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Asmara: la città degli italiani e la città degli eritrei

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GIULIA BARRERA

Mussolini per gli italiani [in Italia] non so come sia stato, ma per gli italiani in Africa la sua idea era bellissima, lì ha fatto tanti lavori, belle case… voleva fare in Africa una nuova Roma e mandarci gli italiani, perché qui in Italia non c’era posto, l’Italia era piccola per gli italiani. Voleva fare un grande impero in Africa e a noi chissà dove ci voleva mandare…(…) ha fatto le strade, ma non per gli eritrei, per comodità sua1.

Così, nel 1998, Frewini (una donna eritrea nata nei primi anni Venti, che vive a Roma dal 1976), mi parlava dei grandi lavori pubblici intrapresi dal governo fascista in Eritrea nella seconda metà degli anni Trenta. Le sue parole mostrano una lucida distinzione di giudizio tra il progetto politico mussoliniano (un progetto imperiale finalizzato a beneficiare i colonizzatori e non certo i sudditi coloniali) e la qualità dei progetti edilizi. Frewini ricorda bene le umiliazioni patite durante il periodo coloniale: Gli italiani li chiamavamo «goitana» [padrone] «buon giorno goitana, buon giorno!» neanche lo conoscevo e dovevo salutare così. Qualunque abissino, se un italiano gli diceva: «fai questo, fai quello», non poteva mai dire di no.

Ma questo non le impedisce di apprezzare le case costruite dagli italiani. I palazzi del centro di Asmara non sono ai suoi occhi simboli del colonialismo: sono i palazzi della sua città. La capacità di distinguere fra i diversi piani di giudizio (quello storico-politico e quello architettonico-urbanistico) fra gli eritrei è un sentimento diffuso, che è potuto maturare grazie al fatto che il progetto imperiale incarnato dagli edifici che oggi ammiriamo − tanto le costruzioni degli anni Trenta, quanti i palazzi di inizio secolo − è stato sconfitto. La sconfitta del colonialismo ha permesso alla città di Asmara di riconciliarsi con sé stessa: una città cresciuta per decenni con l’intento dichiarato di emarginare la maggior parte della sua popolazione, è potuta divenire una città amata dall’insieme dei suoi abitanti. In queste pagine si ripercorrerà brevemente la storia di quando Asmara era invece una città divisa: non è una storia di edifici ma di persone, che intende offrire, a chi guarderà le foto dei palazzi, il senso di come fosse la vita che vi si svolgeva attorno.

1. DALLE ORIGINI AL 1934 L’Eritrea ha conosciuto un primo sviluppo urbanistico in epoca remotissima: indagini archeologiche nella zona di Asmara hanno rivelato che i primi passi verso un processo di urbanizzazione nell’area risalgono agli inizi del primo millennio a.C.2. Al tempo dell’impero axumita (tra il I sec. a.C. e il VII sec. d.C.), l’Eritrea aveva diverse fiorenti città, fra cui in particolare il porto di Adulis (a sud dell’odierna Massawa), sbocco al mare dell’impero e trampolino per la sua espansione nella regione. A partire dal VII secolo si avviò un periodo di declino, ma tra i secc. XV e XVII l’Eritrea conobbe un nuovo periodo di sviluppo urbano. A partire, però, dalla seconda metà del Settecento e in modo crescente durante l’Ottocento, il territorio dell’odierna Eritrea soffrì una profonda decadenza, dovuta a una situazione di frammentazione politica che trasformò la regione in un campo di battaglia3. «Infine, ciò che ebbe un impatto drammaticamente negativo sull’urbanizzazione [in Eritrea] fu la grande carestia che afflisse la regione fra il 1888 e il 1892», che causò un crollo demografico4. Così, al momento della costituzione della colonia (1° gennaio del 1890), l’Eritrea contava solo una città, per altro di modeste proporzioni: Massawa. Asmara era un grosso villaggio, la cui popolazione doveva essere di poche migliaia di abitanti5; sulla cima di una collina vicino al villaggio, Ras Alula (ultimo governatore etiopico dell’area, nonché vincitore della battaglia di Dogali) aveva fissato il proprio quartier generale (foto 2-3). Le truppe italiane, guidate dal generale Baldissera, occuparono l’area nel 1889. Come tutti i primi insediamenti italiani sull’altipiano, Asmara inizialmente si sviluppò come piazzaforte militare, favorita dalla sua posizione strategica, al centro della colonia6. La città doveva conoscere presto, però, maggior fortuna, grazie alla sua felice posizione geografica: situata a 2.347 metri di altitudine, godeva, infatti, di un clima temperato, che la poneva a riparo dalla malaria; gli italiani che pian piano popolarono la colonia preferirono, dunque, fissare la propria dimora ad Asmara piuttosto che nella torrida Massawa.


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Nel 1893, quando la capitale era ancora Massawa, risultavano residenti nel Commissariato di Massawa 442 civili italiani e nel Commissariato dell’Hamasien (il distretto amministrativo di Asmara) 108; nel resto della colonia gli italiani erano solo 737 (gli eritrei ad Asmara invece sembra fossero 9.434)8. Vent’anni dopo, il censimento del 1913 rilevava 1.725 cittadini italiani nel Commissariato dell’Hamasien e solo 288 in quello di Massawa; il totale della popolazione italiana ammontava all’epoca a 2.410 unità (475 militari inclusi)9. Nel frattempo, molte cose erano avvenute: innanzi tutto, c’era stata Adua, evento fondante nella storia della colona Eritrea. Anche per parlare della storia di Asmara, non si può non partire dalla catastrofica sconfitta militare che gli italiani subirono ad Adua nel 1896, ad opera dell’esercito etiopico. Adua costituì un unicum nella storia del colonialismo europeo in Africa e creò condizioni uniche nella colonia italiana. Come ha evidenziato lo storico eritreo Tekeste Negash, dopo Adua per i governi italiani divenne un imperativo evitare lo scoppio di una nuova guerra con l’Etiopia (una nuova perdita di soldati italiani sarebbe stato un suicidio politico). I governanti italiani sapevano che una rivolta anticoloniale eritrea avrebbe con ogni probabilità indotto l’impero etiopico a intervenire; di conseguenza, evitare una nuova guerra con l’Etiopia richiedeva di evitare, di suscitare ribellioni eritree10. Questo obiettivo venne raggiunto rinunciando ai vasti espropri di terra sull’altipiano, effettuati dal generale Baratieri prima di Adua (espropri che avevano suscitato una rivolta anticoloniale nel 1894). Il governatore Ferdinando Martini, che tenne le redini della colonia dal 1897 al 1907, lasciò dunque silenziosamente cadere i decreti di esproprio; sicché, mentre ai tempi di Baratieri gli italiani avevano espropriato circa il 50% delle terre coltivate dell’altipiano, alla fine del governatorato di Martini rimanevano in mano italiana circa il 2% delle terre coltivabili dell’altipiano11. La rinuncia a espropri su vasta scala determinò il fatto che assai pochi italiani, in Eritrea, vivevano di agricoltura12. L’immagine dei coloni bianchi in Africa quali grandi proprietari terrieri, popolarizzata da film come La mia Africa, ha assai poca corrispondenza con la realtà eritrea: la popolazione italiana in colonia era composta in maggioranza da operai, artigiani, impiegati, piccoli commercianti e piccoli o piccolissimi imprenditori (oltre a una buona quota di militari)13. I dati che abbiamo sulla distribuzione degli italiani in Eritrea per residenza e occupazione sono imprecisi, perché spesso nelle statistiche gli italiani sono accorpati

agli altri europei residenti in colonia. Sappiamo, comunque, che nel 1921 quasi il 70% della popolazione bianca dell’Eritrea (che in totale ammontava a 3.874 unità) viveva ad Asmara; un altro 18% era suddiviso fra Massawa e Keren e il rimanente 12% viveva in centri minori14. Il colonialismo italiano in Eritrea fu dunque un’esperienza eminentemente urbana, che ebbe in Asmara il suo fulcro. Nel 1899 il governatore Martini vi fissò la sede del proprio governo15 e la città divenne il centro indiscusso della vita non solo politica, ma anche economica della colonia. Asmara costituisce dunque un luogo di osservazione privilegiato per seguire la costruzione del potere coloniale italiano in Eritrea. Come ha osservato Stefano Zagnoni, per il governo italiano la città costituiva allo stesso tempo «lo strumento e il simbolo più efficaci per l’affermazione nel nuovo assetto sociale e culturale»16. L’affermazione della superiorità dei colonizzatori sulla popolazione sottomessa trovò un suo linguaggio simbolico sin dal primo tracciato viario, secondo lo «schema che da oltre due millenni ha informato tanta parte dell’esperienza di colonizzazione: la griglia ortogonale». Si trattava, osserva sempre Zagnoni, di una «“lezione di civiltà” imposta per mezzo della geometria: la nuova città geometricamente ordinata nacque, infatti, in esplicita contrapposizione al “disordine” del villaggio indigeno»17. L’edificazione dei palazzi del potere (la residenza del governatore, la sede del governo, il Comando truppe, il tribunale, ecc. ad esempio foto 11 e 13) costituirono palesi messaggi simbolici dell’affermazione del nuovo governo, secondo un linguaggio pressoché universale: il potere celebra sé stesso nella costruzione delle proprie sedi. In colonia, però, i messaggi simbolici erano più complessi dell’ordinario: i governi coloniali − in Eritrea come nelle altre colonie, italiane e non − erano, infatti, costantemente impegnati nel tentativo di dimostrare la superiorità dei colonizzatori sui colonizzati e dunque la legittimità della sottomissione di questi ultimi. Questo obiettivo veniva perseguito con una pluralità di mezzi, che andavano dalla discriminazioni in ambito scolastico (gli eritrei non potevano frequentare le scuole degli italiani; quelle per loro erano pochissime e non andavano oltre la terza elementare)18, alla discriminazione in ambito giudiziario (non solo venivano applicate legislazioni diverse – e gli eritrei potevano essere sottoposti a punizioni corporali come la fustigazione o alla pena di morte e la giustizia era amministrata con grande discrezionalità dai commissari governativi − ma ad un eritreo non era permesso di testimoniare contro un

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bianco)19, a quella in ambito militare (gli eritrei venivano arruolati a migliaia nell’esercito, ma non potevano divenire ufficiali; prestavano servizio nei carabinieri, ma non potevano arrestare un bianco) e così via20. In tutta l’Africa, uno degli strumenti principali utilizzati dai poteri coloniali per fare entrare nella profondità del corpo sociale la nozione della inferiorità dei colonizzati fu la segregazione degli spazi urbani ed anche in Eritrea il governo coloniale italiano adottò questa strategia. Nel 1908, il governatore Giuseppe Salvago Raggi (1907-1915) varò un piano regolatore che prevedeva la suddivisione della città di Asmara in tre distinte zone residenziali (oltre a una quarta zona, destinata alle abitazioni suburbane e allo sviluppo industriale): la prima zona era riservata «esclusivamente per le abitazioni degli italiani e dei cittadini di stati stranieri» (art. 1), la seconda permetteva una residenza mista di europei, eritrei e assimilati (arabi, egiziani, indiani, ecc.)21, mentre la terza era «riservata esclusivamente per le abitazioni dei sudditi coloniali e degli assimilati ad essi» (art. 3)22. Nel 1914, sempre Salvago Raggi varò un nuovo piano regolatore, reso necessario dal fatto che la città era cresciuta e non vi erano più sufficienti aree edificabili entro i confini del precedente piano23. Il decreto ribadiva, per «gli indigeni e gli assimilati», il divieto di abitare nella prima zona «eccetto che in qualità di familiari o domestici» e annunciava che «allo sfratto degli indigeni ed assimilati dalla zona in questione sarà provveduto in via e coi mezzi di polizia» (art. 5). Il decreto obbligava inoltre gli «indigeni» che possedevano immobili nell’ambito della zona riservata agli europei a venderli entro un anno, pur se affittati a europei. L’applicazione di tale norma deve aver incontrato resistenza24; nel 1916, infatti, il governatore Giovanni Cerrina Ferroni la modificò, concedendo agli eritrei di conservare temporaneamente proprietà immobiliari nella zona europea, purché non le trasferissero ad altri sudditi coloniali25. Anche se in modo meno traumatico, il progetto rimaneva comunque quello di espellere gli eritrei dalla prima zona. Nel 1914, Salvago Raggi varò, inoltre, un regolamento edilizio che disponeva quali tipologie di edifici fossero permessi nelle diverse zone26. Il regolamento era molto dettagliato per quanto riguardava la zona I (artt. 15-32): dettava regole sull’altezza degli edifici, sulla cubatura, sulla distanza fra le costruzioni, sulla proporzione fra aree coperte e scoperte, sui giardini, sui servizi igienici, sulla pavimentazione e così via. Per la zona mista (artt. 33-40), gli standard edilizi erano più modesti, ma comunque limi-

tavano drasticamente il numero di eritrei che potevano permettersi di vivere in tale area; in pratica, la zona mista finì per essere abitata più che altro da commercianti «assimilati»27. Per i quartieri destinati ai sudditi (artt. 41-42), il decreto si limitava a delegare al commissario regionale la decisione su tipi di costruzioni e materiali ammessi. Così, analogamente a quanto stava avvenendo in altre colonie africane28, negli anni precedenti alla prima guerra mondiale Asmara assunse il suo assetto di città fondata sulla separazione tra europei e africani e funzionale alla subordinazione di questi ultimi. Su come vivessero gli uomini e le donne che abitavano nella capitale della colonia, sappiamo poco; infatti, mentre l’architettura di Asmara ha conosciuto crescente interesse negli ultimi quindici anni29, la storia sociale della città − così come in generale la storia sociale dell’Eritrea − è ancora un terreno in gran parte inesplorato (decenni di guerra in Eritrea hanno precluso la possibilità di condurre ricerche nel paese)30. Paradossalmente, sappiamo assai più sulla minoranza italiana che sulla maggioranza eritrea che popolava la città, dato che sono stati gli italiani a produrre la maggior parte delle fonti a cui oggi attingiamo. Agli italiani, i quartieri eritrei di Asmara poco interessavano; come ha spiegato suor Eleonora Onnis (autrice negli anni Cinquanta di un pionieristico studio sulla città), per gli italiani i quartieri indigeni erano un insieme indifferenziato che non valeva la pena tentare di conoscere, tanto da chiamarli tutti con il nome di uno di essi, «Abasciaul» (Aba Shawl, foto 125): una sorta di Hinc sunt leones. Durante i primi decenni di vita della colonia, però, Asmara attirò assai più eritrei che italiani; ad essere precisi, fu l’Eritrea ad attirare pochi italiani, ma quei pochi che andavano in colonia, sceglievano quasi tutti di stabilirsi nella capitale: nel 1931, i civili italiani ammontavano a soli 3.600, quasi il 90% dei quali (ossia 3.160) residenti ad Asmara; gli eritrei nella capitale erano invece oltre 20.00031. Un quota significativa degli eritrei ad Asmara era costituita dagli ascari e dalle loro famiglie. Come ha evidenziato Tekeste Negash, l’Italia sfruttò l’Eritrea essenzialmente come fonte di soldati, da utilizzare per le conquiste coloniali in Somalia, Libia ed Etiopia32. Ad Asmara era acquartierata una parte delle truppe; agli ascari in servizio in patria era consentito di tenere la famiglia con sé, in insediamenti noti come «campi famiglia», quartieri con piccole case in muratura, geometricamente allineate, «che contribuirono alla improvvisa crescita delle aree urbane»33. Le case per


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gli ascari avevano immancabilmente forma cilindrica e tetto conico (foto 88-91); gli italiani le chiamavano «tucul» (termine, sembra, di derivazione sudanese)34. Come ha osservato l’antropologa Mia Fuller, le case degli eritrei sull’altipiano avevano invece generalmente forma rettangolare (hudmò o hidmò); abitazioni di forma circolare esistevano (chiamate agdò), ma erano meno diffuse (foto 1-2). Agli occhi italiani, il «tucul» doveva avere un aspetto esotico e primitivo che marcava una rassicurante alterità e inferiorità degli eritrei; fu così che proprio questa tipologia di abitazione venne imposta dalle autorità italiane, nei villaggi per ascari costruiti alle periferie delle città eritree35. Di questa componente militare nella genealogia della città – ha osservato Uoldelul Chelati – è rimasta traccia nella toponomastica urbana, a cominciare dall’area del primissimo campo fortificato eretto da Baldissera sull’altura dove fu poi edificato il Comando truppe (foto 11-12), rimasta nota fra gli italiani come «campo cintato»36 e fra gli eritrei come Kommishtato (o Kompishtato), passando poi, ad esempio, ai due quartieri noti come Gheza Banda − Gheza Banda Habasha e Gheza Banda Telian − nome derivato da «casa della banda» («le «bande» erano truppe africane irregolari al servizio degli italiani)37. Ad Asmara vi era il Deposito di reclutamento degli ascari (foto 91), sicché in città affluivano dalle campagne eritree, ma anche dall’Etiopia (in particolare dal Tigray), coloro che desideravano essere arruolati38. L’immigrazione in città aumentava in coincidenza di cattivi raccolti o invasioni di locuste39; gli investimenti italiani erano stati troppo modesti per produrre una proletarizzazione su larga scala, ma per le famiglie contadine, avere un membro della famiglia ascaro o che svolgeva − magari occasionalmente − lavoro salariato in città, costituiva una strategia efficace per mettersi al riparo dalla fame, in situazioni di crisi40. Ad inurbarsi erano anche le donne, sia provenienti dalle campagne eritree che da quelle del Tigray, e non solo in qualità di mogli di ascari. Durante il periodo coloniale − e soprattutto a partire dal 1935 − un significativo numero di donne sole emigrò in città. La maggior parte trovò lavoro come domestica presso famiglie italiane o straniere, ma anche presso famiglie eritree benestanti. Le famiglie agiate, tanto eritree quanto italiane, spesso avevano più di una domestica, sicché il loro numero in città doveva ammontare a migliaia. Quando le donne, invece che per famiglie, lavoravano per uomini soli italiani (e moltissimi italiani in colonia erano single) spesso il rapporto di lavoro si trasformava in una relazione di concubinaggio. Le donne africa-

ne che avevano una relazione stabile con un italiano, nel gergo coloniale erano note come «madame»; la pratica di «prender madama» – come dicevano gli italiani − era molto diffusa tra gli uomini di tutte le classi sociali, primi fra tutti gli ufficiali, soprattutto durante i primi tre decenni di dominio coloniale (e poi di nuovo dopo il 1935). In un piccolo centro come Asmara, la presenza di un nutrito nucleo di «madame», e ancor di più dei loro figli, rappresentava un elemento distintivo del paesaggio sociale urbano41. Oltre ad italiani, eritrei ed etiopi, in città vivevano diverse piccole comunità straniere: si trattava in prevalenza di commercianti, ma anche di artigiani, greci42, ebrei43, turchi44, arabi e indiani45, che popolavano la zona mista e la rendevano un’area fitta di negozi e botteghe. Ad Asmara, l’import-export era dominato dagli stranieri (italiani compresi); gli eritrei erano piuttosto impegnati nel commercio al minuto di generi alimentari che si svolgeva quotidianamente nel grande mercato46 (foto 40, 41, 48, 92). L’artigianato assorbiva ben un quarto della popolazione civile attiva italiana47; alle attività artigiane contribuivano anche una quota della variegata popolazione della zona mista e, in misura percentualmente modesta, della popolazione eritrea. Di industrie, invece, nell’Asmara dei primi anni Trenta, ce n’erano poche. Dal 1913 vi operava uno stabilimento che produceva carne in scatola su larga scala, lavorando essenzialmente per l’esercito (le truppe impegnate nella riconquista della Libia mangiavano scatolette di carne provenienti da Asmara)48; vi erano poi una conceria (anch’essa lavorava in buona misura per l’esercito)49; tre fabbriche di sigarette50; una fabbrica di mattonelle51 e diversi molini e pastifici52, oltre a due impianti per la produzione dell’energia elettrica53. Si trattava in maggioranza di stabilimenti di modeste proporzioni: perché si formi ad Asmara un settore industriale di qualche rilievo − al di là di trasporti e costruzioni − bisognerà attendere la seconda metà degli anni Trenta e ancor di più gli anni Quaranta. Per gli italiani, il centro della vita cittadina era piazza Roma (foto 14 e 32); nel 1929, vi si affacciavano la Banca d’Italia (che aveva aperto una sua filiale ad Asmara nel 1914)54 (foto 14-16), l’albergo D’Amico (uno dei quattro alberghi della città), il palazzo del Tribunale, il Caffè Roma (il caffè frequentato dalle élites cittadine) e l’edificio dove avevano sede l’Unione militare e l’Opera nazionale Balilla55 (nel 1937 questo palazzo diverrà sede del Banco di Roma) (foto 32); d’angolo, apriva sulla piazza anche la Banca popolare cooperativa dell’Eritrea (dal 1931 Banca del

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Littorio) (foto 22); sul lato nord, davanti alla Banca d’Italia, piazza Roma era attraversata da Corso del Re (foto 15), la principale arteria commerciale della città56. A due passi da Piazza Roma aveva sede la Società italiana operaia di mutuo soccorso, fondata nel 1904; non distante, lungo Viale Mussolini − oggi Harnet Avenue − si affacciavano l’imponente cattedrale (foto 111) e l’elegante teatro Asmara (foto 28)57, vicino al quale aveva sede il Circolo funzionari civili (foto 30). Bisognava invece camminare qualche centinaio di metri, superando il Comando truppe (foto 11) per giungere al Circolo ufficiali (foto 25). Erano questi, come ha osservato Federica Guazzini, «i luoghi di ritrovo dove si svolgevano i rituali di autoriconoscimento socio-culturale e razziale» della comunità italiana; una comunità tutt’altro che omogenea al suo interno, solcata com’era dal fossato che divideva civili e militari e dalle profonde differenze economiche e sociali, così che «per il diritto di far parte di tali circoli si esasperavano le idiosincrasie elitarie e le conflittualità civili-militari»58. Col Fascismo, la vita sociale della comunità italiana venne portata, pezzo a pezzo, sotto l’egida del partito. Dopo un difficile avvio − per conflitti fra il fascio e il governatore − alla fine degli anni Venti le organizzazioni fasciste in Eritrea conobbero un imponente sviluppo, tanto che nel 1930 gli iscritti al Pnf erano ben 350 (l’8% della popolazione totale), gli iscritti al Dopolavoro 570 e i Balilla 60059; ricordo che all’epoca la popolazione italiana dell’Eritrea era poco sotto le 3700 unità60. Proprio in quell’anno, il governatore soppresse la Società operaia di mutuo soccorso, assegnandone la sede all’Opera nazionale Balilla, e il Circolo coloniale funzionari civili, assegnandone la sede al Dopolavoro61 (l’edificio di lì a poco avrebbe di nuovo cambiato destinazione, diventando la Casa del Fascio «Arnaldo Mussolini», foto 30). In Eritrea erano inoltre presenti i Fasci femminili, un Circolo di cultura fascista, il Fascio giovanile eritreo di combattimento e una Federazione sportiva fascista molto attiva62. Non vi era, invece, fra gli italiani in Eritrea, una tradizione di associazionismo cattolico, sicché sembra che in colonia il Pnf abbia avuto più successo che in patria nel controllare la vita associativa degli italiani63. Come luoghi di svago, nel 1929 la popolazione asmarina poteva contare, oltre che sul teatro, su tre cinema64. Prima della guerra d’Etiopia, italiani ed eritrei potevano frequentare gli stessi cinema, ma all’interno i posti erano rigidamente separati65. Gli esercizi commerciali non erano per

legge segregati e, anche nei fatti, i negozi erano aperti ad una clientela mista66; come si è visto, la comunità italiana era piccola, troppo piccola perché potessero prosperare negozi riservati ai bianchi. Sembra invece che per caffè e ristoranti la situazione fosse diversa; in una corrispondenza dall’Asmara pubblicata sull’ «Avanti!» del 1920, si leggeva: «Se, per imprudenza, [un eritreo] entra a chiedere una tazza di caffè in un esercizio europeo, è messo alla porta fra le grandi risate del pubblico»67. Maria Messina, una italo-eritrea (figlia di padre italiano e madre eritrea) nata ad Asmara nel 1917, mi stava spiegando le differenze tra il periodo successivo al 1935 (quando, nelle sue parole, ci fu un «razzismo feroce») e il periodo precedente, di relazioni tra italiani ed eritrei più cordiali e rilassate, quando ha osservato: «Certo, le nostre madri non le portavano nei ristoranti, al cinema. La divisione c’era, ma era naturale, non imposta»68, facendo così intravedere una vita quotidiana fatta di spazi di socialità separati, non per legge, ma per consuetudini sociali discriminatorie tanto radicate da apparire «naturali». Così, se le necessità della vita economica portavano a intersezioni fra l’Asmara degli italiani e l’Asmara degli eritrei, nel tempo libero la separazione degli spazi si irrigidiva. Per gli uomini eritrei, i luoghi di ritrovo erano le rivendite di bevande alcoliche: swa (una birra locale) e mies o tej 69 (italianizzato in teg o tecc, da cui – nel gergo coloniale − i termini «tecciara» e «tecceria»), che si trovavano nella zona del mercato. La produzione domestica di bevande alcoliche era l’attività più remunerativa che una donna dell’altipiano potesse esercitare. Per aprire una tecceria era necessaria una licenza governativa e questo ne limitava il numero, che comunque era cospicuo: nel 1909, ad esempio, ad Asmara, nella zona del mercato, vi erano 220 venditrici di swa o di mies70. «Un certo numero [di tacciare]» ha spiegato Asgedet Stephanos, «offriva servizi sessuali a clienti italiani ed eritrei, ma la maggior parte erano rispettabili piccole imprenditrici che si guadagnavano un’indipendenza fuor dal comune ed erano figure di rilievo nell’ambiente sociale urbano»71. Prostituzione, ben inteso, c’era ed è interessante notare che le alcove delle prostitute erano un luogo ricreativo che uomini italiani ed eritrei condividevano (secondo Sapelli – militare in colonia ai tempi della prima guerra d’Africa – proprio per evitare questa imbarazzante promiscuità con gli ascari nei postriboli, si era diffusa fra gli ufficiali italiani la pratica del concubinaggio con donne eritree72; gli italiani che frequentavano i postriboli erano più


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che altro i militari di truppa). Gli italiani avevano esportato in colonia la regolamentazione statale della prostituzione in vigore in patria: le prostitute erano dotate di speciali licenze e soggette a periodiche visite mediche di controllo; se trovate affette da malattie veneree venivano sottoposte a ricovero coatto in sifilicomio o venivano espulse. In linea di massima, le prostitute venivano concentrate in un postribolo (un insieme di capanne disposte a ferro di cavallo, recintate), cosa assai sgradita alle donne, che opponevano resistenza ai controlli governativi. Nel 1910, il commissario dell’Hamasien spiegava che un postribolo «esisteva in Asmara ma fu abbandonato sino dal 1905, se non erro, perché non si poté in alcun modo ottenere che le prostitute vi abitassero permanentemente e neanche che vi rimanessero in ore stabilite»73. Le prostitute asmarine, dunque, si erano conquistate la libertà di scegliere dove fissare il proprio alloggio e la maggior parte risiedeva nell’area del mercato. Oltre alle donne munite di licenza, secondo le autorità coloniali nella zona del mercato vi erano molte donne che esercitavano clandestinamente la prostituzione, contribuendo così alla diffusione di malattie veneree74. «È innegabile», scriveva nel 1911 il commissario dell’Hamasien Eteocle Cagnassi (noto alle cronache per il suo coinvolgimento nello scandalo Livraghi)75, «che la maggior parte delle donne che abitano il mercato di Asmara sono dedite alla prostituzione sia clandestina che manifesta» 76. L’affermazione era una grossa esagerazione, ma ben rifletteva la cattiva nomea che la zona del mercato aveva presso gli italiani. L’area del mercato era la zona malfamata della città e non solo perché era – per così dire – il quartiere «a luci rosse», ma perché era la zona dove più si registravano atti di piccola criminalità e risse da parte di eritrei77; così, nel 1900 l’Amministrazione coloniale − che faceva assai poco per fornire servizi nei quartieri indigeni − vi innalzò alcuni lampioni, per facilitarne il controllo78. La criminalità italiana non appariva invece localizzata in un’area della città ed era assai più pericolosa di quella eritrea. Sembra vi fosse della microcriminalità giovanile italiana (nel 1926, il comandante della polizia rimarcava la «tendenza al vagabondaggio e alla precoce delinquenza di buona parte dei ragazzi bianchi di Asmara»)79 ma ciò che appariva più preoccupante agli occhi delle autorità era l’alta incidenza di «offese e violenze verso nativi, e perfino verso agenti indigeni della forza pubblica»80. Nel 1920, il governatore reggente De Camillis riferiva al Ministero di due omicidi, dello stupro di una minorenne e

di una serie di aggressioni perpetrate da italiani contro eritrei, spiegando che tali azioni erano da attribuirsi «o ad ignoranza, od all’errato concetto che la superiorità della razza dominante debba affermarsi con violenze e soprusi»81. Si trattava, in altre parole, di crimini violenti frutto di arroganza razziale82. La delinquenza africana ad Asmara, invece, più che di crimini violenti si macchiava di furti, che aumentavano in coincidenza di carestie, quando maggiore era l’afflusso di immigrati in miseria dalle campagne. «Per la scarsità di raccolti verificatisi anche al di là del nostro confine e pel disagio economico che ne derivò, per effetto anche dell’attuale stato di guerra europeo», scriveva il commissario dell’Hamasien, in una relazione sul biennio 1915-16, «si ebbe a notare un sensibile aumento nei reati, specialmente contro la proprietà». Il commissario poi spiegava che gli immigrati, in gran parte etiopici, «han popolato specialmente il mercato di Asmara, ove, date le loro tendenze all’ozio e al vagabondaggio, ricorrono facilmente al furto, alla truffa e ad altri illeciti mezzi per campare la vita»83. Nel 1930, il governatore Zoli descriveva un quadro del tutto analogo, chiarendo che molti etiopici speravano di arruolarsi negli ascari, ma erano rimasti disoccupati per la preferenza che, dato il momento di crisi, veniva accordata agli eritrei84. Spiega Francesca Locatelli che molti immigrati etiopici ad Asmara avevano solo lavori occasionali o vivevano di espedienti e costituivano delle comunità specifiche in città, guardate con sospetto dalle autorità coloniali85. Nel complesso, comunque, la criminalità ad Asmara, così come nell’insieme dell’Eritrea, era scarsa. Nel 1905, nella sua relazione sull’amministrazione della giustizia in colonia, il procuratore generale del re sottolineava che il tasso di criminalità in Eritrea era considerevolmente più basso che in Italia; nei precedenti sette anni si erano avuti di media 5 omicidi per 100.000 abitanti in Eritrea e 9 in Italia; i reati contro la proprietà erano 64 per 100.000 abitanti in Eritrea e 460 in Italia86. L’Eritrea prima del 1935 era dunque una colonia dalla vita complessivamente tranquilla, grazie in buona misura ad Adua che, avendo posto un limite agli espropri di terra, aveva contribuito a contenere le tensioni sociali. Anche Asmara beneficiava di questo clima relativamente disteso. È significativo, a questo proposito, che i governatori dell’Eritrea non sentissero il bisogno di porre freni all’inurbamento degli africani, a differenza di quanto andavano facendo i loro colleghi in altre colonie dell’Africa subsahariana.

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2. DALLA GUERRA D’ETIOPIA ALLA CADUTA DELL’IMPERO (1935-1941) La relativa quiete della vita asmarina dei primi decenni del Novecento fu sconvolta dalla guerra d’Etiopia, che cambiò per sempre il volto della città. Nell’arco di circa sei anni, che vanno dall’inizio del 1935 – quando vennero avviati i lavori pubblici in preparazione della guerra – all’aprile del 1941 – quando l’Italia fu sconfitta dalle forze armate britanniche e perse la colonia Eritrea – Asmara conobbe una tumultuosa crescita (la popolazione italiana passò da poco più di 3.000 a 55.000 unità, mentre quella eritrea passò da 20.000 a 45.000)87 e vide il boom edilizio documentato da gran parte delle foto pubblicate in questo volume. Ma nella memoria di molti asmarini, quelli furono soprattutto gli anni delle leggi razziali e del «razzismo feroce», per dirla con Maria Messina. Le ambizioni imperiali di Mussolini lo spinsero a largheggiare nei finanziamenti sia per la guerra che per i lavori pubblici88. Così, per la costruzione dell’impero fascista in AOI, i governi coloniali si trovarono una disponibilità di fondi straordinaria non solo rispetto ai magri bilanci dell’Eritrea pre-1935, ma anche rispetto alle colonie di altri paesi, i cui bilanci erano sottoposti a controllo parlamentare. Ad Asmara, si interrò il torrente Mai Belà (foto 44-47) e si costruirono strade, edifici pubblici, alberghi, luoghi di culto, abitazioni per italiani e anche per gli eritrei di cui si voleva premiare la fedeltà all’Italia (foto 87-90)89. Fu questo fervore edilizio (finanziato in massima parte dai contribuenti italiani) l’elemento trainante dello sviluppo economico eritreo negli anni dell’impero, che fece dell’Eritrea la provincia di gran lunga più sviluppata, fra le sei in cui era stata suddivisa l’AOI90. È indicativo, a questo proposito, un confronto con la seconda provincia per sviluppo industriale, lo Scioa (corrispondente alla regione storica etiopica dello Shewa, capitale Addis Ababa): in Eritrea, fra imprese di costruzione e industrie che producevano materiale edile, si avevano 624 ditte con 553 milioni di capitale investito, nella Scioa 297 ditte con 139 milioni di capitale investito91. Costruire case per gli italiani rispondeva a esigenze non solo pratiche, ma anche politiche: com’è noto, Mussolini intendeva istaurare in AOI un regime di rigida segregazione razziale; a tale fine, non era più sufficiente che agli eritrei fosse proibito di abitare nei quartieri italiani, doveva anche essere interdetto agli italiani di risiedere nei quartieri indigeni. Il problema si poneva in modo acuto, agli occhi

delle autorità, perché era affluito un gran numero di italiani poveri che abitavano effettivamente nelle abitazioni eritree. «È noto» scriveva nel 1936 il vice-governatore Guzzoni, «che i villaggi indigeni situati attorno al centro urbano di Asmara sono abitati da nazionali che non disdegno di ricoverarsi in luridi tucul e a fare vita comune con gli indigeni»92. L’anno successivo il governatore De Feo proibì dunque agli italiani di abitare nei quartieri indigeni di Asmara (Abbasciaul, Gheza Brahanù, Haddisc Addi, Edaga Arbi ed Acria) o nei villaggi alla periferia della città93. Il divieto, però, era di difficile applicazione, non essendoci sufficienti alloggi nei quartieri italiani; ancora due anni dopo, nel 1939, quando gli fu sottoposto il disegno di legge sulle «Sanzioni penali per la difesa del prestigio di razza di fronte ai nativi dell’Africa Italiana»94, il governatore dell’Eritrea Giuseppe Daodiace osservava: Riferendomi alla particolare situazione di Asmara devo dire che molto più utile della legge progettata per la difesa della razza, per mantenere il nostro prestigio, sarebbe il provvedimento di assegnare 25.000.000 per la costruzione di case popolari, in modo da consentire all’operaio italiano, al modesto salariato, di vivere in un ambiente sano e decoroso, anziché in abitazioni indigene malsane e indecorose95.

Questo quadro aiuta a comprendere le motivazioni dietro all’impegno governativo a favore dell’edilizia abitativa, che nei pochi anni di vita dell’AOI conobbe un imponente sviluppo96. La manodopera utilizzata dalle imprese di costruzione era in buona parte italiana. Il regime aveva presentato agli italiani la conquista dell’impero come una soluzione ai problemi di disoccupazione della madrepatria; nel 1935, vennero pertanto inviati in Eritrea 50.000 operai italiani provenienti dalle province con più alto tasso di disoccupazione, per preparare le infrastrutture necessarie all’invasione. Economicamente, non aveva senso importare manovali dall’Italia, ma la logica dell’operazione era politica, non economica. Se da un lato l’Italia importava in Eritrea manovali, da un altro ne estraeva giovani uomini, per farne soldati da utilizzare per la guerra in Etiopia (e poi per la repressione della resistenza)97: l’esercito coloniale reclutò 60.000 ascari, ovverosia pressoché il 40% della popolazione attiva maschile dell’Eritrea, causando un crollo della produzione agricola (e un conseguente aumento dei prezzi dei generi


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alimentari primari)98. Gli eritrei che vivevano ad Asmara dovettero così fronteggiare un’inflazione galoppante, che colpiva proprio i generi di prima necessità (tra il gennaio e l’ottobre del 1935, il prezzo del taff, cereale utilizzato per preparare la injera, triplicò e quello di un pollo passò da 1,50 a 12 lire)99. D’altro canto, le occasioni di lavoro si moltiplicavano, sia per gli uomini che per le donne (la richiesta di domestiche aumentava in parallelo con l’aumento di immigrazione italiana) e i salari aumentavano, nonostante il governo fissasse per decreto il limite massimo (massimo, non minimo) ai salari indigeni. La paga di un operaio eritreo non qualificato all’inizio del 1935 era di 1,50 lire al giorno, alla fine dell’anno di 5-6 lire; si trattava comunque di salari assai più bassi di quelli percepiti dagli italiani, che – a parità di mansioni – ricevevano paghe superiori di cinque o anche sette volte rispetto a quelle degli eritrei100. Oltre all’inflazione, gli eritrei si trovarono a dover fronteggiare una popolazione italiana molto diversa dai «vecchi coloniali» a cui erano abituati. La guerra portò in Eritrea una massa di italiani (si pensi che 300.000 soldati transitarono per la colonia), solo una minoranza dei quali intendeva fissare la propria dimora in Africa. Molti lavoratori andarono in Africa sperando di poter rapidamente mettere da parte abbastanza soldi per realizzare un progetto in patria (sposarsi, comprare casa, saldare un debito, ecc.) e poi rimpatriare101; la maggior parte contava di realizzare il proprio obiettivo con un onesto lavoro. Ma come in tutte le guerre di conquista coloniale, al seguito degli eserciti si mosse anche un nutrito numero di persone attratte dalle prospettive di facili guadagni. «Colonia est invasa da una turba di avventurieri nazionali ed esteri» telegrafava nel novembre 1935 Badoglio (in Africa come alto commissario per le colonie dell’Africa Orientale), che aveva ordinato di espellere «tutti i vampiri»102. Per parte sua, il vescovo di Asmara parlava di «valori morali e spirituali (…) soffocati (…) dall’avidità di guadagno e dalla fame dell’oro che domina la massa che ha invaso questa terra»103. Parole analoghe scriveva ad un amico in Italia, un «vecchio coloniale» residente ad Asmara: «Purtroppo è calato qui un gregge di indesiderabili, assetato di guadagni, ingordo all’inverosimile»104. Fra questi avventurieri, vi era un buon numero di «colletti bianchi» che intendevano trarre profitto dal fiume di denaro pubblico, scarsamente controllato, che si riversò in AOI105. Vi erano poi molti delinquenti di piccolo o piccolissimo cabotaggio, attratti dall’idea che in Africa i vincoli della legge fossero meno stringenti che in patria106. La propa-

ganda razzista che aveva accompagnato l’aggressione all’Etiopia aveva alimentato in molti l’idea che violenze e ruberie nei confronti degli africani fossero moralmente legittime; ce lo conferma, fra gli altri, il comandante del R. Corpo truppe coloniali, che nel marzo del 1936, in una circolare finalizzata a frenare le rapine a danno degli indigeni da parte dei militari italiani, osservava «Alcuni sono nati ladri e, quando possono, rubano; altri credono che sia lecito, quasi bello prendere ciò che appartiene agli indigeni»107. La convinzione diffusa che in colonia non vigessero le stesse regole di comportamento che in patria induceva alcuni italiani ad abbandonarsi a comportamenti aggressivi anche nei confronti di persone o proprietà italiane. Il proprietario dell’albergo Hamasien (foto 24) lamentava la sparizione di 400 posate d’argento e il comportamento maleducato di militari di truppa e operai, che declassavano il locale108. I gestori del teatro Asmara (foto 28) lamentavano invece ripetuti atti di vandalismo (11 poltrone squarciate col coltello, 21 poltrone bruciate dalle sigarette, una grande tenda asportata, ecc.); anche loro individuavano i colpevoli nella clientela meno abbiente109. Il punto, però, non era il censo; come abbiamo visto, anche prima del 1935, buona parte degli italiani in Eritrea erano operai; e, del resto, non è che in Italia gli operai avessero l’abitudine di squarciare le poltrone al cinema o rubare le posate al ristorante. Il punto era l’atteggiamento mentale indotto dalla guerra di conquista fascista. Anche fra chi non trascendeva in reati, la propaganda razzista e la situazione di guerra avevano contribuito a diffondere arroganza razziale e comportamenti vessatori nei confronti degli africani, determinando un deterioramento palpabile nelle interazioni fra italiani ed eritrei che avevano luogo quotidianamente per le vie di Asmara. Un «vecchio coloniale» come Alberto Pollera, scrivendo da Asmara ad un amico, affermava che «l’ambiente» eritreo era «disgustato dal comportamento inqualificabile verso gli indigeni da parte di gente di ogni grado sociale»110. Com’è noto, oltre alle prospettive di guadagno, la guerra d’Etiopia aveva alimentato fra gli italiani che si imbarcavano per l’Africa al canto di «Faccetta nera», la prospettiva di conquiste sessuali. Questo si tradusse, fra le altre cose, in un’ondata di molestie a danno delle donne locali111; così, ad Asmara divenne pericoloso per le ragazze uscire la sera e le famiglie eritree mettevano sulla porta di casa un cartello «casa di famiglia» per scoraggiare gli italiani in cerca di avventure112.

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Le autorità coloniali cercarono di porre un freno a questa ondata di criminalità e violenze nei confronti dei sudditi coloniali, che rischiavano di alimentare le ribellioni antiitaliane113. Allo stesso tempo, il governo interveniva sia con ordinanze e decreti di carattere locale, sia con direttive e leggi nazionali, per impedire ogni forma di promiscuità – sia che fosse amichevole, sia che non lo fosse – fra italiani e africani114. Non è questa naturalmente la sede per ripercorrere la storia delle leggi razziali e della loro applicazione in Eritrea. È però importante tenere presente che la legislazione razzista contribuì a scavare un fossato fra gli italiani e gli eritrei ad Asmara, che ci volle molto più della sua abrogazione formale per riuscire a colmare. Non è mai solo la legge a determinare la natura dei rapporti sociali, ma la legislazione razzista fornì un ulteriore strumento a chi era animato da intenti vessatori nei confronti dei sudditi africani e chiuse spazi per possibili rapporti non gerarchici fra italiani ed eritrei. Le ferite che le leggi razziali infersero su corpo sociale della città furono dunque profonde e difficili da sanare.

3. EPILOGO Nell’aprile del 1941, la sconfitta militare italiana per opera delle armate britanniche segnò la fine del colonialismo italiano in Eritrea. La fine del dominio politico italiano non comportò però la fine dei rapporti sociali gerarchici istaurati dal governo coloniale, né la fine della legislazione razziale, che le autorità britanniche abrogarono solo con molta lentezza115. Ad esempio, solo nel 1949, dopo duri scioperi, i lavoratori eritrei ottennero il diritto a uguale paga per uguale lavoro116. Gli italiani per decenni continuarono a costituire l’élite economica di Asmara e durante l’amministrazione britannica (che terminò nel 1952) conservarono anche un ruolo preminente nella pubblica amministrazione. Il numero degli italiani inizialmente aumentò, per effetto dell’afflusso di civili dall’Etiopia, ma poi diminuì drasticamente, a causa del trasferimento nei campi di prigionia dei militari e del rimpatrio di donne e bambini con le navi bianche117. Ulteriori rimpatri ci furono alla fine della guerra e così, nel 1949, la popolazione italiana di Asmara era meno di un terzo rispetto a quella di dieci anni prima (tab. 1). La perdita del potere politico e la diminuzione numerica indussero molti italiani ad arroccarsi in un atteggiamento

chiuso e ostile nei confronti dei propri concittadini eritrei; osservava negli anni Cinquanta suor Eleonora Onnis: «il senso di boriosa superiorità che nei tempi prosperi si accompagnava ad una specie di bonaria condiscendenza protettiva si è cambiato in un sentimento che rasenta talora l’odio e troppo spesso il disprezzo»118. Anche nei confronti degli italo-eritrei (i figli di relazioni miste, particolarmente numerose nei primi anni Quaranta)119 l’atteggiamento degli italiani divenne più ostile, tanto che proprio negli anni Quaranta e Cinquanta gli italo-eritrei ad Asmara iniziarono a costituire un gruppo sociale distinto, caratterizzato da una forte endogamia120. In breve, il venir meno delle barriere informali portò a un irrigidimento di quelle informali. Si irrigidirono, ma iniziarono anche a mostrare delle crepe: alla fine degli anni Quaranta si verificarono, infatti, ad Asmara i primi matrimoni misti fra italiani ed eritrei121.

Tab. 1: Popolazione di Asmara nel 1949122 Eritrei Italiani Etiopici Arabi Europei (non italiani) Ellenici Israeliti Indiani Altri (non europei) T o ta l e

96.896 17.183 7.500 4.000 1.000 450 350 150 50 127.579

La sofferta evoluzione delle relazioni fra italiani ed eritrei nella città di Asmara avveniva sullo sfondo di una situazione sociale e politica complessa e tormentata. La fine del dominio italiano portò la smobilitazione di decine di migliaia di ascari e la fine dei lavori pubblici finanziati dal governo di Roma. Si verificò così ad Asmara un notevole aumento della popolazione eritrea (tab. 1) e un contemporaneo aumento della disoccupazione (nel 1947, su di una popolazione attiva maschile eritrea di 27.000 unità, vi erano circa 6.000 disoccupati)123; si tenga presente che negli anni in cui vi era stato un drenaggio di mano d’opera maschile dalle campagne eritree, per il massiccio recluta-


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mento nell’esercito, si era avuto un afflusso di lavoratori agricoli dall’Etiopia e così, dopo la smobilitazione degli ascari, si verificò una situazione di forte pressione sulla terra124, che finì per ripercuotersi anche sulle città. I primi anni Quaranta furono però anche anni di sviluppo industriale; la guerra aveva causato in Medio Oriente una scarsità di prodotti normalmente importati dall’Europa e si aprirono così possibilità di esportazione per i prodotti eritrei125; mentre altrove infuriava la guerra, ad Asmara dunque l’industria si sviluppava, al punto che nel 1943 si tenne nella città una mostra di prodotti industriali126. Finita la guerra, questo effimero boom industriale venne meno, mentre si accentuarono i conflitti politici relativi al futuro della ex-colonia; ad Asmara nacquero partiti politici e si fondarono giornali, sia eritrei che italiani. Furono gli anni in cui gli italiani divennero oggetto degli attacchi degli shifta (lett.: banditi) filo-etiopici, che colpirono persino in pieno centro di Asmara127. Per gli eritrei, questi furono soprattutto gli anni i cui si confrontarono (e non solo verbalmente) i fautori dell’indipendenza eritrea con i fautori dell’annessione all’Etiopia128. Com’è noto, per decisione delle Nazioni Unite nel 1952 l’Eritrea venne federata all’Etiopia129; Asmara divenne così sede di un parlamento, che fu però sciolto quando l’imperatore Haile Sellassie si annesse l’Eritrea nel 1962, abrogando la federazione. I trent’anni di guerra civile che segui-

rono (terminati nel 1991 con la vittoria degli indipendentisti eritrei) lasciarono ferite profondissime nella popolazione di Asmara e dell’Eritrea tutta130. Miracolosamente, però, gli edifici della città rimasero illesi: mentre Massawa fu oggetto di bombardamenti, Asmara si salvò. Un copione analogo si è avuto con l’ultimissima guerra che ha insanguinato il paese (la guerra con l’Etiopia del 1998-2000): Massawa è stata bombardata, mentre ad Asmara è stato colpito l’aeroporto, ma non la città. Nel frattempo, Asmara si andava svuotando di italiani e, per la verità, durante gli anni della guerra indipendentista l’Eritrea tutta si andava svuotando dei suoi abitanti («si ritiene che almeno un terzo della popolazione Eritrea abbia vissuto in esilio negli anni più duri della guerra»)131. Ormai gli italiani in Eritrea sono rimasti in poche centinaia, quasi tutti residenti ad Asmara. Nell’Eritrea indipendente, la città si è finalmente riunificata. Anche la «Casa degli italiani», un tempo circolo esclusivo, oggi accoglie egualmente italiani, eritrei ed italo-eritrei. Mentre negli anni Cinquanta, un ragazzo eritreo poteva ancora percepire un «muro invisibile» che separava il centro di Asmara (il quartiere italiano) dal resto della città e sentiva di non esservi ben accetto132; e negli anni Sessanta i luoghi di ritrovo della gioventù erano ancora separati (italiani da un lato, eritrei da un altro e italo-eritrei da un altro ancora), oggi le divisioni di un tempo sono solo un ricordo. Un ricordo doloroso.

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Note 1 Intervista con l’A., Roma 1998; Frewini è uno pseudonimo, posto a tutela della sua vita privata. Ho pubblicato per esteso la sua storia di vita in G. BARRERA, Memorie del colonialismo italiano fra le donne eritree: la storia di Frewini, in «Genesis», IV (2005), 1, pp. 73-98. 2 P. R. SCHMIDT − M. C. CURTIS, Urban Precursors in the Horn: Early 1st-Millennium BC Communities in Eritrea, in «Antiquity» 75 (2001), 290, pp. 849-859. 3 UOLDELUL CHELATI DIRAR, From Warriors to Urban Dwellers: Ascari and the Military Factor in the Urban Development of Colonial Eritrea, in «Cahiers d’Études Africaines» XLIV, 3, 175 (2004), pp. 533-574. 4 Ibid., p. 538. Sulla grande carestia, si veda: R. PANKHURST, The Great Ethiopian Famine of 1888-1892: A New Assessment, in «Journal of the History of Medicine and Allied Science», 21 (1966), pp. 95-124; 271-294. 5 Le fonti citate da Ciampi offrono stime variabili tra “alcune centinaia” e i 3.000 abitanti; le fonti a cui ha attinto Locatelli parlano invece di 5.000 abitanti; G. CIAMPI, La Popolazione dell’Eritrea, in «Bollettino della Società geografica italiana», serie 11, vol. 12 (1995), p. 489. F. LOCATELLI, Beyond the Campo Cintato: Prostitutes Migrants and “Criminals” in Colonial Asmara, 1890-1941, in P. NUGENT − F. LOCATELLI (eds.) African Cities: Competing Claims on Urban Space, Leiden, Brill in corso di stampa. R. PANKHURST accredita la cifra di 2.000 abitanti nel 1892, nel suo History of Ethiopian Towns from the Mid-Nineteen Century to 1935. Stuttgart, Steiner Verlag Wiesbaden, 1985, p. 334. Abebe Kifleyesus afferma che all’inizio dell’Ottocento Asmara aveva circa 5.000 abitanti, nel suo Dyadic Relations and Market Transaction in an Environment of Economic Depression, in «Cahiers d’Études

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Africaines», XXXVII (1997), 2, p. 438. 6 F. I. APOLLONIO, L’architettura del cannone: occupazione e opere di fortificazione, in Architettura italiana d’oltremare, 1870-1940, a cura di G. GRESLERI − P. G. MASSARETTI − S. ZAGNONI, Venezia, Marsilio, 1993, pp. 127-143. 7 Il totale dei civili ammontava infatti a 623; molti di più, naturalmente, i militari (2.489); V. CASTELLANO, Considerazioni su alcuni fenomeni demografici della popolazione italiana dell’Eritrea dal 1882 al 1923, in «Rivista italiana di demografia e statistica», II (1948), 3, p. 389; sul numero dei militari, si veda: Lo sviluppo economico dell’Eritrea nel cinquantennio della sua esistenza, in «L’Agricoltura coloniale», XXVI (1932), 9-10, p. 456. 8 Lo sviluppo economico dell’Eritrea… cit., p. 461. 9 Censimento 1913. Popolazione italiana ed assimilata. Allegato al «Bullettino ufficiale delle Colonia Eritrea», 15 dicembre 1923, n. 23, p. 7. 10 TEKESTE NEGASH, Italian Colonialism in Eritrea, 1882-1941. Policies, Praxis and Impact, Uppsala, Uppsala University, 1987. 11 I. TADDIA, L’Eritrea colonia (1890-1952). Paesaggi, strutture, uomini del colonialismo, Milano, Angeli, 1986, pp. 235-36. 12 Nel 1913, la popolazione attiva italiana (1.420) era composta per oltre un terzo da militari (475); i 62 concessionari ne costituivano il 4,3%. Occorre inoltre considerare che per molti concessionari l’agricoltura non costituiva la principale fonte di reddito, ma un supplemento agli introiti guadagnati come impiegati, professionisti, commercianti o altro; nel censimento del 1913, infatti, solo 44 italiani (e non sappiamo in che percentuale titolari di concessioni) dichiararono di vivere di agricoltura. Nel 1921, su 47 italiani e stranieri che risultavano occupati in agricoltura, i concessionari erano 13. Censimento 1913. Popolazione

italiana ed assimilata. Allegato al «Bullettino ufficiale della Colonia Eritrea», 15 dicembre 1923, n. 23. F. DE ANGELIS, Il censimento del 1913 della popolazione italiana ed assimilata nella Colonia Eritrea, in «L’Africa italiana. Bollettino della Società Africana d’Italia», 40 (1921), pp. 65-73. G. VALENTI, Introduzione. Le cause politiche ed economiche dello stato attuale, in A. OMODEO − V. PEGLION − G. VALENTI, La colonia Eritrea. Condizioni e problemi, Vol. I, Roma, Società italiana per il progresso delle scienze, 1913, p. 60, nota 1; ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA DEL REGNO D’ITALIA, Censimento della popolazione delle colonie italiane al 1° dicembre 1921 e rilevazione degli abitanti del possedimento delle isole Egee al 20 agosto 1922, Roma, 1930. 13 Nel 1913, la popolazione attiva italiana civile (esclusi cioè i 475 militari), residente in Eritrea, ammontava a 945 unità: di questi, circa il 25% erano operai di varie tipologie (127 fra muratori, manovali e imbianchini, 36 operai generici, 37 minatori, 14 scalpellini, 5 fornaciai, ecc.); un altro 25% ca. era composto da artigiani (52 falegnami, 47 meccanici, 18 calzolai, 16 tra sarti e modiste, 9 fornai, 7 mugnai, 7 fabbricanti di carri e carrette, 6 barbieri e parrucchieri, 6 tipografi, 4 orologiai, 4 sellai, 3 tappezzieri, 3 elettricisti, ecc.); il 10% ca. lavorava nel commercio (47 negozianti, 29 agenti di commercio o spedizionieri, 23 tra osti, albergatori e caffettieri). Si contava poi un alto numero di impiegati nell’amministrazione pubblica (compresi 4 magistrati e 3 maestri si giungeva a 167 unità, pari circa al 18%), mentre i missionari erano in tutto 51. Vi era infine una manciata di professionisti (1 medico, 2 avvocati, 10 fra ingegneri e architetti, 3 geometri, 2 ostetriche, ecc.). Censimento 1913… citata. 14 Il censimento del 1921 accorpava italiani e “stranieri” (europei); i residenti europei ad Asmara risultavano 2.620, a

Massawa 439, a Keren 269, ad Adi Ugri 120, ad Adi Cahie 94 e i restanti 332 erano dispersi in centri minori. ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA DEL REGNO D’ITALIA, Censimento della popolazione delle colonie italiane al 1° dicembre 1921… citata. 15 Non sembra esserci stato un decreto in materia, ma nell’aprile del 1899 il «Bullettino ufficiale della Colonia Eritrea», precedentemente stampato a Massawa, iniziò ad essere stampato dalla Tipografia coloniale di Asmara. E. ONNIS, La città di Asmara. Tesi di laurea. Università degli studi di Padova, Facoltà di Magistero, Anno accademico 1956-57, p. 170. 16 S. ZAGNONI, L’Eritrea delle piccole città, in Architettura italiana d’oltremare, 1870-1940, a cura di G. GRESLERI − P. G. MASSARETTI − S. ZAGNONI, Venezia, Marsilio, 1993, p. 150. 17 Ibid., p. 151. 18 Il governatore Ferdinando Martini (1897-1907), non istituì alcuna scuola per eritrei; il suo successore Giuseppe Salvago Raggi (1907-1915) creò alcune scuole professionali per i figli dei notabili, che impartivano un’istruzione equivalente alla 3a elementare; alla fine degli anni Venti fu aggiunto un quarto anno, e negli anni Trenta ad una manciata di studenti eritrei furono permessi altri due anni di istruzione. Nel frattempo, però, il governo aveva chiuso la scuola della missione luterana svedese, l’unica (oltre al seminario cattolico) che fino ad allora aveva permesso agli eritrei un curriculum di studi più ampio. Per le bambine eritree il governo non creò alcuna scuola (se qualcuna poté alfabetizzarsi fu solo grazie alle scuole dei missionari cattolici o luterani). TEKESTE NEGASH, Italian Colonialism… citata. Fra gli eritrei, risentimento per non aver avuto accesso all’istruzione emerge ripetutamente nelle interviste raccolte da I. TADDIA, Autobiografie africane. Il colonialismo nelle memorie orali, Milano, Angeli, 1996, p. 46 e passim; anch’io l’ho


riscontrato regolarmente nelle interviste da me condotte in Eritrea nell’agosto del 1996 e tra maggio e dicembre del 1998. 19 L. MARTONE, Giustizia coloniale: modelli e prassi penale per i sudditi d’Africa dall’età giolittiana al fascismo, Napoli, Jovene, 2002. 20 Sugli strumenti utilizzati per creare le gerarchie razziali in colonia, mi permetto di rinviare, oltre che al fondamentale studio di TEKESTE NEGASH, Italian colonialism… cit., al mio The Construction of Racial Hierarchies in Colonial Eritrea: The Liberal and Early Fascist Period, 1897-1934, in P. PALUMBO (ed.), A Place in the Sun: Africa in Italian Colonial Culture from Post-Unification to the Present, Berkeley – Los Angeles, University of California Press, 2003, pp. 81-115. 21 Che arabi, egiziani e indiani fossero da considerare «assimilati» ai sudditi coloniali venne stabilito dal d.g. 8 ott. 1908, n. 787. Questa norma fu una delle diverse innovazioni del governatore Salvago Raggi volte ad approfondire il fossato che divideva colonizzatori e colonizzati; in precedenza, infatti, l’«Ordinamento giudiziario per l’Eritrea» (r.d. 9 feb. 1902, n. 51, art. 1), recitava: «Per assimilati agli europei s’intendono gli egiziani, i siriani, gli americani, gli australiani, ed in genere chiunque appartenga a stirpi originarie di Europa o che abbiano cogli europei somiglianza di civiltà (turchi, indiani, baniani, parsi, arabi della costa, ecc.)». La nuova definizione dei confini tra colonizzatori e colonizzati introdotta da Salvago Raggi colpiva, fra gli altri, gli ebrei yemeniti e adeniti che protestarono, senza successo, contro la norma; si veda: Promemoria (senza data, ma maggio 1911) firmato “Gli israeliti dimoranti in Asmara” ARCHIVIO STORICO DIPLOMATICO DEL MINISTERO AFFARI ESTERI (d’ora innanzi ASDMAE), Archivio storico del Ministero Africa italiana (d’ora innanzi ASMAI), 11/11, f. 130. Sulle definizione giuridica di

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cittadino e suddito nelle colonie italiane, si veda E. CAPUZZO, Sudditanza e cittadinanza nell’esperienza coloniale italiana nell’età liberale, in «Clio», XXXI (1995): pp. 65-95. 22 D.g. 23 ott. 1908, n. 798, pubblicato sul «Bullettino ufficiale della Colonia Eritrea», XIII, n. 43, 24 ott. 1908; d.g. 19 dic. 1908, n. 814, pubblicato sul «Bullettino ufficiale della Colonia Eritrea», XIII, n. 52, 24 dic. 1908. Precedentemente (con d.g. 3 ago 1902, n. 136), era già stata approvata la prima parte del piano regolatore di Asmara, relativa solo a una parte della città («la zona racchiusa tra i seguenti confini: Campo cintato, strada per Ghinda fino al ponte sul Mai Belà, il Mai Belà fino alla concessione Cappucci, capanne di Ras Alula, accampamento del 2° battaglione indigeni»). S. ZAGNONI, L’Eritrea… cit., pp. 130 e 162, n. 22. Successivamente, altri decreti governatoriali (nn. 800/1908, 861/1909, 928/1909, 947/1909, 1063/1910, 1322/1911, 1541/1912) introdussero modifiche minori su singoli lotti, confini, ecc.. Conteneva norme in materia di edilizia urbana anche il r.d. 31 gen. 1909, n. 378 «Ordinamento fondiario per la colonia Eritrea», nel capo relativo alle concessioni edilizie (artt. 82-97). 23 D.g. 21 gen. 1914, n. 1909, pubblicato sul «Bullettino ufficiale della Colonia Eritrea», XXIII, n. 4, 22 gennaio 1914. Sullo spostamento dei confini delle varie zone, si veda E. ONNIS, La città… cit., pp. 187-88. 24 Purtroppo non abbiamo ancora studi in profondità che permettano di sapere come concretamente avvenne l’applicazione della normativa urbanistica e come reagirono gli eritrei; comunque, i ricordi di tutti gli intervistati e tutte le fonti scritte disponibili concordano nel definire la prima zona rigidamente bianca; si veda ad esempio: E. ONNIS, La città... citata. 25 D.g. 13 giu. 1916, n. 2575, pubblicato sul «Bullettino ufficiale

della Colonia Eritrea», XXV, n. 24, 15 giugno 1916. Il decreto di Cerrina Feroni riproduceva il decreto di Salvago Raggi, con alcune importanti modifiche, che ne attenuavano gli aspetti più autoritari: spariva la menzione delle sanzioni penali e dell’uso della forza pubblica per sfrattare gli indigeni (art. 4); veniva introdotto un nuovo art.5 «A titolo transitorio sono tollerate le proprietà di immobili urbani che sudditi coloniali ed assimilati hanno attualmente nel perimetro della zona europea. Ma è fatto assoluto divieto di trasferirne in qualsiasi modo la proprietà ad altri sudditi coloniali o assimilati.» Veniva infine introdotta la possibilità di eccezioni al divieto, per i sudditi, a risiedere nella prima zona: «Salvo le autorizzazioni a titolo strettamente particolare rilasciate dal Governatore, è fatto divieto ai sudditi coloniali (…)» (art. 7). 26 D.g. 28 apr. 1914, n. 1973, pubblicato sul «Bullettino ufficiale della Colonia Eritrea», XXIII, n. 18, 30 aprile 1914. 27 E. ONNIS, La città… cit., pp. 190-92. 28 O. GOERG, From Hill Station (Freetown) to Downtown Conakry (First Ward): Comparing French and British Approaches to Segregation in Colonial Cities at the Beginning of the Twentieth Century, in «Canadian Journal of African Studies / Revue Canadienne des Études Africaines», 32 (1998), 1, pp. 1-31. 29 Fra i diversi volumi che in modo più o meno specifico trattano dell’architettura di Asmara, si possono ricordare: Architettura italiana d’oltremare… cit.; Asmara Style /Stile Asmara, a cura di L. ORIOLO, Asmara, Italian school, 1998; E. DENISON – G. Y. REN – NAIGZY GEBREMEDHIN, Asmara: Africa’s Secret Modernist City, London, Merrell, 2003; Asmara: A Guide to the Built Environment, Asmara, Cultural Assets Rehabilitation Project, 2003; Divina geometria: modelli urbani degli anni Trenta: Asmara, Addis Abeba, Harar, Oletta, Littoria, Sabaudia, Pontinia,

Borgh, a cura di E. LO SARDO, s.l., Maschietto & Musolino, 1995; M. FULLER, Moderns Abroad: Architecture, Cities and Italian Imperialism, London, Routledge, 2006. All’architettura di Asmara sono stati dedicati numerosi articoli apparsi nella stampa di settore, quali ad esempio: S. RAFFONE, Il Razionalismo dimenticato in Africa Orientale, «Casabella» 1989, 558, pp. 34-37; M. CASCIATO, “Une place au soleil”: le patrimoine colonial italien d’Asmara en Érythrée, in Architecture Coloniale et Patrimoine. Expériences européennes, Paris, Institut national du patrimoine, 2006, pp. 103-111. Mike Street, a cui si deve un’infaticabile opera di sensibilizzazione del governo eritreo e dell’opinione pubblica eritrea e internazionale sull’importanza del patrimonio architettonico di Asmara, ha pubblicato diversi articoli in materia, a cominciare da alcuni apparsi sul settimanale governativo «Eritrea Profile» fra il 1997 e il 1998. Da segnalare, inoltre, la mostra «Asmara: Africa’s Secret Modernist City», organizzata a Berlino dal Deutsches Architektur Zentrum (2 ott - 2 dic 2006), poi riproposta a Francoforte, Londra, Tel Aviv, Stuttgart e in programma anche a Torino (2008) e in altre città, nonché il sito web: Storia dell’architettura coloniale italiana ad Asmara. La pianificazione del governo fascista nella capitale eritrea. Piano regolatore di Asmara 1938-39 dell’architetto Vittorio Cafiero, prodotto dal Laboratorio di architetture aggregazione Palermo (LAAP) <http://www.laap.it/CD1%20A+O/A SMARA/pages/ita/homepage.htm> (accesso gen. 2008). 30 Fra i rari studi in materia, si possono ricordare: E. ONNIS, La città... cit.; R. IYOB, Asmara, Eritrea, in Encyclopedia of Urban Cultures. Cities and Cultures around the World, ed. by M. EMBER – C. M. EMBER, Danbury, Grolier, 2002, vol. I, pp. 220-225; UOLDELUL CHELATI DIRAR, From Warriors to Urban

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Dwellers… cit.; F. LOCATELLI, Ordine coloniale e disordine sociale. Asmara durante il colonialismo italiano (1890-1941), in «Zapruder», 8 (2005), pp. 8-22; EAD., Beyond the Campo Cintato… cit.; EAD., La comunità italiana di Asmara negli anni Trenta tra propaganda, leggi razziali e realtà storica, in L’Impero fascista. Italia ed Etiopia (19351941), a cura di R. BOTTONI con la collaborazione di F. ROLANDI, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 369391. Da segnalare infine il documentario che indaga sia sull’architettura che sulla storia sociale della città «Asmara, Eritrea», di Caterina Borelli, interviste di Mia Fuller (Anonimous production 2007). 31 Per la popolazione italiana, si veda V. CASTELLANO, La popolazione italiana dell’Eritrea dal 1924 al 1940, in «Rivista italiana di demografia e statistica», 2 (1948), 4, pp. 530-540; per quella eritrea, Lo sviluppo economico dell’Eritrea nel cinquantennio della sua esistenza, in «L’Agricoltura coloniale», XXVI (1932), nn. 9-10, p. 461. 32 Nel periodo 1912-28, il numero degli ascari oscillava fra i 6.000 e i 9.000, ovverosia una quota oscillante fra il 5,5% e l’8,1% della popolazione maschile attiva eritrea. TEKESTE NEGASH, Italian Colonialism… cit., pp. 5154. 33 UOLDELUL CHELATI DIRAR, From Warriors… cit., p. 551-52. 34 “Tucul”, in G. DEVOTO – G.C. OLI, Il Dizionario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 1990, sub voce. 35 M. FULLER, Moderns Abroad… cit., p. 83. 36 Il toponimo “Campo cintato” è usato, ad esempio, nel Piano della piazza d’Asmara (1895), nel piano regolatore e nella pianta di Asmara del 1913 (vedi rispettivamente le carte nn. 1 e 5 in questo volume) e in Africa orientale italiana, Milano, Consociazione turistica italiana, 1938, p. 206. 37 UOLDELUL CHELATI DIRAR, From Warriors… cit., pp. 554-5. 38 F. LOCATELLI, Ordine coloniale… cit., pp. 8-22.

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39 Ad esempio, nel 1916 il commissario dell’Hamasien (la regione di Asmara) spiegava che a causa della scarsità di raccolti in Eritrea e oltre confine, vi era stato un forte afflusso «in gran parte d’indigeni d’oltre confine, spinti dal bisogno», che si erano insediati soprattutto intorno al mercato di Asmara. Nel 1920 «la carestia e la fame» spingevano «moltissimi», sia dall’Hamasien che da altre regioni eritree, verso Asmara e nella capitale si registrava così un inarrestabile «addensarsi di malnutriti e malaticci». Si vedano, rispettivamente: Commissariato regionale dello Hamasien, Relazione 1915-1916 (f.to G. Cavalli), 10 sett. 1916, n. 8952, in ASDMAE, Archivio Eritrea (d’ora innanzi AE), b. 828, f. «Relazione Commissariati» e Commissariato speciale della città di Asmara a Governo Eritrea, Asmara, 1° aprile 1020, n. 1029 (f.to Teodorani), in ASDMEA, AE, b. 885, f. “Miseria e malattie infettive della gente”. 40 N. MURTAZA, The Pillage of Sustainability in Eritrea, 1600s1900s. Rural Communities and the Creeping Shadows of Hegemony, Westport, CT - London, Greenwood Press, 1998, pp. 5862 and 113-117. 41 Sulla natura dei rapporti tra gli uomini Italiani e le donne eritree (nonché sugli atteggiamenti degli uni e delle altre nei confronti dei figli nati da queste relazioni), ho scritto in: Patrilinearità, razza e identità: l’educazione degli italo-eritrei nell’Eritrea coloniale, ca 18901950, in «Quaderni storici», XXXVII (2002), 109, pp. 21-53; Sessualità e segregazione nelle terre dell’impero, in «Storia e memoria», XVI (2007), 1, pp. 3149 anche in L’impero fascista... cit., pp. 393-414 e, più approfonditamente, in Colonial Affairs: Italian Men, Eritrean Women, and the Construction of Racial Hierarchies in Colonial Eritrea, Ph.D. dissertation. Department of History, Northwestern University, 2002. Sulla pubblicistica antropologica e giuridica italiana rispetto a tali

relazioni, si veda il fondamentale studio dell’antropologa B. SÒRGONI, Parole e corpi. Antropologia, discorso giuridico e politiche sessuali interrazziali nella colonia Eritrea (1890-1941), Napoli, Liguori, 1998; importanti contributi alla comprensione del fenomeno vengono dalla giornalista AKBERET SEYOUM, Gual Bdama: Genesis and Life of Eritrean Maidservants Who Worked for Italians in Eritrea. Paper presented at the East and Horn of Africa Novib Partners Platform Conference, Asmara, February 20-26, 1992; e dalla politologa R. IYOB, Madamismo and Beyond: The Construction of Eritrean Women, in «NineteenthCentury Contexts», 22 (2000) pp. 217-38, anche in R. BEN-GHIAT – M. FULLER (eds.), Italian Colonialism, New York, Palgrave Macmillan, 2005, pp. 221-232. 42 Nel censimento del 1913 i greci in Eritrea risultavano 252; secondo De Angelis, però, anche buona parte dei 62 classificati come provenienti dalla “Turchia europea” erano greci; Censimento 1913… cit.; F. DE ANGELIS, Il censimento del 1913… cit.; per una storia della comunià greca, si veda M. PETRONOTI, Greeks in Asmara: Guardians of Continuity, Agents of Change, in «Journal of the Hellenic Diaspora», 26 (2000), 1, pp. 7-20. 43 Nel 1934, in risposta a una richiesta del governo di Roma, il governo della colonia censì 243 ebrei in Eritrea (146 uomini e 97 donne), fra cui si contavano 34 commercianti, 20 orafi, 3 tipografi, 7 calzolai, 2 sarti, ecc.; Governo dell’Eritrea, DG AA civili e politici, sez. aa. Civili, 22 genn. 1934, n. 601/995, a Min. Colonie, DG Africa Orientale, (f.to R. Astuto) in ASDMAE, ASMAI, 35/4, f. 14. M. Cavallarin indica che il 60% erano adeniti e il 20% yemeniti; inizialmente stabilitisi a Massawa, si erano trasferiti ad Asmara dopo il terremoto di Massawa del 1921 M. MENSA – M. CAVALLARIN, Ebrei in Eritrea, Bologna, Lai-momo, 2004, pp. 13-15. Interessanti testimonianze autobiografiche di ebrei asmarini sono pubblicate in:

Voci dall’Eritrea: ebrei e colonialismi fra XIX e XX secolo, a cura di M. CAVALLARIN, Torino, L’Harmattan Italia, 2005. 44 Il censimento del 1913 riportava 137 turchi in Eritrea; Censimento 1913...citata. 45 La forte presenza di indiani nel commercio emerge dal confronto fra il censimento della popolazione italiana e straniera del 1905 (che includeva gli indiani nel computo) e quello del 1913 (che li escludeva): i commercianti scendevano da 869 a 328; R. DE ANGELIS, Il censimento del 1913… citata. 46 ABEBE KIFLEYESUS, Dyadic Relations…, citata. 47 Si vedano i dati del censimento del 1913, già citati alla nota 13. 48 Lo stabilimento della Società italiana prodotti alimentari L. Torrigiani, a Sembel, tra il 1913 e il 1920 produsse «venti milioni di scatolette di carne tipo militare e 50.000 boccette di brodo»; nel 1926 la produzione riprese per iniziativa dell’industriale G. Caramelli; nel 1931 era giunta a 706.000 scatolette, tutte inviate in Libia. Lo sviluppo economico dell’Eritrea nel cinquantennio della sua esistenza, in «L’Agricoltura coloniale», XXVI (1932), nn. 9-10, pp. 475-76. Ai tempi della guerra d’Etiopia la fabbrica passò in gestione all’Amministrazione militare e fra il 1936 e il 1938 produsse 2 milioni di scatolette all’anno. Le iniziative industriali dei vari governi, in «Annali dell’Africa italiana», III (1940), II (n.mon.: La costruzione dell’Impero. L’opera dell’Italia in AOI dopo la conquista dell’Etiopia), p. 1138. 49 Conceria Raoul Di Gioacchino, ex Conceria De Rossi, Lo sviluppo economico dell’Eritrea… cit., p. 477. 50 Stabilimenti Mina Anagnostara & C. , F.lli Sekellaridis e Società Eritrea dei tabacchi orientali. Ibid., p. 476. 51 Stabilimento industriale F.lli Rizzi, Ibid., p. 477. 52 I principali erano: Società eritrea di macinazione, Stabilimento Pari; Stabilimento Giuseppe


Gravanti; Molino a cilindri G. Vaudetto, Ibid., pp. 477-78. 53 Si trattava di un impianto idroelettrico, a Belesa, e di una centrale termoelettrica; Ibid., p. 478. 54 La Banca d’Italia fu il primo istituto di credito ad aprire una filiale all’Asmara. Lo sviluppo economico… cit., p. 481 E. TUCCIMEI, La Banca d’Italia in Africa: introduzione all’attività dell’istituto di emissione nelle colonie dall’età crispina alla seconda guerra mondiale, Roma – Bari, Laterza, 1999. 55 Si trattava dello stabile delle Saline eritree. TOURING CLUB ITALIANO, Possedimenti e colonie: isole egee, Tripolitania, Cirenaica, Eritrea, Somalia, a cura di L. V. BERTARELLI, Milano, 1929, p. 623. 56 Ibid. e CONSOCIAZIONE TURISTICA ITALIANA, Africa orientale…cit., pp. 201-202. 57 La città vantava anche un altro teatro, seppur assai più modesto, della missione cattolica. TOURING CLUB ITALIANO, Possedimenti e colonie… cit., p. 622. 58 F. GUAZZINI, Frammenti di realtà coloniale nell’epistolario eritreo di Peleo Bacci, «Studi Piacentini», 2000, 28, p. 111. 59 ASDMAE, ASMAI, 35/1/3, Governo Eritrea, Segreteria del governatore, «Notiziario politico Eritrea – Etiopia», marzo 1930, n. 3, p. 2. 60 Il censimento del 1931 registrò la presenza di 3.688 civili. G. CIAMPI, La Popolazione dell’Eritrea… cit., pp. 487-524. 61 Governo Eritrea, Direzione affari civili e politici, Relazione politica trimestrale (ottobre novembre - dicembre 1930), p. 1, in ASDMAE, ASMAI, 35/1/3. 62 La federazione sportiva aveva otto squadre di calcio, due di atletica e organizzava box, ciclismo e altri sport; ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO (d’ora innanzi ACS), PNF, b. 1233, f. “Asmara 9.96 A.VII” and f. “Asmara 9.96 A.VIII.” e Governo Eritrea, Direzione affari civili e politici, «Notiziario politico Eritrea – Etiopia», genn. 1931, n. 1, p. 1, in

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ASDMAE, ASMAI, 35/2, f. 4., TOURING CLUB ITALIANO, Possedimenti e colonie… cit., p. 622. 63 Oltre alle associazioni e società già menzionate, nel 1929 la guida del Touring segnalava solo un Tennis Club e l’Associazione nazionale combattenti; TOURING CLUB ITALIANO, Possedimenti e colonie… cit., p. 622. 64 Eritreo, Dante e il cinema della Società operaia. TOURING CLUB ITALIANO, Possedimenti e colonie… cit., p. 622. 65 Ne parla esplicitamente il governatore Zoli in un lungo rapporto al Min. Colonie, Asmara, 30 giu. 1930, n. 272 riservato; ASDMAE, ASMAI, 35/5, f. 18. 66 Si veda ad esempio la testimonianza di H. P. LECHENPERG, With the Italians in Eritrea, in «The National Geographic Magazine», 68 (Sept. 1935), 3, pp. 265-296. 67 Civiltà italica, in «Avanti!», 20 ottobre 1920, n. 251. 68 Intervista con l’A., Roma, 1995-98. 69 Mies è il nome tigrino, tej amarico, di una bevanda fortemente alcolica, simile all’idromele. 70 Commissariato regionale dell’Hamasien (f.to Teodorani) al Capo della Pubblica Sicurezza, Asmara, 20 giugno 1909, n. 1917, oggetto: «Le donne del mercato di Asmara e le malattie celtiche», in ASDMAE, AE, b. 808, f. “Meretricio”. Nel 1905, venivano invece stimate in 200 le tecciare di Asmara. G. SALVADEI, Relazione sull’andamento dei servizi dipendenti dal Commissariato dello Hamasien per i bienni 19021903 e 1904-1905, p. 38, in ASDMAE, AE, b. 1028, f. “Commissariato dello Hamasien. Relazioni”. 71 ASGEDET STEPHANOS, Women and Education in Eritrea: A Historical and Contemporary Analysis, in «Harvard Educational Review», 67 (1997), 4, p. 6. Le fonti coloniali confermano quest’affermazione; nel 1909, il commissario di governo sottomise forzatamente a visita vaginale le 220 venditrici di swa e mies di

Asmara, ma solo 4 risultarono affette da malattie veneree; 7 rifiutarono di lasciarsi visitare ed ebbero revocata la licenza; per 34 il commissario dispose che continuassero a sottoporsi settimanalmente a visita medica; per le restanti 175 la conclusione del commissario era che nulla avevano a che vedere con le “prostitute clandestine” a cui il governo dava la caccia per frenare la diffusione di malattie veneree. Commissariato regionale dell’Hamasien (f.to Teodorani) al Capo della Pubblica Sicurezza, Asmara, 20 giugno 1909, n. 1917, citato. Sulle venditrici di swa ad Asmara nel periodo successivo alla II guerra mondiale, si veda il ben saggio di C. MATZKE, Of Suwa Houses and Singing Contests. Early Urban Performers in Asmara, Eritrea, in M. BARNHAM – J. GIBBS – F. OSOFISAN (eds.), J. PLASTOW (guest editor), African Theatre Women, Oxford, James Currey – Bloomington and Indianapolis, Indiana University Press – Johannesburg, Witwatersrand University Press, 2002, pp. 29-46. 72 A. SAPELLI, Memorie d’Africa (1883-1906), Bologna, Zanichelli, 1935, p. 197. 73 Commissariato regionale dell’Hamasien (f.to Teodorani) al Governo dell’Eritrea, DG AA civili, 22 genn. 1910, n. 257, oggetto: «Prostituzione», in ASDMAE, AE, b. 808, f. «Meretricio». 74 Ibid. 75 Lo scandalo scoppiò nel 1891 ed ebbe come protagonista il capo della polizia Dario Livraghi, accusato fra l’altro di aver – per fini di lucro − fatto arrestare e condannare a morte un capo locale, il kantibai Haman, sulla base di false accuse. Sullo scandalo Livraghi, si veda A. DEL BOCA, Gli italiani in Africa Orientale, I: Dall’Unità alla Marcia su Roma, Milano, Mondadori, 1992 (1ed 1976), pp. 436-442 e S. MONTALDO, Affarismo e massoneria nella colonia italiana d’Eritrea alla fine dell’Ottocento, in «Storia e problemi contemporanei», XI (1998), 21, pp. 25-64, che

esamina in particolare il ruolo di Cagnassi. 76 Commissariato regionale dell’Hamasien (f.to Cagnassi) al Governo dell’Eritrea, DG AA civili, 29 ago. 1911, n. 2990/39, oggetto: «Prostituzione», in ASDMAE, AE, b. 808, f. «Meretricio». 77 F. LOCATELLI, Beyond the Campo Cintato… citata. 78 F. GUAZZINI, Frammenti di realtà coloniale… cit., p. 125. Ancora nel 1952, Sylvia Pankhurst descriveva nei quartieri indigeni di Asmara solo tre alti lampioni, la cui finalità era aiutare la polizia “nell’effettuare arresti o nel far rispettare il coprifuoco”; S. PANKHURST, Eritrea on the Eve: The Past and Future of Italy’s “FirstBorn” Colony, Ethiopia’s Ancient Sea Province, Woodford Green (Essex), «New Times and Ethiopia News» Books, 1952, p. 68. 79 ASDMAE, AE, b. 959, f. 35 «P.ca sicurezza. Spettacoli pubblici, cinema, teatri, ecc.». 80 De Camillis (Reggente del Governo), Circolare ai commissari regionali e al comandante del Corpo di Polizia, Asmara 7 maggio 1920, in Disposizioni di servizio e variazioni nel personale dipendente, supplemento al «Bullettino ufficiale della Colonia Eritrea», nn. 8-9, 30 aprile – 15 maggio 1920. 81 De Camillis al Min. Colonie, 24 sett. 1920, n. 8565. ASDMAE, ASMAI, 35/4, f. 13, sf. «Circa offese e violenze di taluni europei verso indigeni». Si noti che mentre nella circolare a stampa De Camillis attribuiva genericamente ad «europei» le azioni disdicevoli, nel rapporto al Ministero elencava solo nomi italiani come autori di tali fatti. 82 Ho analizzato più in profondità le caratteristiche della criminalità italiana ed eritrea nei decenni precedenti alla guerra d’Etiopia, nel mio The Construction of Racial Hierarchies… citata. 83 Commissariato regionale dello Hamasien (f.to G. Cavalli), Relazione 1915-16, 10 sett. 1916, n. 8952, in ASDMAE, AE, b. 828, f. «Relazioni commissariati».

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84 Zoli al Min. Colonie, Asmara, 30 giu. 1930, n. 272 riservato; ASDMAE, ASMAI, 35/5, f. 18. 85 F. LOCATELLI, Beyond the Campo Cintato… citata. 86 R. FALCONE, L’amministrazione della giustizia nella colonia Eritrea. Resoconto letto nel dì 23 gennaio 1905 dal procuratore del re cav. Ranieri Falcone all’assemblea generale del Tribunale d’appello sedente in Asmara, in Ferdinando Martini. Relazione sulla Colonia Eritrea del R. Commissario civile deputato Ferdinando Martini, per gli esercizi 1902-907, presentata dal ministro delle colonie (Bertolini) nella seduta del 14 giugno 1913, Atti parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXIII, Sessione 19091913, Roma: 1913, pp. 310-11. 87 V. CASTELLANO, La popolazione italiana… cit., e Lo sviluppo economico dell’Eritrea… cit.; si trovano a volte dati difformi sulla popolazione italiana ad Asmara; lo statistico Vittorio Castellano lavorò personalmente al censimento della popolazione eritrea del 1939 e poté attingere per i suoi studi alla documentazione dei precedenti rilevamenti; come afferma Ciampi, Castellano è quindi la fonte più attendibile; G. CIAMPI, La popolazione… cit., p. 499. 88 G. MAIONE, I costi delle imprese coloniali, in Le guerre coloniali del fascismo, a cura di A. DEL BOCA, Roma - Bari: Laterza, 1991, pp. 400-420. 89 E. ONNIS, La città di Asmara… cit.; UOLDELUL CHELATI DIRAR. From Warriors… citata. 90 L’AOI venne suddivisa in sei «governi»: Eritrea, Somalia, Scioa, Harar, Amara, Galla e Sidama. 91 Il primo settore industriale erano gli autotrasporti; anche in questo ambito, l’Eritrea – dal cui porto passava la maggior parte delle merci per l’impero – primeggiava, con 846 ditte e 1.500 milioni di capitale investito (contro le 60 ditte e i 120 milioni investiti nello Scioa). Si veda: La situazione delle ditte industriali, in «Annali dell’Africa italiana», III (1940), 2: p. 1117.

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92 Alto Commissario per l’Africa Orientale, Gabinetto (f.to il vice governatore Guzzoni) al Municipio di Asmara, al Comm.to Reg.le Hamsien e al Com.do CC.RR. Eritrea, Asmara, 7 marzo 1936, n. 1042, oggetto: «Italiani che vivono nei villaggi indigeni di Asmara», in ASDMAE, ASMAI, 35/4, f. 13, sf. «Rapporti tra nazionali ed indigeni». 93 D.g. 12 giu. 1937, n. 268 di rep., n. 680 a.c.p. «Divieto alla promiscuità di convivenza tra nazionali ed indigeni», in «Bollettino Ufficiale Colonia Eritrea» 30 giu 1937, n. 12. 94 Poi divenuto legge 29 giugno 1939, n. 1004. 95 Governo dell’Eritrea a Min A.I., D.G. AA Politici, Dir. II, 8 maggio 1939 n. 3709, oggetto: «Disegno di legge. Difesa del prestigio di razza», (f.to Doadiace), in Archivio privato, Londra. 96 Sull’impetuosa espansione edilizia di Asmara dopo il 1936, si veda in questo volume il saggio di G. Gresleri. 97 Nel novembre del 1937 vi erano ancora 50.000 ascari eritrei in servizio fuori dall’Eritrea. Tel. Graziani a Lessona, 2 nov. 1937, n. 164; ACS, Graziani, b. 42, f. 34, sf. 7 «Governo dell’Eritrea». 98 Si consideri che la popolazione eritrea all’epoca ammontava a 600.000 unità; TEKESTE NEGASH, Italian Colonialism… cit., p. 51. 99 Municipio di Asmara, Elenco dei prezzi dei generi alimentari, mese di ottobre 1935; in ASDMAE, ASMAI, 181/49/232, sf. 8 «Servizi municipali». 100 R. GUIDOTTI − M. GUBELLINI, Il problema dei salari della mano d’opera di colore in Eritrea nel periodo pre e post-bellico, in «L’Agricoltura coloniale», XXX (1936), pp. 441-50. R. PANKHURST, Italian and ‘Native’ Labor during the Italian Fascist Occupation of Ethiopia, 1935-41, «The Ghana Social Science Journal», 2 (1973), 2, pp. 42-74. 101 Significative al riguardo sono le interviste raccolte da I. TADDIA, La memoria dell’impero. Autobiografie d’Africa orientale,

Mandria, Lacaita, 1988. 102 Tel. Badoglio a Min. Colonie, Adigrat, 30 novembre 1935, in ASDMAE, ASMAI, 181/48, f. 230. Badoglio era in Africa da pochi giorni, per sostituire il suo predecessore De Bono, rimosso dall’incarico da Mussolini a metà novembre; A. DEL BOCA, Gli italiani in Africa orientale, II: La conquista dell’impero, Milano, Mondatori, 1992 (1a ed. 1986), pp. 438-39. 103 Grisostomo Marinoni, vicario apostolico dell’Eritrea, Circolare ai confratelli missionari, Asmara, 15 apr. 1937, Archivio generale dei Cappuccini, H/42/II. In Etiopia, il governatore Nasi scrisse una circolare durissima contro la «febbre dell’oro» e la «corsa all’affare»; Governo dell’Harrar, circolare 5 sett. 1938, n. 101780, pubblicata in L. GOGLIA – F. GRASSI, Il colonialismo italiano da Adua all’impero, Roma – Bari, Laterza, 1981, p. 394. 104 Giovanni De Mercurio a Carlo Pagani, Asmara, 14 maggio 1938; stralcio della lettera è riportata in Ufficio statistica militare, Napoli, Relazione settimanale (dal 20 al 27 maggio 1938-XVI), p. 7, in ASDMAE, ASMAI, Gab. b. 39, f. «Relazioni censura posta militare Napoli». Analogamente sconfortati erano i commenti di M.P. Pezzoli sulla quantità di «mascalzoni» italiani in colonia; G. DORE, Scritture di colonia. Lettere di Pia Maria Pezzoli dall’Africa Orientale a Bologna (1936-1943), Bologna, Pàtron, 2004, pp. 27-28, 118. 105 Nel 1936, al Ministero delle colonie giungevano notizie «pessime per l’ambiente di Asmara ove il molto affarismo, a carattere equivoco e torbido, fiorirebbe tuttora nonostante l’impegno posto per reprimerlo», mentre nel 1939 Teruzzi denunciava: «Vi è ancora troppa gente all’Asmara (…) che si illude di poter continuare a realizzare facili guadagni con le forniture e con gli appalti»; tel. Badoglio a Guzzoni, Macallè 6 feb. 1936, n. 750 g.m., in ASDMAE, ASMAI, 181/48, f. 230; e A. Teruzzi

(sottosegretario per l’A.I.), Rapporto al Duce [relativo al viaggio in AOI dal 31 dic. 1938 al 6 feb 1939], in ASDMAE, ASMAI, Gab., A. Segr., b. 253, f. 30 «Rapporto al Duce». 106 Dell’impennata della criminalità italiana dopo il 1935 ho trattato diffusamente nel mio: Mussolini’s Colonial Race Laws and State-Settlers Relations in AOI (1935-41), in «Journal of Modern Italian Studies», VIII (2003), 3, pp. 425-443, che utilizza come fonti soprattutto la documentazione del Ministero dell’Africa italiana. Locatelli ha invece studiato le fonti giudiziarie conservate ad Asmara, riscontrando il medesimo fenomeno; F. LOCATELLI, Asmara e le sue trasformazioni… citata. 107 Comando RCTC dell’Eritrea (f.to gen. Redini) ai comandanti dei reparti e dei presidi, Asmara, 21 mar. 1936, n. 846 Terr., oggetto: «Rapine», in ASDMAE, ASMAI, 35/8, f. 33. 108 Promemoria, Asmara, 2 gennaio 1936; in ASDMAI, ASMAI, 181/49, f. 233, sf. 3/19 «Locali pubblici». 109 Fratelli Incegneri a Commissario Hamasien, Asmara, 4 marzo 1936; in ASDMAI, ASMAI, 181/49, f. 233, sf. 3/19 «Locali pubblici». 110 Stralcio della lettera di A. Pollera ad A. Sapelli è riportata in Ufficio statistica militare, Napoli, Relazione settimanale (dal 20 al 27 gennaio 1939-XVII) sul servizio censura dell’ufficio di Napoli e della sezione staccata di Roma, in ASDMAE, ASMAI, Gab., Arch. Segr, b. 50, f. «Relazioni censura Napoli». Sulla figura di Alberto Pollera, in Eritrea per oltre quarant’anni prima come militare poi come funzionario governativo, nonché autore di importanti studi etnografici, si veda B. SÒRGONI, Etnografia e colonialismo. L’Eritrea e l’Etiopia di Alberto Pollera, 18731939, Torino, Bollati Boringhieri, 2001. 111 Lo attestano, fra l’altro, le circolari del R. Corpo truppe coloniali volte, giustappunto, a reprimere le violenze a danno di


donne indigene; Comando RCTC dell’Eritrea (f.to gen. Redini), n. 450/Terr, Asmara, 25 dic. 1935, in ASDMAE, ASMAI, 35/8, f. 33. Una conferma più che autorevole venne dallo stesso Mussolini, che nel discorso del 25 ottobre 1938, davanti al Gran Consiglio del Fascismo, indicò nelle violenze degli italiani contro le donne etiopiche una delle cause della ribellione degli Amhara («quando hanno visto gli italiani che andavano più stracciati di loro, che vivevano nei tucul, che rapivano le loro donne, ecc., hanno detto: “Questa non è una razza che porta la civiltà”, e […] si sono ribellati»); ripubblicato in L. PRETI, Impero fascista, africani ed ebrei. Milano: Mursia, 1968, p. 290. 112 Maria Messina, intervista con l’A., Roma, 1995-98. 113 G. BARRERA, Mussolini’s Colonial… citata. 114 Sulle leggi razziali per le colonie, la bibliografia è ormai troppo vasta per essere tutta richiamata in una nota. I testi di legge sono stati ripubblicati in L. GOGLIA – G. GRASSI, Il colonialismo italiano da Adua all’impero, Roma – Bari, Laterza, 2003 (2a ed.). Per una descrizione della normativa e della sua applicazione, si possono vedere gli ormai classici: R. PANKHURST, Fascist Racial Policies in Ethiopia, 1922-1941, in «Ethiopia Observer», 12 (1969), 4, pp. 270-285; A. DEL BOCA, Gli italiani in Africa Orientale, III: La caduta dell’impero, Roma, Mondadori, 1992 (1 ed. 1982), pp. 231-56; L. GOGLIA, Note sul razzismo coloniale fascista, in «Storia contemporanea», 19 (1988) n. 6: pp. 1223-1266; N. LABANCA, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna, Il Mulino, 2002. In particolare sulla legislazione repressiva del concubinaggio interrazziale, si vedano: G. GABRIELLI, La persecuzione delle ‘unioni miste’ (1937-1940) nei testi delle sentenze pubblicate e nel dibattito giuridico, in «Studi piacentini», 1996, 20, pp. 83-140; G. BARRERA, Dangerous Liaisons: Colonial Concubinage in Eritrea

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(1890-1941), Evanston (IL), Northwestern University. Program of African Studies, 1996 (Working Paper Series) <http://nuinfo.nwu.edu/africanstudies/pubs/wpl1barrera.pdf>; B. SÒRGONI, Parole e corpi. Antropologia, discorso giuridico e politiche sessuali interrazziali nella colonia Eritrea (1890-1941), Napoli, Liguori, 1998. Sulle motivazioni che spinsero Mussolini a utilizzare lo strumento della legge penale per regolamentare la discriminazione razziale in colonia, si veda G. BARRERA, Mussolini’s Colonial Race Laws… citata. 115 R. PANKHURST, The Legal Question of Racism in Eritrea during the British Military Administration: A Study of Colonial Attitudes and Responses, 19411945, in «Northeast African Studies», 2 new series (1995), 2, pp. 25-70. 116 T. C. KILLION, Workers, Capital and the State in the Ethiopian Region, 1919-1974. Ph.D. dissertation, Stanford, 1985. 117 P. M. MASOTTI, Il rimpatrio di donne , bambini, vecchi ed invalidi italiani dall’Etiopia nel 1942-43, in «Storia contemporanea», XV (1984), 3, pp. 463-473. 118 E. ONNIS, La città di Asmara… cit., p. 467. 119 Secondo l’Associazione italo-eritrea, tra il 1940 e il 1946 nacquero in Eritrea più di 7.000 figli di padre italiano e madre eritrea; secondo Gino Cerbella (vice console italiano ad Asmara negli anni Cinquanta) tra il 1937 e il 1952 erano nati un totale di 5.000 italo-eritrei; pur nella distanza dei dati, queste due fonti concordano nell’indicare i primi anni Quaranta come il periodo in cui ci fu maggiore incidenza di concubinaggio interrazziale e, di conseguenza, maggior numero di nascite di bambini italo-eritrei. Four Power Commission of Investigation for the Former Italian Colonies. Report on Eritrea. Appendix 111: from the ItaloEritrean Association, Memorandum, 10 December 1947. G. CERBELLA, Eritrea 1959: La collettività italiana nelle sue

attività economiche, sociali e culturali, Asmara, Consolato generale d’Italia, 1960, p. 10. 120 Questo fatto è emerso da tutte le testimonianze di italo-eritrei nati negli anni Quaranta che ho raccolto mentre facevo ricerche per la mia tesi Colonial Affairs… citata. 121 Ho saputo dalla viva voce della sposa, di un matrimonio fra una donna eritrea e un uomo italiano celebrato nel 1950 (Askalu Battaglino, intervista con l’A., Asmara, sett.-nov. 1998) e ho sentito che non fu il primo. La legge che proibiva i matrimoni misti (l. 1728/1938) fu abrogata dal R.d.l. 25/1944. 122 G. PUGLISI, Eritrea tascabile. Piccola guida per il turista con indicatore stradale di Asmara, Asmara, Agenzia Regina, 1953, p. 29. 123 Four Power Commission of Investigation for the Former Italian Colonies, Report on Eritrea, London, 22 June 1948, Appendix 6 British Museum, Dept. of Printed Books, UNP 211, P53/1353. 124 T. C. KILLION, Workers… cit; N. MURTAZA, The pillage… citata. 125 G. K. N. TREVASKIS, Eritrea. A Colony in Transition: 1941-52, London - New York – Toronto, Oxford University Press, 1960, pp. 36-38. 126 Mostra delle attività produttrici dell’Eritrea: Asmara, dicembre 1943, Asmara, Tip. Cicero, 1943. 127 Fu ad esempio il caso di Vittorio Longhi; figlio di padre italiano e madre eritrea, titolare di una piccola società mineraria, Longhi fu colpito da arma da fuoco in una traversa di viale Badoglio, il 20 luglio 1950. G. PUGLISI, Chi è dell’Eritrea 1952. Dizionario biografico. Asmara: Agenzia Regina, 1952, sub voce, e Aida Kidane (parente di Longhi), comunicazione personale. 128 R. IYOB, The Eritrean Struggle for Independence. Domination, Resistance, Nationalism, 1943-1993, Cambridge University press, 1995. 129 Nel 1950, le Nazioni Unite decisero che l’Eritrea sarebbe

stata federata all’Etiopia; dopo un biennio di transizione, nel 1952 l’Eritrea divenne – secondo il dettato della risoluzione 390A (V) dell’ONU – «un’entità autonoma federata all’Etiopia, sotto la sovranità della corona etiopica». 130 Su di una popolazione eritrea che nel 1993 ammontava a circa 2 milioni e 300 mila, le vittime civili della guerra per l’indipendenza furono 40.000, mentre fra i combattenti i caduti furono 65.000 e gli invalidi 10.000; D. POOL, From Guerrillas to Government: The Eritrean People’s Liberation Front, Oxford, J. Currey - Athens, Ohio University Press, 2001, p. 157. 131 G. CIAMPI, La popolazione dell’Eritrea… cit., p. 504. 132 Abebe Kifleyesus, comunicazione personale.

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