Le Marche e l’Oriente GHERARDO GNOLI
Ancora oggi, agli inizi del III millennio, e in contingenze politiche internazionali che lo imporrebbero, continua a sfuggire il ruolo che storicamente ha avuto l’Italia nell’incontro con l’Oriente. Anzi, si è spesso pronti a disconoscerne il valore, inclini, per ignoranza, per pregiudizio o per sentito dire, a riconoscere piuttosto ad altre nazioni europee, e massimamente a quelle che crearono imperi coloniali in Asia, un primato in tal senso. Gli Italiani, invece, da missionari, viaggiatori o studiosi, hanno avuto prima e più di altri una funzione centrale nell’incontro con le civiltà dell’Asia: da mediatori pacifici e spesso eroici, non condizionati da prospettive di potere o meramente mondane, ma sorretti o dalla forza di una fede da propagare o dall’inesauribile interesse – caratteristica peculiare della nostra gente – per sempre nuove e diverse conoscenze. Insomma, non si trattò mai, come ebbe a scrivere Giuseppe Tucci, «di conquiste avventurose e rapaci, ma di un generoso ed illuminato scambio di cultura, confortato da un vivo senso di umana comprensione» 1. Come si è detto, l’attenzione italiana per l’Oriente si è espressa essenzialmente in tre direzioni, non in contrasto tra di loro ma spesso mirabilmente coincidenti nel fine ultimo di conoscere ed essere conosciuti: l’attività missionaria; l’ardimento dei viaggi – per la mercatura, per apprendere o insegnare l’arte nostra, per esigenze scientifiche; e infine, dapprima subordinata alle altre due, poi affermatasi quale disciplina autonoma, la scienza orientalistica italiana, la quale, fin dagli esordi, si distinse per vivezza di approccio, per tendenza assimilatrice, quasi mai per astratto filologismo. 1 G. Tucci, Italia e Oriente, a cura di F. D’Arelli, Roma, Il Nuovo Ramusio, 2005 (1ª ed. 1949), p. 14.
1