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2-12-2008
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La casa in colonia: il modello Asmara
ASMARA
LULGHENNET TEKLÈ
Nella prima fase della colonizzazione, che va dal 1889 all’inizio del Novecento, Asmara non si configura ancora come una città, in quanto è essenzialmente un insieme di edifici sparsi e vari nuclei abitativi. La capitale dell’Eritrea è solo la sede burocratica della colonia, anche se dal 1890 sorgono i primi edifici di tipo occidentale che hanno l’aspetto di villini e sono adibiti ad uffici del comando militare. Questi villini si trovano ad ovest del villaggio eritreo, nel luogo dove, all’inizio del secolo, verranno creati i giardini del Palazzo del governatore. Dall’inizio del Novecento, però, prende l’avvio un vero sviluppo edilizio1 e prende corpo il tentativo di far abbandonare ad Asmara l’aspetto di villaggio, per darle un’immagine di capitale. Questa crescita della città, secondo modelli architettonici occidentali2, non segue una ricerca stilistica definita e il risultato è sempre piuttosto discontinuo, ma se si deve individuare una matrice comune si può affermare che è per lo più quella eclettica, con spunti neorinascimentali; infatti: … oltre all’architettura classica troviamo qui diverse ispirazioni, come l’architettura cinese, quella indiana (…) mentre il moresco mediato da elementi goticizzanti resta, iconograficamente, lo stile preferito per quell’edilizia che non deve necessariamente rappresentare lo Stato3.
In Italia, dalla fine degli anni Venti, si avvia un ripensamento sul carattere architettonico da attribuire alle città delle colonie, creando anche dei modelli d’abitazione4. Allo stesso tempo, a partire dagli anni Venti, Asmara avvia il suo processo di mutamento in città «italiana»5. La ricerca di un modello residenziale adatto alle colonie è legata alle informazioni che arrivano dall’Italia, attraverso i nuovi residenti o i cronisti che giungono a visitare la città. Così, quasi improvvisamente, la questione dello «stile» della casa in colonia viene affrontata anche ad Asmara6. Molti degli esempi caratterizzanti le architetture di questa fase edilizia si trovano fra le tipiche ville e villette asmarine dall’aspetto pittoresco, talvolta dall’impianto rinascimentale, ma adornate da torrette, aperture a bifore o trifore e colonne corinzie (si vedano, ad esempio, le foto 4, 7, 9-10). Una delle più cono-
sciute è villa Hamasien, progettata dall’ingegnere Paolo Reviglio nel 1920, poi trasformata in albergo nel 1935 (foto 24). Il suo aspetto, alquanto insolito per l’Africa, ha elementi tipici dell’architettura del nord Europa, come la copertura della torre, rivestita da lastre di ardesia ed estremamente inclinata7. Il 5 maggio 1936 gli italiani entrano ad Addis Ababa. Il 9 maggio Mussolini proclama la nascita dell’impero. Dopo anni di isolamento l’Eritrea, e in particolare Asmara, ricevono un interessamento economico ed edilizio da parte delle istituzioni italiane, che favorisce un repentino sviluppo della colonia, anche se è la capitale etiopica il fulcro della loro attenzione. Comunque è bene ricordare che a usufruire di questo sviluppo sono soprattutto gli italiani. Infatti, vige uno stato di segregazione8 che si ripercuote anche sull’urbanistica e sull’architettura. La città continua ad essere divisa in tre zone: europea, mista e per indigeni. La «colonia primogenita» cessa di essere una lontana provincia italiana: sulla stampa e nei cinegiornali le colonie dell’AOI raggiungono una presenza assidua e sulle pagine della stampa italiana si pubblicano le foto dei nuovi edifici asmarini9; tuttavia queste non sono quasi mai correlate da spiegazioni o citazione dei progettisti, rivelando un atteggiamento che è continuato per tutto il periodo della colonizzazione e che condiziona la conoscenza e la comprensione dell’architettura della città. L’imperativo che coinvolge tutta la città, a partire dalle istituzioni pubbliche ai privati, è quello di costruire una «nuova» Asmara (un esempio di questa tendenza è la demolizione e ricostruzione di palazzo Minneci, foto 22-23). Nel giro di tre anni la zona europea raddoppia la sua estensione allargandosi verso sud10. Ciò che più meraviglia è sia la velocità di queste operazioni, sia il modo e lo stile scelto per la «nuova Asmara», poiché, abbandonate quasi totalmente le facciate rosso mattone, si ridisegna una città dalle linee semplici e razionali in totale affinità con lo spirito del tempo. Se nella prima fase coloniale gli architetti non si erano inseriti realmente nel processo costruttivo delle colonie, dal 1936 la costituzione dell’impero offre loro l’occasione di proporre fuori dall’Italia la questione della definizione di un’ar-