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Un progetto perduto e una capitale ritrovata. Asmara da Cesare Spighi a Vittorio Cafiero GIULIANO GRESLERI

1. UN’ARCHITETTURA PER L’ALTROVE Un fascicolo smembrato, conservato nei fondi Eritrea dell’Archivio storico diplomatico del Ministero affari esteri, contiene la lettera con cui l’architetto Cesare Spighi accompagna le tavole di progetto (disegni acquerellati incollati su tela e relativo capitolato) per il nuovo Palazzo del governatore della Colonia, Ferdinando Martini1. La spedizione ad Asmara avviene da Firenze il 28 novembre 1904. Riportiamo il testo integrale per l’interesse che assume in quanto «procedura tipo» del lavoro di molti professionisti italiani attivi dopo i primi del secolo anche in colonia. La lettera di Spighi è però anche prova evidente dell’esistenza di un grande progetto disperso che, pur destinato a non giungere a conclusione, testimonia delle ambizioni e dei programmi architettonici del governatore. Firenze, 28 Novembre 1904 – Oggetto: Consegna dei progetti del Palazzo di Asmara. A Sua Eccellenza Ferdinando Martini Governatore della Colonia Eritrea Asmara. Rimetto a Vostra Eccellenza il progetto per il Palazzo Governatoriale da costruirsi ad Asmara. Esso si compone di nove tavole tirate sopra telaio, una perizia estimativa e più l’Album dei primi cinque progetti di massima. Nelle nove tavole sono rappresentate e quattro fronti dell’edifizio, una sezione longitudinale, le tre fiancate dei tre piani in cui è diviso il fabbricato, e uno studio della distribuzione delle armature dei tetti. La perizia estimativa, come Vostra Eccellenza potrà esaminare, è dettagliatissima e fa ascendere la predetta spesa di questo lavoro a Lire 199.946,83 compresovi la somma di Lire 26.080,02 di spese impreviste. Nutro fiducia di avere soddisfatto in tutto all’onorifico incarico ricevuto, ed attendo dalla Eccellenza Vostra una parola che mi assicuri di avere interpretato i suoi desideri nella distribuzione e decorazione di questo importante edifizio.

In tale attesa ho l’onore di protestarmi della Eccellenza Vostra Devotissimo, C. Spighi2

Dallo scritto e dai fogli tecnici che l’accompagnano siamo in grado di ricostruire l’eccezionalità dell’incarico (ricevuto da un committente già allora uomo politico ed umanista notissimo), destinato a rimanere – ciò malgrado – una delle tante «architetture interrotte» dell’Italia d’Oltremare. Dalla nota apprendiamo, per esempio, delle inconsuete dimensioni dell’opera in pietra da taglio (tecnica nella quale lo Spighi eccelleva), del suo considerevole costo, del fatto che sarebbe stata la prima grande architettura a rappresentare un «potere civile» chiamato a sostituire un decennio di governo militare. Le difficoltà connesse al fatto che i nostri ragionamenti debbano necessariamente misurarsi con le scarse note a disposizione, ci impongono di richiamare alcuni eventi fondamentali. «Acquistata» nel 1869 la Baia di Assab sulla Costa della Dancalia, l’Italia porta a compimento, tra mille difficoltà, l’occupazione di Massawa (1885) e del suo entroterra. Risalito l’Altopiano eritreo, si stanzia nel 1889 ad Asmara. «Fondata» in forma di antico «castro» a partire dallo stesso anno, la città deve il suo primo sviluppo ai militari, che avviano anche la pianificazione dell’edilizia civile3. Militari sono anche i governatori che si succedono nella gestione dei programmi di «attrezzatura» e di indemaniamento di un territorio in cui l’idea di «luogo urbano» – così come gerarchicamente configurato nelle contemporanee esperienze metropolitane europee della seconda metà del XIX secolo – è del tutto assente e si condensa, semmai, nell’organicità con cui, attorno a punti emergenti, si raggruppano le capanne e qualche costruzione in muratura degli indigeni. La vicenda dell’«Eritrea delle piccole città» è stata già ampiamente descritta e documentata nella mostra «Architettura italiana d’Oltremare» e nel relativo catalogo4. Le scoperte effettuate in quell’occasione posero la questione di come sia stato possibile – in totale assenza di strutture adeguate – predisporre una rete di piani regolatori che si inseriscono a pieno titolo nella tradizione pianificatoria che


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segue l’Unità d’Italia e anticipano per molti versi l’esperienza di Prost in Marocco, considerata la prima vera attuazione di una strategia territoriale in paesi coloniali5. Prima di essere nominato governatore, Ferdinando Martini aveva compiuto, tra l’aprile e il giugno 1891, un lungo viaggio attraverso l’Eritrea a capo di una commissione d’inchiesta col compito di indagare sulle reali possibilità di sfruttamento dei territori assoggettati. La descrizione dei paesaggi attraversati si attarda sovente in considerazioni di carattere antropologico e tipologico sulle strutture degli insediamenti e le costruzioni indigene. Le riflessioni su come gli italiani avrebbero dovuto e potuto insediarsi in tali plaghe sono ricorrenti, e dimostrano che il problema dei nuovi centri da organizzare è presente – anche se in modo embrionale – nei suoi programmi. Giunto nei pressi di Keren, di fronte alle maestose rovine granitiche del monte Sevan, Martini trasferisce al suo diario la surreale visione di colossali massi erratici alti come edifici. Sparsi tra il verde delle mimose, sotto il cielo «fiordaliso» dell’Eritrea essi divengono «campanili gotici» e «castelli normanni». Di lontano l’immensa catastrofe geologica appare ai suoi occhi in forma di «vestigia marmoree e di smisurati fori e acropoli»6. Il sogno di Martini di una colonia popolata di città degne della più classica tradizione architettonica della madrepatria, i cui referenti formali non possono essere altro che le opere del tardo Ottocento italiano e dell’Eclettismo europeo, è l’orizzonte sul quale sono costretti a misurarsi i progetti delle «nuove» città dell’Eritrea fino al 1930. Il regio decreto del 1901 che estende al territorio della colonia la legge del 1865, rendendo obbligatorio per ogni centro abitato l’adozione di un piano regolatore e dei regolamenti edilizio e d’igiene, è il riferimento legislativo fondamentale per la fondazione delle città7. I piani che vengono predisposti a partire dal 1902 per le località dell’altopiano e per Massawa con le relative varianti messe a punto tra il 1913 e il 1920, quasi tutte redatte da Odoardo Cavagnari, ingegnere capo del Genio civile di Asmara, sono ascrivibili alla tradizione beaux-arts del classicismo europeo, all’imperativo irrinunciabile di potersi esprimere entro condizioni che impongono un linguaggio di rigore, chiarezza e ordine, destinate a dare alla colonia una immagine la più domestica possibile. Asmara del resto, fu celebrata fino agli anni Cinquanta del XX secolo per la sua atmosfera di tipica città italiana, proprio grazie allo stile dei monumenti e al carattere dell’edilizia residenziale, malgrado il suo vasto quartiere indigeno8. L’impianto a griglia, organizzato attorno alla piazza per il mercato, è il modello che inequivocabilmente viene usato

nelle prime «fondazioni»9. Secondo la più ortodossa tradizione, filtrata dalla cultura manualistica dei politecnici, entro la griglia confluiscono, con «naturalezza colta», gli elementi del paesaggio locale (alture, rocce, fiume o il ghebbì del ras, ecc.), proprio come nel piano per Asmara e in quello di Keren del 1914 dove non poche suggestioni rimandano alle esperienze di Napoleone Tettamanzi per una «città capitale del Regno d’Italia»10. Si tratta di un disegno che, con le dovute varianti, si propone per quasi tutte le città dell’altopiano, entro il quale si possono identificare le emergenze di una identità urbana che è sempre la stessa. Il palazzo dell’autorità coloniale, gli edifici del culto (chiesa cattolica, chiesa copta, moschea; accostate in aree distinte ma senza conflittualità apparenti) e le strutture amministrative civili (ufficio postale, ospedale, scuole per europei e per indigeni, stazione ferroviaria e teatro), sono il repertorio tipologico ricorrente per il lavoro di tecnici occasionali ma anche, come nel caso di Cesare Bazzani, di protagonisti in primo piano nel dibattito metropolitano. In questi primi anni, oltre al lavoro di tecnici residenti, ai quali si deve l’imprinting iconografico delle varie città dell’altopiano, sono dunque soprattutto le prime attrezzature di servizio civile e militare a costituire il nucleo attorno al quale si sviluppa via via un urbano modesto di semplici residenze, abitate in prevalenza dell’elemento maschile11. Non per questo i regolamenti edilizi saranno meno precisi nel prescrivere particolare attenzione al decoro, ai colori, allo stile delle costruzioni. Stazione, ospedale, teatro (quando c’è, come all’Asmara, dove Cavagnari ne costruirà uno assai impegnativo nel 1918) rispondono tuttavia a precise tipologie di importazione senza nessun equivalente nel patrimonio locale: esso è recuperato a volte come “epidermide” degli edifici, attingendo a preesistenze greco-armene in loco, ma lasciando invariata la composizione generale che si astrae dal più modesto e indigeno contesto in un’aura, a volte, di allucinata «sospensione». È il caso delle varie sedi della Banca d’Italia, progettate a partire dal 1907 da Paolo Reviglio e da Giuseppe Canè (Asmara), attorno alle quali verranno organizzandosi i centri amministrativi di varie cittadine. Oltre all’architettura classica troviamo qui diverse altre ispirazioni, come l’architettura cinese, quella indiana (assai diffusa nelle prime realizzazioni in Somalia) mentre il moresco e lo stile Mogol, anch’esso di derivazione indiana, mediati da elementi goticizzanti restano, iconograficamente, gli stili preferiti per quell’edilizia che non deve necessariamente rappresentate lo Stato12.

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2. IL PALAZZO GOVERNATORIALE DI ASMARA Quando tra il 1902 e il 1904 Cesare Spighi si accinge a definire progettualmente l’incarico ricevuto da Martini, l’esperienza avviata a San Piero in Bagno (dove ha ricostruito, dopo il terremoto del 1904, un’intera «città di montagna», in stile medioevale) va concludendosi. Negli edifici realizzati a San Piero, non poche sono le suggestioni che rimandano alla perfetta conoscenza del passato – romanico e proto-gotico in particolare – spesso contaminate da suggestioni esotiche ed orientali. Accingendosi ad un incarico di tale importanza è verosimile che le scelte stilistiche siamo state lasciate alle suggestioni del governatore – uomo colto e interlocutore di intellettuali – e rispettino «ragionamenti» che committente e progettista devono aver a lungo discusso e meditato. Nell’Eritrea appena occupata non poche erano le suggestioni in tal senso alle quali si erano volentieri piegati i primi costruttori dei nuovi insediamenti «reinterpretati» di Massawa, ad esempio, la cui medina araba, stretta sulla banchina del porto, offriva innumerevoli spunti in tal senso. Nella Firenze Granducale e in quella di Spighi poi, alcuni edifici realizzati tra il 1850 e 1890, riflettono la curiosità della committenza colta locale e il suo interesse per l’orientalismo ed il moresco. Celeberrimo, al proposito, il Palazzo di Sammezzano a Incisa, ottenuto da una radicale trasformazione della villa pre-esistente da parte del proprietario, il marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes13. Si tratta di una vicenda singolare che si svolge quasi contemporaneamente a quella della Rocchetta Mattei a Riola di Vergato (Bologna). Entrambe, con una sicura unica matrice referenziabile: i testi di Owen Jones, assai diffusi dopo l’esposizione Universale di Londra del 185114. Tra il 1874 e il 1882 si concludono poi a Firenze i lavori della sinagoga dove i riferimenti stilistici orientali mediano ancora dal moresco l’aspirazione all’esibizione di una ricercata diversità degli stili «cristiani» dominanti. Va infine ricordata la quasi simultanea realizzazione a Firenze di Villa Martini (la residenza del governatore), opera celebre di Spighi, e il «supermoresco» giardino-teatro «Alhambra», inaugurato nel 1889. Nella lettera a Marini qui riportata, Spighi parla di «un album» contenenti i progetti preliminari del palazzo, album spedito anch’esso ad Asmara assieme ai teleri con gli acquerelli incollati. Martini poteva averli richiesti per la sua collezione (egli pure è anche grande disegnatore autodidatta), ma più verosimilmente quello «zibaldone» era fonte utile ad eventuali variazioni che si fossero dimostrate necessarie durante i lavori e le molte altre costruzioni cui voleva mettere mano. Da quanto è dato capire il progetto di Spighi appare tuttavia

Cesare Spighi, dettagli del tracciamento delle curve degli archi e sezione tecnica della torretta di guardia del Palazzo governatoriale di Asmara, 1904

estremamente dettagliato; il computo e le indicazioni di carattere tecnico, testimoniano non solo il suo mestiere consumato e la precisione del soprintendente, ma la preoccupazione di attenersi ad indicazioni che provengono da un clima «autarchico» che il governatore controlla con assoluta oculatezza. La gestione economica della colonia, proprio in quegli anni è resa autonoma da quella metropolitana e i rendiconti della spese per le opere pubbliche riflettono tale rigore. Ciò che resta del progetto fa presumere che l’opera dovesse essere comunque di grande impegno e forse di grande bellezza. Martini prima convinto anticolonialista, dopo i mesi trascorsi in Eritrea a capo della Commissione d’inchiesta, divenne un fervente sostenitore del progetto politico che vedeva indispensabile il consolidamento della «testa di ponte» italiana in Africa. Il suo programma di opere pubbliche (entro le quali si inserisce la creazione di una rete stradale di 1000 Km, il progetto della ferrovia Massawa-Asmara rivisto e ridefinito, la trasformazione del modesto villaggio-capoluogo nella nuova capitale coloniale), devono aver bloccato il progetto di Spighi proprio a causa di tali gravosi impegni. Martini, che comunque ambiva a mostrare ai «sudditi» la sua probità di letterato-soldato, si orientò su un modesto edificio classicheggiante, poco più che un gazebo da «pubblico passeggio» opera dei suoi tecni-


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ricordano, anche nei tipo di colonne e nelle finestrature, quelle ideate da Spighi per il palazzo di Asmara. Rapportato ad oggi, il costo dell’opera sarebbe stato quello di una grande villa moderna; certo troppo per i bilanci della neonata colonia, ma poco per la Banca d’Italia che (raddoppiando dimensionalmente il referente progettuale) realizzò a Massawa ciò che doveva essere costruito ad Asmara.

3. ASMARA E IL PIANO CAFIERO

Massawa. Palazzo della Banca d’Italia, anni Trenta

ci locali, fatto poi erigere dal suo successore, Salvago Raggi. Che nei progetti dei protagonisti di questa singolare vicenda, le intenzioni fossero assai diverse, lo dimostra il fatto che il piano regolatore di Asmara (approvato e definito qualche anno dopo, sullo schema già ricordato dall’architetto Odoardo Cavagnari) prevedeva per il Palazzo governatoriale una collocazione «aulica» di tutto rispetto, all’interno di un vasto giardino «all’inglese» che – ancora una volta – ricorda il «naturalismo» colto ed esotico, tipico della cultura dei due protagonisti di questa vicenda. Non ci resta che una considerazione ulteriore. Allo stato cui sono giunte le nostre ricerche, è più che logico interrogarsi sulla «sparizione» di un simile progetto. Il Fondo Spighi, alla Biblioteca Nazionale di Firenze, essendo praticamente interdetto ai ricercatori, resta muto e ci costringe ad altre ipotesi. Si dice (malgrado Martini non ne faccia memoria) che i teleri ricordati siano stati collocati presso il suo gabinetto ad Asmara, come pannelli decorativi appesi alle pareti, e qui rimasti sino alla loro dispersione. Un fatto singolare interviene però a dare motivazione sul perché un altro edificio «di rappresentanza» ricicli in modo palese e quasi reifichi quell’ormai lontano progetto, rimasto «inascoltato». Nel 1920, ad oltre dieci anni dal rientro di Martini in Italia, l’architetto Giuseppe Cané dell’Ufficio tecnico della Banca d’Italia, fu incaricato del progetto per la nuova agenzia di Massawa. Le foto di quanto realizzato nel 1925 e il progetto conservato presso l’Archivio storico dell’istituto di credito centrale, rivelano insospettate quanto inattese collimazioni con quanto disegnato da Spighi. Anche qui la pietra da taglio è utilizzata come materiale suggerito dalla tradizione locale, mentre la ripartizione tra pieni e vuoti e la «trasparenza» dell’edificio percorso da grandi logge

Alquanto anomale sono anche le vicende che accompagnarono, dopo il 1936, la revisione dei piani regolatori dell’Eritrea, e di quello di Asmara in particolare. Dopo l’annullamento di un concorso gestito quasi «privatamente» dal governatore, e a seguito della querelle che ne derivò in seno al Sindacato nazionale fascista architetti, Giuseppe Daodiace, giunto in Eritrea nel dicembre 1937, tentò di creare nella vecchia colonia uno staff di tecnici sul modello di quanto fatto in Libia. Rispetto alle altre città dell’impero, la situazione di Asmara era del tutto eccezionale. La piccola città, che fino al 1930, aveva praticamente assolto la sola funzione amministrativa di capoluogo dell’Eritrea, fu proiettata nell’avventura etiopica come testa di ponte delle operazioni militari del fronte nord. L’immensa quantità di materiali giunti a Massawa via mare durante la seconda metà del 1935 e poi durante tutto il periodo della campagna bellica, furono concentrati alla periferia della città, dando vita ad un’urbanizzazione precaria e disordinata15. Negli anni Venti il piccolo centro contava non più di 18.000 abitanti di cui 3.000 italiani. Alla fine del 1936 gli abitanti erano diventati 98.000 di cui 53.000 italiani stazionati nell’area contigua al vecchio nucleo, occupato ora dagli accantonamenti militari. I nuovi venuti cominciarono così ad orientarsi verso le zone sud-est e sud-ovest (al limite del ciglio eritreo) e a nord-ovest dove i terreni erano rimasti ancora disponibili. L’intera periferia andò quindi configurandosi con un nuovo quartiere residenziale fatto di case a due e tre piani che contrastavano curiosamente con il vecchio centro di abitazioni ad un unico piano, nel quale si erano in gran parte insediati gli indigeni richiamati in città dalla richiesta di manodopera. Per far fronte a tale situazione, il ministro dell’Africa italiana inviò ad Asmara l’architetto Vittorio Cafiero con l’incarico di redigere un nuovo PRG16. Cafiero trovò sul posto un Ufficio tecnico ben organizzato (Guido Terrazza ne era stato direttore efficientissimo per i due anni precedenti), che gli consentì di procedere con maggiore risolutezza che altrove. I criteri del nuovo progetto sono quelli del

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rafforzamento dell’asse centrale (il viale tra il palazzo del governatore e la nuova stazione) e del diradamento dell’area più vecchia con relativa ricostruzione. Cafiero studiò un nuovo vasto quartiere indigeno al di là delle colline di Abba Shawl (per gli italiani Abba Sciaul), trasformata in «barriera» verde. Il piano doveva essere attuato partendo proprio da quest’area e avviando nel contempo lo studio particolareggiato delle zone più rappresentative della città come quella attorno alla stazione ferroviaria e al vecchio palazzo governatoriale, fatto erigere come visto da Salvago Raggi, e che Cafiero prevedeva comunque di demolire e ricostruire secondo un progetto moderno. Il piano di Cafiero per Asmara è interessante perché, pur nei limiti delle analoghe esperienze, costringe l’architetto ad un lavoro di mediazione con una preesistenza assai definita, altrove inesistente. Accogliendo in linea di massima il vecchio tracciato stradale del piano Cavagnari del 1914, la nuova viabilità è perfettamente accordata, tramite una circonvallazione, ai nuovi quartieri residenziali17. Il rafforzamento del viale Mussolini-Cadorna-Stazione, spostava così a sud tutta la zona più rappresentativa, ribadendo così quel criterio di «convergenza visiva» tipico dell’urbanistica fascista. Quando nell’aprile del 1939 la Consulta prese in esame il piano, apparve subito chiaro che le nuove soluzioni urbanistiche dovevano essere però sottoposte a un accurato studio architettonico, riproponendo ad Asmara gli stesi criteri messi in atto ad Addis Ababa18. Quando il governatore Daodiace prende visione dei primi elaborati non può non rilevare le contraddizioni evidenti con il complesso e pluriennale lavoro di sistemazione delle zone indigene da lui avviato e per il quale Terrazza aveva progettato il caravanserraglio, il nuovo mercato e la moschea. Delle nuove proposte, Daodiace accettava le indicazioni generali ma non quella di estromettere la popolazione indigena come ovunque si stava facendo nelle città dell’impero. Cafiero ha trovato la soluzione [del quartiere indigeno] senza consultarmi e senza sentire né pareri, né suggerimenti al riguardo (…). Via Tevere è per il quartiere indigeno come via Nazionale o via Veneto a Roma (…) gli indigeni vi hanno costruito delle discrete casette (…) a prezzo di sacrifici e grande fatica. Se al quartiere indigeno si dovesse dare la sistemazione trovata da Cafiero tutti gli edifici in via Tevere dovrebbero venire abbattuti unicamente perché tale via non è in squadra con la sistemazione che egli vorrebbe dare. (…) Sto attuando la bonifica del quartiere indigeno, abbattendo i tucul peggiori, le casette cadenti, ecc., ma se sulla direttiva dell’abbattimento incontro una casetta ben costruita, la lascio in piedi, a costo di obbligare la via o il sentiero a girarvi attorno19.

Daodiace tentava di muoversi, in Eritrea, con la stessa strategia utilizzata a Tripoli durante la sua gestione delle opere pubbliche e faceva finta di non sapere di essere nel 1939: malgrado i grandi programmi, Asmara continuò tuttavia ad avere al suo centro un nucleo indigeno che contraddiceva le motivazioni stesse alla base del nuovo piano e forse anche a questo fatto si deve la singolare struttura sociale che la città ebbe per un lungo periodo nel dopoguerra. Asmara si arricchì di splendidi edifici «’900» attorno ad un nucleo «dimesso» ma organicamente caratterizzato, e tolto di mezzo solo negli anni Cinquanta. L’architettura delle città nell’Africa Orientale Italiana è assai ben rappresentata dalla vicenda di questo piano. La strategia delle idee e dei progetti per Addis Ababa, Gondar, Dessiè, Harar, Gimma, Asmara, Massawa e Assab, si risolve nel breve volgere degli anni della nostra occupazione militare. La tradizione tecnica dei funzionari delle OO.PP. aveva portato in colonia, fin dai primi approcci, i modelli metropolitani adattati alle condizioni locali. Su tali modelli (che ricalcavano le strutture e la prassi operativa attraverso la quale avevano preso forma i piani di ampliamento delle città post-unitarie) vengono realizzati i nuovi insediamenti. La cultura dello zoning, tipica del disegno classista delle città occidentali – che distingue rigorosamente tra città borghese e città operaia – è perfettamente riscontrabile in questi progetti che riflettono soprattutto la volontà – tipica di ogni cultura emigrata – di creare in situ condizioni ambientali simili quelle della madrepatria. Solo per Asmara tali caratteristiche andarono scomparendo dopo il 1936 quando, sulla scorta dei rivolgimenti successivi alla guerra d’Etiopia, il vecchio insediamento coloniale assunse delle caratteristiche di capoluogo e di centro imprenditoriale, come volevano i progetti governativi che Cafiero si sforzò di tradurre in un piano urbanistico articolato e moderno. Il tipo di architettura attraverso il quale dare sostanza costruita ai nuovi quartieri riflette la cultura dei tecnici trapiantati in colonia e spesso attivi anche come imprenditori. Ciò almeno durante tutti gli anni Trenta, che videro l’apporto di architetti di cultura più vasta agire con una certa continuità di stile. Collocandosi tali avvenimenti a conclusione della stessa vicenda del colonialismo nazionale, è facile capire come la questione di «quel ’900» abbia potuto diventare nel tempo quel caso non risolto nella storia dell’architettura moderna e che da anni attende di essere «collocato». Esso è rappresentato da opere di qualità al servizio di un progetto politico la cui ambiguità resta senza risposte credibili e per di più autoritariamente gestito. Ancora dobbiamo cogliere, perché in parte rimosso in quanto espressione della cultura fascista e in parte per la dispersione degli archivi seguita alla caduta del regime, lo spessore reale e le conseguenze culturali di tale vicenda.


Note 1 Ferdinando Martini (18411928), letterato e uomo politico. Nato a Firenze, visitò la Colonia Eritrea e fu a capo della R. Commissione d’inchiesta sulla colonia del 1891. Governatore della Colonia dal 1897 al 1907 diede grande impulso alle opere pubbliche e all’«avvaloramento» dei terreni incolti. Trasferì la capitale della colonia da Massawa ad Asmara, sul ciglione dell’altopiano; e nella sua politica di oculato amministratore, ebbe un forte impulso soprattutto l’infrastrutturazione territoriale, stradale e ferroviaria. Scrisse il celebre Diario eritreo (Firenze, Vallecchi, 1942-1943), in quattro volumi, e l’altrettanto notissimo Nell’Affrica italiana: impressioni e ricordi, Milano, Treves, 1891. 2 Cesare Spighi, Progetto del Palazzo del Governatore di Asmara, in ARCHIVIO STORICO DIPLOMATICO DEL MINISTERO AFFARI ESTERI, Archivio Eritrea, b. 327 (1899-1904), f. 2 «Progetto palazzo del governatore dell’Eritrea in Asmara». 3 Cfr. la tavola: Piano regolatore per le costruzioni civili da erigersi all’Asmara, s. a. e s.d. (ma presumibilmente opera di militari, ca. 1890-1895), in Archivio storico dell’Università di Bologna, Sezione architettura, Architettura coloniale (fondo non inventariato). 4 Cfr. Architettura italiana d’oltremare, 1870-1940, a cura di G. GRESLERI − P. G. MASSARETTI − S. ZAGNONI, Venezia, Marsilio, 1993 (catalogo dell’omonima mostra alla Galleria d’arte moderna di Bologna, ottobre 1993 – gennaio 1994). Considerato il primo vero tentativo di sintesi per una organica «storia dell’architettura coloniale italiana», il libro affronta per esteso le vicende dalla fase della presa di possesso della colonia alla disfatta della 2a guerra mondiale. A tale opera rinvio per quanto attiene le vicende che vedono coinvolti i governatori Martini e Salvago Raggi nella gestione dei piani regolatori della città dell’altopiano. 5 Su Prost in Marocco e le vicende di questo periodo, cfr. in

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particolare B. B. TAYLOR, Contrasto pianificato. Le moderne città coloniali in Marocco, in «Lotus international. Rivista trimestrale di architettura», 1980, 26 (n. mon: Architettura ibrida/Hybrid architecture), pp. 53-66. 6 F. MARTINI, Nell’Affrica italiana… cit., p. 114. Vedi anche i capp. I, IX, XII, XV. 7 S. ZAGNONI, L’Eritrea delle piccole città, in Architettura italiana d’oltremare, 1870-1940, a cura di G. GRESLERI − P. G. MASSARETTI − S. ZAGNONI, Venezia, Marsilio, 1993, p. 151; le norme citate sono, rispettivamente, il R.D. 30 luglio 1901, n. 259 «Portante concessioni di terreni nella colonia Eritrea a scopo edilizio» (pubblicato nella G.U. 5 ott. 1901, n. 237) e legge 25 giugno 1865, n. 2359 «Espropriazione per causa di pubblica utilità», nel quale si introduceva la facoltà per i comuni di popolazione superiore ai 10.000 abitanti, di redigere un piano regolatore (artt. 86-94). 8 In merito al primo e parziale piano regolatore di Asmara, cfr. «Bullettino ufficiale della Colonia Eritrea», 3 agosto 1902. Odoardo Cavagnari assunse la direzione dei Servizi tecnici della colonia nel 1912 e la mantenne per sei anni. Per tracciare un quadro sintetico ma preciso della sua biografia umana e professionale, si rimanda a G. PUGLIESI, Chi è dell’Eritrea, Asmara, Tipografia Regina, 1953. Negli anni Trenta il Cavagnari, per incarico del Ministero delle colonie, fu invitato in Dancalia a capo di una spedizione esplorativa geologica dell’IGM che concluse, praticamente, la sua carriera. Morì infatti in quell’occasione. 9 TOURING CLUB ITALIANO, Possedimenti e colonie: isole Egee, Tripolitania, Cirenaica, Eritrea, Somalia, a cura di L. V. BERTARELLI, Milano, 1929, pp. 621 e sgg. Assai nutrito il repertorio fotografico disponibile presso l’IsIAO, su quest’Asmara che si stava occidentalizzando; per una descrizione sintetica si rimanda al poderoso lavoro di catalogazione: S. PALMA, L’Africa nella collezione fotografica dell’IsIAO. Il fondo

Eritrea-Etiopia, Roma, IsIAO, 2005; vedi, ad esempio, alle pp. 50-53 l’album fotografico di G. Quattrociocchi, 1a Spedizione della Croce rossa italiana per l’Eritrea, 10 marzo 1895 (IsIAO, vol. 26 Eritrea, pp. 3-9); a p. 260 la raccolta A. Comini (1898-1915), 15/A, Panorama dei centro abitati. Capoluoghi; e alle pp. 317-318 la raccolta G. Salvago Raggi (18901910), 15/A: Panorama dei centro abitati, III: Asmara. 10 Cfr. «La scena illustrata», 1-15 novembre 1920. 11 F. MILIZIA, Principi di architettura civile, Bassano 1804 (poi Milano 1832 e 1852). A. CACCIA, Costruzione, trasformazione e ampliamento delle città: compilato sulla traccia dello stadtebau di J. Stubben: ad uso degli ingegneri, architetti, uffici tecnici ed amministrazioni municipali, Milano, Hoepli, 1915, pp. 291 ss. Egualmente A. PEDRINI, La Città moderna: ad uso degli ingegneri, dei sanitari e degli uffici tecnici di pubbliche amministrazioni, Milano, Hoepli, 1905, pp. 182 e sgg., R. FABBRICHESI, Manuale di urbanistica, vol. II, Padova 1935, che riporta una vasta casistica degli schemi in uso per le città di nuovo impianto. Sulla storia delle città di fondazione si veda J. W. REPS, La costruzione dell’America urbana, Milano, Angeli, 1976 e, per il contesto italiano, R. MARIANI, Fascismo e “città nuove”, Milano, Feltrinelli, 1976. A questi studi è seguita di recente una produzione assai vasta. Ora, in particolare: Città di fondazione e plantatio ecclesiae, a cura di P. CULOTTA – Gi. GRESLERI – Gl. GRESLERI, Bologna, Compositori, 2007. 12 Si veda nota 8. 13 Su tali argomenti, poi, cfr. in particolare il catalogo della mostra Firenze e l’Inghilterra: rapporti artistici e culturali dal XVI al XX secolo, Firenze, Soprintendenza alle Gallerie, Palazzo Pitti, Appartamenti Monumentali, luglio-settem- bre 1971, Firenze, Centro Di, 1971. Sulla questione del «Moresco» in particolare: G. GRESLERI, Rocca moresca di Riola, a cura della Fondazione CaRisBo, Bologna, in corso di stampa.

14 Plans, Elevations, Selections ad Details of the Alhambra from drawings taken on the spot in 1834 by Jules Goury, and in 1834 and 1837 by Owen Jones. With a complete translation of the Arabic inscriptions, and an historical notice of the kings of Granada from the conquest of that city by the Arabs to the expulsion of the Moors, by Pasqual de Gayangos, London 1842-45, voll. 2. Dello stesso O. JONES, The Grammar of Ornament. Illustrated by examples from various styles of ornament, London, Day and son, 1856. 15 Un quadro impressionante di tale situazione anche dal punto di vista delle operazioni compiute dall’esercito nella prima fase della guerra di aggressione dell’Etiopia è fornito con dovizia di dati (tonnellaggio dei materiali trasportati, numero e tipo dei ricoveri, strutture e baraccamenti eseguiti) da F. Dall’Ora, Intendenza in A.O.I., Roma 1937. 16 Cfr. V. Cafiero, Progetto del PRG della città di Asmara – Relazione, Asmara 1938, in ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO (d’ora innanzi ACS), Ministero dell’Africa italiana (d’ora innanzi MAI), b. 106. 17 La grande importanza che la viabilità assume nel piano di Cafiero va messa in relazione con il numero di veicoli presenti ad Asmara, testa di ponte di tutta la rete stradale dell’impero. Nel 1938 vi circolano oltre 50.000 veicoli, uno per abitante, con tutti i problemi che potevano essere ingenerati da un impatto con strutture viarie assai primitive. Si diceva infatti che ci fossero «più semafori ad Asmara che a Roma» e che le compagnie assicuratrici non accettassero polizze che sulla base di premi elevatissimi. Cfr. Verbale della riunione della Consulta coloniale dell’Edilizia e dell’Urbanistica, 6 apr. 1936, Roma 1939, in ACS, MAI, b. 106. 18 Ibidem, e Piano regolatore definitivo di Asmara (documento con l’elencazione degli elaborati spediti dal Ministero al Governo dell’Eritrea), Roma, 10 apr. 1939, in ACS, MAI, b. 106. 19 G. Daodiace, lettera al ministro Teruzzi, Asmara, 17 lug. 1939, in ACS, MAI, b. 106.

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G IULIANO G RESLERI | ASMARA DA CESARE SPIGHI A VITTORIO CAFIERO

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