Le nostre luci - Ben Brooks

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«Mefedrone?» «Sì.» Jonah spalanca la bocca in un sorriso. Il mefedrone. La sorpresa era il mefedrone, una droga legale che si può comprare su internet. Viene venduto come «fertilizzante floreale». Conferisce la gentilezza del Dalai Lama e il carisma di Hitler e in cambio, dopo, bisogna solo passare qualche tempo nel buco nero del malumore. «Non so» faccio io. «Davvero?» Al momento non sono nelle condizioni emotive per affrontare dei grossi sbalzi d’umore. «Non fare il gay, su.» Jonah mi indica la porta del bagno col capo. Siamo nel classico bar con i tavolini di fòrmica frequentato da muratori e gente con il sussidio di disoccupazione. Tutte le cameriere sono polacche o qualcosa del genere. Quando entriamo in bagno nessuno alza lo sguardo. Nel box c’è pochissimo spazio. Per terra ci sono pozze di piscio con rotoli finiti di carta igienica, accartocciati dentro come feti abortiti. Jonah prepara la polvere, nascosta in un involto fatto con un dépliant per una serata di «dubstep delirante». Usa la tessera della biblioteca per preparare quattro strisce sul sedile del water e ci diamo dentro. Ci stravacchiamo sul pavimento. Seduti entrambi con la schiena 84


appoggiata alle piastrelle, per qualche minuto fissiamo le altre piastrelle. Le narici in fiamme, la gola come una cascata di merda, poi finalmente sento che mi prende alla testa. Ho la testa in lenta ebollizione. «Tutto bene?» chiedo. «Seh. Ancora un po’?» «Bella lì, tio.» «Tio?» «Cosa c’è? L’ho sentito dire in un pezzo rap.» Jonah ride e scuote la testa. Prepara altre due strisce dall’involto e poi lecca il lato della tessera della biblioteca. Ce la facciamo e mi siedo di nuovo. Mi sento alla grande. «Grazie» gli dico. «Figurati.» «Grazie, davvero. Ti voglio bene, amico, non in senso gay però. Hai dei polpacci fantastici.» «Lo so, non ce lo diciamo mai abbastanza. Anch’io ti voglio bene, amico. Siamo così giovani. Tutto è fantastico» dice Jonah. Mi posa la mano sul braccio. Io gli metto la mano sulla spalla. «Sì, sì. La gente non si vuole abbastanza bene. La gente ama solo la guerra e i soldi. Io non amo la guerra e i soldi. Io amo te.» «Sì, fanculo la guerra e i soldi.» «La guerra e i soldi mi possono fare un pompino.» «Io amo te e Tenaya e Ping e Ana.» «Ping e Ana! Sono così felici insieme. Sono fantastici. Sono delle stelline.» «Si sposeranno e andremo tutti al matrimonio.» «Sì, gli diremo quanto sono teneri, cazzo.» «E tutti quanti saranno felici.» «Fanculo i soldi e la guerra!» «Dei matrimoni, ecco cosa dovremmo fare.» «Dovremmo sposarci tutti.» «Lanciamo il riso!» Ci si piegano le gambe come fili d’erba in una tempesta. Torniamo dentro il bar. Facciamo un sorrisone alla cameriera polacca, poi ci avviamo verso l’uscita. Jonah spinge la porta. 85


«Ehi, tu!» Fa la cameriera. «Tu no ha pagato!» È bella. È come una pornostar o una modella di Vogue o qualcosa del genere. Ha gli zigomi alti e degli occhi enormi e sono molto felice che esista. «Oh, scusaci tantissimo» le fa Jonah. «Ti prego, ti prego perdonaci.» Estrae di tasca una banconota da venti sterline e gliela ficca in mano. Io faccio lo stesso con una da dieci. Trenta sterline per due caffè. «Molto generosi» fa lei, e ricambia i nostri sorrisi sdolcinati. «Sei così bella» le dico. Io e Jonah ci caliamo entrambi su di lei e stringiamo quel corpo minuscolo in un possente triplice abbraccio. «Sii felice» le auguro. «Te lo meriti.» Fuori l’aria è splendida. Profuma di pot-pourri. Tiriamo su col naso fortissimo, come due che stanno annegando. Ci riempiamo di sole. «Cerchiamo un locale, andiamo a seminare un po’ d’amore.» «Giusto» dico. «La gente deve sapere che le vogliamo bene.» «Si, dobbiamo gridarglielo e abbracciarli tutti.» Sono le 8:00 di sera. Probabilmente non c’è nessun locale aperto. Continuiamo a camminare, seguendo delle strade a caso. Jonah accende una sigaretta. «Stupendo, cazzo» dice. Me ne passa una. «Sì» dico. Passiamo davanti a un supermercato Tesco Express, a un negozio di scarpe senza marca, a uno di saponi, a uno Starbucks e a un Debenhams. Sono tutti meravigliosi. Alla nostra sinistra si apre un vicoletto. Ha i muri schizzati di una sinistra vernice al neon. «Per di là» dice Jonah. Ci infiliamo entrambi nel vicolo. Attaccata all’edificio di mattoni rossi davanti a noi, incombe un’insegna. funkytown: the home of disco «Cazzo!» fa Jonah. «Adoro la disco music, cazzo.» «Cazzo, la disco music, sì.» Stabilito quello, entriamo. All’ingresso non ci sono buttafuori perché una discoteca anni settanta non è certo il posto frequentato 86


da ragazzini minorenni. È il posto dove vanno le donne di mezza età e gli uomini che la mezza età l’hanno superata da un pezzo. Il Funkytown è bello. Dalla palla stroboscopica rimbalzano musiche gradevoli come inni scolastici. La palla stroboscopica è bella. Probabilmente gli occhi di Dio sono così. La carta da parati è un collage arricciato di colori vivaci e il pavimento è uno specchio di legno. Ci sono coppie che ballano e sorridono. Sono felici. Io sono felice per loro. Ci sono frotte di persone al bancone del bar e altre coppie in giro per la sala. Che bevono e fanno gli esseri umani. Voglio andare a dirgli «Congratulazioni!». «Congratulazioni!» dico. Jonah mi abbraccia. «Prendiamoci da bere» dice. «Prendiamo da bere per noi e anche per quelle signore molto carine.» Lo dice molto forte, per farsi sentire. È il caso che lo sentano, perché sono belle. Bisogna che qualcuno glielo dica. E allora glielo diciamo noi. Glielo diciamo, poi gli offriamo da bere e vediamo di fare in modo che siano tutti felici come monaci in un locale di spogliarello. Siamo tutti esseri umani! Ci sono due donne. Entrambe sulla trentina inoltrata, forse. Sono splendide schegge di sole. Una ha i capelli biondi, dritti come il mio cazzo quando la fisso. Porta un vestito aderente a pois e una cintura lucida scarlatta per mettere in risalto il punto vita. Probabilmente guarda i programmi di moda di Gok Wan. Intorno agli occhi ha rughe come cornici di fotografie. È bella. L’altra ha i capelli castani corti e porta un vestitino bianco estivo. È bella. «Allora, signore, cosa bevete?» chiede Jonah. Gli dicono il nome del drink e lui glielo ordina. Io sono troppo impegnato a sentirmi fantastico e affettuoso, quindi non ci faccio troppo caso. Lui mi ficca in mano una birra e mi scompiglia i capelli. «Allora, come va la vostra serata, ragazze?» La bionda sorride. «Bene, grazie, e la vostra ragazzi?» «Ah, andava già benone. Però è appena migliorata un sacco» fa Jonah. La brunetta ride. «Vuoi ballare, carino?» gli chiede, e gli porge la mano. Lui l’afferra e si avviano lenti in pista. Sono molto felice per loro. Ora siamo rimasti solo io e la bionda. È bella. Se fosse un’attrice 87


potrebbe interpretare Cleopatra, Elena di Troia, Keira Knightley o Reese Whiterspoon. Profuma di fiori concentrati e nuvole. La sua testa è un busto in marmo del sole. «Allora non sei un ballerino?» mi chiede. «Chi, io? Cosa? No, possiamo ballare se hai voglia. Possiamo fare tutto quello che vuoi. Cos’è che ti renderebbe felice? Facciamo quello che ti rende felice.» «Ooooh» e fa un verso come se stesse guardando delle fotografie di neonati. «Sei così dolce.» «Grazie» le dico. «La gente non è abbastanza gentile. Alla gente interessano solo i soldi e... le barche, i castelli, eccetera. A me quella roba non interessa. Tu sei felice?» «Sì.» Annuisce. «Vuoi ballare?» «Sto bene qui. Ma possiamo ballare se vuoi.» «Tranquilla» dico. «Finisci di bere, vado a prenderci il bis.» Ordino un altro giro al barista. Porta una camicia da cow-boy e ha un aspetto vagamente messicano. Sono felicissimo di conoscerlo. Gli do una mancia di cinque sterline. Quando gliele allungo, dico «Chi non beve in compagnia...» e lui ride. «E allora, che lavoro fai?» mi chiede la bionda. Per quanto sono strafatto di fertilizzante, capisco che in questa situazione la sincerità mi porterebbe solo in un vicolo cieco dove finisco per non fare sesso. «Sono un agente di polizia» dico. «E Jonah è un magnate del porno.» Credo che quel lavoro gli piacerebbe. «Abbiamo ventidue anni, ma io sono il più maturo dei due.» La bionda ride. Ha i denti come confetti di chewing-gum accostati nella loro confezione. Le labbra hanno il colore della polpa d’anguria. «E tu cosa fai?» chiedo. «Faccio la segretaria da un assicuratore e la mia amica Susie fa la cameriera, e non provare a chiedermi quanti anni ho.» Mi strizza l’occhio. È come se fossimo personaggi di una commedia. Io attacco discorso con una bella donna in un bar e lei si innamora di me e il nostro amore fiorirà come un girasole in un’estate eterna. Grazie, Gesù. 88


Jonah, quando gli si stancano le gambe, viene da me e mi dà di gomito perché lo accompagni in bagno. «Perché dovete andare al cesso insieme?» chiede la brunetta. «Ho bisogno di un gregario» le risponde Jonah. «Mai cagare da soli.» In realtà andiamo in bagno solo per riempirci di nuovo il naso, la gola e la testa di mefedrone. Ce n’è rimasto un sacco. Per il momento non corriamo alcun pericolo di rotolare giù da una collina di «down». «Quelle due fighe ce le trombiamo di sicuro» fa Jonah. «Cazzo, sono stupende. È perfetto.» «Bellissimo, cazzo» dico. Usciamo dal bagno. Al bar le nostre prede hanno ricostruito la Muraglia cinese usando i bicchierini di sambuca nera. La sambuca nera è bella. Jonah abbraccia la brunetta da dietro e la bacia sulla guancia. Lei ride. Io sorrido alla bionda. «Pronti?» chiede. «Quattro a testa» dice la brunetta. «Chi arriva ultimo deve limonare con il barista.» Tutti ridono. Sono felice. Esistiamo e interagiamo. Siamo proprio bravissimi. Jonah finisce per primo. La bionda è l’ultima. Siamo pieni di macchie nere intorno alle labbra e sul collo e sul davanti della maglia. Tutti sorridono. Io sorrido. La bionda mi lecca via le macchie di sambuca dal collo. Al tatto, la sua lingua sembra il viso di Abby Hall. «Ehi!» dice la brunetta. «Hai perso, devi farti il barista!» La bionda ride. Jonah fischia mettendosi due dita agli angoli della bocca. Com’è che si chiama quel fischio? A lui riesce molto bene. Io sono felice. Il barista arriva per via del fischio di Jonah. La bionda gli afferra la camicia da cow-boy con la manina, lo attira a sé e gli si getta addosso con il viso. Ridiamo tutti. In pista c’è il disco dei Jackson 5. Sento gente che canta. Jonah canta. Andiamo tutti a ballare.

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+ Il Funkytown chiude. Ho già messo le mani addosso alla bionda e ho buoni motivi di credere che Jonah sia arrivato persino a toccarla alla brunetta. I buoni motivi sono che mi ha sventolato le dita sotto il naso e ha detto «Senti qua, amico». Poi ci siamo abbracciati. Sono felice. Usciamo all’aperto, dove fa freddo e il vento è entusiasta. C’è una ragazza con dei pantaloncini corti di paillette che vomita in un cestino, e un ragazzo con i capelli pieni di gel che le allontana le extension dal viso. Jonah ride. Do la mia giacca alla bionda e lei mi bacia. Dice «Che gentile» quando lo faccio. «Allora andiamo a casa nostra?» dice la brunetta. Concordiamo tutti e ci incamminiamo. Casa loro si rivela una bifamiliare in periferia. Sta finendo l’effetto del mefedrone, per caso? Lo chiedo a Jonah. Annuisce. Quando entriamo, facciamo per andare in bagno ma la brunetta dice «Qualsiasi cosa sia, potete farvela anche in cucina». E la bionda aggiunge «Basta che ce ne offrite un po’». Gliene offriamo un po’. Jonah ne prepara otto strisce e ce le pippiamo. Una delle ragazze mette un po’ di musica. Non la riconosco. «È Etta James» dice la brunetta. Ci abbracciamo tutti. «Che bello» dico. «Bellissimo» dice Jonah. «Voi due siete incredibili.» «No, voi due siete incredibili» dice la brunetta. Ci abbracciamo tutti. La bionda mi tira giù su un divano che puzza di vino da quattro soldi. Dietro c’è un pianoforte verticale. Nella stanza arriva indifferente un cane, come un bambino che è entrato per sbaglio sul palcoscenico di un teatro. «Lui è Peter» dice la bionda. «Ciao, Peter.» «Ciao, Peter.» Jonah e la brunetta spariscono. La bionda mi bacia sul divano. Si sdraia e mi tira per il colletto finché non sono sdraiato su di lei. Non mi sono mai sdraiato su dei seni così esperti. Mi guida la mano su per la sua coscia. Io la guido lungo il bordo delle mutandine 90


di pizzo. La sua vagina sembra una spugnetta ruvida per i piatti. «Andiamo di sopra» dice. Mi prende la mano e mi trascina su per le scale. Io continuo a fissarle quel culo stupendo, e penso a quanto sono felice. Farò sesso con lei. Sarà un ottimo allenamento. Voglio essere il più bravo possibile per Georgia nel Devon. Devo lavorare sulla resistenza. La sua camera da letto è... non ci faccio caso. Crolliamo sotto il piumone. La mia maglietta sparisce presto, i pantaloni, e i calzini. Insieme cerchiamo di toglierle il vestito, ma risulta difficile perché nessuno dei due vuole staccare le labbra. Difficile, ma non impossibile. Mi considero un esperto nel togliere reggiseni, quella parte non è un problema. Poi siamo entrambi quasi nudi. Sono sdraiato tra le sue gambe come un puntino in bocca a Pacman. Ci stiamo baciando. Con la mano sinistra lei tasta a casaccio il comodino in cerca di un preservativo. Lo trova. Me lo infila. Io entro. Sospiro. Gemo. Sono uno yo-yo. La rigiro. Le schiaffeggio il sedere e mi dondolo su e giù. Sospiro. Gemo. Dormo.


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