Shane Jones (1980) è l’autore del romanzo di culto Io sono Febbraio (Isbn 2011). Sue poesie e racconti sono apparsi in numerose riviste letterarie, tra cui LIT, New York Tyrant, Fairy Tale Review e Milan Review. Vive nello stato di New York.
Isbn Edizioni via Sirtori, 4 20129 Milano Direzione editoriale: Massimo Coppola Senior editor: Mario Bonaldi Editor e diritti: Sara Sedehi Redazione: Matteo Alfonsi, Antonio Benforte, Linda Fava, Claudio Panzavolta Comunicazione: Valentina Ferrara, Giulia Osnaghi Art director: Alice Beniero Copyright Š Shane Jones, 2012 Illustrazione di copertina: Ken Garduno Š Isbn Edizioni S.r.l., Milano 2012 Titolo originale: Daniel Fights a Hurricane
SHANE JONES
Daniel contro l’Uragano Romanzo
Traduzione Dafne Calgaro
special books | isbn edizioni
Per Melanie
La giornata di Daniel cominciò con la visita a un basso edificio grigio dove aveva appuntamento con una donna di nome Karen Suppleton, trentasette anni. Dentro l’edificio le finestre si sgombrarono dalle nuvole. «Perché è qui?» chiese Karen Suppleton, che indossava delle calze nere. Daniel pensò che non erano adatte al suo ruolo di psicoterapeuta. La sua camicetta, spruzzata di fiori. «Oh, non saprei, davvero. È mia moglie che ha pensato che fosse una buona idea…?» «Sua moglie…» «Ha pensato che fosse… uhm, una buona idea, per la mia ansia. Faccio dei pensieri.» Quella mattina Karen Suppleton aveva mangiato due Hash Brown e un Sausage McMuffin con uova. Aveva mangiato quasi tutto in macchina, da sola, ma il secondo Hash Brown l’aveva finito a casa. Daniel
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vide il sacchetto accartocciato sulla scrivania invasa da manuali, penne e pezzi di carta. «Che tipo di pensieri?» «Paura.» «Paura di…?» «Non so se può essere utile, ma ecco, mia moglie voleva che venissi qui a parlarne, e io per lei farei qualsiasi cosa, e lei pensa che sia una buona idea, e probabilmente lo è, giusto?» «Può dire quello che vuole, tanto o poco, non importa. Non sono qui per dirle come si sente.» «Ok, quindi, ecco, ho questa paura.» Sul soffitto un ventilatore girava senza generare aria. Daniel chiese se poteva aprire la finestra, e Karen Suppleton disse che l’avrebbe fatto lei, che lui continuasse pure a parlare. «È solo un irresistibile senso di terrore, una paura schiacciante di qualcosa che non riesco a identificare ma che sento in tutto il corpo. È nelle mie vene, nel mio sangue. Tra le costole. A volte lo vedo prendere forma.» Dalla finestra aperta entrò una brezza fresca che percorse la stanza, buttò per terra il sacchetto del McMuffin, e per un breve istante Daniel immaginò che Karen Suppleton lo coinvolgesse in una discussione sui pregi di un Sausage McMuffin con uova rispetto a un Bacon, Egg & Cheese Biscuit. «Paura e ansia possono sorgere da vari tipi di cause» disse Karen Suppleton. «Non è insolito ricondurre queste paure a una forma in carne e ossa.»
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Daniel guardò fuori dalla finestra e pensò al condotto a cui stava lavorando. Ne riesaminò mentalmente i dettagli – le flange fisse, i vasi di espansione, gomiti, raccordi a T, bocchettoni, e il contatore dell’acqua che si era rotto a un’ora dall’installazione, ritardando il lavoro di diverse ore. «Ma questa paura» proseguì Daniel, agitandosi sulla sedia, massaggiandosi una spalla con l’altra mano, sentendo la brezza entrargli nelle narici «la vedo come qualcosa di completamente diverso.» «Lei è molto onesto e sincero» disse Karen Suppleton, andando a toccare con la lingua un pezzo di Hash Brown che le si era infilato tra i molari. «La vedo come un Uragano. Ho queste visioni in cui l’Uragano arriva e lacera il cielo e trasforma me, mia moglie, tutti quelli che conosco, in scheletri tremanti. Lo vedo. Lo sento. Passo ore a scrutare l’orizzonte.» «Interessante» disse Karen Suppleton, che scriveva su un quaderno con tre divisori e la copertina rossa. Daniel la guardava scrivere, ma non riusciva a vedere cosa stesse scrivendo. «Interessante? Tutto qui? È tutto quello che ha da dire?» «Sto ascoltando quello che lei ha da dire, ed è interessante. Mi dica ancora dell’Uragano.» «È la mia paura. È la paura. Ne sta risentendo anche il mio lavoro, la costruzione di un condotto verso l’oceano, perché penso davvero, per quanto sia stupi-
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do e folle, che possa arrivare un Uragano e cancellare tutto in un secondo.» Karen Suppleton scrisse sul quaderno la parola «cancellare» e la sottolineò. «E lei ha paura di morire a causa di questo Uragano?» Daniel si mise le mani sotto le cosce per farle smettere di tremare. «Ho paura che la mia paura, la mia… uhm, la mia fantasia di questo Uragano, e di tutto quello che potrebbe portare con sé, diventi la mia realtà. Le mie visioni – Oddio, sono sorpreso che non pensi che sono pazzo.» «Lei è intelligente. Non è pazzo. Sono qui per aiutarla.» Daniel lanciò un ultimo sguardo al sacchetto unto e provò una profonda tristezza, vedendo il modo in cui strisciava morente sul pavimento verso il cestino dei rifiuti, spinto dalla brezza. Parlò per altri venti minuti dell’Uragano, salutò Karen Suppleton, versò un contributo di venti dollari per l’assicurazione, anche se non era necessario, e prese la macchina fino al cantiere, dove tre colleghi lo aspettavano con la faccia rivolta al sole, tra tubi sparpagliati in un campo sterrato con qualche cartoccio di pannocchia.
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Daniel conosce Iamso L’Uomo con i tatuaggi disse che c’era qualcuno che avrei dovuto conoscere. Attraversammo un campo di cartocci di pannocchie, poi la città velata dal sole della sera. Arrivammo a un edificio di mattoni stretto nei rampicanti che lui chiamò casa. Lontano, l’Uragano russava appoggiato all’orizzonte. Sentivo vibrare la punta dei piedi. L’Uomo con i tatuaggi disse di far finta di niente e aprì la porta. Ho saputo che hai perso tua moglie di recente, disse l’Uomo con i tatuaggi mentre entravamo nel ventre della casa, io dietro di lui, spostando lo sguardo dalla cucina al soggiorno e di nuovo verso la scia della sua voce che evaporava lungo un corridoio. È scomparsa di recente, dissi. L’Uomo con i tatuaggi uscì dal corridoio e tornò in cucina. Restammo lì, imbarazzati; il suo fiato sapeva di semi di senape e grasso lubrificante. Portava una vestaglia a maniche corte. Sull’avambraccio nudo era visibile un tatuaggio della nostra cittadina costiera. Il fischio dell’Uragano spazzò le foglie giù dal tetto e fece piovere terra fuori dalle finestre. L’Uomo con i tatuaggi riempì d’acqua una teiera e accese i fornelli. Ho qualcuno che può aiutarti, disse. Se è un poliziotto, allora la risposta è no, dissi. Un poliziotto non può aiutarmi. Ci hanno già provato. L’Uomo con i tatuaggi versò l’acqua calda in due
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tazze, e ci sedemmo a un tavolo di legno su cui si infrangevano figure di onde intagliate. Due bustine di tè risalirono in superficie. È possibile che sia morta, dissi. Odio anche solo pensarlo, ma è una possibilità. Non è un poliziotto, disse. Dal fondo del corridoio, dove l’Uomo con i tatuaggi aveva recuperato la vestaglia, arrivò un ragazzino, che non avrà avuto più di otto anni, o forse quattordici, difficile a dirsi con una luce così fioca. Portava una tuta e teneva una matita in una mano e nell’altra un fascio di fogli. Mi pareva avesse un coltellino infilato in uno stivale. Si sedette al tavolo con noi. Questo è Iamso, disse l’Uomo con i tatuaggi. Vedi, te l’avevo detto che non era un poliziotto. L’Uomo con i tatuaggi fece un cenno a Iamso, che scrisse qualcosa su un pezzo di carta. Posso dirti cosa stai provando, disse Iamso. Al di sopra dei suoi capelli castani e un po’ più su, e poi ancora un po’, al di sopra del lavandino e fuori dalla finestra, cercai con lo sguardo l’Uragano. Fatto, disse Iamso. Piegò a metà il foglio e lo fece scorrere sul tavolo con due dita. L’Uomo con i tatuaggi sorrise come un prestigiatore. Quando tornai a guardare Iamso, aveva di fronte un bicchierone di latte e qualche biscotto. Aprii il foglio. Leggilo a voce alta, disse Iamso.
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C’è un’immagine di noi come soldati. Tu scivoli via, lontano da me, le mani tese, porti un’uniforme verde, la tua bocca è un cannone vuoto, il pavimento nero di notte e pieno di stelle. Tutto intorno a noi, colori al neon e alberi che perdono piume, e tu scivoli scivoli, quasi perduta, l’uniforme verde un paracadute verde, e tu scorri scorri, e io sono solo un amante di tubi d’epoca e non di scale.
Iamso finì il latte e i biscotti, lasciando una mezzaluna di briciole attorno al bicchiere. L’Uomo con i tatuaggi, con le mani unite sul tavolo, mi guardò con gli occhi spalancati, come in attesa di una risposta. Be’, disse Iamso, è così che ti senti o no. Più o meno, dissi io. Più o meno, disse Iamso. Spinse la sedia lontano dal tavolo e corse nella bocca nera del corridoio con il fascio di fogli ripiegato sotto il braccio. Non volevo che ci rimanesse male, dissi. In effetti, è proprio così che mi sento. È uno scrittore di lettere e poesie, disse l’Uomo
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con i tatuaggi. Forse molto di più. È davvero stupefacente. Così preciso e veloce. Fuori, l’Uragano dormiva. Dalla finestra filtravano raggi di sole che creavano tubi fatti d’ombra sulle superfici della stanza. Non capisco, dissi. Come può essermi d’aiuto quello che ha detto. L’Uomo con i tatuaggi si sgranchì il collo. Una casa che aveva tatuata sulla gola si piegò a sinistra, si inclinò all’indietro, e si tese verso destra. L’uomo sbadigliò facendo scrocchiare la mascella. Be’, tu sei il responsabile del condotto idrico che salverà la nostra città, disse. Una settimana prima mi era stato chiesto di costruire un condotto per l’acqua potabile che arrivasse all’oceano. Essendo l’unico appassionato di tubi in città e l’unico che sa come assemblarli, avevo detto di sì, muovendo su e giù la mia sciocca testolina avevo detto: Sì, assolutamente, sì, posso farlo, certo, sì. Tutti continuano a parlare di un Uragano che si avvicina all’orizzonte, disse l’Uomo con i tatuaggi. Guardò fuori dalla finestra il cielo violetto, le foglie. Un tremore gli scosse le spalle. Non so di sicuro cosa sia davvero l’Uragano, dissi. L’Uomo con i tatuaggi si passò una mano sulla bocca, cercando di ricomporsi per fare un discorso serio. D’ora in poi, porta Iamso con te, disse. Ha un ottimo senso dell’orientamento. Può aiutarti. Può dirti cose su di te e scrivere i tuoi sentimenti, o delle storie.
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Non dovresti stare da solo là fuori, in preda alla preoccupazione, alla nostalgia di tua moglie, attanagliato dalla paura dell’Uragano, senza riuscire a dormire nemmeno per un breve sogno. Dal fondo del corridoio, uno sferragliare di tubi, Iamso di corsa. Portava a tracolla un grosso sacco di tela pieno di tubi blu. Un’altra borsa era piena di panini. Mi prese la mano e mi tirò le dita verso la maniglia della porta. Dai, ora andiamo, su, disse. Lasciai che Iamso mi trascinasse fuori dalla porta. Salutai con la mano l’Uomo con i tatuaggi, che sollevò la tazza di tè in segno di saluto, e insieme a Iamso entrai nel campo di cartocci di pannocchie, con le piccole dita che mi scrocchiavano le nocche, guidandomi nell’aria tagliente come una mannaia, i tubi che rimbalzavano in un sacco di tela, sbatacchiando selvaggiamente l’uno contro l’altro, spina dorsale, dolore scheletrico, un nuovo inizio. All’orizzonte, l’Uragano lanciava barche in un cielo affollato di nuvole.
Pascolo di cavalli Daniel aveva collegato i tubi più piccoli finché non era arrivato alla foresta. Dall’ultimo tubo, gli era sembrato di sentire l’odore dell’oceano, la casa dell’Uragano, l’acqua necessaria alla cittadina moribonda.
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Ecco il disegno del condotto idrico di Daniel:
Ed ecco come si sentiva Daniel, secondo una poesia di Iamso: Pascolo di cavalli trascinami per ocra crepato, polvere di nuvole, terra nelle gengive.
A casa, Daniel preparò un sacco di tela riempiendolo con i suoi tubi blu preferiti. Si issò il fagotto in spalla e disse a Iamso che era pronto. Si diressero al punto in cui Daniel si era fermato il giorno precedente. Mentre camminavano Iamso scriveva su un libro. Disse che stava catalogando i sentimenti di Daniel. Daniel lo assecondò, tentando di indovinare l’età di Iamso e contemporaneamente di sbirciare qualche frase. Sarà fantastico, disse Iamso, che mentre camminavano faceva scorrere la costa del libro lungo il corpo del condotto di tubi. Quando arrivarono al punto in cui il condotto si interrompeva, Daniel scaricò il sacco e i tubi si rovesciarono formando uno scheletro. Gli alberi persero
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le foglie per il vento. La fila di tubi blu, sostenuta da grossi rami tagliati, si spingeva fino alla città. Daniel riusciva quasi a intravedere i primi tubi. Tubi così grandi che si poteva camminarci dentro. Daniel passò un dito attorno al bordo scoperto dell’ultimo tubo e pregò di trovare l’acqua. In lontananza gli sembrò di sentir mormorare l’Uragano. Avevo capito che eri vicino, disse Iamso, formando una U con i tubi, e poi un’altra che sistemò sopra la precedente, e così via. Lo ero, disse Daniel. Mi era sembrato di sentire l’odore del sale. Guardò nella foresta, verso l’oceano, ma vide solo gli alberi mossi dal vento. Ti piacciono i miei tubi, disse Iamso. Ci ho fatto una scala. Iamso sollevò le U e le appoggiò contro un albero. Le stanghette della U più in alto poggiavano su un ramo ricoperto di nidi d’uccello. Puoi salirci se vuoi. Io preferisco i tubi alle scale, ma dovrai riconoscere che una scala è comoda, disse Iamso, sistemando la scala fatta di U di tubi finché non fu ben piantata nel terreno e ancorata al ramo. Sali e guarda quanto siamo vicini al mare. Daniel salì sulla scala. Dalla cima si vedeva l’oceano. All’orizzonte, una chiatta trasportava un nuvolone. Siamo abbastanza vicini, gridò Daniel prima di ridiscendere. Elettrizzato dalla vista dell’acqua, disse a Iamso che
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quel giorno avrebbero dovuto portarsi avanti quanto più possibile. Passeranno qui la notte. L’Uomo con i tatuaggi sarà preoccupato, ma per ora dovranno proseguire verso l’oceano. Presto tutti avranno l’acqua grazie al condotto. L’Uomo con i tatuaggi mi ha detto di tua moglie, disse Iamso, che tirò giù la scala, la smontò e passò a Daniel il primo tubo da collegare. Mi dispiace, disse. Magari la troverò, disse Daniel. Lavorarono per sei ore. I tubi più piccoli divennero tutti parte di un unico grande tubo che attraversava la foresta, diretto verso il mare. Iamso passava a Daniel pezzi di panino. Daniel collegò tubi finché non si fece troppo buio per vedere dove metteva i bulloni. Accesero un fuoco con i rami tagliati che non avevano usato durante il giorno come supporti per i tubi. Daniel sentì le mani e la faccia scaldarsi al tepore delle fiamme. Immaginò un suono di contrazioni d’onda. Da dietro un albero uscì una tigre, lo guardò, poi se ne tornò dietro l’albero. Mando un messaggio, disse Iamso. Dal suo libro strappò un pezzo di carta sul quale scrisse qualcosa. Piegò la carta facendo una barchetta e la posizionò nell’apertura del tubo finale. Poi prese la borraccia e la infilò nell’apertura del tubo, versò un po’ d’acqua sotto la barchetta, e questa sparì giù per il tubo, verso la città. Dopo qualche minuto, il tubo sputò fuori un pesce
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di carta. Iamso lo fece sgocciolare un po’, lo aprì, lesse qualcosa, poi lo accartocciò e se lo mise in tasca. Be’, chiese Daniel. L’Uomo con i tatuaggi ci ringrazia di avergli fatto sapere che dormiamo fuori. Vorrebbe poter mandare latte e biscotti, ma un pesce di carta non è in grado di trasportare cose simili. Forse avrebbe dovuto fare un canguro. Dice di farci una bella dormita se pensiamo di continuare a costruire il condotto. Dovremmo avere abbastanza tubi per mezza giornata di lavoro, domani, disse Daniel, guardando il sacco di tela sgonfio, la borsa che si aggrappava ai tubi rimasti mentre il vento la schiacciava. Sono pronto per dormire, disse Iamso. A domattina. Daniel non riusciva a dormire. Si girò e si rigirò nel letto di foglie. Chiese alla tigre di raccontargli una storia della buonanotte. La tigre sbatté le palpebre sugli occhi rossi e tornò al suo albero. Daniel pensò a sua moglie, ai suoi piedi, uno leggermente più piccolo dell’altro, abbastanza da costringerla a comprare due numeri diversi di scarpe. Canticchiò una canzone per il sonno e di lì a poco si addormentò. A gattoni, Iamso si avvicinò a Daniel, poggiò un braccio sulla sua schiena, addormentandosi addosso a lui. Daniel sognò che un falco squarciava la gola di un Uragano; lui era un gigante che sollevava un lembo di cielo per sbirciare dentro. Si vide come una mangu-
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sta che teneva una fune tra i denti, correndo intorno all’Uragano, e poi incontrava un gruppo di uomini alti e magri come alberi. Questi lanciavano sassi di colori al neon nell’oceano. Una volta finiti i sassi, trovarono un grosso interruttore sulla spiaggia. Si piegarono a spostarlo verso destra. L’Uragano ronzò, le nuvole vibrarono, e il vento sbatté l’oceano nel cielo come fosse una pozzanghera. Tutti urlavano, indicavano il cielo. Gli uomini alti correvano per la foresta, sbattendo la testa contro i rami, e Daniel sentì Helena dietro di sé, un gemito, ma quando si voltò vide un ragazzino, con la faccia tutta contorta, che brandiva un tubo verde e lo puntava in alto, verso il cielo-mare sul punto di esplodere.