei lotti pascolamento, tempi di permanenza e calendario di utilizzo devono dunque mirare al rispetto di questo parametro in ognuna delle varie tipologie vegetazionali che compongono la superficie foraggera della malga.
pg. 36 (INEA)
INEA, Atlante Nazionale delle Aree a Rischio di Desertificazione, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, 2007. Fausto Gusmeroli, Il piano di pascolamento: strumento fondamentale per una corretta gestione del pascolo, Fondazione Fojanini di Studi Superiori, Sondrio.
pg. 27 (F.G.)
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IL RISCHIO NEL SUOLO SICULO In Sicilia la grande riduzione delle aziende zootecniche fa avvertire più pesantemente gli effetti della generale crisi economica. Malgrado le numerose difficoltà la zootecnia locale, che punta sugli ovicaprini e sulla linea vacca-vitello nelle aree interne e sulle vacche da latte nelle aree pianeggianti e nell’altopiano ragusano, contribuisce ad impoverire il patrimonio pedologico. Le aree più danneggiate risultano quelle boscate e preforestali che, soprattutto nei mesi estivi, costituiscono per gli animali un’importante risorsa foraggera, considerando che nelle altre zone si hanno accrescimenti erbacei pressoché nulli a causa del protrarsi dei deficit pluviometrici. Segni tangibili di questo processo si constatano in maniera diffusa nei Monti Iblei, Monti Nebrodi, Monti di palazzo Adriano e Valle del Sosio, nel circondario di Caltanissetta o in altri punti localizzati come Monte Altesina (Nicosia) e Monte Catalfano (Bagheria). Qui il pascolo intensivo ha trasformato il tipico paesaggio mediterraneo, e la vegetazione originaria è sopravvissuta esclusivamente sulle zone più inaccessibili.
PRECIPITAZIONI I periodi siccitosi appaiono come un fenomeno meteorologico caratteristico del clima Mediterraneo. Nel sud Italia, in regioni come Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna, i cambiamenti climatici portano ad una alterazione dei regimi pluviometrici e pertanto determinano periodi siccitosi più lunghi e intensi rispetto all’atteso. La siccità, se anomala, può dunque innescare processi di degrado del territorio, con un aggravio per le aziende agricole in termini di maggiori costi per irrigazione e di minore produzione, in particolare per i seminativi non irrigui e per le foraggere, oltre ai problemi legati alla mancata ricarica degli acquiferi. Al contrario nelle stagioni piovose, dove l’intensità delle perturbazioni supera spesso i valori normali (eventi alluvionali), l’azione superficiale degli agenti atmosferici può provocare l’erosione del suolo, uno dei principali fattori predisponente i fenomeni di desertificazione.
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Precipitazioni totali medie: periodo Maggio 2012 - Aprile 2013 (Stazioni SIAS)
Aree con maggiori precipitazioni:
700 - 900 mm
900 - 1.250 mm Fonte: Servizio Informativo Agrometereologico Siciliano (SIAS) REGIONE SICILIANA, Assessorato Risorse Agricole e Alimentari, Locali ondizioni di siccità in Sicilia orientale, Carta delle precipitazioni totali, 2012-2013.
Il valore minimo di precipitazione totale nei 12 mesi in Sicilia è stato registrato a Pachino con 302 mm, corrsispondente ad un deficit di precipitazioni del 49% rispetto alla media degli ultimi anni. In termini relativi, il deficit maggiore si colloca in provincia di Catania sul versante orientale dell’Etna, con il 57% di deficit registrato a Riposto ed il 55% di Linguaglossa. È interessante notare che l’analisi a 12 mesi rivela un significativo deficit anche nelle province di Enna, Caltanissetta, Messina e nella parte orientale della provincia di Palermo, anche se in misura decisamente meno grave. Estendendo l’analisi a livello delle serie storiche, va messo in evidenza che deficit ancora più gravi di quelli attuali si verificarono nel periodo maggio 2001-aprile 2002 e prima ancora nell’analogo periodo tra 1987-88.
SIAS, Si consolida il deficit di precipitazioni in Sicilia Orientale, bollettino meteo, maggio 2013.
PALERMO - Non c’è una via di mezzo. Prima i nubifragi estivi e ora il caldo insolito dell’autunno sicoliano. «Trenta gradi a Palermo e una media di 28 in tutta la Sicilia. Un caldo eccessivo che si teme provochi danni seri alle colture. Soprattutto per gli agrumeti - rileva la Coldiretti siciliana - lo sbalzo termico aggrava la siccità dell’estate trascorsa che si aggiunge alla ormai onnipresente tristeza. Si registra anche il proliferare di parassiti e insetti dannosi nei limoni della costa ionica e peloritani e in tutta l’Isola una forte cascola di olive in un’annata che già si profila scarsa». Lo sostiene la Coldiretti, secondo cui «aumentano i costi di produzione per gli ortaggi visto che, in mancanza d’acqua piovana bisogna prevedere nuove irrigazioni che sono a rischio perchè le risorse idriche iniziano a scarseggiare. Anche per la pastorizia si profilano danni in quanto il caldo e la siccità non favoriscono la crescita del pascolo».
La Coldiretti, Caldo Sicilia, la Coldiretti: «Agricoltura a rischio siccità», articolo su La Sicilia, 14/10/2014.
«Questi cambiamenti climatici sono gravi e causano non pochi danni; per esempio, al sud, la siccità. Una questione di rilevante importanza, che diventa ciclicamente più urgente nel periodo estivo, ma, procedendo negli anni, l’allarme si è esteso anche al periodo quasi invernale. I meteorologi rivelano che fenomeni del genere non possono che essere imputabili ad un globale riscaldamento delle temperature che hanno causato gravi conseguenze. In ambito nazionale sono state: lo scioglimento dei ghiacciai sulle Alpi, il proliferare di temibili insetti come la zanzara tigre e numerosi parassiti delle piante che causano alle colture malattie fino ad oggi rare.» «Le Nazioni Unite hanno diramato l’ultimo rapporto di sintesi sui cambiamenti climatici che conferma al 95 per cento la responsabilità delle emissioni causate dalla combustione di petrolio, carbone e gas fossile.»
Vittoria Marletta, Sicilia, troppo caldo. Agricoltura trema: è allarme siccità, articolo su NewSicilia, 2/12/2014.
«L’agricoltura è al collasso. La crisi dei mercati e la siccità rischiano di far scomparire decine di aziende, chiederò che sia proclamato lo stato di calamità naturale». La questione agricoltura irrompe all’Assemblea regionale siciliana e il sindaco di Pachino Roberto Bruno è pronto a snocciolare dati a dimostrare come l’economia del suo territorio dominata dalle produzioni agricole di eccellenza ha bisogno di interventi per non scomparire. «Non piove da molto tempo e nell’immediato non è previsto che ciò accada e l’annata è comunque compromessa. Per questo abbiamo accolto l’invito del presidente della commissione Attività produttive Marziano e speriamo che l’intera assemblea comprenda la delicatezza del momento. Qua non si tratta di dare una boccata di ossigeno alle aziende ma dare il tempo agli imprenditori di fare una conta dei danni».
Massimo Leotta, Agricoltura in ginocchio. Mercato in crisi e siccità mettono a rischio le azienda di eccellenza pachinesi, articolo su La Sicilia, 11/9/2014.
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SALINIZZAZIONE La salinizzazione, ovvero il processo per cui in un determinato suolo tendono ad accumularsi eccessive quantità di sali che ne compromettono la produttività biologica, desta preoccupazioni crescenti. Fenomeno di degradazione della qualità dell’acqua che ne limita l’utilizzo per il consumo potabile e per attività agricole. Generalmente innescata da una gestione antropica del suolo non sostenibile, la salinizzazione risulta particolarmente critica in regioni aride e semi-aride più soggette alla desertificazione. Una delle cause principali è il sovrasfruttamento delle falde acquifere, definito come l’eduzione di quantitativi d’acqua superiori agli apporti d’acqua dolce, la cui conseguenza è l’infiltrazione naturale di flussi sempre crescenti di acque salmastre che provocano la stratificazione di sali nel suolo. Il progredire di questo fenomeno potrebbe compromettere in maniera irreversibile lo stato dei terreni rendoli sterili e soggetti ad erosione.
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Acquiferi potenzialmente salini
aree vulnerabili
Fonte: Atlante Nazionale delle aree a rischio desertificazione, C.R.A. - Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo, Centro Nazionale di Cartografia Pedologica, Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA), finanziato e patrocinato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare., 2007. Regione Sicilia, sistema di degradazione delle terre “SALINIZZAZIONE”, indice di impatto: acquiferi potenzialmente salini, 2007.
Il termine salinizzazione, la cui definizione è naturalmente legata all’accumulo dei sali nei suoli, è normalmente utilizzato anche per indicare il progressivo aumento della concentrazione salina delle acque. Essa dipende da una parte dalle caratteristiche idrogeologiche degli acquiferi, dall’altra dal modo in cui avviene la loro ricarica, naturale o artificiale. Si tratta in realtà di due fenomeni legati ma diversi. Con lo stesso nome quindi indichiamo sia il dramma delle aree interne dell’Australia, dove il taglio delle aree boschive da destinare ad uso agricolo ha modificato gli equilibri che mantenevano il livello della falda a una distanza dalla superficie tale da impedire la risalita capillare, sia l’accumulo progressivo di sali in suoli irrigati in aree aride e semiaride, che l’intrusione salina che si verifica per eccessivo sfruttamento delle falde nelle aree costiere di molti paesi europei. In Europa il fenomeno è diffuso e conosciuto soprattutto nei paesi che si affacciano sul mediterraneo ed è strettamente legato all’eccessivo sfruttamento delle falde che provoca l’intrusione salina. Oggi, ciò che preoccupa, è che il numero e la superficie di aree interessate è fortemente aumentata nel giro di pochi anni. (...) La comprensione delle cause di questa espansione spinge necessariamente la nostra attenzione, al di là del fenomeno fisico chimico, a considerare le determinanti cioè quelle attività economiche che sono in qualche modo le prime responsabili, indicate più comunemente con il termine inglese driving forces. L’ agricoltura è sicuramente il settore economico che ha il ruolo più importante, sebbene non siano da trascurare i contributi dell’industria, del turismo e dei consumi domestici. Generalizzando, potremmo dire che la “litoralizzazione”, cioè la progressiva concentrazione della popolazione e delle attività economiche nelle aree litoranee del nostro paese, è un processo che ha evidenti connessioni con l’eccessivo sfruttamento delle acque superficiali e sottosuperficiali che è a sua volta legato all’aumento delle aree interessate dall’intrusione marina.
LA PIANA DI LICATA E IL BACINO DEL FIUME IMERA Lo studio condotto dall’ Enea, Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente, si è basato sulla selezione di territori con caratteristiche socioeconomiche ed ambientali adatte allo studio del fenomeno di salinizzazione. La rappresentatività dell’area selezionata è stata ottenuta con la combinazione di tre differenti indici: indice di aridità; indice di siccità; indice di perdita di suolo (relativo alle caratteristiche del suolo, al suo uso e all’erosività nei confronti delle piogge). si è tenuto conto anche della qualità e gestione delle risorse idriche del territorio siciliano.(...) Il territorio di Licata, è stato selezionato perché storicamente caratterizzato da problemi di desertificazione e da gravi crisi idriche, in cui l’uso per scopi irrigui di acque di bassa qualità e la diminuzione del trasporto solido stanno accelerando il degrado della fertile pianura alluvionale con gravi problemi socio-economici. Inoltre, quest’area è estremamente sensibile ai cambiamenti climatici ed in essa si assiste a un incremento significativo della temperatura.(...) La piana di Licata rappresenta una delle zone fertili della Sicilia centro-meridionale, caratterizzata dalla presenza di numerosissime serre. Tali attività agricole risentono dei problemi di carenza qualitativa e quantitativa delle risorse idriche. Nei periodi estivi la bassa disponibilità d’acqua dagli acquiferi viene compensata da prelievi dal fiume Salso, il che comporta l’uso di acque ad elevata salinità che nel tempo stanno producendo il degrado dei suoli.
pp. 8 9 10 13 14 15 60 (ENEA)
ENEA - a cura di N.Colonna, M.Iannetta, A. Palucci, Salinizzazione e qualità delle acque: impatti e ipotesi di mitigazione, Roma,2008.
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URBANIZZAZIONE Le opere di urbanizzazione primaria e secondaria producono generalmente un elevato impatto sul sistema ambientale. A riguardo viene attenzionato il processo di desertificazione in atto, conseguenza dell’implacabile incoscienza dell’uomo che avanza verso una definitiva degradazione del territorio. L’urbanizzazione selvaggia delle coste, ad esempio , ha modificato la naturale evoluzione dei litorali, facendo sì che l’azione erosiva del mare e del vento diventasse una questione di prim’ordine, specie in corrispondenza di quei centri urbani in cui sono a rischio abitazioni, infrastrutture e attività produttive. Il processo di urbanizzazione inteso come pressione atropica sul sistema pedologico (compattazione), determina su di esso mutamenti irreversibili della funzionalità agricola e forestale. Basti osservare la pratica della cementificazione (Legale ed Illegale) che ha già portato alla saturazione di intere porzioni di costa e che sta lentamente divorando l’entroterra. L’alterazione degli ecosistemi naturali si manifesta in diversi fenomeni climatici e geologici sempre meno sporadici e maggiormente catastrofici, da considerarsi in gran parte frutto di una scorretta gestione dell’ambiente. 72
aree urbane
Fonte: Atlante Nazionale delle aree a rischio desertificazione, C.R.A. - Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo, Centro Nazionale di Cartografia Pedologica, Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA), finanziato e patrocinato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare., 2007. Regione Sicilia, sistema di degradazione delle terre “URBANIZZAZIONE”, indice di impatto: urbanizzazione e principali infrastrutture, 2007.
I consumi di suolo, riconducibili a una pluralità di pressioni e processi di deterioramento dovuti a cattiva gestione del territorio, si traducono in costi ingenti per la collettività e in serie forme di peggioramento della qualità dell’ambiente (dissesto idrogeologico, contaminazione da inquinanti, perdita di fertilità e desertificazione…). In particolare, la dispersione insediativa che si è progressivamente andata affermando come forma di urbanizzazione prevalente nel nostro Paese, tende a consumare una risorsa, particolarmente scarsa in Italia. Forme di infrastrutturazione e urbanizzazione non correttamente pianificate, se non del tutto abusive, sottraggono frequentemente territori destinati ad altri usi o con diversa vocazione, non ultime quelle naturali o agricole.(...) Il fenomeno, inoltre, agisce negativamente su altre dimensioni del benessere individuale e delle comunità, deteriorando la qualità dei paesaggi, compromettendone i caratteri storici tradizionali e inducendo un progressivo scollamento del radicamento culturale delle persone rispetto ai luoghi che abitano. In alcuni casi, come ad esempio nelle forme di sviluppo residenziale disperso e di bassa qualità delle periferie e degli hinterland metropolitani.(...) Le principali evidenze sono: Nell’Europa comunitaria l’indagine LUCAS su uso e copertura del suolo stima che le superfici artificiali coprono in media il 4,6% del territorio, in Italia il 7,8% Le dinamiche insediative di lungo periodo descrivono una progressiva contrazione della popolazione nei principali centri urbani e complementarmente la crescita consistente dei residenti nei comuni dell’hinterland. L’abusivismo edilizio stimato intono al 5% della produzione legale nel Nord, al 10% nel Centro e al 30% nel Mezzogiorno. Considerando le superfici vincolate dalla ex Legge Galasso, la densità degli edifici è cresciuta in un trentennio del 23,6% nelle aree costiere e del 26,6% sulle pendici vulcaniche. Gli elementi più evidenti con i quali questo fenomeno si manifresta sono la sottrazione di aree a diversa destinazione originaria (naturale o agricola) ad opera di nuova edificazione (residenziale in prevalenza, ma anche produttiva e infrastrutturale) e l’impermeabilizzazione delle superfici naturali, con impatto ambientale negativo in termini di irreversibilità delle caratteristiche originarie dei suoli, dissesto idrogeologico e modifiche del microclima. Il consumo di suolo in numerose proposizioni si identifica con il cosiddetto urban sprawl, cioè con un processo di urbanizzazione non pianificato e ad elevata dispersione insediativa.
ABUSIVISMO SULLE COSTE TRAPANESI, IL CASO TRISCINA Il fenomeno dell’abusivismo ha registrato negli ultimi tre anni centomila nuovi casi, rilevati da una ricerca del Cresme per conto di Legambiente e Ance. La produzione edilizia abusiva si è concentrata per il 68% in cinque regioni del meridione: Campania, Calabria, Puglia, Sardegna e Sicilia. Il caso eclatante di Triscina, città fantasma sorta su una spiaggia a ridosso di Selinunte, sulle coste della Sicilia, dove la struttura naturale è scomparsa facendo spazio all’ennesima distesa di cemento. Non è mai stato interrotto il fenomeno e sembra avere programmi di espansione edilizia a carattere residenziale e turistica. Un agglomerato di migliaia di villette che ha completamente distrutto chilometri di costa sabbiosa da Selinunte verso Mazara del Vallo. Il fenomeno dell’abusivismo porta inesorabilmente ad una rottura con i luoghi e pertanto è necessaria una soluzione che ripristini il territorio violato dalla speculazione edilizia.
ISTAT, Commissioni riunite VIII Commissione “Ambiente” e XIII Commissione “Agricoltura” della Camera dei Deputati, Roma, 17/12/2013
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LAB SICILIA La Sicilia è al centro del Mediterraneo, da sempre ambiente arido che ha spinto le popolazioni ad ingegnarsi, suscitando cultura e edificando i suoi paesaggi. L’isola potrebbe svegliarsi e diventare un’esempio di rinascita dalla crisi. La Sicilia fa da cerniera tra i paesi in via di sviluppo e la cultura nord-euro centrica. Proprio per la sua origine, potrebbe avviare la sua personale Ricerca del Nord, acquistando autonomia culturale dall’idea di sviluppo e di tecnologia imperante. In caso contrario potrebbe essere destinata alla creazione di paesaggi energetici invivibili. Nell’isola convivono paesaggi relitti (insediamenti, colture, vegetazione, fauna, tecniche che rappresentano precisi momenti storici ormai inesistenti e i relativi equilibri economici e biologici), industrializzazioni a cielo aperto (come quella delle serre, degli agrumeti e del turismo), territori in via di desertificazione, realtà in transizione (come le comunità intenzionali, i laboratori hacker di informatica ad accesso
libero, sperimentazioni agricole retroinnovative). La mappa sottostante individua alcune delle aree fragili, chiamate carcinomi perché sono soltanto i casi più eclatanti, di superficie. L’area di progetto è un finto paradiso nel quale agiscono tutte le nevrosi legate al modello socio-economico-culturale vigente. Le nevrosi più evidenti, legate alle chiusura dei cicli, hanno portato alla saturazione di cimiteri e discariche, e a depuratori mal funzionanti in tutta la Sicilia.
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ECO-NOMIA La lettura indiziaria parla dell’ECO-NOMIA del bacino, delle regole che ne gestiscono la casa, dunque delle risorse idriche, del rapporto con la vegetazione e con le monocolture. Gli schemi 3d e il rilievo fotografico sono una prima sintesi. Alle foto dei sopralluoghi sono stati applicati 2 filtri legati alla diversa natura geologica del bacino del Simeto. La sponda delle colline nude e impermeabili corrisponde al giallo, la sponda sinistra della piana alluvionale e dei terreni vulcanici permeabili, al verde. Lo schema in tre dimensioni sui tasselli è una sintesi dei diversi sistemi di paesaggio che partecipano all’essenza di Paternò, cerniera dell’intervento. La rappresentazione sintetica serve a codificare gli schemi di edificazione
del paesaggio, che vanno dalla monocoltura degli agrumeti proveniente dalla piana di Catania, al sistema nudo degli Erei, alle coltivazioni arboree delle pendici dell’Etna, che sfumano in riserve abitate da piante relitte da proteggere dall’agire antropico. Lo schema sulla rete idrografica superficiale che caratterizza la sponda destra del fiume, analizza gli affluenti e i relativi invasi, infrastrutture rigide dalla logica lineare ma necessarie, in quanto fonte di acqua potabile (Ancipa), di acqua ad uso irriguo e di energia elettrica. Il sistema idroelettrico Salso-Simeto è costituito da 6 delle 17 centrali presenti in Sicilia. Sull’asta principale è evidenziata la qualità pessima delle acque.
La Collina della Poira (in giallo) durante la stagione pascoliva invernale, uno dei problemi sulle sponde del Simeto è legato al pascolo abusivo. Monocultura degli agrumi (in verde).
L’ingresso della saja maestra al mulino Serra, oggi relitto, testimone della produttività delle aree umide di Paternò. Il sistema delle saje è quasi sempre affiancato dal sistema stradale.
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Vista aerea sull’invaso Nicoletti dell’affluente Dittaino.
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Stormi sulla ZPS dell’Oasi di Ponte Barca.
La foto scattata durante un sopralluogo alla traversa di Ponte Barca mostra come il livello dell’oasi si abbassa in maniera drastica a causa della necessaria manutenzione delle condotte che portano l’acqua del Simeto al Biviere di Lentini. In queste occasioni, soprattutto quando coincidono con la nidificazione, la fauna viene disturbata. Tra gli abitanti il pollo sultano, frutto di una operazione di reinserimento ben riuscita. Alcuni dei nostri dispositivi possono fare da strategia cuscinetto, ricucendo il dialogo tra la traversa e le zone SIC e ZPS da lei originate.
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Fonti: Piano di Tutela delle Acque della Sicilia (Dicembre 2007); Progetto di Programma di Sviluppo Socio Economico 2009-2011, Provincia regionale di Catania; Descrizione degli ambiti territoriali: loro caratteri peculiari. Sistema antropico, sottosistema agricolo, paesaggio agrario, linee guida del piano territoriale paesistico regionale; UďŹ&#x192;cio Genio Civile di Catania, U.O. 6 Geologia ed assetto idrogeologico.
ACQUA Qui la comparazione delle tre scale svela l’invisibile. A scala bacino è visibile la rete idrografica superficiale che caratterizza la sponda destra del fiume e la preponderanza del sistema centralizzato degli invasi, infrastrutture rigide che anche se essenziali mancano di sensibilità ecosistemica. I prelievi vengono effettuati senza accertarsi che la risorsa acqua abbia la possibilità di rigenerarsi. Il tratto del fiume dopo Ponte Barca spesso ha carattere torrentizio intermittente. L’invisibile si mani-
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festa nello zoom della scala al 25:000, dove è stato ricostruito il sistema capillare delle saje. Questa infrastruttura idrica sfrutta la forza di gravità, in modo da non mobilitare risorse esterne all’ambiente e mette in gioco metodi di prelievo che permettono all’acqua di ricostituirsi, garantendone la durabilità nel tempo. Le saje antropiche sono un secondo reticolo idrografico superficiale, tanto naturale quanto il primo, perché respira e vive.
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Fonti: Piano di Tutela delle acque della Sicilia. Carte dell’impatto antropico: sistema delle utilizzazioni irrigue e fonti d’inquinamento puntuali. La classificazione e lo stato di qualità dei corpi idrici significativi e presenti nel bacino.Dicembre 2007; Impianti di utilizzazione delle risorse del bacino Salso- Simeto. Planimetria da “Analisi delle possibilità di utilizzazione ad uso promiscuo delle acque già destinate a scopi idroelettrici in Sicilia”, Cassa per il mezzogiorno, Pasquale Penta, 1978; P.A.I. (Piano stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico del fiume Simeto) Carta dell’area di esondazione per manovre delle opere di scarico della diga Ancipa. Carte dell’area di esondazione per manovre delle opere di scarico e per collasso delle dighe: Pozzillo, Sciaguana; Nicoletti, Ogliastro. Carte dell’area di esondazione per collasso delle dighe a monte della traversa Ponte-Barca. 2005; Ufficio Genio Civile di Catania, U.O. 12 Acque: concessioni e autorizzazioni. Quadro d’unione fogli catastali del Comune di Paternò. Incrocio dati tramite il software Google earth; Piano regolatore generale del Comune di Paternò, revisione 2013. Carta vincolo idrogeologico - Riserva idrica e pozzi; Rilievo diretto a cura di L. Giuffrida - Tesi di laurea in ingegneria edile dal titolo I mulini ad acqua nel territorio di Paternò (CT): “un contesto da valorizzare”, 2004- 05.
SUOLO Gli agrumeti hanno un competitor, come si direbbe nel linguaggio del marketing. Un’ulteriore monocultura, che non ha preso il posto delle coltivazioni arboree (viti e ulivi) ma del bosco, anche nei pendii più ripidi della nostra oragrafia, fatti su misura per le foreste. La Sicilia nuda del Serafino Scrofani, così si chiama, perché produce “rocce nude e affioramenti” che alla scala del 25:000 fronteggiano gli agrumeti dei terreni permeabili. La carta associa ad ogni articolazione del sistema geologico il grado di permeabilità per rendere ridondante l’astrazione di S.Scrofani, che divide la Sicilia in 2 mondi: quello del suolo permeabile dove “non è difficile
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far risorgere la vita dell’albero” e il mondo dei suoli impermeabili o posti su pendii ripidi, dove lo strato migliore di suolo è stato dilavato e deve essere ricostituito con materia organica, captazione delle acque e con l’aiuto del pascolo. Alla geologia, riletta per grado di permeabilità, é stata sovrapposta la “carta del paesaggio agrario” del Piano Paesistico. La legenda dell’elaborato è stata postprodotta utilizzando le icone delle carte IGM. Le rocce hanno mutuato l’icona dei monumenti notevoli. Per la scala regionale, la permeabilità dei suoli è stata ricostruita attraverso la carta geologica d’Italia e il paragrafo descrittivo di S.Scrofani.
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Fonti: Piano di Tutela delle acque della Sicilia. Carta geologica schematica. Dicembre 2007 ; Linee guida del Piano Territoriale Regionale, 6- Carta del paesaggio agrario e 1- carta dei complessi litologici; Carta geologica d’Italia; Ufficio Genio Civile di Catania, U.O. 6 Geologia ed assetto idrogeologico. Carta geologica quadranti A-F ; Dipartimento dei beni culturali e della identità siciliana. Piano paesaggistico, ambiti 12, 13, 14, Analisi Tematiche, Sistema Antropico, “Carta del Paesaggio agrario”, Relazioni e Tavole dell’adeguamento 2008; S. Scrofani, La Sicilia dell’albero differente di quella del maggese nudo, che ci viene imposto ancora dal clima, in Sicilia utilizzazione del suolo nella storia dei redditi e nelle prospettive, E.S.A., Palermo, 1962, pp.174-176.
CLIMA Le variazioni climatiche, che negli ultimi 20 anni hanno interessato il bacino del Mediterraneo, registrano una riduzione delle precipitazioni del 10%. La distribuzione spazio-temporale delle piogge, sempre più brevi ma intense, vede allungarsi i periodi caldi e siccitosi. La parte Centro Meridionale dell’isola è la più interessata a causa dell’arretramento verso Oriente dell’isoieta 500mm, che prima del 2005 interessava una parte limitata della parte meridionale estrema dell’isola. La mancata
ricarica delle falde, dovuta alla riduzione dei giorni nevosi e della permanenza di neve al suolo, fa sentire i suoi effetti sulla permanenza dei corsi d’acqua. L’arrivo violento e breve dell’acqua porta al dilavamento continuo dei suoli nudi. Alla scala del 25:000 si scorgono i fossi di ruscellamento che hanno modificato l’orografia della collina e che negli eventi piovosi trascinano verso il fiume “acque fangose, dal colore proprio della terra che è stata erosa nei vicini e lontani monti del tutto nudi”.*
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*S. Scrofani, Sicilia utilizzazione del suolo nella storia dei redditi e nelle prospettive, E.S.A., Palermo, 1962, p.171.
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Fonti: Piano di Tutela delle acque della Sicilia. Carta dello scorrimento superficiale, Carta dei poligoni di Thiessen e Carta dei bacini idrogeologici e dei corpi idrici significativi sotterranei. Dicembre 2007; SIAS, Carta precipitazioni totali dal 01/10/2013 al 30/09/2014 stazioni rete SIAS; Osservatorio delle acque, Carta delle isoiete per l’anno 2006; Ufficio Genio Civile di Catania, U.O. 6 Geologia ed assetto idrogeologico. Carte geomorfologica quadranti A-F e idrogeologica quadranti A-F; Piano Regolatore Generale, Comune di Paternò. Assetto idrogeologico, Carta dei dissesti. Maggio 2013.
NATURA/ARTIFICIO La carta mette insieme aree urbanizzate, parchi, riserve, zone SIC e ZPS, per scardinare il conflitto Natura/Artificio. Alla scala del bacino si vedono i confini del Pozzillo e dell’Ogliastro, qui non rappresentati, ma definiti dal loro sovrapporsi con aree SIC e ZPS, da loro originate. L’Artificio che crea le condizioni per habitat naturali. L’aridità immaginativa e la paura, giustificata, del cancro antropico, vede questi paesaggi come “scenari bidimensionali da restaurare”* o da mummificare nelle trame dell’eterno presente in cui è imbrigliata la nostra libertà di azione e pensiero, ma anche la possibilità di recuperare un dialogo con il nostro ambiente. I nostri boschi che dal 4000 a.C. si sono co-evoluti nel dialogo con l’uomo, se abbandonati a se stessi soffrono. Le pinete dell’Etna
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*G. Borella, Dentro il “progresso scorsoio”, Lo Straniero n°164,2014.
sono attaccate dallo stenografo, i castagni sono affetti da cancro alla corteccia, le querce deperiscono anche per l’assenza d’interventi selvicolturali. I recinti di protezione portano comunque a delle trasformazioni, spesso disastrate a causa del nostro abdicare. La necessità di istituire riserve nasce dalla rottura dell’equilibrio città-campagna, perché le zone abbandonate dal presidio rurale sono minacciate dal dissesto idrogeologico e dall’edificazione selvaggia. Alla scala del 25:000 si nota la sovrapposizione del vincolo idrogeologico con la collina dilavata dai ruscellamenti. Questo vincolo nella “Carta Istituzionale dei vincoli territoriali” del PTPR ha una diffussione dilagante. Sempre al 25:000 si nota l’incompatibilità del recinto attorno alle salinelle, per loro natura imprevedibili e vive.
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Fonti: Piano di Tutela delle acque della Sicilia. Carta delle aree protette. Dicembre 2007; Linee guida del Piano Territoriale Regionale,17- Carta istituzionale dei vincoli territoriali; Atlante nazionale del rischio di desertificazione, Carta Indice di impatto: urbanizzazione e principali infrastrutture; Piano regionale dei trasporti e mobilità, Carta Interventi infrastrutturali di raddoppio e di velocizzazione sul sistema ferroviari e Carta Interventi infrastrutturali sul sistema stradale; Piano di gestione del distretto idrografico della Sicilia, Carta delle aree designate per la protezione di habitat e specie - Aree naturali protette. 2010; Provincia regionale di Catania, Progetto di territorio piattaforma territoriale trans-nazionale tirreno-jonica. Carta Scenario stato di fatto, grafo della rete viaria e ferroviaria. 2009; Piano regolatore generale del Comune di Paternò, revisione 2013. Sistema delle tutele, Carta vincolo idrogeologico: riserva idrica e pozzi, Carta Sic-Zps e aree protette Carta vincoli archeologici diretti e paesaggistici; Piano territoriale provincia di Catania, Pianificazione comunale: mosaicatura degli strumenti urbanistici.
DISSEZIONI
Le strategie operative del nuovo paradigma del progetto sono la Traduzione e la Retroinnovazione. La Traduzione tiene insieme tradizione e innnovazione, considerando la tradizione come un sistema dinamico da sostituire al regime delle tutele, che a volte porta a congelare il rapporto creativo tra tradizione e innovazione. Bisogna costruire luoghi in cui sia possibile conservare facendosi carico dell’innovazione, che sarà la tradizione di domani. Per edificare queste possibilità, si deve indagare attraversando campi fisici, storici e emozionali, leggendo le tracce celate ma ancora persistenti.“I paesaggi, le architetture, le città sono come lingue straniere: muoiono se non vengono ‘tradotti’, se non vengono continuamente riportati in vita da un progetto critico (...) Senza il continuo esercizio di traduzione, l’atto di conservare e restaurare equivale ad uccidere. (...) E tanto più diventano distruttivi quanto più utilizzano una cultura preoccupata esclusivamente del linguaggio e delle figurazioni. (...) Un’ Architettura che traduce è un’ Architettura che riscrive la tradizione dei luoghi e la rende comprensibile a chi abita la contemporaneità.” La Traduzione da una parte concede all’innovazione una dimensione regressa, oggi assolutizzata come novità, dall’altra rimanda una metodologia d’indagine slegata da obiettivi di ricerca precostituiti, abbandonandosi alla possibilità di scrutare in sacche archeologiche differenti. Per tradurre l’essenza e la tradizione del luogo ci siamo serviti delle dissezioni, strumenti che in un primo momento isolano le tracce accumulando dettagli marginali, per poi pescare dall’inventario così ricostruito, i dettagli più rilevanti necessari al montaggio della narrazione. * M. Navarra, Abiura dal paesaggio. Architettura come trasposizione, il nuovo Melangolo, Genova, 2012, pp.49-51.
SEZIONI Le sezioni, nelle sue diverse declinazioni, fanno parte degli strumenti canonici del progetto. Le sezioni lobotomiche, per noi più che classiche come strumento, sono state rivisitate con l’inserimento di perni di rotazione. Per le lobotomiche sugli argini del fiume, il perno varia seguendo il movimento sinuoso del corso d’acqua. Per quelle di analisi del rapporto città-campagna, il perno diventa arbitrario e le sezioni affettano il territo-
CITTÀ - CAMPAGNA
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rio seguendo gli assi di movimento del fiume e gli assi di collegamento della città alla collina. La lobotomia, in chirurgia, separa la connessione tra i lobi frontali e il resto del cervello, in modo da creare una disconessione tra i processi intelletuali e quelli emozionali. In architettura ha lo stesso effetto, consentendo la costruzione di un apparato grafico asettico dove emergono le relazioni standard tra i macroelementi considerati.
FIUME - ARGINI
Il ridisegno degli assi che attraversano il sistema trasversalmente, passando dagli agrumeti alla collina, ha usato 8 sezioni che abbinate in coppia costituiscono le 4 fasce di cucitura dei 2 sistemi. Queste sezioni forzano la rappresentazione, non rispettando la precisione del disegno, per tenere insieme orografia e geologia, quindi la superficie di calpestio e l’invisibile, in modo da realizzare un racconto in movimento. Sulla superficie di queste 4 sezioni a fascia sono evidenziati i tasselli delle microtopografie.
LINEE DI CUCITURA
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MICROTOPOGRAFIE Le microtopografie zommando in punti specifici dell’area di progetto, evidenziano le variazioni che si hanno tra le trame monotone della texture degli agrumeti, dovute all’apparire dei mulini e alla presenza della cicatrice prodotta dal canale dell’Enel. Questa infrastruttura, per il momento inacessibile, che turbina le acque del Simeto, sembra
essere un secondo fiume che scorre parallelo tra gli agrumi della pianura alluvionale. Sulla collina, il racconto delle microtopografie, attraversa relitti come l’EX allevamento cavalli, e le zone pericolanti della strada di contrada “Sciddicuni”, che non a caso si chiama così.
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Ex allevamento dei cavalli, istituito dal Ministero della guerra nel 1833 nella tenuta demaniale di Pietralunga, oggi diruto. Canale di adduzione dell’Enel, oggi infrastruttura-cicatrice e inacessibile.
In primo piano la comune arabo-rurale nota per il caso Feltri, sullo sfondo la traversa di Ponte Barca e gli agrumeti
Mulino Leone sulla sinistra, strada allagata a causa della cattiva gestione della saja maestra.
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TRACCE RAPPORTO NATURA/ARTIFICIO LUNGO L’ASTA
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INQUINAMENTO IDRICO E DEL SUOLO
POPOLAZIONI FAUNISTICHE NEI TRATTI ARTIFICIALI
Le dissezioni esaltano il paradigma indiziario, esercitando e rafforzando la rapidità associativa. Questa abilità mira ad avvicinarsi alla destrezza del cacciatore-raccoglitore, descritta da Ginzburg come la capacità di compiere operazioni mentali complesse con velocità fulminea. La prima fase tenta di non configurare a priori un’ipotesi da dimostrare, per far in modo che la ricerca diventi ricettacolo di tracce spesso trascurate perché non confacenti all’obiettivo guida. Così, abbiamo accumulato indizi che vanno dai disegni dei Benedettini scovati all’Archivio di Stato di Catania; alla scoperta di un territorio vivace tra aziende didattiche, woofer e comunità intenzionali; allo studio di carte storiche per registrare l’instabilità del fiume spesso dovuta ad azioni antropiche.
SOVRAPPOSIZIONE DELL’ANDAMENTO STORICO DEL FIUME
ABACO GEOMORFOLOGICO E PAESAGGIO AGRARIO DEL BACINO
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MIGRAZIONE E ARRETRAMENTO DELLA FOCE
Cupola geodetica costruita dalla comunità intenzionale “Saja Project” insediata sulle sponde del Simeto.
TOPONOMASTICA
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Fornace fotografata durante la visita all’azienda “Case delle acque” di Navir.
ABACO DEI RELITTI
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PATTO DI FIUME SIMETO
FOTO Il rilievo fotografico è servito a fissare nelle istantanee le criticità del territorio. Alcune di queste sono comuni sia alla collina che alla texture degli agrumi, come la presenza delle discariche abusive a cielo aperto. Le foto post prodotte con l’aggiunta di due filtri fotografici - verde per gli agrumeti e giallo per la collina nuda - evidenziano subito il passaggio da un sistema all’altro. Il cattivo rapporto con le acque, è un altro problema comune ai due sistemi, che si manifesta in istanze fisiche di-
verse. Sulla collina porta alla formazione di fossi di ruscellamento che disegnano profonde gole e durante gli eventi piovosi dilavano il suolo aumentando la sterilità. Tra gli agrumeti si manifesta in continue dispersioni d’acqua, dovute alla mancata manutenzione delle saje e nell’inquinamento delle acque, a causa dell’uso indiscriminato di fitofarmaci e del mancato finissaggio dello sbocco del depuratore.
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In alto a sinistra. Lo scarico del depuratore dei reflui urbani, nello sfondo la collina storica e l’area demaniale realizzata con terra di riporto proveniente dai lavori di risistemazione degli argini e della traversa di Ponte Barca. In basso a sinistra. discarica a cielo aperto che segna l’interruzione della strada che porta al guado di passo d’Ipsi. In alto. Mulino Serra e la nuova orografia disegnata dalla discarica abusiva.
IL COLAMENTO E LA NUOVA OROGRAFIA É stata ricostruita la nuova orografia della collina, che ha sostituito le isoipse riportate dal prg con una complessa condizione ambientale disegnata dai ruscellamenti e fatta di calanchi, fossi, scarpate torrentizie, colamenti, frane, soliflussi e reptazioni agricole. La ricostruzione parte da una base cartografica, in seguito arricchita dal confronto e dal ricalco diretto dell’ortofoto. Uno strumento del tutto nuovo è la cronologia storica di google earth con la quale abbiamo scovato un colamento avvenuto tra il 2007 e il 2010. Come si vede dalla sequenza fotografica, il colamento, ad oggi non dichiarato cartograficamente, ha portato via con sè un sentiero che saliva dal fiume ad un vecchio agrumeto sulla collina, del quale si intravedono solo le tracce. Se la sequenza viene letta secondo le stagioni si possono vedere le due sembianze della collina, verde e umida nella stagione pascoliva invernale e desertica nella stagione estiva. 101
dilavamenti del suolo fotografati il giorno seguente all’ultima piena del Simeto, esondato dopo 4 ore di pioggia intensa.
fosso di ruscellamento fotografato durante il secondo sopralluogo guidato da Giulio Doria dello studio Macro.
STATO DI FATTO
INVENTARIO PROGRAMMATICO DESERTO/ACQUA
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Il passaggio dalla registrazione di dati apparentemente trascurabili alla ricostruzione di una realtà complessa, porta alla redazione dello stato di fatto. La rappresentazione ricuce alcuni dei frammenti della fase indiziaria per confezionare un rilievo del reale che è allo stesso tempo una prefigurazione del progetto. La natura di questo risultato è resa evidente dalla sintesi diagrammatica dell’”inventario programmatico” che mette in risalto le due forti identità “deserto/acqua” che si fronteggiano separate dal Simeto. Le colline dell’ennese apparentemente abbandonate e la piana alluvionale intensamente sfruttata e antropizzata. Le diversità rispecchiano in miniatura le distanze tra la Sicilia lenta dell’entroterra (relitto legato alla deforestazione) e la Sicilia veloce e progressista delle coste. I tre sistemi corrispondono alla diversa geoologia messa in evidenza dalle sezioni a fascia: le colline argillose, appartenenti alla catena appennino-maghrebide che va incontro all’avanpaese ibleo; l’avanfossa alluvionale, nata dallo sbriciolamento del plateau carbonatico degli Iblei durante la collisione con la placca tettonica dei Nebrodi; i terreni vulcanici, porosi e disseminati di fenomeni di vulcanismo secondario, sorti dall’impatto. All’interno di questo macro sistema si registrano delle anomalie: terreni incolti, come opportunità critiche in cui innestare le strategie di contaminazione del progetto; aziende e comunità, già in transizione, da coinvolgere; aree di interesse paesaggistico, da tradurre ai contemporanei. I relitti sono indicatori di un antico equilibrio “economico e biologico”1 spezzato, che ha portato all’abbandono del presidio rurale sulla collina e allo sfacelo del sistema produttivo legato all’acqua e ai mulini. “Ricordare non è solo attività di recupero ma essenzialmente qualcosa di creativo, che accade al momento.”2 I tracciati portano alla luce la potenziale articolazione delle vie di comunicazioni, ad oggi bloccate da discariche a cielo aperto e da allagamenti dovuti alla cattiva gestione della matrice oasiana delle saje. 1. C. Traselli, Necessità di una storia della agricoltura siciliana, in La Terza Sponda, p.115 2. M. Navarra, Abiura dal paesaggio. Architettura come trasposizione, il Saggiatore Editore, Milano, 2008, p.55
ANOMALIE
RELITTI
TRACCIATI
Gli indizi confluiscono nella rappresentazione dello stato di fatto, che tenta di avvicinarsi alla qualità informativa dei disegni più datati, evidenziando la diversa densità degli agrumeti e la nuova orografia della collina in continuo mutamento.
La rappresentazione dello stato di fatto potrebbe essere migliorata, imparando dalla qualità di rappresentazione dell’Istituto Geografico Militare e dall’essenzialità dei disegni dei Benedettini.
STATO DI FATTO
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STRATEGIA
La strategia complessiva guarda alle diverse scale (quella del bacino, quella del sistema Salso-Simeto e quella dell’area di progetto) nella prefigurazione di una diffusione virale del nuovo paradigma olistico. La nuova visione mette in campo la grammatica generativa dei dispositivi per dare nuova linfa all’uomo appassito, insieme alla sua capacità inventiva tecnologica, a causa dell’educazione dottrinale “Sostituire la sveglia meccanica dell’educazione al risveglio del sapere significa soffocare nell’uomo il poeta, gelare il suo potere di dare senso al mondo. Non appena separato dalla natura, privato di lavoro creativo, mutilato nella curiosità, l’uomo perde le sue radici, è paralizzato, appassisce.” I dispositivi hanno a che fare con le dinamiche del sapere, contrapposto “alla sveglia meccanica dell’educazione” e alle dottrine disciplinari. Mettono a disposizione la loro grammatica generativa pronta ad essere utilizzata da chiunque voglia tornare ad apprendere da se stesso, senza aspettare di essere educato all’azione. Fissano ingredienti di relazione legati agli obiettivi da raggiungere, per sperimentarli con intuito sul campo della progett-azione. L’approccio che permea la strategia è sistemico, in quanto risponde a più problemi nello stesso tempo per trovare soluzioni adattive che grazie alla loro natura ridondante sapranno rispondere, con più decisione e più possibilità di riuscita, alle condizioni critiche che si stanno prospettando. * I. Illich, La convivialità: una proposta libertaria per una politica ai limiti dello sviluppo, Red Edizioni, Trento, 2013, pp.86-87.
CONNESSIONI
ITINERARI
La prefigurazione di una diffussione virale della strategia si basa sulla possibilità di rendere percorribili infrastrutture, oggi dirute o inacessibili, per trasformarle in articolazioni connettive del sistema. Le infrastrutture rivisitate faciliteranno lo spostamento delle persone, prevedendo la disutilità nel tempo degli spostamenti della merce e l’esigenza crescente di far circolare idee e gente. Le connessioni sono: le trazzere che attraversano l’entroterra, un tempo collegamenti vitali per l’agricoltura; i canali adduttori dell’Enel e dei Consorzi di Bonifica, dove oggi circola solo l’acqua nel suo “percorso assurdo”, così come l’ha definito l’ing. Giuseppe Garofalo nel descrivere la destinazione dell’acqua prelevata dalla traversa di Ponte Barca (inviata al Biviere di Lentini e da lì rinviata indietro dal C. di Catania e a Siracusa); la linee ferrata i cui binari muoino da Motta Santa Anastasia in poi.
LIVELLO DI DIFFICOLTÀ
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ATTRAVERSO ILBACINO
DIREZIONE ENTROTERRA
L’area di progetto ritorna ad essere la cerniera geografica del bacino, riacquistando la posizione strategica che occupava ai tempi della Sicilia rurale. Dalla cerniera si diramano le direzioni delle trazzere verso l’entroterra del bacino idrografico e le connessioni del sistema Salso-Simeto che seguono le vie dell’acqua e quelle ferrate.
LA SOGLIA
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PALINSESTO
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Il palinsesto è il nome che abbiamo dato al nostro master plan per distinguerne la logica. Il palinsesto, scritto e riscritto di continuo, abbandona l’approccio risolutivo (un problema - una soluzione) per concentrarsi sull’approccio sistemico che guarda alla complessità e opera come un processo in cui cambiamenti, attività e azioni sono interconnessi e vivi, quindi soggetti alla stabilità mutevole. Le soluzioni così trovate non sono mai definitive e riescono a rispondere simultaneamente a più esigenze: ecologiche, economiche, sociali e simboliche. La ridondanza che le connota, contempla l’inutile, ciò che sembra apparentemente disutile ma che potrebbe fornire una soluzione imprevista nei momenti più critici. Le linee non sono solo articolazioni connettive, ma anche corridoi ecologici e fasce boscate frangivento che provano ad innestare nuovamente la vecchia consapevolezza della simbiosi tra il bosco e suolo agrario. I giardini, parte attiva nell’idea del giardino planetario di Gilles Clément, non sono solo parchi tematici ma veri e propri paesaggi ecosistemici che come le oasi coniugano la produzione al benessere. I dispositivi, strumento essenziale all’approccio sistemico, dialogano con la diversità del luogo specifico, diversità che è possibile riscontrare in raggi di pochi metri. La loro rappresentazione usa disegni fuori scala per evidenziare i processi e le relazioni tra le misure. La loro grammatica generativa, non è un insieme di rigide regole da applicare acriticamente, ma uno strumento per fissare le leggi generali. Le leggi, legate alle contingenze e all’evento, sono considerate come vincoli, ovvero limite del possibile ma allo stesso tempo condizioni di possibilità.
PUNTI
SUPERFICI
LINEE
Il palinsesto dispone le sue strategie nel tempo lineare in base alla priorità e alla fattibilità immediata degli interventi. Il progetto nell’area demaniale, l’attivazione della regia trazzera annessa e la configurazione della zona umida lineare, faranno d’innesco alla strategia virale. Le articolazioni sono la condizione primaria per il buon funzionamento, legato alla circolazione e all’accessibilità. Alla scala dell’area di progetto le macro connessioni (trazzere, canali, ferrovia) si incrociano ai due assi di movimento che attraversano il deserto e l’aria degli agrumeti. Le trazzere, la linea del deserto e quella dell’acqua rappresentano tre dimensioni temporali diverse. 111
FASE 1 - INNESCO
2015
2035
FASE 3 - CONSOLIDAMENTO
FASE 2 - PRESIDIO
2020
2080
FASE 4 - CONTAMINAZIONE
MODELLO DI STUDIO SCALA 1:5000
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Ingredienti
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Vista zenitale
Vista sud-est
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Agrumeto
Bosco
Fascia boscata
DISPOSITIVI I dispositivi provano a dare risposte istantanee ad esigenze impellenti, senza trincerarsi in posizioni rigide ma aprendosi a configurazioni future suscitate dal gioco combinatorio degli elementi eterogenei, che descrivono l’essenza della rete dei dispositivi. Uno dei possibili giochi combinatori della rete realizzata dai dispositivi, risponde all’esigenza di ricostituire il bosco della collina, in quanto è una delle risorse vitali fondamentali per via dei servizi ecosistemici che mette a disposizione dell’uomo. Senza il bosco il suolo più produttivo
STALLA GIP PER IL COMPOSTAGGIO
viene perso con il conseguente affioramento delle rocce nude, gli acquiferi sotterranei si asciugano amplificando la condizione di aridità e sterilità funzionale, durante gli eventi piovosi l’acqua diventa violenta e trascina il fango al fiume. I primi dispositivi messi in gioco mirano alla correzione delle argille attraverso il GIP (gestione intensiva del pascolo), la captazione e la condensazione dell’acqua per supplire al ruolo dell’albero. La seconda rete di dispositivi mostra le possibilità date dal bosco, che produce legna, miele, spezie, cibo.
BOSCO PRODUTTIVO
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COLLETTORI DI NEBBIA
1
2
rete 1. esempio di alcuni dei dispositivi che hanno la funzione primaria di correggere le argille. I collettori di nebbia associati a un sistema d’irrigazione sotterraneo a tubi essudanti crea umidità rendendo possibile la prima colonizzazione del suolo da parte delle erbe perenni e degli arbusti. Una volta ricostituito il suolo l’albero diventerà il nuovo condensatore ricaricando gli acquiferi. rete 2. La foresta offre una pluralità di benefici all’uomo, oltre il luogo comune della legna da ardare.
ALBERI ALVEARE FORESTA ALIMENTARE
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DOLCE MORTE
Alcuni dei beneямБci plurimi del bosco.
METODO FURUNO CHINAMPAS
AREA UMIDA
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CHINAMPAS GALLEGGIANTE
Alcuni dei dispositivi che rivitalizzano l’area umida: la coltivazione del riso integrata ad anatre, pesci, azolla e frutta per mitigare gli effetti negativi tradizionalmente legati alle risaie; le chinampas come ecosistema autarchico in grado di autogestirsi e di potenziare la zona umida già esistente.
BOSCO SACRO Le cornici date ai dispositivi, ricalcano la suddivisione data dai filtri fotografici, permettendo la scelta della grammatica generativa che più si adatta alla collina o all’area umida degli agrumeti. I dispositivi che riescono a rispondere alle esigenze riguardanti entrambi i sistemi sono incorniciati sia dal verde che dal giallo. Un esempio: le arnie torri, microhabitat che forniscono alle api la possibilità di insediarsi con modalità più vicine alla natura selvaggia, permettendo la realizzazione del tipico favo sinuoso e rispettando le loro scorte invernali e i loro spazi, senza negare il contatto diretto tra uomo e api. Le api infatti possono essere osservate dal vetro alla base dell’arnia.
BAMBUSETO
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ARNIE TORRI
CANAPETO
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FRESH KILL
FRESH KILL
ELECTRIC STEPPING STONES
PIETRA I Fresh Kill sono un dispositivo per la digestione dei rifiuti. La parola gergale viene usata dalla mafia per riferirsi alla vittima nascosta nel cemento, al corpo del reato occultato per sempre. Fresh Kill è anche il nome della satura discarica di un sobborgo newyorkese, che ha raggiunto l’altezza della statua della Libertà, in questa discarica Gordon Matta Clark ha girato un corto omonimo. Le declinazioni dei Fresh Kill sono ispirate al “Garbage Wall” di G. M. Clark. Rispondono sia all’esigenza di smaltire i rifiuti che a quella di reperire materia prima a basso costo e a Km zero. I dispositivi sulla captazione e la condensazione delle acque hanno a che fare con la pietra, materia primordiale ed essenziale nella costruzione dei paesaggi ecosistemici del Mediterraneo, Sicilia inclusa. Le pietre proteggono i suoli, facilitano la creazione di humus, sono concimatori litici e deumidificatori alchemici.
STAGNI DI RUGIADA
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POZZI AD ARIA
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ISTANTANEE
Le istantanee del progetto nascono dalla combinazione delle strategie e degli strumenti operativi fissati dall’indagine di progetto per comporre una scena. Trasponendo alcuni concetti dall’ambito cinematografico, si vuole sottolineare, il ruolo della moviola come strumento che consente di visionare le singole inquadrature per la realizzazione di un video e quindi di una scena. Allo stesso modo la selezione di frammenti di progetto costituisce la visione specifica di una serie d’inquadrature che nella sequenza compongono una immagine generica di ciò che potrebbe essere uno spazio, un percorso o un paesaggio. Proseguendo l’analogia, anche l’atto dell’inquadratura consente di delimitare con precisione lo spazio che sarà ripreso e al contempo di escludere tutto il resto (che compone il fuori campo). Così pure, gli scenari degli assi come quelli delle superfici consentono di mettere a fuoco e puntare l’attenzione su una potenziale visione del progetto, inquadrando solo ciò che è strettamente necessario far emergere, costringendo talvolta ad escludere delle altre parti. Per questo è evidente che le istantanee costituiscono un quadro, un’impressione senza la quale il progetto non potrebbe spiegare le relazioni possibili tra le diverse componenti, che necessitano di essere convalidate nell’istante della progett- azione. Proprio perchè il TEMPO appare come qualcosa che l’immagine in sè non può mostrare, dal momento che non ha senso al di fuori del rimando ad una unità organica.
TRAZZERE RE
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Gli assi delle trazzere, ricalcano grosso modo l’andamento mento dei vecchi tracciati strutturatisi nei secoli, costituiscono per il progetto to le linee di attraversamento trasversale rsale del bacino che proseguono verso so l’entroterra. Dentro la cerniera di Paternò tengono insieme l’intera porzione one del parco, riconnettendosi con gli assi ssi della saja e del deserto. L’intervento si propone di introdurre elementi di discontinuità nel tessuto agricolo, appropriandosi ropriandosi di piccoli porzioni di territorio torio appartenenti a soggetti privati per er introdurre un articolato sistema vivente nte che prende il nome di quinta. Le quinte nte appartenenti alle trazzere possono essere considerate come un reticolo secondario condario che dipartendosi da essa si dirama ama sul territorio
ASSE 1 VIA DEL GRANO
ASSE 2 VIA DEL RE
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ASSE 3 VIA DELL’OASI
ASSE 1 VIA DEL GRANO
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ASSE 2 VIA DEL RE
ASSE 3 VIA DELL’OASI
La grammatica generativa del progetto sulle trazzere utilizza un quadrato dimensionale di 1km quadrato, all’interno del quale sono presenti 3 arnie torri, così come indicato nel dispositivo, collocate adiacenti all’impianto trasversale delle quinte.
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La dimensione temporale delle trazzere ha un innesco immediato ma di crescita lenta e di trasformazione futura. Quest’ultima legata alla necessità di mettere a dimora essenze dall’attecchimento rapido e sicuro come i pini, specie di preparazione ad un ecosistema più variegato. Nella fase d’innesco, insieme alla presenza delle essenze di pino che compongono la quinta, viene introdotto il dispositivo delle arnie torri volto ad attività didattiche e di conoscenza oltre a costituire un’attività economica diffusa. La visione del progetto prevede l’introduzione in un secondo tempo di essenze differenti, rigenerando l’asse con altri dispositivi (vedi eutanasia).
VIA DELL’ENERGIA
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Il canale adduttore appartiene alle infrastrutture di regimentazione della produzione di energia elettrica, con l’impiego delle acque del Simeto. Rappresenta una delle macro connessioni, relative al sistema Salso - Simeto. Le caratteristiche fisiche del canale composte da una struttura rigida e complessa, costituiscono visivamente una cicatrice sul territorio e fisicamente un ostacolo invalicabile per la fruizione delle due parti da esso divise. La strategia progettuale, quindi, rinnova la presenza del canale sul territorio mutandone gli usi. I due margini di protezione verranno utilizzati come percorsi ciclo-pedonali, dando la possibilità di percorrere l’area attraverso un percorso, prima sconosciuto, che si addentra tra la fitta vegetazione degli agrumeti e si apre in punti sorprendenti di accesso al fiume e di riconnessione agli altri assi. A caratterizzare l’intervento è l’inserimento dei mudhif, una struttura realizzata con fasci di arundo donax tenuti insieme da corde di canapa che compongono il ritmo variabile dell’asse. Il valore naturalistico di questo elemento consiste in un corridoio ecologico per la fauna. Inoltre l’asse sarà capace di fornire una differente energia, quella metabolica. Prodotta dai passanti in diversi punti del percorso.
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VIA DELLE ARANCE
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L’asse della ferrovia passante per l’area di Paternò in corrispondenza delle pendici del conetto vulcanico del Neck, appartiene alla linea Motta S.Anastasia- Regalbuto, realizzata nel 1952 per rispondere alle esigenze commerciali dei produttori agrumicoli e per il trasporto dello zolfo proveniente da Leonforte. La condizione di dismissione del sedime, dal 1993 ad oggi, non ha più suscitato interesse da parte del territorio. Il progetto ritiene che la collocazione della ferrovia a ridosso del nucleo abitativo di Paternò possa costituire un motivo di ricucitura del territorio con la città. Inoltre il carattere longitudinale dell’asse consentirebbe il raggiungimento di altri punti del bacino attraverso un percorso alternativo. L’intervento di trasformazione in percorso ciclo-pedonale consiste nell’inserimento di Pioppi ai due lati della linea per incorniciare verticalmente il passaggio al suo interno, modificandone così la percezione del passante. Il ritmo fitto in tutto il percorso si differenzia e si dirada in spazi di sosta e punti nevralgici, caratterizzati dalla presenza del Cercis siliquastrum.
L’alberatura scelta caratterizza e identifica possibili percorsi. Il ritmo serrato e fitto dei pioppi crea un corridoio verde, mentre il ritmo diradato e variopinto, nel punto della vecchia stazione ferroviara è idoneo alla sosta sotto le chiome alberate dei cercis e delle betulle. L’area dei binari adiacenti alla stazione diventano uno spazio ludico e sportivo allo stesso tempo.
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VIA DEL DESERTO
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L’asse s’inerpica sulla collina con difficoltà, fino ad arrivare ad una situazione critica segnata da continui cedimenti e da situazioni tanto pericolose da renderne impossibile l’accesso persino con un 4x4. La linea del deserto rappresenta la dimensione temporale più dilatata, in quanto prima di raggiungere la stabilità mutevole, segnata dalla presenza del bosco, deve percorrere un lungo tragitto di preparazione che tocca la messa in sicurezza di alcuni versanti e la rigenerazione del suolo. Nella pagina a fianco alcune istantanee rappresentano le possibili condizioni di fasaggio per raggiungere una condizione di benessere. Le prime fasi prevedono l’uso congiunto di dispositivi utili alla condensazione e captazione delle acque, alla concimazione litica e alla facilitazione della creazione di humus. Le argille della Poira hanno subito l’ultima
fase massiccia di denudazione durante il feudalesimo (1556-1810) quando la politica della colonizzazione interna premiava i nobili parlamentari ad ogni villaggio di 80 fuochi fondato. Il bosco che si insedierà nuovamente sulla collina avrà molteplici valenze che vanno dal bosco sacro, ovvero sepolture verdi sono retroinnovative, la loro forza sta nel chiudere il ciclo della vita umana trasformando i cadaveri marcescenti, in esseri viventi - alberi in grado di riparare servizi ecosistemici essenziali: acqua, suolo e aria. Da queste sepolture nasce un nuovo e antico significato della morte, relazionata con la vita in cimiteri che non saranno più ettari contaminati e ricoperti da lapidi e cemento, ma parchi vitali in cui espiare i peccati ecologici commessi in vita, donando fertilità al suolo compromesso.
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VIA DELLA SAJA
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L’asse della saja maestra rappresenta un sistema di gestione delle acque storicamente radicato nel territorio di Paternò. Sul versante etneo la matrice delle saje si rivela nella sua integrità, sfregiata solo lì dove l’agricoltura ha ceduto il posto all’artigianato industriale o lì dove si è abbandonato il sistema proto industriale dei mulini, oggi cadente e a tratti alluvionato. Il suo impianto si estende per tutto il versante sinistro del fiume, con un reticolo articolato. Gerarchicamente strutturato con un asse principale, che si snoda diagonalmente dalle pendici delle città sino all’oasi, dal quale si dipartono con un sistema capillare le ramificazioni verso tutte le aree coltivate. Il progetto della linea dell’acqua, rapportato alla dimensione temporale delle azioni, rappresenta quella più immediata. Già inserita in un contesto ricco, trova materie prime insolite ma disponibili all’istante: i rifiuti. In alcune parti si trasforma in una discarica a cielo aperto. La strategia riattiva una filiera corta produttiva legata all’acqua, con intensità maggiore nella parte iniziale dell’asse dei mulini e scemante verso l’oasi.
Le acque della saja maestra costituiscono una ricchezza del territorio che il progetto mira a rendere nuovamente protagoniste di azioni ecosistemiche. Oltre a prevederne un rinnovato impiego nella attività produttive, esse compongono l’ingrediente fondamentale per la realizzazione della saja come nastro umido, arricchito di vegetazione acquatica con capacità fitodepuranti che la rendono un elemento distintivo del luogo.
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DECLINAZIONI
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Il percorso ciclo-pedonale che si snoda seguendo il tracciato della saja è arricchito dalla presenza dei dispositivi fresh kill. Il dispositivo realizzato con il materiale presente in loco viene declinato nelle due varianti: la prima nella via demulini, dialoga in modo diretto con la saja consentendo di raggiungere la quota più alta, da cui è possibile avere una visione panoramica di tutto l’asse. La seconda realizzata in un’area di sosta, vicina al mulino Serra, costituisce una zona d’ombra con area di servizio per le bici.
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La passeggiata, che si articola per tutta la lunghezza della via dell’acqua, in alcuni tratti per necessità di separare il percorso pedonale da quello ciclabile, consente ai pedoni di trovarsi a quote differenti. In particolare, il tratto finale che giunge all’oasi di ponte Barca staccandosi dal suolo di 3,2 metri, consente una visione panoramica sul fiume e le aree sottostanti.
GIARDINI Il progetto dell’instabilità sulle superfici è l’applicazione di nozioni e pratiche, condotte in modo sperimentale. Frutto di “esperimenti mentali” intesi come un modo per articolare le intuizioni di un sapere originale, prodotto dall’osservazione e dalla manipolazione dei possibili ingredienti di relazione. Il progetto fissa i punti più stabili per affrontare processi in divenire, calibrati e ricalibrati dall’apprendimento, che procede tra prove, errori e successi. Il progetto così si allontana dal controllo puro della forma aprendosi invece a continue morfogenesi di paesaggio. Il dialogo con le diverse temporalità, evidenziate nel nuovo paradigma, guidano ad una complessità di relazioni e azioni tra differenti entità.
GIARDINO DELL’ACQUA
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L’applicazione del progetto dell’instabilità ha portato ad una conoscenza originale delle condizioni dell’area, ricostruendo un quadro complesso. Dove la traversa di ponte Barca costituisce un sistema sterile di relazioni, incapace di dialogare con le dinamiche vive dell’oasi da lei originate. Questa condizione altera negativamente le potenzialità ecosistemiche della zona umida che viene ad intermittenza sottoposta a stravolgimenti. L’intervento lavora quindi sul governo di uno spazio filtro con un elevato grado di complessità. Proponendo azioni di ricucitura delle relazioni assenti e il potenziamento della zona umida artificiale. Le chinampas costituiscono i dispositivi caratterizzanti l’azione di progetto istantanea, considerata una prima opera di ricucitura verso l’oasi. Riferendosi alle capacità autopoietiche dei viventi, assumono diverse configurazioni in base alle differenti esigenze. La prima configurazione: le protesi galleggianti collocate sulla superficie dell’oasi svolgono il ruolo di cuscinetto, attenuando le ricadute negative della traversa sulla fauna e costituendo un arricchimento del panorama biologico, senza per questo implicare un drastico mutamento alle condizioni preesistenti. Le ulteriori differenti configurazioni del dispositivo vengono adoperate per potenziare la presenza della zona umida di progetto, costruendo paesaggi didattici, di scambio e di produzione. La ricucitura più estesa è l’intervento di realizzazione dell’area umida introducendo un secondo punto di dialogo con l’oasi, reso possibile dalla presenza dell’acqua. L’area si presta ad essere il fulcro di molteplici azioni. La zona umida produce un sistema naturale - in quanto vivo - complesso capace di autoregolarsi, migliorare e gestire la qualità delle acque superficiali che scorrono al suo interno. Oltre ad aumentare la presenza di un habitat idoneo alla fauna e all’incremento della biodiversità.
CRESCITA DELL’ECOSISTEMA
SCENARIO
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GIARDINO CENTRALE Il quadro conoscitivo ottenuto in riferimento all’area di progetto del giardino centrale evidenzia una peculiare assenza di agrumeti, che inevitabilmente si ritrovano a perdita d’occhio nel resto della condizione pianeggiante che lambisce il fiume sul fianco sinistro. Tale estraneità al sistema della monocoltura, in un contesto quasi del tutto saturo, lascia la possibilità di immaginare un polmone di diversità colturale. L’area è attraversata in tutta la sua estensione dal canale adduttore, elemento messo in risalto dalla visione generale del progetto. Inoltre lo spazio si relaziona, per prossimità, con un secondo elemento: il canale di derivazione Fiumazzo. Funzionale all’irrigazione delle coltivazioni del versante. Pertanto il paradigma dell’instabilità viene declinato nella scelta di installare una varietà di dispositivi colturali allo scopo di scardinare l’attuale gestione del paesaggio, insieme ad una compatta eco-idro-infrastruttura composta da un processo di fitodepurazione. Dal quale sarà possibile sia ottenere acqua idonea all’uso irriguo per 144
coltivazioni sperimentali, sia essere ulteriormente utile ad alimentare le trame del paesaggio liquido dell’area di Passo del Re. Sul campo di prova d’intende proporre l’alternativa economica della policoltura e messa in pratica di strategie e saperi volti alla valorizzazione dell’azione locale. Ricomponendo una texture complessa ed articolata, indice di vitalità. Le diverse colture composte dai sistemi della foresta alimentare, delle coltivazioni di canapa e del bosco del bambuseto coesistono e generano un ecosistema. Vengono messe a dimora nel rispetto delle tecniche permaculturali motivate dal cambiamento di atteggiamento volto a ricreare identità e consapevolezza nella società. Instillare, quindi, un’etica dell’uso della terra. Le attività didattiche, economiche e ludiche svolte nel parco, lo rendono non solo un’area produttiva ma anche un luogo da poter vivere e conoscere praticando e imparando dalla natura coltivata.
SCENARIO
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SCHEMA TEMPORALE DEI PRINCIPALI CICLI PRODUTTIVI
BOSCO SACRO
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Le inumazioni verdi sono una famiglia di sepolture con le seguenti prerogative: un trattamento delle spoglie ambientalmente resposanbile; assicurano protezione e cura perpetua al luogo di sepoltura e/o di dispersione; favoriscono il ritorno del defunto alla terra per renderlo parte del ciclo naturale della vita, riconoscendo al suolo il ruolo di stomaco del pianeta dove vita e morte dialogano; sono l’alternativa, meno costosa e più significativa, agli attuali metodi. Il bosco sacro è legato ad una vasta gamma di tecniche di gestione del suolo come: il recupero di ecosistemi e progetti di conservazione di habitat, senza limitarsi alla protezione ma favorendo l’occasione di legami più stretti tra natura e comunità umane. Una riserva naturale memoriale. “Promessa” è una delle inumazioni verdi, alternativa anche alle cremazioni consuete. Il promator, macchinario per la liofilizzazione delle spoglie, con un miniCremator che crema senza rilasciare diossina o mercurio. Le polveri ottenute, completamente organiche, sepolte ad una profondità di 50 cm sono pronte a diventare humus in 12 mesi. L’insediamento del bosco è preceduto da una lunga fase di correzione delle argille nude e impermeabili. Il nucleo costruito può da subito ospitare le attività per l’osservatorio della fauna e altri eventi sulla collina.
INTERVENTO DI RICOSTRUZIONE SUOLO
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SCENARIO
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GIARDINO DEL SUOLO Un progetto di suolo definisce in modi concreti e precisi i caratteri tecnici, funzionali e formali dello spazio aperto. Il progetto urbanistico è progetto di suolo in più acquisisce valore aggiunto attraverso l’architettura. (B.SECCHI Casabella 1986). Il suolo materia alchemica e preziosa risorsa limitata, diventa un pretesto per imprimere azioni e forze di cui ne regoliamo l’intensità, senza dissipare eccessive risorse. Il progetto nasce per mantenere vivo l’ambiente oggi “mummificato” da un suolo di riporto che non permette alla vegetazione di crescere . Si passa da una situazione strutturata di paesaggio antropico ad un graduale paesaggio frattalico di giardini vagabondi in movimento. I cinque ettari di suolo diventano ecosistemici ovvero in grado di accogliere e generare fasi di nascita, di sviluppo e di declino dell’intero habitat. Si presenta come una libera forma autopoietica, in grado di rigenerarsi, e prende ispirazione dalla struttura anatomica delle piante. Il progetto è concepito secondo due tempi. La prima condizione di pro_getto, crea dei fossati lungo l’intera superficie demaniale, che permettono alle acque derivanti dall’ultima vasca di finissaggio presente nel giardino centrale, di isolare le dune di terra, creando una condizione primordiale d’insediamento. Il fossato creatosi, risponde a diverse funzioni: dà respiro al fiume simulando una cassa d’espansione, drena le acque meteoriche e contribuisce con le variazioni di piena ,
così come avviene naturalmente nell’ecosistema fiume, a creare humus fertile, utile per rinverdire e mettere a dimora i giardini in movimento. La seconda condizione di progetto tiene conto delle acque in entrata dal canale di derivazioni Fiumazzo in caso di esondazione del fiume. “Un Paesaggio è un’ecologia variabile di frammenti senza scala, diversi ed eterogenei, fattisi resistenti e persistenti nella nostra immaginazione”. Gill Clèment, Manifesto del terzo Paesaggio. L’architettura è meteorologica. Materiali e tecniche costruttive sono progettate per interagire con gli elementi naturali e i cambiamenti climatici improvvisi. Queste cellule funzionali saranno adagiati sulle dune di terra e realizzati con il metodo dell’earthcasting. Due paglioni di 1500 mq circa accoglieranno l ‘aula ambientale e il nuovo punto food , mentre i 4 gusci più piccoli, i rifugi, ospiteranno una popolazione semistanziale. Le operazioni attuate sul paesaggio si rifanno ad una dimensione dove l’ecosofia diviene il nuovo scenario di riferimento.
SISTEMA La proposta progettuale simula il funzionamento e la composizione anatomica del tessuto di trasfusione delle piante. I cinque ettari di suolo diventano ecosistemici ovvero in grado di accogliere e generare fasi di nascita, di sviluppo e di declino dell’ intero habitat. La composizione strutturale del suolo, la creazione dei fossati permettono all’acqua (derivante dall’area di fitodepurazione e dal canale di derivazione) di isolare le dune di terra, creando una condizione primordiale d’insediamento.
SCHEMA TESSUTO CELLULARE
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Il fossato risponde a diverse funzioni: dà respiro al fiume simulando una cassa d’espansione, drena le acque meteoriche e contribuisce con le variazioni di piena ,(come nell’ecosistema fiume) a creare humus fertile, utile per rinverdire e mettere a dimora i giardini in movimento. Le cellule funzionali saranno adagiate sulle dune di terra e realizzate con il metodo dell’earthcasting. 1 paglione di 1250 mq accoglieranno l ‘aula ambientale , mentre i 4 gusci più piccoli (rifugi) ospiteranno una popolazione semistanziale.
STATO DI FATTO
SCHEMA GESTIONE ACQUE
SCENARIO
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LIVELLI
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TOPOGRAFIA DUNE
PADIGLIONE CULTURALE
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ARCHITETTURA COLLETTORE
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CONFIGURAZIONE SPAZIALE AULA AMBIENTALE Il centro ambientale è uno spazio di 1250 mq , autogestito dalle varie associazioni operanti sul territorio. I gruppi hanno la possibilità di visionare documentazione bibliografica a più livelli di specificità e di linguaggio, avere a disposizione un datebase informatizzato come sussidio necessario per effettuare osservazioni sulla futura rete regionale di educazione ambientale. La scatola principale ha una dimensione di 51x35 mt. All’interno lo spazio
si configura attraverso il movimento dei setti, contenenti sedute e tavoli. Le configurazioni cambiano a seconda dell’esigenza del momento. Da aule/ laboratori a sala videoconferenze. Nella sala c’è inoltre la possibilità di proiettare materiali audiovisivi relativi sia al parco che alle numerose tematiche specifiche che possono essere affrontate di volta in volta, a seconda dei percorsi cognitivi scelti.
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APPUNTI DI VIAGGIO
BIBLIOTECA REGIONALE UNIVERSITARIA GIAMBATTISTA CARUSO DI CATANIA
Piazza Università 2 -95124 Catania
La Sicilia disegnata. La carta di Samuel von Schmettau (1720-1721), a cura di Liliane Dufour. Editore: Società Storia Patria Palermo (31 dicembre 1995).
1620: carta nautica di anonimo francese recante in cartiglio i principali porti siciliani (B.N.P.) pg. 91
XVII secolo: carta manoscritta di anonimo francese ispirata alla cartografia ufficiale allora esistente. Inedita (B.L.L.) pg 94
Inizio XVII Secolo: originale rappresentazione a volo d’uccello della Sicilia, anonimo italiano (B.N.F.) pg. 92
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La viabilità della Sicilia romana secondo il Muller ( da UGGERI 2004)
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Ricostruzione delle principali arterie di collegamente in Sicilia, dalle quali si evince l’importanza ricoperta dall’asse che taglia l’interea isola per mettere in connessione Catania, passando per l’area di Paternò luogo di commercio per poi raggiugere l’altro versante della costa nei pressi di Palermo.
ARCHIVIO DI STATO DI CATANIA
Via Vittorio Emanuele 156 - 95131 Catania
Fondo archivio: Padri Benedettini
Inventario on line a cura di Maria Nunzia Villarosa :“Pianta delle due Tenute del Monasterio di S. Nicolò e del Monasterio di S. Benedetto conforme esistono al Presente. Pianta Prima” (Territorio di Paternò)”. Sec. XVIII ,anonimo, mm. 595x552.Disegno ad inchiostro ed acquerello (colore grigio-azzurro) Archivio dei padri Benedettini, vol. 164 (fol. 1).
Inventario on line a cura di Maria Nunzia Villarosa : "Pianta Topografica sbozzata delli Reverendissimi Padri Benedettini di S. Nicolò la rena della città di Catania nel Territorio di Paternò e contrada di Patellina". sec. XVIII, anonimo, mm. 422x377. Disegno ad inchiostro ed acquerello (colori verde, rosso e azzurro) Archivio dei padri Benedettini, vol. 174 (in carta sciolta).
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Inventario on line a cura di Maria Nunzia Villarosa :“Pianta delle Tenute di Pietra Longa, et vaccharizzo” (Territorio di Paternò). 1645, anonimo, mm. 299x188 , disegno ad inchiostro ed acquerello (colore verde chiaro) archivio dei padri Benedettini, vol. 209 (fol. 67)
ARCHIVIO DI STATO DI CATANIA Fondo Archivio Biscari
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Pianta topografica del fiume e saje
via Vittorio Emanuele 156 - 95131 Catania
1870 TopograďŹ a dimostrante lâ&#x20AC;&#x2122;andamento dei Fiumi,,carta realizzata da Giovanni De luca architetto
1870 Pianta ed elevazione del Ponte a barche piatte da servire per il Fiume Simeto al passo di Primo Sol. Giovanni De luca architetto.
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SOPRINTENDENZA BB.CC.AA. Schede di catalogazione di alcuni beni isolati ricandenti all’interno del bacino idrografico del simeto. A cura di R. Carollo , E. Girgenti, M. Longhitano. Funzionario responsabile Neri F.N. U.O. VIII
MULINO VERCOCO
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Foto: Sistema di canalizazzione delle acque in uscita dal mulino
“Il mulino vercoco fa parte delle cosidette "vie dei mulini", sentieri di campagna costellati da mulini ad acqua che sfruttavano un tempo le acque della sorgente monafria, oggi utilizzate per l'irrigazione degli agrumeti e per la concia dei "lupini" (a' luppinara),[...]I mulini nel territorio di paterno' sono edifici rurali ottocenteschi. Ebbene, si presume che essi siano stati costruiti su preesistenti strutture arabe: questa e' l'ipotesi di pippo virgillito, studioso delle tradizioni popolari storico-archeologico di paterno'. Una valida ragione alla sua tesi viene dal sistema arabo di canalizzazione delle acque, che in queste aree ed in altre della valle del simeto ha lasciato le proprie tracce indelebili”.
NORIA SCHETTINO
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“In spagna, nella regione di almeria, semiarida, sono frequenti i pozzi come questo, per l'approvvigionamento delle acque sotterranee, superficiali e profonde, mediante diverse forme di estrazione. La noria e' un pozzo con bocca di cassa allargata quasi sempre rettangolare con una macchina per sollevare l'acqua sulla superficie, composta principalmente da due grandi ruote: una orizzontale che, mossa da un animale, trasmette il suo giro a un'altra posta in verticale che e' provvista di una corda con secchi che sollevano l'acqua.[...]Dalla storia si e’ ereditato un paesaggio praticamente scomparso dove, seguendo i corsi d’acqua, le norie gli s’intercalavano con le loro cisterne e i lotti terrazzati, formando un terreno irriguo; tale struttura territoriale offri’ possibilita’ di sviluppo a piccoli insediamenti su un terreno estremamente secco”.
RICOVERO AGRICOLO
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Costruzione: a)di un telone, teso provvisoriamente su alcuni pali; b)di paglia, strame, canne o frasche intrecciate sopra un'intelaiatura di pali rotondeggiante o a cuspide [...]; c)di pannelli di paglia o di canne,appoggiato quasi sempre su un basamento circolare di muro a secco; d)di un tetto di paglia a forma di cono, appoggiato quasi sempre su un basamento circolare di muro a secco; e)di un piccolo "trullo"; f)di un muro a secco con tetto di tegole.
TORRETTA TERRASI
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“Questo brano è stato estrapolato dal libro "La Casa Rurale nella Sicilia Orientale" soprattutto per dare l'idea di come la cultura contadina di un dato territorio ha risposto ad esigenze per così dire di "controllo sul territorio". E' evidente che il bene oggetto di catalogazione non coincide esattamente con quel tipo edilizio commentato dal libro; piuttosto ne è un sottotipo nel senso della sua specificità tipologica: la residenza del contadino infatti è distante centinaia di metri, come anche la cisterna; il bene è "soltanto" la torretta di avvistamento o di controllo. Esprime quindi un tipo "purificato" rispetto a quello descritto dal libro, pur conservando la stessa tecnica costruttiva e morfologia architettonica.
RILIEVO FOTOGRAFICO DIRETTO Foto di alcuni beni isolati ricandenti all’interno del bacino idrografico del simeto. Territorio di Paternò.
FORNACE
MULINO VANA
Questa fornace si colloca all’interno dell’azienda agricola “Casa delle acque”, in prossimità del fiume Simeto. Queste piccole “industrie” fornivano una miriade di prodotti in argilla ancora oggi utilizzati nell’edilizia rurale Siciliana..
Situato lungo il percorso della saja maestra, attualmente versa in stato di rudere. Il nome di questo mulino, denota la sua origine di segheria, nella quale esisteva un cinematismo che ne consentiva il moto alternativo, probabilmente alimentato dalla rotazione di una ruota verticale.
170 All’ingresso della città di Paternò si snoda la via dei mulini che un tempo costituiva l’asse produttivo per eccellenza per la molitura del grano, oggi costituisce un’importante testimonianza archeologica del lontano passato. I mulini ad acqua sfruttavano l’energia delle acque della sorgente Monofria incanalata nelle saje per far girare le pesanti ruote di pietra o in legno ed ottenere la macinazione dei grani
MULINO LEONE
MASSERIA PALUMBO Le immagini rilevano la realtĂ agricola passata, e lâ&#x20AC;&#x2122;intricata rete di saje che ancora oggi irriga parte delle colture presenti nel territorio.
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WWW WORLD WIDE WEB Immagini storiche estratte da paternògenius
Veduta delle stazione ferroviaria di Schettino. La linea ferrata venne utilizzata per facilitare la raccolta delle grandi quantità di agrumi nella piana di Paternò
Inaugurazione del ponte sul Simeto del 1907. Costituì una delle più importanti opere sull’asta del Simeto, facilitò notevolmente l’attraversamento sul fiume migliorando i collegamenti tra Paternò e il resto delle località limitrofe anche per l’esportazione di prodotti locali.
Resti della Fonte Maimonide una delle più importanti sorgive del territorio di Paternò detta anche Acqua Grassa per l’abbondate presenza di ferro. La realizzazione del fonte rese la sorgiva il fulcro di notevoli attività e vicende.
Lavorazione dei Lupini.
Fiera del bestiame.
Lavorazione Cotone.
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Rete scolante relativa al consorzio di boniďŹ ca n.9 di Catania. Il sistema preleva le acque del ďŹ ume Simeto per la distribuzione delle stesse su tutto il territorio della provincia, prevalentemente per i terreni coltivati per il 90% ad agrumeti ed in minima parte ad uliveti e frutteti.
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ARCHIVIO PRIVATO DELLO STUDIO D’ARCHITETTURA MACRO Elenco generale di tutte le sorgenti presenti sul territorio di Paternò
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Catastale storico, è evidenziato il reticolo idrografico delle saje. La sapiente gestione delle risorse consetiva , grazie alla realizzazione di tale infrastruttura locale, una distribuzione funzionale delle acque sorgive ai campi coltivati, ai mulini per la molitura, ai casolari per l’accumulo dell’acqua nelle vasche di raccolta e per altri impieghi senza che vi fosse alcuno spreco.
Sopra troviamo una porzione di catastale risalente al 1905, che restituisce una visione chiara del tratto iniziale del reticolo idrografico e di come la saja maestra attraversava e continua ad attraversare i mulini con abbondanti quantitativi d’acqua.
180 Sopra CartograďŹ a risalente al 1925. In basso: PRG anni â&#x20AC;&#x2122;20
IGM 1869.
IGM 1879. FONTE :Privato
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REALTA’ LOCALI Interazione e conoscenza diretta: alcune realtà in attivo sul territorio.
COMUNITA’ RURALE TERRE DI PALIKE’ Terre di Palikè è una comunità semistanziale di giovani “contadini” che riconoscendosi custodi di un territorio, lo difendono, adottando tradizionali pratiche e colture agricole . Dei veri costruttori di giardini ecosistemici produttivi, che oltre a innestare economie locali e concrete ridipingono un palinsesto territoriale ricco e variegato degno di uno dei periodi più floridi dell’agricoltura sicula, il periodo arabo. Proprio dagli arabi, imitano e studiano i vari sistemi di captazione e gestione delle acque,oggi cadute nell’oblio, ma fondamentali per rendere vivo un habitat. Attualmente la comunità presidia su 5 ettari di terreno in contrada “sciddicuni” , produce arance, olio e ortaggi di vario genere, destinati alla vendita tramite i GAS, gruppi di acquisto solidali, organizzati spontaneamente, nati da un approccio critico al consumo e che vogliono applicare i principi di equità, solidarietà e sostenibilità ai propri acquisti diretta. Ancora in cantiere, si riserva l’idea di proporre un “Percorso avventura” , un trekking a dorso di muli, riservato agli escursionisti che vogliono camminare in maniera indipendente all’interno della vasta rete di sentieri e regie trazzere che collegano la riserva avifaunistica di ponte barca al cuore della Sicilia.
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MASSERIA S. MARCO
L’azienda svolge diverse attività didattiche tra le quali: percorsi di educazione naturalistica e agro-ambientale e laboratori del gusto e del fare. Organizza giornate di studio in campagna per far meglio comprendere agli studenti delle scuole (dalle materne alle superiori con percorsi didattici opportunamente differenziati) lo stretto legame esistente tra ambiente, agricoltura, alimentazione e salute.
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SAJA PROJECT
“Saja nasce come associazione di promozione sociale, costituitasi ufficialmente nel giugno duemiladodici che si propone come laboratorio e luogo di incontri con e nella natura. Un laboratorio permanente di sperimentazione tra tecniche antiche e nuove di permacultura, agricoltura naturale , educazione, arte e autocostruzione per ricreare un ambiente naturale in cui l’uomo abbia un suo spazio ma non tutto lo spazio. È una ricerca di autonomia e autosufficienza, nella volontà non di isolarsi dalla società, ma di immettervi nuove proposte”.
L’AGORA
L’azienda/Fattoria sociale lavora per rivitalizzare l’ambiente e il tessuto socio-economico attraverso attività integrate. Attorno a pratiche colturali che valorizzano le peculiarità locali, si snodano altre attività, complementari, diversificate e integrate tra loro.
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CASA DELLE ACQUE
Alla "Azienda Agricola La Casa delle Acque Srl" si coltivano arance, mandarini ed olive nel totale rispetto della natura, cioè senza uso di veleni come antiparassitari e concimi chimici, ma utilizzando "compost" vegetali ed irrigando con l'acqua delle sorgenti che sgorgano nella proprietà. Inoltre l’azienda accoglie attività di woofing (ovvero collaborazione con volontari provenienti da tutto il mondo).
SI RINGRAZIANO: Marco Navarra per averci guidato a “bassa definizione”; per la sua presenza ubiqua, che ci ha accompagnato durante il nostro percorso universitario e per averci sorpreso con la sua prefazione alla tesi. Vito Martelliano per i suoi consigli precisi e critici, per la sua disponibilità al dialogo, per aver aperto interessanti dibattiti sul rapporto tra architettura e urbanistica. Raffaello Buccheri per il supporto editoriale e per aver sopportato estenuanti discorsi. Gianluca il “mercenario” per aver condiviso i momenti di intensa convivenza dell’ultimo anno. Salvo Ferlito e Giulio Doria (Studio Macro) per averci seguito con attenzione e interesse. Giovanni Basile ed il suo “rinoceronte”. Emanuele Feltri per averci accompagnato sull’impenetrabile collina della Poira. Il geologo Orazio Caruso per averci scortato durante l’ultima piena del Simeto. Stuzzicadenti Street Food per i pranzi a base di puppette. Il plotter siculo-cinese di V.le Teocrito 71. Google Inc, Wikipedia e Spotify. Peppe di Caffè e Latte per averci tenuti svegli. Tutti coloro che abbiamo disturbato e che ci hanno trasfuso consigli, informazioni, documenti, esperienze.
Un ringraziamento speciale va agli SPONSOR, le nostre famiglie, senza le quali sarebbe stata impossibile la realizzazione della tesi.
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