numero 10
www.iocome.it
La scultura nata dal riciclo di Juan Priego Evento Urluck Sogni di lucida-mente di Numa Echos Il Designer di Geoffrey Graven
In foto Numa Echos by Ricardo Contreras
Anno 1 N.10 Novembre 2011 - Periodico quindicinale - Editore e Proprietario: eBookservice srl C.F./P.I. : 07193470965-REA: MI-1942227. Iscr. Tribunale di Milano n. 324 del 10.6.2011.
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sommario numero
Joan Priego
La scultura nata dal riciclo Artista
pag. 6
Boudoir
in copertina
In foto Numa Echos by Ricardo Contreras
di Indira Fassioni Intervistando Albert Hofer
pag. 18
Numa Echos
Sogni di lucida-mente Fotografa
pag. 22
Urluck
Evento eccezionale a cura di Chiara Canali
Geoffrey Graven
Il design è un riflesso dell’umanità Designer
pag. 40
The Waves
di Dina Nerino Ritratto di Donna
pag. 36
pag. 52 Le civette
di Giorgio Ginelli Good ideas, good dreams Milano - Triennale Design Museum
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pag. 56
Questa volta, invece del solito redazionale, ho intenzione di ribadire un argomento che troverete all’interno della rivista e che ho definito EVENTO ECCEZIONALE: gli URLUCK. Il 22 Novembre scorso, allo spazio Concept, non solo ho visto una mostra davvero ben organizzata ma ho anche visto il talento con la T maiuscola e un desiderio solido e concreto di voler perpetuare nel tempo quello che è un pensiero filosofico e sarcastico materializzato in vere e proprie opere d’arte. Una riflessione e più considerazioni sul mondo dell’arte contemporaneo e la valutazione del contenitore artistico come dimensione artistica perfettamente e squallidamente strutturata al fine di guadagnare soldi tramite la provocazione e i mass media. La messa in atto spazio temporale del contenitore ne permette una tangibile riflessione per poi evocarne, l’inevitabile inutilità e assurdità. Un mondo che sfrutta l’arte e che ne fa propaganda e speculazione. Un mondo che, in realtà, non dovrebbe esistere perché le unità di misura come i confini spazio temporali per un artista non esistono. Ho sempre definito l’artista come una persona che non può fare a meno di utilizzare l’arte per esprimersi con quei determinati codici linguistici. Gli Urluck con l’appoggio dell’illustre critico Chiara Canali sembrano essere d’accordo con me e con me e con sapiente maestria hanno dimostrato, e continueranno a farlo, di come questo sia vero e paradossale. Lasciando a Voi una silenziosa riflessione allego a queste righe un video con relativa pagina web sul volto femminile di spiegazione che lascia intravedere ciò che era davvero arte:
giacomo momo gallina
editoriale
http://www.maysstuff.com/womenid.htm http://www.youtube.com/ profile?user=eggman913#p/u/0/nUDIoN-_Hxs GmG
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Joan Priego
Artista 6
Joan Priego Sacredheart deliver us from evil
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Joan Priego
Joan Priego
Artista
Dal momento che per Nietzsche e Freud, il soggetto non era più un’entità stabile, come lo era per Kant o Hegel, ma una molteplicità di maschere, la nostra soggettività postmoderna è diventata frammentata. Questa riflessione contemporanea circa l’identità individuale, diventa un tema centrale nel mio lavoro: le sculture ricavate dal legno vogliono essere una sorta di metafora dell’identità individuale di oggi, frammentata e multipla. La mia “materia” vuole riprodurre il concetto di modernità. Il riciclo è alla base delle mie sculture in quanto utilizzo il legno che estraggo dagli edifici demoliti: quello che è stato il travetto orgoglioso di un edificio diventa, nel mio lavoro, solo un frammento di una identità multipla. Dalla decostruzione dell’anatomia umana cerco forme paradossali e, talvolta, divertenti che mettono in risalto la zona oscura del nostro “Sé”, laddove abitano i nostri desideri e dove il nostro rapporto con l’”Altro” comincia. Alcune delle mie sculture sono concepite come installazioni ( SanSebastiano e l’Illusione della massa), dove gli spettatori sono invitati a giocare e durante il gioco possono diventare consapevoli dei ruoli differenti che tutti noi nella società interpretiamo. Altri fingono di essere il riflesso distorto dei nostri desideri nascosti. Ultimamente sto studiando anche il processo di formazione dell’identità dall’infanzia all’età adulta. Le bambole Wrestling ricavate dal legno sono una metafora della violenza. La maggior parte del mio lavoro è scolpita in legno e qualche volta in terracotta o poliestere. Ma con tutti i mezzi che uso si può sempre vedere nel mio lavoro questa preoccupazione per l’identità, l’anatomia decostruita e desideri nascosti. 8
Joan Priego Cherub Cherubino
Joan Priego
Artista
Since Nietsche and Freud Subject is no longer an stable entity as it was for Kant or Hegel, but a multiplicity of masks. Our postmodern subjectivity has become fragmented. This contenporary reflection about identity becomes a main topic in my work. My sculptures carved out from fragments of wood they pretend to be some kind of metaphor about today’s individual identities, fragmented and multiple. As the contemporary concept of Subject it has been made up from the ruins of the project of Modernity I also use to carve my sculptures recycled wood coming out from demolishions of old buildings. What it was the proud joist of a building becomes in my work just a fragment that helps in the construction of a fragmented identity. From the deconstruction of human anatomy I try to shape paradoxical and sometimes humorous images that bring out some light upon the dark zone of our Self, there where our desires dwell, there where our relationship with the Other begins. Some of my sculptures are conceived as instalations (like San Sebastian and the ilusion of the mass) where spectators are invited to play, and while playing they can become aware of the differents roles we all play in contenporary society. Some others pretend to be the distorted reflection of our hidden desires. I´m also interested in childhood as the place where we start to select the fragments that will form our future fragmented identity. Woodcarved wrestling dolls are a metaphor about violence as a former part of our human identity from the very childhood. Most of my work is carved in wood and sometimes I also use terracota an poliester resin for my sculptures. But with any media I use you can allways see in my work this concern about identity, deconstructed anatomy and hidden desires. 10
Joan Priego Contortionists of Siam
Joan Priego The ilusion of the mass
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Joan Priego Great capitalist selfportrait
Joan Priego
Artista
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Joan Priego San Sebastian
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Joan Priego
Joan Priego Inertia
Artista
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Boudoir
Indira Fassioni
intervistando Albert Hofer Laureato in criminologia a Londra e fondatore di Channel 83, Albert Hofer è pioniere dei VJ italiani e artista radicale. Oggi sceglie Milano. Ultimo progetto: Le Cannibale al Tunnel Club. “Partire per un viaggio nell’incoscio, negli abissi dell’animo umano, alla ricerca di istinti primordiali perduti, intraprendere una esplorazione verso mete sconosciute: è giunta l’ora di riattivare i sensi, nobilitare l’impulso e lasciarsi suggestionare dalla forma più estrema di passione dove amore e distruzione vengono a coincidere: il Cannibalismo. Niente sacrifici umani, solo un luogo magico dove evocare gli spiriti del ballo e del divertimento. Perchè ogni bacio è in fondo un morso! Tutti i Venerdì al Tunnel”. www.lecannibale.com Personaggio eclettico, un pò macabro, certamente pionieristico, Albert Hofer nasce a Firenze nel 1976. La svolta avviene a Londra grazie alla laurea in criminologia. Da qui si fa conoscere nel mondo degli happening. Contemporaneamente importa in Italia la figura del Vj, unione del Dj e del Video mixer. La sua sfida tutta italiana: diffondere happening che uniscano la sua arte radicale alle clubnights.
Che cos’è per te l’erotismo? Che relazioni dirette o perverse assume con l’amore nella tua esperienza? L’amore si fonda sempre su una importantissima partecipazione erotica. In questo senso, la relazione tra amore ed erotismo scaturisce del tutto logicamente, non parlerei di perversione dunque, ma come dici tu, di una diretta relazione tra due elementi. “Erotismo” temo che sia un termine che poco mi si addice, preferisco parlare di desiderio. Quest’ultimo lo dipingerei come una forma primordiale di fame, voglia di fagocitare l’altro, divorarlo, digerirlo, aggredirlo. L’erotismo è un concetto troppo subdolo per i miei gusti, l’ho sempre associato ad una morale borghese. 19
In rapporto anche alle tue attività artistiche, qual’è il senso, tra i cinque, che utilizzi maggiormente per ricevere vibrazioni erotiche? La vista, l’amore entra dagli occhi. E poi subito dopo la bocca, perchè io mangio quel che amo. Quanto e quali tipi di pulsioni erotiche sublimi nelle tue attività artistiche? Non parlerei di sublimazione vera e propria. Credo che alcuni determinati aspetti del desiderio abbiano un riscontro quasi automatico in tutti i campi della esistenza di una persona, e ovviamente anche nella mia. Detto questo, l’arte non deve necessariamente costituirsi come parte di un processo catartico, molto spesso riscontro in quello che faccio una concatenazione logica con altri aspetti del mio vissuto, si tratta di uno sviluppo organico tra una dimensione privata ed una lavorativa. Scrivo quel che amo, lavoro con quel che mi affascina, creo quel che mi ossessiona. Ma non cerco mai catarsi di alcun tipo, perchè se non c’è trauma e non c’è senso di colpa, non serve un’assoluzione. Che cosa accende la tua fantasia erotica? Quale particolare ti colpisce di più, eroticamente, in una persona del tuo stesso sesso, e in una del sesso opposto? Oppure si tratta di situazioni particolari? Sono sempre i dettagli a creare un reale interesse. Per quello che mi riguarda, cerco fondamentalmente quello che con me bene si mescola, chi condivide uno “sguardo” di un certo tipo verso il sesso, ad esempio.
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Hai mai messo in pratica alcune delle tue fantasie più inconfessabili? E come è stato? Vorrei risponderti che non ho fantasie inconfessabili, ma a quel punto dovrei per forza di cose rivelare quali le mie fantasie possano essere. La cosa di per sé non mi causa grandi problemi, sia chiaro! In sincerità però mi trovo a doverti rispondere che non credo di avere fantasie in assoluto, ci sono cose che mi attirano e che faccio, tutto qui. Non credo che castrarsi sia mai una buona idea, non mi sono mai fatto mancare niente. Le fantasie non sono che possibilità del desiderio frustrate da poco coraggio. Bagaglio pesante da portarsi in giro cucito addosso. Meglio non averne e procedere a vivere in prima persona ciò che si ricerca e ci affascina.
intervistando Albert Hofer Qual’è, il rapporto tra erotismo, più cere- cui spesso sento parlare. Il sesso è prendersi brale e sensualità, più carnale? quel che si vuole, per me, ed è meglio farlo Per me il sesso è carne in ogni suo aspetto. indipendentemente da stimoli esterni. Ogni artista è un voyeur, cosa ne pensi? Mi spaventa parlare in termini troppo generali ma in linea di massima mi trovo d’accordo con questa tua osservazione, solo chi guarda con amore – affascinato – riesce a scoprire le sfumature. Quali per te, le “vere” perversioni erotiche? Di quali subisci il fascino, artisticamente parlando? Se al termine “perversione” vogliamo dare accezione negativa, allora essa deve per forza designare quelle forme dell’erotismo e del desiderio che vanno a recare danno ad un altro individuo senza il consenso del medesimo. Se invece con “perversione” vogliamo indicare differenti declinazioni del desiderio stesso, ecco che allora il campo si dilata a dismisura, qualsiasi accezione di sesso, di corpo, d’amore non auto evidente, libera da determinazioni diventa allora degna di interesse. Artisticamente, il mio interesse è rivolto alla carne e alla violenza. In quale atmosfera trovi più fecondo creare dal punto di vista artistico e in quale preferisci fare l’amore? Ci sono punti di contatto tra le due o le pulsioni richiedono stimoli differenti? Ti confesso che mi vedo a stento “artista” quanto più, forse “gestore” di artisti. Creare mi viene naturale di notte o in viaggio. La mia sessualità è cruda e non necessita di alcuna atmosfera speciale, anzi mi sforzo di non creare quei “magic moments” così posticci di
Esiste la volgarità nell’erotismo? Diversamente dalla maggior parte delle persone con cui mi confronto penso di dover ammettere che detesto l’erotismo mentre adoro la pornografia. Dell’erotismo non mi piace la componente castrata, al “vedo/non vedo” ho sempre preferito un “vedo/vedo tutto/continuo a guardare”. Chi gode di ciò che gli viene privato – di attese e di non rivelato – gode di altro da ciò che ha davanti, non è bello né utile proiettare sempre altrove il proprio desiderio. A me piace fruire di quello che viene dipanato davanti ai miei occhi, quando esso mi interessa, senza cercare un secondo livello o un rimbalzo per la mia voglia. Il senso del peccato o all’opposto estremo, il libertinaggio più sfrenato, rendono la vita erotica e creativa migliori? La morale è un avversario pericoloso e in generale qualsiasi ragionamento che abbia origine in essa non mi trova particolarmente interessato. Va detto però che non c’è niente di più noioso di un uomo senza senso del peccato – è come mangiare carne senza sale un minimo di contraddizione, di colpa, spesso è strumentale al desiderio. Ma i libertini, come figura, mi annoiano ancora di più dei moralisti. Scherzando ma non troppo potrei dirti che i migliori artisti sono i frustrati del liceo classico – quelli che sopravvivono, insomma, per quel che mi è stato dato di vedere questa categoria è quasi interamente composta da pervertiti. Sono le buone letture che creano i mostri efficaci. 21
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In foto Numa Echos
Numa Echos
Cantante e Compositrice... Numa Echos inizia a scrivere poesia all’età di 3-4 anni ma solo una decina di anni fa decide di fare diventare la poesia un attività indispensabile, parte complementare della sua vita. Essa affianca la musica e la fotografia d’arte ad un’intensa attività pittorica figurativa, passione che non ha mai trascurato nel corso degli anni e al quale è molto legata. Selezionata tra i dieci finalisti del concorso Creamusica 2009-2010 presso il CPM (Centro Professione Musica) di Milano dal presidente Franco Mussida per la profondità ed umanità dei suoi testi, ha iniziato ad affiancare questi ultimi a musiche sperimentali-alternative, con lo scopo di realizzare uno spettacolo poetico musicale notturno, accompagnato dalla gestualità di Numa Echos e proiezioni visive. Il progetto in questione (ancora in lavorazione) che comprende molte delle poesie di Numa Echos ed è intitolato “SOGNI DI LUCIDA-MENTE: ALLUSIONI E RIVELAZIONI DI UN IO FOLLEMENTE SANO”.
Numa Echos began writing poetry at the age of 3-4 years but just about ten years ago poetry became an indispensable activity, complementary part of his life. She combines music and art photography to an intense figurative painting, a passion that has never been neglected over the years and which is closely linked. Selected among the ten finalists at the CPM “Creamusica” 2009-2010 (CPM Music Institute) in Milan from President Franco Mussida for the depth and humanity of his lyrics, he began to support them to experimental music-alternative, with the aim of create a noctural poetic-musical show, accompanied by gestures of Numa Echos and visual projections. The project (still under construction) which includes many of the poems of Numa Echos and is entitled “DREAM OF POLISHMIND: REVELATIONS AND ALLUSIONS OF AN INSANELY HEALTY EGO”.
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Numa Echos ... Fotografa Poetessa Pittrice Autoscatto di Numa Echos
Numa Echos Numa Echos nacque nel momento in cui una ninfa della voce decise di affidare il compito di diffondere il suo messaggio artistico mediante un essere terreno. Fin dalla prima infanzia, Numa Echos precepì la necessità di doversi raccontare mediante la poesia, attività che tuttora coltiva; in seguito la pittura, la moda e la musica si impossesseranno di lei rendendola un’originale soggetto, soggetto a molteplici interpretazioni, scatenante conturbanti sensazioni. Essa rappresenta una bizzarra ed astratta materializzazione dell’amore per l’arte, la moda, l’eccesso che si manifesta mediante il suono, il tutto racchiuso nel nulla, un’intangibile vibrazione che si propaga attraverso atomi di materia impercettibili; è possibile carpire la sua essenza osservando il connubio di colori dei suoi quadri; bianco, nero e rosso; il nulla, il tutto, l’amore, l’odio, la passione, il gelo, la vita, la morte ... disperazione ... gioia ... soddisfazione ... dolore. La sua voce è l’accento che da un senso ad un contorto groviglio di suoni, il grido di un’anima iraconda che dona ed esige passione, la ricerca dell’appagamento che fugge, distrattamente corre, scorre nei corpi di chi l’ascolta.
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Fotografa Poetessa Pittrice
Numa Echos was born when a nymph voice decided to entrust the task of spreading his artistic message through an earthly being. From early childhood, Numa Echos saw the need to reveal herself through poetry, activities that are still cultivated; later painting, fashion and music took possession of her, making an original subject, subject to multiple interpretations, triggering disturbing feelings. She is a bizarre and abstract embodiment of love for art, fashion, excess, manifested by the sound ... all wrapped up in anything, an intangible vibration that propagates through imperceptible atoms of matter, it is possible to steal her essence by observing the combination of colors of her paintings ... white, black and red; nothing, everything, love, hate, passion, frost, life, death ... despair, joy ... satisfaction, pain. His voice is the accent that makes sense to a twisted tangle of sounds, the cry of a soul that gives irate and demands passion, the search of contentment escaping, running distractedly, flowing into the bodies of the listener.
In foto Numa Echos
Diana Debord Dreaming by the sea
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Dipinto di Numa Echos
Numa Echos
Dipinto di Numa Echos
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Dipinto di Numa Echos
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Numa Echos
Dipinto di Numa Echos
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Dipinto di Numa Echos
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Numa Echos Cantante Compositrice Fotografa Poetessa Pittrice
In foto Numa Echos by Giuseppe Reggiani
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evento eccezionale Urluck
Milano, Spazio Concept, Via Forcella 7 22 – 30 novembre 2011 a cura di Chiara Canali A nemmeno un anno dalla provocatoria performance dell’inanellamento del dito di Maurizio Cattelan (la famosa scultura L.O.V.E collocata in Piazza Affari), gli Urluck tornano alla ribalta con una grande progetto espositivo che scuoterà nuovamente le cronache milanesi ed il panorama dell’arte con messaggi intellettuali, coinvolgenti e provocatori. Gli Urluck sono un gruppo di artisti milanesi, ideatori del progetto “Contenitore Arti-stico” realizzato per la prima volta nel settembre 2009 presso la sala Pergolesi (ex biblioteca delle ferrovie) nella Stazione Centrale di Milano.
LA MOSTRA ALLO SPAZIO CONCEPT
Il progetto Urluck. Contenitore Arti-stico intende riproporre una seconda versione aggiornata e riveduta del progetto nato presso la Sala Pergolesi, gli Urluck dimostrano la capacità di adeguare e replicare la provocazione intellettuale dell’unità di misura in ogni spazio disponibile ad accogliere l’arte. Il progetto “Contenitore Arti-stico” è un’installazione permanente o temporanea, che può di volta in volta essere declinata o adattata agli spazi e ai luoghi con cui l’arte si trova ad interagire. Entrando nel cortile dello stabile lo spettatore si troverà di fronte a un dito medio marmoreo su cui sarà infilato l’anello L.O.G.O. 5/7, opera che ha caratterizzato la performance degli Urluck la notte di San Valentino. Gli astanti si introdurranno all’interno di un “microcosmo” composto da opere collegate tra loro da un percorso sottile, illuminate ed illuminanti, di materia che diviene metafora, di provocazioni filosofiche e di allerta sociale, di flashmob “inanellanti” e di nuovi video, nonché da performance aforistiche di provocazioni intellettuali accompagnate da inedite opere letterarie.
Orari: dalle 17.00 alle 20.00 Informazioni: Associazione Culturale Art Company
www.artcompanyitaliacom - artcompanyitalia@gmail.com - Tel. 02 89778871 37
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Location:
“Amy d’arte_spazio” Via Lovanio 6, Milano
Ingresso: Libero Informazioni: info@amyd.it - www.amyd.it
evento del ½ mese nazionale Mostra collettiva
IMBALANCE and INSECURITY a cura di Anna d’Ambrosio Arttisti presenti: Alexander Brodsky, Azadeh Safdari, Giuseppe Buffoli, Alessio Tibaldi, Claudia Maina, Emilia Castioni, Nicola Felice Torcoli, Nicoletta Braga
01 dicembre - 15 gennaio 2012 Il progetto “Balance” presenta STEP09 si fa mostra con “Imbalance and Insecutity”, una collettiva in cui ciascun artista nella sua personalissima espressione tratterà di precarietà. La carenza di ideologie politiche o religiose parallelamente a una presa di coscienza dei limiti dello sviluppo a cui si è affiancato una sempre più diffusa esigenza di sobrietà e leggerezza, ha contribuito a un aumento esponenziale della creazione di opere esili, precarie o effimere, molte delle quali condividono la caratteristica della caducità. “Precarietà di vita” può essere considerata un nuovo disagio che colpisce l’uomo moderno ; un costrutto tridimensionale che tende a sedimentarsi in “ precariato stabile”. Esplorata attraverso singoli episodi, la pratica della precarietà è diventata elemento distintivo della poetica di numerosi artisti. Opere che susseguono l’idea di un possibile attraversamento, pur mantenendo, in virtù della loro tridimensionalità, un saldo legame con un’idea di scultura in divenire. Il nucleo di artisti chiamati a partecipare al progetto, veicolano molteplici ed eterogenee volontà comunicative. Le condivise caratteristiche di sobrietà, dinamismo, antimonumentalità, spazialità .caducità e pulizia delle opere si qualificano come altrettanti espedienti linguistici che fanno riflettere intorno a tematiche strettamente connesse alle dinamiche sociali della contemporaneità : l’ineluttabilità del processo migratorio e la precarietà come condivisione esistenziale.
La mia storia Il mio nome è Geoffrey Graven. Sono nato a Seoul (Corea del Sud) nel 1988 e mi sono trasferito in Francia nello stesso anno, dove sono stato adottato. Dopo aver terminato i miei studi presso la Strate di Parigi sono stato reclutato da Christian Liaigre nel settembre 2011. La mia specialità sono i mobili e l’interior design ma ho anche un grande interesse nella progettazione dei prodotti di lusso come orologi, gioielli o oggetti di decorazione. Per me il design deve recepire le esigenze, le intenzioni, i sentimenti e desideri in qualcosa che andrà oltre. Direi che non ci sono regole, a volte è ovvio, a volte basta seguire la sensibilità del possibile acquirente. Essere un designer vuol dire osservare costantemente ciò che accade intorno a noi, perché il design è un riflesso delle esigenze umane, cosa che esige il massimo rispetto. Oltre al disegno ho anche composto musica: www.soundcloud. com/ geoffrey-graven (triphop hiphop jazz ambient). Fin dalla mia infanzia ho suonato pianoforte e chitarra, comporre musica stimola molto la mia creatività, cerco di comporre il più possibile, il più delle volte quando torno nella mia città natale a Grenoble. 40
Designer
Geoffrey Graven Self story My name is Geoffrey Graven. I was born in Seoul (South-Korea) in 1988 and moved the same year to France where i have been adopted. After finishing my studies at the Strate College in Paris I was recruted by Christian Liaigre for collaboration since September 2011. My specialities are furniture and interior design, but i also have a big interest in product design, especially in the luxury range such as watches, jewelry or home decoration objects. To me design is all about transposing needs, intentions, feelings and desires into something that will go beyond. I would say there are no rules, sometimes it is obvious, sometimes you just follow your sensitivity. Being a designer involves to constantly observe what’s going on around you, because design is a reflect of humanity, and all of this has to come with a lot of respect. Appart from design I also compose music: www.soundcloud.com/ geoffrey-graven (triphop hiphop jazz ambient). Since my childhood I’ve been playing piano and guitar, composing music really stimulates my creativity, i try to compose as much as I can, most of the time when I go back to my hometown in Grenoble.
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Sotto lampada:
Underneath lamp:
Una lampada da tavolo dotata di pannelli led per una qualità della luce ottimale. Il bastone telescopico e la lampada a quattro pannelli articolati permettono di impostare con precisione la luce. Tre pulsanti: la potenza, la luce l’accensione. Per lo stoccaggio e il trasposrto il filo può essere avvolto intorno al bastone e nascosti dietro i pannelli.
Underneath is a desk lamp equiped with led panels for an optimal light quality. The telescopic lamp stick and the 4 articulated pane Underneath is a desk lamp equiped with led panels for an optimal light quality. The telescopic lamp stick and the four articulated panels allow to set the light precisely. Three buttons: power, light down, and light up. The aluminium strapping of the base increase the stability. For a more convenient storage and portability the wire can be wrapped around the stick and hidden behind the panels. ls allow to set the light precisely. 3 buttons: power, light down, and light up. The aluminium strapping of the base increase the stability. For a more convenient storage and portability the wire can be wrapped around the stick and hidden behind the panels.
Designer
Geoffrey Graven
Roland Garros players’ bench: La futura panchina dei giocatori fornisce uno spazio refrigerante alimentato da una piastra fotovoltaica in modo da conservare bottiglie e snack. Grazie al touchpad retroilluminato e lo scorrimento automatico, il giocatore può aprire e chiudere il vano con un semplice tocco delle dita e regolare la temperatura secondo la sua volontà. L’unità centrale divide la seduta in due spazi: uno per il cliente e l’altro per la borsa. Il banco è fissato su una lastra di cemento per una forte stabilità.
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Designer
Geoffrey Graven
Roland Garros players’ bench: The futur players’ bench provides a refrigirated space powered by a photovoltaic plate in order to store in bottles and snacks. Thanks to the backlit touch pad and the automatic sliding, the player can open and close the compartment with just a finger light touch and adjust the temperature at his will. The central unit splits the seat into two spaces: one for the palyer and the other one for the bag. The backrest’s structure integrates a soft silicone-made racket holder. The bench is fixed on a concrete slab for a strong stability.
Tandem: Tandem è uno spazio di archiviazione, una seggiola e un tavolo. Lo spazio laterale permette di alloggiare cellulari, computer portatili, caricabatterie, cavi e altri accessories. Il tavolino che gira a 360° fornisce un supporto in aggiunta alla seduta. La quercia bianca è stata selezionata per la sua qualità. La sua struttura e la tonalità estetica raffinata comunica tenerezza e sensualità. Si tratta di un suggerimento alla serenità. Le parti sono lucidate per un piacevole e naturale massaggio del corpo. La posizione del sedile è fatto di alluminio per la sua leggerezza e robustezza in modo che possa sostenere un peso elevato e garantire una perfetta rotazione della tavoletta senza troppo gravare sulla finitura. La tavola, la seduta, le mensole, l’interno e la base sono tagliati dallo stesso tronco al fine di ottimizzare il materiale.
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Designer
Geoffrey Graven
Tandem: Tandem is both a storage space, a seat and a side table. The storage space allows to lodge mobiles, laptops, chargers, wires and other accessories. The 360° turning tablet provides a support in addition to the seat.White oak has been selected for its strucural and aesthetic quality. Its refined hue communicates tenderness and sensuality. It is an incitement forcalm and serenity. The parts are polished for a pleasant and natural touch. The main body and the turning tablet’s arm are in bent plywood. The pedestal is inserted and screwed in the base. The seat’s stand (just under the seatting area, above the main body) is made of aluminium for its lightness and robustness so it can support a high weight and guarantee a perfect rotation of the tablet without too much burdening the set. To finish, tablet, seat, intern shelves and base are cut out from the same trunk in order to optimize the material.
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Designer
Geoffrey Graven
Orologio: Acciaio nero e fibra di carbonio. Progetto personale. Watch: Black steel and carbon fiber. Personal project.
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Bagno: Progetto personale, ho progettato ogni singolo pezzo nella stanza. Bathroom: Personal project, i designed every single piece in the room.
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Dina Nerino The Waves Ritratto di donna.
Di fronte alla foto di Harry Callahan siamo in condizioni meteorologiche con cui sono attersette: due francesi. rata. «Si. C’è il sole» ripeto. Ma intanto, mentre percorro le stradine che conducono dal centro al porto, noto che tutto sembra stranamente siHo dimenticato nella mia vita nomi, date, sca- lente. La Napoli baccanale e chiassosa pare denze, appuntamenti. Ma gli occhi, determi- oggi non voglia incontrarmi. nati occhi, quelli che stanno a fissarti attentamente, quelli che comunicano, quelli che A Napoli c’è il sole, continuo a ripetere dentro sono la silente forma d’altro, no. Non li ho mai di me. Sto forse cercando di convincermi? rimossi dalla mia memoria. A volte lo stesso Silenzi dentro silenzi, decido di fare un giro nei sguardo mi ha inseguito in spazi diversi, di- pressi di Castel dell’Ovo. mensioni temporali altre. A Napoli c’è il sole. E fortunatamente pare che proprio a Castel dell’Ovo ci sia una mostra in Si. Uno sguardo te lo porti dietro. corso. “Miti e Riti”. Bene. A Napoli c’è il sole. Distrarmi. Devo distrarmi. Dal sole. Sono atterrata a Napoli. Un’ora e mezzo di Mi serve questo. Ora. volo con annessi ritardi. C’è il sole. Lascio le valigie a casa di amici. Dopo un po’, già mi addentro in un corridoio «Finalmente il sole», dico. Ma non ne sono poi di pietra, illuminato da una luce tenue, giallocosì tanto convinta. gnola. Più cammino verso il percorso suggeri«A Napoli c’è il sole» Lo dico anche al telefo- tomi dalle luci artificiali, più il sole pare scomno, mentre dall’altro capo ci si accerta delle parire dietro di me. Finalmente.
Gli occhi.
dina.nerino@gmail.com 52
Entro nel cuore del castello. E in modo spartano trovo collocate, su due file parallele, tele, storie iconografiche a farmi compagnia, lì dove il mondo per un attimo smette di domandarsi dove e se ci sia il sole. La mia fotofobia ringrazia lo strano “caso”. Prendo allora il quaderno dove sono solita annotare nomi che richiamano la mia curiosità e che, prima o poi, anche dopo anni, ritornano in me suscitandomi qualcosa, invitandomi a dar senso a queste lettere, a questi grafemi, dargli una dignità e trascrivo alcuni nomi: Valeria De Rienzo, Domenico Aquilino, Mauro Kronstadiano, Alessandro Scannella. Intanto avverto qualcosa di strano, come se qualcuno tenesse puntati su di me i suoi occhi. «Salve, è una giornalista? Vedo che prende appunti!». Lo sguardo che avvertivo, già prima di sentire queste parole, non coincide
con la voce che mi chiede di parlargli di me. E mentre decido cosa rispondere – certe domande sono difficili per chi non è avvezzo alle definizioni – continuo a chiedermi chi e da dove mi stia scrutando. Del resto, ora, in questa sala scavata nella pietra, ci siamo solo io e Beppe, il curatore della mostra. «Dammi del tu.» dice, per mettermi a mio agio. Eppure la sensazione di occhi puntati addosso resta. Qualcuno al di là di questa diade comunicativa composta da me e Beppe, continua ad osservarmi. «Qual è il quadro che più ti ha colpito?» mi chiede, dopo avergli detto che scrivo “pezzi” su una rivista d’arte. «Si, insomma, non scrivo veri e propri “articoli”. Le mie sono più che altro storie.» Ritratto di donna- Luigia Ferroni
Dina Nerino The Waves E intanto gli indico alcuni quadri e sicuramente lo faccio con distrazione, non essendo davvero presente a quel che sto dicendo. La sensazione di essere osservata da qualcosa mi mette a disagio. Cerco di tenere vivo il discorso per quanto questa intromissione “invisibile” inizi a distrarmi. «Beppe, e lei come ha scelto quali quadri dovessero rientrare in questa mostra?» Incalzo per portare la mia attenzione dalle trame invisibili a chi invece mi è innanzi ora. «Beh, semplice» mi risponde. «Qui ci sono tutti quei quadri che io vorrei avere a casa mia». «Bene. E allora, so che le farò una domanda politicamente scorretta – mi accorgo solo in questo istante che sto continuando ossessivamente ad utilizzare la terza persona – ... Se potesse salvare solo uno di questi quadri, ora, quale porterebbe con sé?» Accenna ad un leggero sorriso e si guarda intorno, come per depistarmi – ma io so già che non ha bisogno di osservarli. So già che non deve pensarci su. Sa già perfettamente come sono disposti e quello che porterebbe con se via, ora. So anche che la sensazione di partenza, quella di una presenza nascosta dietro qualche tela, non sfuma – e dopo un po’ mi indica con lo sguardo, seguito dall’indice, un quadro che non avevo ancora visto e che nell’attimo stesso in cui mi volto per osservarlo, mi fa sussultare, dentro.
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è “Ritratto di donna”, di Luigina Ferroni. «Vive a Gorizia», dice Beppe, «e credo lo sceglierei perché so cosa c’è dietro questo quadro. La storia. La persona. L’artista è una tipa particolare. Vedi questa malinconia nel suo personaggio?» E intanto mi incanto a fissare il volto cupo di quella donna a me così tanto familiare. Gli occhi. Se potessi argomentare il tutto in modo razionale, direi di sicuro che questa donna l’ho già incontrata. Ma dove? Come? Quando? «Vedi tutto il mistero che si cela dietro questi tratti carichi di colore nero? Poi le parli e lei è la persona più solare che tu possa conoscere.» Le parole scorrono e io so solo che nel momento in cui ho incontrato gli occhi di questa donna ineffabile, ho capito da dove arrivava quella sensazione continua di esser osservata, scrutata. Gli occhi. Dove li ho già visti quegli occhi? E come mai mi sembra tanto che stiano lì a fissarmi, quasi a volermi suggerire un precedente incontro, forse fatto solo di sguardi? «Del resto, cambia tutto se conosci chi c’è dietro la storia di un personaggio. Di un quadro. Di un’opera d’arte. Almeno per me è così. Ogni interiorità, ogni mondo “creato”, deve avere qualcosa dietro. Altrimenti è vuoto, glaciale. Non comunicativo. Semplice razionalità che galleggia su se stessa. Tecnica pubblicitaria scambiata per arte e un mondo che retto dai suoi fragili sostegni è destinato, prima o poi, a crollare». Credo Beppe mi stia dicendo questo. Non ne sono poi così tanto sicura. L’ipnotico sguardo mi apre ad altre dimensioni, all’ipotesi altra di un mondo che non ha creato da se i suoi sostegni. L’invisibile “altro”. Misterioso. Faccio per allontanarmi, so che è ora di andare, benché staccarmi da questa immagine sia per me quasi impossibile.
Ipnotici. Quegli occhi sono ipnotici. Saluto Beppe, o forse è Beppe a salutare me. E me ne vado ancora non consapevole di quello che sia davvero accaduto, tra una dimensione onirica da me creata e la pressante consapevolezza di essere entrata nelle trame magiche e misteriose di una vita che, forse, da qualche parte sta attendendo le mie attenzioni. Nella caffetteria dove sono solita rintanarmi a leggere quando sono a Milano, ci sono alcuni libri che continuano a fissarmi. Il pensiero di Napoli mi sembra lontano. Sulle mensole scorgo alcuni titoli interessanti “Fotografia e inconscio tecnologico”, “Il letto di Procuste”, “Il pensiero obliquo”. E poi c’è, un libro di cui riesco a osservare solo il dorso. “Mal”, riesco a malapena a leggere. Cerco di sforzare gli occhi, ma mi pare impossibile riuscire a decifrarne il titolo e l’autore. Mi alzo, allora, e mi avvicino. Tiro, con una certa fermezza, verso di me, il libro. Avendo più vicino il titolo riesco a dare un senso ai caratteri che mi suggerivano un titolo non tanto lontano dalla mia memoria. “Malombra" di Antonio Fogazzaro. Ma una volta che mi ritrovo in mano con questo libro mi accorgo che da sfondo alla copertina c’è lei. Quegli occhi. «Ritratto di donna!». Esclamo, accorgendomi subito che l’intera sala mi ammonisce, sempre con lo sguardo, per avere alzato la voce in un luogo dove non sono ammessi tutti questi giovanili entusiasmi. Chiedo scusa, inchinandomi leggermente. E torno al libro. Agli occhi! Eccolo lì. Di nuovo. A ricordarmi. Cosa? Che le parole di Beppe, forse, avevano davvero un senso.
«Del resto, cambia tutto se conosci chi c’è dietro la storia di un personaggio. Di un quadro. Di un’opera d’arte». Rimbomba mentre continuo a stringere il libro forte nelle mie mani, quasi per assicurarmi della sua esistenza fisica. Corporea. Avrei sempre voluto leggere Malombra. Ma non l’ho mai fatto. Non so perché. Ogni qual volta mi decidevo a comprare quel libro, accadevano strane cose. O me ne dimenticavo per prenderne un altro – fosse per me vivrei solo di libri! – o scoprivo di esser uscita di casa senza soldi, nemmeno quelli per potermi assicurare il solito caffè. Ecco, colgo in un momento di lucidità, ecco perché quegli occhi mi guardavano così fortemente. Perché c’eravamo già incrociati in qualche libreria mentre io sceglievo, tra le anime di cellulosa, un libro che poi puntualmente non portavo mai con me. «Ogni interiorità, ogni mondo “creato”, deve avere qualcosa dietro.» Forse è vero. Forse qualcosa mi richiama perché già precedentemente mi aveva ri-chiamata. Si era allineata alla mia frequenza. Non mi resta, allora, che aprire la prima pagina, con sontuosa riverenza, questa volta, e lasciarmi invadere, lentamente, da occhi fatti parole. Il mistero non attende risposte. Non oggi. “PARTE PRIMA. CECILIA. In paese sconosciuto. Uno dopo l’altro gli sportelli dei vagoni sono chiusi, con impeto; forse, pensa un viaggiatore fantastico, dal ferreo destino che, ormai, senza rimedio, porterà via lui e suoi compagni nelle tenebre...”
le civette Good ideas, good dreams Una delle ragioni di esistere del design è la creazione di oggetti belli e che servano a qualcosa. Credo fermamente in questo principio e perciò mi piace l’idea che la Triennale Design Museum stia dedicando la sua quarta edizione che terminerà alla fine di febbraio 2012, agli uomini, alle aziende e ai progetti che hanno contribuito a creare il sistema del design italiano dal dopoguerra a oggi. L’idea è nata come omaggio in occasione del cinquantesimo anniversario del Salone del Mobile e punta la sua attenzione ai paradossi delle fabbriche del design italiano; ha come titolo “Le fabbriche dei sogni”, una definizione firmata Alberto Alessi (il curatore dell’evento) che in fatto di funzionalità ha fatto scuola, invadendo il mercato con un’infinita produzione di oggetti che da più di trent’anni fanno da contorno agli arredi di molte case italiane. Una mostra da vivere nel senso puro del termine: ariosa, luminosa, spaziosa, nella quale non solo possono muoversi a suo piacimento, scoprendo – e in alcuni casi anche riconoscendo – una miriade di oggetti di arredo che sono divenuti patrimonio di molte case, i visitatori tradizionali di questi eventi ma anche intere torme di 56
studenti delle scuole che giornalmente la visitano e che sono libere di saggiare e testare gli oggetti d’arredo disposti negli spazi. L’allestimento è concepito come una mostra da usare, da vivere quasi al cento per cento; per cui poca mostra, ma tanta vivacità che attinge alle icone fantastiche più conosciute per proiettare i visitatori in una sorta di Alice nel Paese delle Meraviglie, in cui muoversi per incontrare a fianco della chaise longues Wink di Cassina un’isolata Olivetti Lettera 32 o una distesa di Pratone della Gufram in cui buttassi per riposare. Un percorso inedito e diversificato, che dà l’occasione al visitatore di rimuginare sul concetto che ho espresso all’inizio: il senso ultimo del design è sperimentare nuovi materiali per creare nuove forme per rivestire vecchie funzioni. Di sedersi hanno tutti bisogno e in alcuni casi può essere funzionale anche farlo su un divano a forma di bocca e di guantone da baseball. Poi magari può piacere o non piacere, perché i gusti sono la cosa più soggettiva al mondo, ma sedersi su un’oggetto di design che tien conto di materiali e forme è decisamente meglio che appoggiare schiena e deretano su un tronco d’albero. Per citare un famoso designer: il buon design è tutto ciò che fa sentire idioti gli altri designers per non averci pensato loro. Giorgio Ginelli
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Milano - Triennale Design Museum V edizione - 5 aprile 2011, 26 febbraio 2012 Direttore: Silvana Annicchiarico Cura scientifica: Alberto Alessi Catalogo: Electa 57
Ăˆ una rivista di Ebookservice Srl Redazione Direttore Responsabile: Giorgio Ginelli Responsabile Editoriale: Giacomo momo Gallina Approfondimenti eventi: Lena Guizzi Ufficio stampa: Comunicarsi Responsabile ufficio stampa: Marika Barbanti Art Director: Lasimo Rubriche: Osservatore: Giorgio Ginelli Cool Hunter: Indira Fassioni Fotografa e scrittrice: Dina Nerino
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