I STI TU TO P ER I BENI ARTISTIC I C ULTUR ALI E NATU R ALI D E LLA R EGI ONE E MI LI A-ROMAG N A
Il Pomario della Villa
IST IT U TO PER I BENI A RTISTICI CULTURA L I E N ATURA L I DE L L A REG I O N E E M I L I A- RO M AG N A
Il Pomario della Villa IL POMARIO STORICO DI VILLA SMERALDI
a cura di Rosella Ghedini
CITTÀ METROPOLITANA DI BOLOGNA
ISTITUZIONE VILLA SMERALDI Museo della Civiltà Contadina
Progetto grafico e impaginazione Monica Chili Coordinamento editoriale Carlo Tovoli Ufficio Stampa IBC Valeria Cicala, Carlo Tovoli Editoria IBC Isabella Fabbri
Con il contributo del Circolo fotografico "Punti di Vista"
© 2017 Istituto Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna. Tutti i diritti riservati Via Galliera 21, Bologna www.ibc.regione.emilia-romagna.it ISBN 9788897281665
In copertina Fiori di pero var. San Giovanni, fotografia di Rosella Ghedini
Indice UN MUSEO A CIELO APERTO Dede Auregli - Direttore Istituzione Villa Smeraldi Museo della Civiltà Contadina IL POMARIO STORICO DI VILLA SMERALDI Silviero Sansavini - Emerito, Università degli Studi di Bologna UN’OASI PER LE ANTICHE VARIETÀ FRUTTICOLE LOCALI Rosella Ghedini - IBC
7
14
23
BIODIVERSITÀ IN CAMPO AGROALIMENTARE Duccio Caccioni - Direttore Marketing e Qualità, Centro AgroAlimentare di Bologna (CAAB scpa)
41
LE BELLEZZE DEL POMARIO Rosella Ghedini - IBC
48
Schede fotografiche delle varietà POMONA DEA DEL POMARIO Una divinità "a chilometro 0" Elisabetta Landi - IBC
57 154
IL NOME (E IL COGNOME) DEI FRUTTI Carlo Tovoli - IBC
160
#ILOVEPOMARIO Dal Pomario con amore Protagonisti, pensieri, esperienze, ricordi
169
SCATTI DAL POMARIO - FotografiAMO il Pomario Selezione di scatti dall'archivio fotografico del Pomario a cura di Rosella Ghedini - IBC
187
IL PROGETTO FOTOGRAFICO Artistigando - Circolo Punti di Vista
200
ELENCO DELLE VARIETÀ di Silviero Sansavini - Emerito, Università degli Studi di Bologna
204
GLOSSARIO
212
RINGRAZIAMENTI
220
Foto R. Ghedini
Un museo a cielo aperto Dede Auregli
Direttore Istituzione Villa Smeraldi Museo della CiviltĂ Contadina
I
Il parco di Villa Smeraldi, San Marino di Bentivoglio (BO) (foto R. Ghedini)
8
n un Museo della Civiltà Contadina così ampio per numero di macchinari e oggetti raccolti da centinaia di appassionati, collezionisti, ex contadini, e per spazi a disposizione – quasi dieci ettari tra Parco storico e campi coltivati e cinque edifici – non poteva mancare anche una ricca collezione/testimonianza dei frutti antichi, un Pomario storico. Molti ci chiedono che cosa sia un Pomario, parola colta e desueta nel linguaggio della quotidianità, il nostro frutteto “antico” perché, pur essendo composto solo da alberi ancora piuttosto giovani, si tratta di ben oltre centocinquanta varietà di pomacee e drupacee – circa 500 alberi di ciliegie, albicocche, susine, pesche, prugne mele e pere – antiche, ormai rare, della pianura bolognese ed emiliana, ma che venivano coltivate anche in molte altre zone.
Le varietà, che sono state qui riunite, erano diffuse nei mercati cittadini alcuni secoli fa e fino a molta parte del Novecento. Erano frutti che oggi diremmo a km zero, comunque appaganti, disponibili appunto solo nella stagione di maturazione (con la sola possibilità della “serbevolezza”, cioè della conservazione più duratura possibile) e possedevano intensi sapori e profumi che non sempre oggi riusciamo a trovare nei frutti disponibili attraverso le catene distributive e commerciali. Di qui la volontà di recupero e quindi di rimessa in coltura dei frutti giunti fino a noi, per ricavarne prodotti strettamente legati al territorio, soprattutto con l’intenzione di renderli a tutti gli effetti un “Museo all’aria aperta” dove le scuole e il pubblico dei visitatori di ogni età possono seguire l’evoluzione di gemme-fiori-frutti nelle differenti stagioni vegetative con l’osservazione guidata e con laboratori e attività didattiche che vengono a completare i percorsi educativi consolidati nella mostra-laboratorio all’interno della Villa. Un Museo all’aria aperta e dunque stagionale, quasi un ossimoro in realtà, perchè “vivo” e in costante evoluzione e cambiamento. Non solo, ma abitato da altri esseri viventi, o anche solo “frequentato”, che si tratti di uccelli golosi dei frutti maturi, di insetti utili alla fecondazione dei fiori, e benvenuti, o dannosi per le piante e il raccolto, o di funghi (purtroppo questi soprattutto nella forma di “malattie” degli alberi). Il Museo ha inteso far conoscere e, direi, toccare con mano tutto questo, perciò accanto alle tradizionali proposte didattiche, come i laboratori aventi per tema le api e il miele, ne ha inventate delle nuove, con una speciale attenzione al mantenimento e alla conoscenza della biodiversità, alcune di queste insieme al Laboratorio dell’Insetto di S. Giovanni in Persiceto. Sono stati realizzati nuovi appuntamenti per le Domeniche al Pomario incentrati sulla conoscenza di questo grande patrimonio
Scolaresca in visita al Museo della Civiltà Contadina (foto R. Ghedini)
9
Torre della Villa vista dal Pomario (foto R. Ghedini)
10
genetico, dei diversi insetti che lo abitano, sull’osservazione dei fiori, e dei frutti, compreso l’assaggio e lo scambio di ricette. Prima, però, ci siamo chiesti se ci fosse un modo particolare per attirare le persone alla conoscenza di questo universo di vita e una risposta utile ci è venuta circa tre anni fa dall’idea del crowdfunding che stava diffondendosi anche dalle nostre parti con un certo successo. Ci siamo rivolti perciò ad una nota piattaforma di raccolta fondi on line, quella delle Idea Ginger che aveva ottenuto un grande risultato per il portico di San Luca, e con la collaborazione del servizio Comunicazione della Città Metropolitana di Bologna abbiamo realizzato una sorta di logo/immagine guida, un alberello ricco di verdi foglie (che cambiano colore nell’autunno) e di rossi frutti a forma di cuore e ci siamo inventati come formula/hastag #ILOVEPOMARIO offrendo la possibilità di adozione di uno o più alberi per un anno da parte di chiunque. Questo non tanto e non solo per raccogliere denaro sufficiente alle tante e diversificate cure necessarie per il mantenimento in buona salute degli alberi, che non abbiamo mai tralasciato, per quanto possibile, di fare con la massima cura, anche attirando gli insetti pronubi con l’impianto di piccole siepi ed aiuole contenenti piante gradite a questi infaticabili “operai” impollinatori. Infatti la spinta è venuta soprattutto dall’intenzione di avvicinare le persone, perché sentissero come loro i giovani alberi e di conseguenza fossero maggiormente incuriosite e portate a desiderare di conoscere o di aumentare le loro conoscenze in materia. Moltissimi gli adottanti – hanno adottato le mamme (o i papà) per i figli, i nipoti per i nonni, e viceversa, gli innamorati, i singoli per se stessi, gruppi di colleghi e gruppi scolastici... – e per ringraziarli abbiamo realizzato una targhetta con i nomi e il cuore (love) accanto ai “loro” alberi, offerto
Sullo sfondo: gadgets della campagna #ILOVEPOMARIO (foto R. Ghedini)
Sopra: la guida del Museo della CiviltĂ Contadina A destra: laboratorio per bambini
Gelato al gusto di pesca (Gelato Museum Carpigiani) (foto R. Ghedini)
12
alcuni laboratori dedicati e gadget come calamite e shopper di tela, andati a ruba. Per invogliare all’adozione sempre più persone, abbiamo pensato di arricchire l’offerta laboratoriale ed esperienziale chiamando anche alla raccolta collettiva dei frutti in più occasioni, con l’assaggio guidato delle diverse varietà, il confronto e il commento sulle caratteristiche organolettiche e, perfino, con una riuscitissima partnership con il Gelato Museum di Carpigiani di Anzola dell’Emilia (BO) che ha realizzato, con la frutta raccolta nel Pomario, ben sette portate diverse da quelle ghiacciate via via fino all’abbinamento freddo/caldo. Tutto è stato riccamente documentato dalle foto scattate da molti e postate sulle pagine FaceBook del Museo (https://www.facebook.com/pg/Museo-della-CiviltàContadina-Bentivoglio). Tante sono state le iniziative messe in campo in questi pochi anni realizzate anche e soprattutto grazie alla collaborazione e all’apporto concreto di molti, singoli o gruppi, di volontari, di colleghi della Città Metropolitana di Bologna, dell’Azienda Agraria dell’Università di Bologna, della Regione Emilia-Romagna e del suo IBACN. Un’iniziativa, in particolare, va ricordata perché è la prima ragione di questo volume: il progetto “scatti dal Pomario” che abbiamo anche chiamato FotografiAMO il Pomario, per coerenza e continuità con #ILOVEPOMARIO. Nel 2015 Rosella Ghedini, che cura questa pubblicazione, collaborava con grande competenza al benessere e alla promozione del nostro frutteto e, essendo appassionata di fotografia, ha dato vita al progetto con il coinvolgimento di un gruppo di fotografi del territorio, Artistigando, per scattare immagini del frutteto in ogni epoca vegetativa. Il database di belle immagini di alta qualità raccolte in questo modo costituisce un vero tesoro di testimonianza e di potenzialità di utilizzo a fini divulgativi e promozionali, tanto che ha suggerito poi all’IBACN la possibilità di una loro pubblicazione. A questo proposito, credo di poter dire, restando in tema, che questo ne è il frutto migliore.
Il laghetto del parco (foto R. Ghedini)
Filari di ciliegio (foto R. Ghedini)
Il pomario storico di Villa Smeraldi Silviero Sansavini
Emerito, UniversitĂ degli Studi di Bologna
Rivivono a Villa Smeraldi le antiche varietà di frutta native, portatrici di forme, colori e sapori andati perduti
B
ologna vanta un primato non a tutti noto: il retaggio storico del mantenimento e della rappresentazione degli alberi da frutto, allevati nei Pomari, un tempo frequenti nei broli del contado e nei giardini delle ville patrizie. La Pomologia, scienza della frutta, nell’arco di almeno 500 anni, ha lasciato a Bologna straordinarie testimonianze: il Pomario di Villa Smeraldi è soltanto l’ultima, performante testimonianza di questa tradizione. Una sorta di catalogo sistematico degli alberi da frutto che rimandano agli standard qualitativi di cinquanta-cento anni fa. L’Università di Bologna ha dato, nel tempo, un grande contributo allo sviluppo della Pomologia, da Filippo Re ad A. Bertoloni e ad E. Baldini, che a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, ha riportato in primo piano a Bologna ricerche e studi pomologici di interesse nazionale. L’Azienda Sperimentale Universitaria di Cadriano ospita, ancora oggi, collezioni di piante da frutto, in particolare di mele (2500 accessioni) e di pere (160 accessioni), costituite da un arco di moderne e antiche varietà locali sopravvissute, queste ultime, all’erosione genetica e all’abbandono colturale, ma espressione viva del germoplasma frutticolo giunto fino a noi, e quindi, potenzialmente utilizzabile come “banca genica” per il futuro. A San Marino di Bentivoglio, presso l’istituzione di Villa Smeraldi, è provvidenzialmente sorto (1979-80) il “Museo della Civiltà Contadina” che racconta visivamente,
Mazzetto di pere differenziato per la crescita: var. Curato (foto Punti di Vista)
15
Corolla fiorale di melo Durello di Ferrara (foto Punti di Vista)
16
con oggetti ed attrezzi del tempo, la storia dell’agricoltura bolognese, a cominciare da grano e canapa. Il fascino ed i meriti di Villa Smeraldi, afferente alla Città Metropolitana di Bologna, indusse l’allora Dipartimento di Colture Arboree a collaborare all’allestimento museale di un settore permanente dedicato alla frutta (“La frutta si conosce mangiandola. Storia e sapori dei frutti dell’Emilia Romagna”, 2005) e qualche anno dopo ad istituire, accanto al Parco della Villa, un Pomario con specifiche finalità, rivolte alla diffusione delle conoscenze delle antiche varietà, specialmente dei
loro requisiti qualitativi: un messaggio questo, didattico-informativo con una valenza culturale per l’intera comunità territoriale, per le scuole, gli appassionati in visita al Museo ed al Parco, e comunque diretto ad un pubblico consapevole dell’importanza del recupero di questo segmento di biodiversità vegetale locale, a rischio di essere perso e dimenticato. D’altra parte, il Pomario assolve anche ad altri compiti propri e per loro natura scientifici, per esempio, per condurvi studi fenotipici di comparazioni varietali (es. monito-
Meli in fiore al 3° anno dall'impianto. Si notino i tubi per l'irrigazione localizzata (foto R. Ghedini)
17
18
Mazzetto di mele prima dell'allegagione, var. Durello di Ferrara (foto Punti di Vista)
raggi di fioritura, allegagione e maturazione, suscettibilità a malattie delle singole varietà, ecc.). Creato per il pubblico, è a disposizione per visite guidate, per gli assaggi periodici dei frutti in corrispondenza della scalarità di maturazione e quindi per tutta la stagione. Il Progetto Pomario, coordinato e finanziato dalla Provincia di Bologna, fu realizzato fra il 2011 e 2013, contiene 196 varietà appartenenti a 10 specie di fruttiferi (3 alberi per varietà). Più frequenti sono mele, pere e pesche, con una cinquantina di varietà ciascuna. Questi frutti non sono più reperibili nei mercati di oggi – perché non corrispondenti alle esigenze della moderna frutticoltura – ma solo in mercatini periferici di nicchia, talvolta nei “farmer market” contadini. Sono frutti raccolti in piccole oasi di coltivazioni collinari e montane, oppure derivano dai “patriarchi” di melo e di pero, alberi quasi centenari isolati o sparsi in aree semi-abbandonate. Conservano in ogni caso, almeno agli occhi dei consumatori anziani, un loro “appeal sentimentale” del tipo “i frutti di quando eravamo giovani erano più buoni”. Va detto fra l’altro che la loro condanna commerciale non è necessariamente legata alle loro caratteristiche qualitative o di tenuta di maturazione (es. mele), che in taluni casi sono uniche e sorprendentemente gradevoli, bensì essenzialmente all'estetica. A volte i frutti hanno polpa tenera e deliquescente come le antiche pesche bianche, verdastre e profumate o magari facilmente soggette alle ammaccature, come avviene in certe pere. Dunque, meritano di essere conservate, fatte conoscere, anche perché sono portatrici di altri caratteri trascurati dal breeding recente (per es. adattabilità ambientale e tolleranze ad avversità biotiche), che potrebbero essere utili per il futuro miglioramento genetico.
Melo Rosa Locale (foto R. Ghedini)
19
20
Pere estive precoci, cv San Giorgio, nella fase di allegagione (foto Punti di Vista)
La Regione Emilia-Romagna, d’altra parte, è diventata da tempo la grande alleata nel recupero della “biodiversità” e quindi anche dei valori rappresentati dalle antiche varietà di fruttiferi, tanto che con proprio provvedimento (num. 8396 del 2012) ha riconosciuto una decina di siti (pubblici e privati), quali conservatori “ex situ” di oltre 350 varietà, di cui 85 iscritte al “Repertorio volontario regionale delle risorse genetiche agrarie” (ancorché parecchie delle quali siano ripetute). Già in precedenza però, con la legge 1/2008 (una delle prime in Italia) per la “tutela delle razze e varietà locali”, la Regione aveva costituito il “Repertorio volontario regionale delle risorse genetiche agrarie”, consentendo ed incentivando Enti pubblici e privati impegnati a mantenere in vita gli alberi e le antiche varietà scomparse, al fine di “garantirne un uso durevole”. Il Pomario, dunque è anche un bene pubblico, un giacimento genetico da esplorare con le nuove tecnologie molecolari, una sicura risorsa per il futuro. Bene ha fatto l’Istituto per i Beni Culturali e Naturali della nostra Regione a curare la stampa del volume che dimostra come la salvaguardia e la valorizzazione della “biodiversità” abbia un forte legame con lo sviluppo della civiltà rurale e con le radici identitarie, culturali, della popolazione emiliano-romagnola.
Giovani mele var. Dominici (foto Punti di Vista)
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Sansavini S., Grandi M., 2012. ANTICHI SAPORI NEL POMARIO. In “Biodiversità in agricoltura” – IL DIVULGATORE, Bologna, 11-12 : 40-51 – 2011. Sansavini S., 2013. Catalogo del Pomario di Villa Smeraldi. Schede pomologiche. Con la collaborazione di S. Tartarini, V. Ancarani, M. Grandi. Ed. Dip. Scienze Agrarie, Univ. di Bologna, pp 73. 21
SPECIE DI ALBERI DA FRUTTO PRESENTI NEL POMARIO
22
NOME SCIENTIFICO
NOME COMUNE
Prunus persica
Pesco e Percoche
P. persica var. nuci persica Schen. e var. laevis Gray
Antiche pesche noci
Prunus armeniaca
Albicocco
Prunus avium
Ciliegio dolce
Prunus cerasus Prunus cerasifera
Ciliegio acido (amarena e visciola) Mirabolano
Prunus domestica
Susino europeo (prugne)
Prunus salicina (giapponese) x P. simonii (cinese)
Susini cino-giapponesi ibridi
Malus x domestica
Melo
Pyrus communis
Pero
Le mele del Pomario (foto R. Ghedini)
Un’oasi per le antiche varietà frutticole locali Rosella Ghedini IBC
N
egli ultimi 20-25 anni la comunità internazionale si è impegnata per promuovere la tutela delle risorse agricole locali, delle comunità rurali che le coltivano e degli ecosistemi naturali. È diventata una consuetudine parlare di “biodiversità” non solo per gli ambiti naturali ma anche in riferimento ai contesti agricoli. Si parla di “biodiversità agricola”, cioè della varietà genetica delle piante che coltiviamo e degli animali che alleviamo. Quello della biodiversità è un tema importantissimo, fondamentale per la stabilità della natura e per la sicurezza alimentare. È salito alla ribalta con la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente tenutasi a Rio De Janeiro nel 1992, in occasione della quale è stata approvata la Convenzione sulla diversità biologica; da quel momento la conservazione della biodiversità e la ripartizione equa dei benefici che ne derivano dal suo utilizzo da parte dell’uomo sono diventati obiettivi prioritari per tutti i paesi aderenti; tutti sono impegnati per prevenirne e combatterne la perdita. Cosa significa il termine “biodiversità”? Deriva dalla fusione in una sola parola dell’espressione “diversità biologica”, da “bios”, che significa vita, essere vivente e “diversità”. Andiamo alla fonte; il testo stesso della convenzione di Rio de Janeiro recita: “L’espressione ‘diversità biologica’ significa la variabilità degli ecosistemi viventi di ogni origine, compresi inter alia (tra gli altri) gli ecosistemi terrestri, marini ed altri ecosistemi acquatici, ed i complessi ecologici di cui fanno parte; ciò include la diversità nell’ambito delle specie, e tra le specie degli ecosistemi”. La biodiversità è quindi l’insieme di: – tutte le specie presenti sulla terra: animali (uomini compresi), piante, funghi, alghe, batteri e qualsiasi altra forma di vita esistente; – tutte le differenze, derivanti dalla variabilità genetica, presenti tra gli organismi di ogni singola specie: forme, dimensioni, colori, capacità, resistenze e fragilità; – tutti gli ecosistemi, le specie che li abitano e le interrelazioni esistenti tra di essi.
24
La conservazione della biodiversità è l’elemento fondamentale per il mantenimento del pianeta e di tutte le sue forme di vita. La biodiversità per antonomasia è quella dei sistemi naturali, incontaminati, spontanei, delle foreste, degli oceani, di tutti gli ambienti naturali esistenti sul pianeta.
Larva di coccinellide su mela Fogliona (foto Punti di Vista)
25
Ciliegio Gemella (foto Punti di Vista)
Oggi la maggior parte della superficie terrestre è interessata da attività umane, in gran parte agricole; in questi ambiti non esiste più un equilibrio naturale degli ecosistemi. Ogni campo coltivato resta comunque un insieme di forme di vita, dove sussiste un’evoluzione della biodiversità in esso contenuta che però non è più spontanea ma fortemente condizionata dall’uomo. Come tutte le attività umane anche l’agricoltura tende inevitabilmente a ridurre la biodiversità naturale; i progressi tecnologici dell’ultimo secolo in particolare hanno indotto lo sviluppo su larga scala dell’agricoltura industriale o intensiva; è un sistema di produzione agricola che assomiglia alla fabbrica: tende a sfruttare al massimo la capacità produttiva del terreno, di piante e animali, per ottenere grandi rese di prodotto in poco tempo e a costi bassi. Per ottenere questo risultato servono tante risorse, per esempio in termini di acqua per l’irrigazione, e significativi apporti chimici (fertilizzanti, antiparassitari, diserbanti); per velocizzare le lavorazioni si utilizzano potenti attrezzature meccaniche; si coltivano poche varietà rigorosamente selezionate. Ne consegue una fortissima semplificazione del contesto agricolo e quindi una riduzione ai minimi termini della biodiversità. Esistono e si stanno diffondendo forme di agricoltura meno impattanti per l’ambiente, riconducibili all’“agricoltura sostenibile”; hanno l’obiettivo di ridimensionare il più possibile l’impatto sull’ambiente riducendo l’impiego di sostanze chimiche, scegliendo varietà meno esigenti e delicate, adottando meto-
Susino Morettini 355 (foto Punti di Vista)
27
dologie produttive che rispettano maggiormente l’ambiente; ne consegue una ricaduta in termini di biodiversità che aumenta rispetto a quella ridotta ai minimi termini dell’agricoltura industriale; sia per quanto riguarda le produzioni che si ottengono; sia per la biodiversità indotta, cioè per l’insieme degli organismi animali e vegetali selvatici che ritrovano spazi accoglienti per vivere all’interno e nei dintorni dei campi coltivati dai quali erano stati in gran parte banditi dall’agricoltura intensiva. La conservazione della biodiversità rimane un obiettivo primario; innanzi tutto perché è alla base del mantenimento della vita sulla terra; inoltre perché da essa derivano tutte le utilità fondamentali per la nostra vita; dalla disponibilità di cibo e di acqua, alla disponibilità di materie prime necessarie per molteplici attività (per produrre abiti, medicinali, per il riscaldamento, per le infrastrutture), dal funzionamento ed equilibrio degli ecosistemi in cui viviamo (clima, disponibilità idrica, qualità dell’aria, fertilità del suolo, malattie), alla qualità anche immateriale della nostra vita (paesaggio, salute, dimensione culturale, spirituale, identitaria, ricreativa). Pereto in fiore (foto R. Ghedini)
28
Anche l’uomo è una specie che interagisce con l’ecosistema in cui vive, e lo fa pesantemente. Con riferimento al campo coltivato è più corretto parlare di “Agroecosistema”; e ai termini “biodiversità” e “risorse genetiche” si possono sostituire quelli più specifici di “Agrobiodiversità” e di “risorse genetiche agrarie”. “L’agrobiodiversità, come specificato nel sito della Regione Emilia-Romagna alla pagina http://agricoltura.regione.emilia-romagna.it/agrobiodiversità/temi/ agrobiodiversità, è il frutto della combinazione unica e irripetibile tra il processo di selezione naturale operato dall’ambiente e quello di selezione artificiale messo in atto dall’uomo nel corso dei secoli. Tale processo ha portato all’evoluzione di moltissime varietà vegetali e razze animali che localmente si sono adattate alle condizioni ambientali e alle esigenze culturali, comprese quelle imposte dai mercati”. È sul rischio di perdita di variabilità genetica o “erosione genetica” che differiscono in modo sostanziale la biodiversità naturale dall’agrobiodiversità; se per la prima l’erosione genetica può essere frenata limitando le attività antropiche nell’ecosistema; nell’agroecosistema invece vale il principio opposto; se c’è abbandono della coltivazione delle varietà da preservare la variabilità genetica dell’agroecosistema si riduce o si perde.
Filare di peri (foto R. Ghedini)
29
Ecco quindi l’importanza di agire per conservare questo patrimonio. Nel 2001 è stato approvato il Trattato FAO sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura; stabilisce l’importanza della tutela delle risorse agricole e dell’affermazione dei diritti degli agricoltori, facendo specifico riferimento alla necessità di censire e inventariare le risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura. La Regione Emilia-Romagna con la Legge Regionale n. 1/2008 ‘Tutela del patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario del territorio emiliano-romagnolo’ ha stabilito una strategia per conservare l’agrobiodiversità regionale sia vegetale che animale tramite una pluralità di strumenti tra cui: – il Repertorio regionale delle risorse genetiche agrarie tutelate, nel quale sono contenute e opportunamente catalogate le razze e le varietà ritenute a rischio di estinzione; – la Banca del germoplasma, cioè luoghi appositamente selezionati dove conservare le risorse genetiche ex situ, cioè al di fuori del campo coltivato; – coltivazioni in situ, cioè presso “agricoltori custodi”, persone, aziende ed enti che volontariamente si rendono disponibili per conservare nei territori d’origine le varietà e le razze locali iscritte nel repertorio e garantirne un uso durevole. Oltre alla L.R. 1/2008 la Regione Emilia-Romagna ha finanziato iniziative non solo per la tutela delle risorse biogenetiche agrarie regionali ma anche per favorirne il ritorno in produzione. In particolare all’interno del Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013 l’Asse 2 con la Misura 214 “Interventi agroambientali” prevedeva anche l’azione 7 “Progetti comprensoriali integrati” rivolta alle Province per progetti specifici finalizzati alla tutela, salvaguardia e catalogazione della biodiversità, prevedendo l’attivazione di progetti regionali per la conservazione ex situ di varietà e razze iscritte al repertorio regionale. È nell’ambito di queste iniziative che è nato il pomario storico di Villa Smeraldi con il fondamentale supporto del Dipartimento di Coltivazioni Arboree dell’Università di Bologna e del Settore Agricoltura della Provincia di Bologna. Non si tratta di un frutteto nel senso classico del termine. Nel frutteto le piante arboree da frutto sono normalmente tutte uguali, cioè appartengono tutte alla stessa varietà, oppure ad alcune, poche varietà disposte nel 30
Fiori di Prugna di Lentigione (foto Punti di Vista)
campo per appezzamenti o comunque per filari con piante della stesso tipo. Nel pomario storico di Villa Smeraldi sono state raccolte in uno stesso campo oltre 190 diverse varietà di mele, pere, pesche, susine, albicocche e ciliegie, distribuite sulle file a gruppi di 3 piante per ogni varietà. Si tratta di una collezione, un campo catalogo della ‘diversità frutticola tradizionale’ del nostro territorio. Il patrimonio varietale frutticolo tradizionale della Regione Emilia-Romagna in passato era ricchissimo; e ciò vale ugualmente per tutto il territorio italiano. Le varietà antiche venivano selezionate con criteri diversi rispetto a quelli della frutticoltura moderna; le esigenze erano diverse; la frutta era destinata principalmente all’autoconsumo o ad una distribuzione locale; quindi la dimensione e l’aspetto estetico del frutto erano meno importanti di altre caratteristiche quali per esempio la scalarità di maturazione e la lunga conservabilità della frutta durante i mesi invernali; le risorse disponibili per la concimazione e per la difesa delle piante erano ridotte; quindi erano molto più importanti di oggi le caratteristiche di buona adattabilità alle condizioni specifiche dei singoli luoghi di coltivazione, suolo e clima, e di resistenza alle malattie. Col tempo il progredire delle tecniche agricole e le esigenze di mercato più stringenti hanno portato ad una forte selezione tra le varietà 31
Fiore di mela Renetta con polline sparso per la visita di insetto impollinatore (foto R. Ghedini)
esistenti privilegiando quelle di elevata produttività, con dimensioni del frutto grandi e aspetto invitante per l’occhio del consumatore, a costo di penalizzare a volte il sapore e l'aroma dei frutti. In questo modo sono state selezionate le poche varietà con caratteristiche adatte per la grande distribuzione e ne sono state introdotte di nuove o provenienti da altre parti del mondo. Oggi c’è un rinnovato interesse per la conservazione del grande patrimonio rappresentato dalle antiche varietà frutticole locali; ma non tutte le varietà sono state recuperate o lo potranno essere; molte sono già andate perdute e quelle ancora disponibili sono a rischio di scomparsa perché spesso sopravvivono solo poche piante e in contesti in genere di abbandono; la loro conservazione diviene quindi urgente e importantissima in quanto potrebbero essere utili sia a supporto dello sviluppo di un’agricoltura più sostenibile, con minore esigenze di concimazioni e trattamenti e sbocchi commerciali alternativi alla grande distribuzione; sia per trovare soluzioni a problemi dell’agricoltura tradizionale, permettendoci di recuperare da esse caratteristiche di rusticità quali resistenza a malattie e adattabilità a condizioni pedoclimatiche difficili. Le varietà reintrodotte nel pomario storico di Villa Smeraldi sono varietà antiche, che venivano coltivate nel territorio della Regione Emilia-Romagna nei secoli passati o almeno per buona parte del ‘900; o quantomeno erano disponibili sul mercato locale; nell’arco degli ultimi 40-50 anni sono a poco a poco scomparse dai campi e dal mercato in conseguenza dell’affermazione della frutticoltura industriale e del diffondersi in maniera massiccia di sistemi di commercializzazione su larga scala. Le varietà antiche producevano spesso frutti molto buoni, con sapori e profumi particolari e variegati; erano solitamente disponibili solo nella specifica stagione di maturazione; ma poiché le diverse varietà erano caratterizzate da una grande scalarità dell’epoca di raccolta, si poteva disporre di frutta fresca pronta al consumo per un periodo lunghissimo dell’anno, a partire da maggio con le ciliegie
Mele var. Rosa Mantovana (foto Punti di Vista)
33
Pescheto in inverno (foto R. Ghedini)
34
piÚ precoci fino a tutto l’inverno con le mele e le pere tardive invernali, che tra l’altro si conservavano per diversi mesi a raccolta avvenuta. E dopo era ancora possibile consumare frutta: quella che era stata trasformata e conservata con varie tecniche in marmellate, succhi, frutta sciroppata. Oggi grazie ai moderni sistemi di conservazione della frutta si trovano sul mercato sempre le stesse varietà di mele, o di pere; quelle poche che sono state selezionate per la loro bellezza, pezzatura e resistenza alle manipolazioni e alla conservazione prolungata; sono poche varietà , quelle preferite dal consumatore di massa e
funzionali alla grande distribuzione, sempre le stesse che possiamo trovare in vendita durante tutto l’anno. Abbiamo perso una grandissima varietà di frutta e con essa tutta una vasta gamma di caratteristiche sempre diverse e originali, che sono importanti non solo per la memoria dei frutti del passato e del sapere antico collegato alla loro coltivazione, da conoscere in un’ottica storica; ma anche per l’interesse e l’utilità relative alla specificità genetica, merceologica ed ecologica, finalizzata alla conservazione della diversità in campo agricolo e alimentare. Un tempo le varietà di mele disponibili nell’arco dell’anno erano tante, molto più numerose di quelle che oggi possiamo acquistare nei supermercati; nel pomario ne sono rappresentate una cinquantina di varietà, a partire da quelle che maturano già ad agosto fino alle numerose che maturano in inverno; queste ultime caratterizzate da una prolungata tenuta di maturazione, per diversi mesi ancora dopo la raccolta. Analogamente le varietà di pere coltivate in passato erano molto più numerose di quelle di oggi, e forse più numerose anche di quelle delle mele; nel pomario ne sono state recuperate una quarantina; tante varietà maturavano già in estate ed erano molto apprezzate per il sapore e gli aromi. Le pere che possiamo mangiare oggi appartengono a pochissime varietà, quasi tutte di origine straniera. Stesso discorso si può fare per le pesche, diverse decine presenti nel pomario; si può notare come, rispetto al passato, è vistosa la scomparsa quasi totale delle antiche pesche bianche, un tempo molto diffuse, buonissime e molto aromatiche, ma di difficile conservazione e quindi meno adatte alla grande distribuzione. L’obiettivo a lungo termine di questa collezione di antiche varietà frutticole consiste, oltre che nella conservazione e conoscenza delle stesse, anche nel tentativo della loro rimessa in coltura, per ottenere produzioni di nicchia, con una precisa connotazione locale e temporale legata ai tempi di maturazione, per disporre di frutti portati a piena maturazione e quindi alla completa espressione del sapore e degli aromi specifici, più sani in quanto non sottoposti a pratiche di conservazione prolungata e prodotti da piante tendenzialmente più rustiche e più resistenti alle malattie, quindi in genere meno bisognose di trattamenti antiparassitari. Le varietà frutticole antiche conservano in varia misura fattori di resistenza alle avversità climatiche (temperature, disponibilità idriche) e alle malattie, perché 35
Fioritura di pesco var. Sbergia tardiva (foto R. Ghedini)
37
ogni antica varietà locale rappresenta la risposta evolutiva ad uno specifico contesto locale, che ha portato alla selezione di piante adatte, robuste, rustiche e poco esigenti; caratteristiche che ne hanno permesso la sopravvivenza fino a noi. Ci potrebbero quindi offrire prodotti adatti per i mercati locali, ma non solo, e per particolari circuiti commerciali (Slow food, Km. 0, biologico, prodotti tipici, marchi come DOP e IGP, ecc.). La conservazione delle antiche varietà frutticole è anche un’attività di tipo culturale; i frutti antichi sono entità culturali; ogni frutto, ogni varietà, deriva da un lunghissimo, paziente, secolare, impegno dei contadini delle nostre terre che hanno operato con costanza e per generazioni una precisa selezione tra le piante privilegiando le caratteristiche migliori – forme, sapori, profumi, produttività, rusticità, serbevolezza, adattabilità al terreno e al clima – e hanno individuato le pratiche più adatte alla loro coltivazione; il risultato di tutto questo lavoro è quello di avere ottenuto le varietà migliori rispetto alle esigenze alimentari del tempo e alle specifiche condizioni del luogo, del terreno e del clima. C’è un patrimonio culturale dietro ogni varietà frutticola, c’è il sapere dell’uomo che l’ha coltivata, c’è un’eredità contadina secolare che va perduta con la scomparsa di una varietà, insieme ai sapori dei prodotti caratteristici e alle conoscenze della cultura contadina dei singoli territori. Occorre conservare entrambi: diversità agricola e sapere tradizionale, la memoria di quelle coltivazioni e degli utilizzi di quei frutti. L’etnodiversità è la disciplina che si occupa della conservazione dei saperi agricoli tradizionali; è una materia importantissima; se conserviamo un’antica varietà o una razza allevata in passato, ma non conosciamo le modalità corrette per la sua coltivazione o allevamento e l’utilizzo che se ne faceva, abbiamo comunque perso una fetta di quel patrimonio; è un sapere che non si improvvisa; si è formato lentamente e faticosamente attraverso esperienze dirette di vita vissuta, prove, ripetizioni, tentativi falliti, altri riusciti, molte fatiche e sempre grandi sacrifici. In particolare l’etnobotanica studia le relazioni che nel tempo si sono sviluppate tra l’uomo e le piante con l’evoluzione e le conoscenze maturate nell’utilizzo da parte dell’uomo delle piante per uso medicinale, veterinario, agrario e alimentare.
38
Molti frutti, spesso specifiche varietà locali, sono l’elemento di base di ricette tradizionali; sappiamo che la cucina rappresenta in maniera magistrale la storia, l’identità, le tradizioni delle comunità. Queste tematiche incarnano perfettamente le finalità dell’Istituzione Villa Smeraldi e Museo della Civiltà Contadina che ha proprio concepito il pomario storico come una nuova ulteriore sezione del museo, una sezione a cielo aperto, integrata nelle attività del museo. Di frutta antica si è ricominciato a parlare negli ultimi 20-30 anni, dopo decenni di disinteresse e di progressivo abbandono dovuti a varie cause; l’abbandono delle campagne, soprattutto in ambito collinare, dove la varietà frutticola era particolarmente ricca; lo sviluppo della frutticoltura industriale che necessita di standardizzazione delle operazioni colturali, di conservazione e di trasporto su lunghe distanze; e ancora le forti pressioni di un mercato sempre più globalizzato e orientato alla grande distribuzione che richiede frutti con caratteristiche costanti, riconoscibili, anche a scapito delle qualità organolettiche e nutritive, e sempre presenti sugli scaffali. Il pomario storico di Villa Smeraldi è una tra le più significative realtà del territorio regionale nate con lo scopo della conservazione delle antiche varietà frutticole; oltre alle esperienze di livello nazionale esistono in Regione Emilia-Romagna numerose altre realtà che operano in vari modi per questa stessa finalità; tra le altre si possono citare: – attività di ricerca e conservazione promosse da Istituti Universitari, dal CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), da ARPAE (Agenzia Regionale per la Prevenzione, l’Ambiente e l’Energia) Emilia-Romagna e da varie Associazioni; – la normativa della Regione Emilia-Romagna per la tutela della biodiversità rurale (L.R. n. 1 del 29/01/2008 ‘Tutela del patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario del territorio emiliano-romagnolo’) e la conseguente creazione del Repertorio regionale delle risorse genetiche agrarie; – ‘Rete dei frutteti della biodiversità’, nell’ambito di una convenzione tra Regione Emilia-Romagna ed ARPA Emilia-Romagna; – le esperienze di scuole, in particolare di istituti agrari;
39
– campi catalogo e orti botanici allestiti con l’impegno di amministrazioni pubbliche e associazioni locali; – collezioni dei frutti dimenticati promossi da privati appassionati, aziende agricole, vivaisti e istituzioni pubbliche; – sagre dedicate alla frutta tipica locale e ai frutti perduti. Fortunatamente il tema della conservazione e del recupero dei frutti antichi sta suscitando molto interesse in vari campi e alcuni esperti del settore, insieme alle istituzioni pubbliche si stanno impegnando affinché l’immenso patrimonio rappresentato da queste varietà sopravvissute fino a noi, patrimonio non solo genetico ma anche agronomico, storico, paesaggistico, culturale e identitario per il territorio, non cada nell’oblio ma possa prendere parte al nostro futuro.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Convenzione sulla diversità biologica sottoscritta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 – ratificata in Italia il 14 febbraio 1994 con L. n. 124 http://www.isprambiente.gov.it/files/biodiversita/Convenzione_ diversita_biologica_05_06_92.pdf L.R. 1/2008 Tutela del patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario del territorio emiliano-romagnolo http://demetra.regione.emilia-romagna.it/al/ articolo?urn=er:assemblealegislativa:legge:2008;1 Frutti dimenticati e biodiversità recuperata – Quaderni Natura e Biodiversità 1/2010, ISPRA e ARPAE Emilia-Romagna S. Guidi (a cura di), I frutteti della biodiversità in Emilia-Romagna, I Quaderni di ARPAE, 2013, seconda edizione
40
Mela var. Rosmarina (foto R. Ghedini)
BiodiversitĂ in campo agroalimentare Duccio Caccioni
Direttore Marketing e QualitĂ , Centro AgroAlimentare di Bologna (CAAB scpa)
42
Mela var. Rosmarina (foto Punti di Vista)
IL CONCETTO DI BIODIVERSITÀ Il termine biodiversità è il calco linguistico dell’inglese biodiversity – ed esprime il complesso di entità biologiche intorno a noi, quindi la varietà della vita sul nostro pianeta. Quando si parla di biodiversità non si parla solo dell’enorme numero di specie vegetali ed animali presenti sulla terra ma della diversità genetica complessiva: per esempio una specie di una pianta può manifestarsi in una grande congèrie di varietà, una specie animale nelle differenti razze… A loro volta varietà e razze possono manifestare al loro interno differenze anche significative come espressione di un differente adattamento verso differenti condizioni ambientali (climatiche, pedologiche etc.) o pressioni selettive. Si parla di biodiversità agricola quando si parla della diversità fra specie coltivate per scopi alimentari, industriali e medicinali. Per esempio dal punto di vista botanico si parlerà della diversità tra varietà entro specie e tra individui entro varietà. Le varietà sono sottogruppi genetici entro una specie creati dalla selezione naturale o dalla attività dell’uomo – il così detto miglioramento genetico, in corso fin dagli albori dell’agricoltura nel periodo neolitico. Delle circa 250.000 specie vegetali che vivono sul nostro pianeta si stima che circa 50.000 siano commestibili – in realtà attualmente l’uomo ne sfrutta solo 250. Fra queste circa 15 forniscono il 90% delle calorie alimentari consumate nel mondo e solo 3 (grano, mais e riso) sono la principale fonte calorica alimentare della intera popolazione della terra (60% delle calorie totali).
LA DIMINUZIONE DELLA BIODIVERSITÀ AGRICOLA Negli ultimi anni la biodiversità mondiale è notevolmente diminuita per molteplici ragioni. Di fatto per le principali colture la maggior parte della offerta è rappresentata da un ristretto numero di varietà. Il World Conservation Monitoring Center già nel 1992 indicava come per il frumento il 50% della intera produzione mondiale fosse costituita da sole 9 varietà, per il mais il 71% della offerta globale era rappresentato da 6 varietà, per le patate il 75% da 4 varietà, per il riso il 65% da 4 varietà e per la soia il 50% da 6 varietà. Per inciso una disamina del patrimonio animale globale in allevamento (in termini di razze) darebbe un quadro di omologazione similare. È da 43
Alcune ciliegie del Pomario (foto R. Ghedini)
segnalare come buona parte delle varietà ad alta produzione delle principali colture sia coperta da brevetto e quindi di proprietà di una decina di grandi aziende multinazionali – le principali quattro aziende multinazionali controllano in pratica il 50% del mercato globale dei semi. Più recentemente quanto è accaduto per le colture erbacee sta accadendo per le colture arboree. Sono infatti sempre di più le varietà di fruttiferi che sono protette da brevetti su scala internazionale. La diminuzione della biodiversità comporta rischi molto forti per l’umanità oltre che un drammatico impoverimento biologico, agricolo, culturale e anche gastronomico. Come noto la resistenza delle piante alle proprie avversità, ovvero alle fitopatie (causate da funghi, batteri, insetti, aracnidi, virus, micoplasmi…) è a base genetica – appare quindi ovvio come una forte omologazione genetica può amplificare i danni
Mele del Pomario appena raccolte (foto R. Ghedini)
45
su base continentale se non planetaria. Nel 1999 in Uganda comparve una nuova razza del fungo parassita del grano Puccinia graminis (ruggine nera dello stelo del grano). A causa della forte omologazione genetica del grano coltivato in Africa e in Asia la malattia ebbe una rapidissima espansione causando danni fino allo Yemen e all’Iran. Nel 2010 in Etiopia la ruggine nera ha causato una perdita della produzione di grano del 30%. Avere a disposizione un gran numero di varietà con cui operare nel miglioramento genetico è indispensabile per reagire agli attacchi da parte delle differenti avversità, ma anche per ottenere nuove varietà con caratteristiche qualitative differenti dal punto di vista per esempio della serbevolezza, delle caratteristiche nutritive etc. – e quindi anche per rispondere alle mutevoli esigenze del mercato.
BIODIVERSITÀ E MERCATO La creazione di varietà che meglio si adattano al mercato non sempre può essere vista come un fatto positivo. Per esempio la globalizzazione del commercio di prodotti ortofrutticoli ha comportato negli ultimi decenni una ricerca spasmodica di varietà più serbevoli, ovvero con carattere di Long Shelf Life (LSL). Questo carattere può tuttavia non fare il paio con altre caratteristiche quali le caratteristiche nutrizionali o gustative. Per esempio: per i pomodori, negli anni 90 furono scoperti due geni denominati RIN (Ripening Inhibitor - inibitore della maturazione) e NOR (No Ripening - no maturazione). Adeguatamente inseriti, anche con normali incroci, nel patrimonio genetico dei nuovi pomodori questi due geni impediscono la maturazione del frutto ovvero il suo rammollimento. I pomodori RIN e NOR possono quindi essere trasportati e distribuiti per lunghe distanze e sono molto ricercati in particolare dalle catene della Grande Distribuzione, che spesso compongono lunghe filiere fra il campo di produzione e la tavola del consumatore. Purtroppo la presenza di questi due geni blocca alcuni processi metabolici che portano alla caratterizzazione organolettica dei frutti di pomodoro oltre che alla presenza di licopene, una sostanza antiossidante benefica per la salute umana. In altri termini: il pomodoro potrà essere raccolto già rosso, sarà molto più serbevole – ma meno gustoso e nutriente. Negli anni più recenti vi è stata una riscoperta di varietà orticole e frutticole che erano state dapprima emarginate dall’agricoltura e dal mercato. Si tratta di varietà 46
Foto R. Ghedini
che spesso hanno proprietà organolettiche e nutrizionali ottimali, unite però per esempio a una bassa conservabilità, inadatta ai moderni sistemi distributivi. La riscoperta delle così dette varietà heirloom è legata alla nascita di mercati dei produttori, con filiere più brevi, alla riscoperta di antiche tradizioni e sapori come dalla consapevolezza di dovere mantenere un patrimonio genetico pazientemente selezionato da generazioni di agricoltori. Va inoltre ricordato che tali produzioni (spesso offerte come biologiche) si connaturano con il mercato di alta gamma, un mercato assolutamente strategico per l’Italia nel contesto mondiale.
47
Melo var. Violetta (foto R. Ghedini)
Le bellezze del pomario Rosella Ghedini IBC
È
giunto il momento di avvicinarci al pomario; di conoscere le piante di cui stiamo parlando; di capire cosa si intende per grande variabilità genetica anche parlando di pesche, di mele, di pere, di frutti che mangiamo tutti i giorni e che al primo colpo d’occhio possono sembrare tutti uguali. Per conoscere bene il pomario bisogna frequentarlo di persona; andare a visitarlo; è proprio questo l’obiettivo del libro: invitare ad avvicinarsi al pomario per familiarizzare con le piante, per poter cominciare ad apprezzarne le differenze, imparare a riconoscerle e quindi desiderare di valorizzarle e difenderle dal rischio della scomparsa. Per stimolare l’attenzione sul pomario ci facciamo supportare da un ricco patrimonio fotografico che ha preso corpo a partire dalla primavera del 2016 grazie ad un progetto di documentazione fotografica promosso dall’Istituzione Villa Smeraldi e realizzato dagli operatori del Circolo Fotografico Punti di Vista dell’Associazione Artistigando di San Pietro in Casale (BO). Il progetto denominato “Scatti dal Pomario”, ma anche “FotografiAMO”, persegue l’obiettivo di costruire un archivio fotografico dettagliato delle varietà frutticole presenti nel pomario, a supporto della loro catalogazione, ritraendole tutte nelle principali fasi durante un intero ciclo vegetativo. I lavori di documentazione fotografica sono ancora in corso. Il materiale che ne è scaturito ha riservato delle sorprese. Se da un lato ne è uscita una documentazione efficace nel ritrarre le caratteristiche salienti delle singole varietà (forme, proporzioni, colori, conformazioni specifiche, dettagli), supportandone il riconoscimento e riproducendole fedelmente nelle varie fasi del ciclo produttivo; dall’altro si è potuto verificare che, se guardiamo queste piante con uno sguardo ravvicinato e concentrato anche sui dettagli, diventa possibile cogliere una bellezza diffusa inaspettata, che è tipica della natura, in tutte le sue
Melo Lavina (foto Punti di Vista)
49
Melo Carla (foto Punti di Vista)
50
manifestazioni, anche quelle non spontanee ma governate dall’uomo come nel caso delle piante coltivate. È una bellezza che è stata messa a fuoco grazie ad un’impresa fotografica condotta con tanta passione e curiosità, nonché perizia tecnica e molta pazienza, necessaria per l’attesa del progredire delle stagioni, e quindi delle fasi di sviluppo, dall’apertura delle gemme fino alla maturazione dei frutti e alla caduta delle foglie in autunno. Ed è una bellezza che si concede a chi è disponibile nel porre attenzione, nel guardare con interesse e pazienza, all’interno di un contesto dato in genere per scontato e considerato di nessuna rilevanza estetica, come appunto un frutteto, visto normalmente come un banale strumento di produzione di cibo.
Melo Rosa Romana (foto Punti di Vista)
Melo Belfiore giallo (foto Punti di Vista)
52
Le fotografie ottenute esaltano la bellezza insita nelle varie parti delle piante e nei diversi momenti stagionali. Ma anche quella degli abitanti del pomario, in genere organismi di piccole dimensioni che lo frequentano per vari motivi. A volte sono funghi o altri microrganismi agenti di malattie delle piante che provocano muffe o marciumi dei frutti o lesioni degli organi legnosi. PiĂš facilmente si possono notare insetti che intrattengono con le piante relazioni molto differenti; possono essere parassiti delle piante stesse e vivere a spese dei frutti o di altre parti delle piante, come gli afidi o la carpocapsa delle pomacee o la cidia del pesco; oppure sono insetti predatori di questi parassiti, come le numerose specie di coccinellidi, sirfidi e crisopidi, che si nutrono proprio dei parassiti delle piante e che quindi ci aiutano nella loro difesa.
O ancora possono essere organismi pronubi, che frequentano instancabilmente i fiori provocando la magia dell’impollinazione, cioè la trasformazione del fiore nel frutto; sono principalmente i bombi, le api, i sirfidi, le farfalle. Un mondo variegato di tanti organismi piccoli, ma anch’essi molto belli, come i frutti antichi del pomario. A seguire sono riportate le schede fotografiche relative ad alcune varietà presenti nel pomario; non è possibile rappresentarle tutte per ragioni di spazio; inoltre questa pubblicazione non ha la pretesa di essere un catalogo. È un assaggio di ciò che possiamo vedere nel pomario. L’invito rivolto al lettore è di visitarlo personalmente per colmare direttamente in campo le lacune sulle varietà che non sono qui rappresentate; e sono tante se pensiamo che nel pomario sono raccolte 173 varietà antiche, oltre 23 varietà di confronto. Nelle schede ogni singola varietà è immortalata nelle principali fasi del ciclo vegetativo. Così abituati come siamo alle poche, pochissime varietà presenti sul mercato della grande distribuzione, per cui nel sentire comune una mela è semplicemente “una mela”, ci sorprenderanno le differenze evidenti per esempio tra una Rosa Romana o una Campanino o una Decio. I non addetti ai lavori, e comunque le generazioni più giovani, a malapena, e nemmeno tutti, sanno come è fatto un fiore di melo. Per conoscerlo si può partire dalle foto di questo capitolo che ne rappresenta 8 diverse varietà antiche, tutte presenti nel pomario; una piccola selezione di quelle che si possono vedere nella collezione. Con le foto contenute in questo libro ci stupiremo nel verificare quanto è bello e delicato il fiore di melo e in quante differenti versioni e sfumature lo potremmo vedere se nelle nostre campagne fossero presenti di nuovo le antiche varietà che fino a pochi decenni fa erano coltivate nelle corti coloniche. Peccato non poterne rappresentare anche il delizioso profumo.
Melo Zitella (foto Punti di Vista)
53
Fiore della var. Melo Ferro (foto Punti di Vista)
54
Stesso discorso si potrebbe fare per il pero, il pesco, il susino, l’albicocco e il ciliegio. Parliamo di elementi piccoli che se si sanno guardare svelano delle autentiche “bellezze”; basta saperle vedere; e per vederle bisogna conoscerle; bisogna allenare l’occhio e la mente. Lo scopo di questa pubblicazione è stimolare l’interesse verso piante che non conosciamo; le abbiamo quasi perdute; ma sono tante, sono utili per la nostra vita e se dedichiamo loro attenzione ci accorgiamo che sono anche molto belle. Vogliamo stimolare quella sottile soddisfazione che si può provare di fronte ad un quadro, se sappiamo interpretarlo; di fronte al volo di un uccello o di una farfalla, se
Melo Gelata (foto Punti di Vista)
55
sappiamo riconoscerli; nel leggere una poesia, se abbiamo la sensibilità per lasciarci emozionare; di fronte ad un fiore se ci rendiamo conto di conoscerne il nome e sappiamo immaginare in che cosa potrà evolvere. E così di fronte ad un frutto antico, se ne conosciamo il significato storico, culturale, le tradizioni che quel frutto incarna e l’importanza che ha avuto per le precedenti generazioni e che potrebbe ancora avere per noi oggi e nel futuro. Vogliamo esaltarne la bellezza e il piacere di frequentarlo, per conoscerlo e valorizzarlo. Come disse David Hume, filosofo scozzese del ‘700, “La bellezza delle cose esiste nella mente che le contempla”. Ma occorre aprire gli occhi e guardare.
56
Schede fotografiche delle varietĂ
pesco
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Bella di Cesena
a
D
i antica origine romagnola, era chiamata anche Carmen rossa e veniva coltivata in particolare nel Cesenate. Era la classica pesca per il consumo familiare e veniva pertanto piantata nelle vicinanze della casa o dell’orto. A partire dagli anni ’70-’80 è stata eliminata a favore di altre varietà di pesche più adatte alla frigoconservazione e al trasporto, come richiesto dal mercato moderno della grande distribuzione. Oggi è completamente scomparsa. Il frutto ha pezzatura medio-piccola, forma globosa, buccia tomentosa di colore verdastro e sovracolore rosso chiaro. La polpa è bianco-verde, delicata, fondente, succosa, profumata e di buon sapore. Matura intorno a metà Luglio. Anche se l’aspetto non è particolarmente attraente è ottima per il consumo fresco, aromatica e dolce. È la varietà di pesca ideale per l’aperitivo Bellini nel quale le pesche bianche romagnole vengono abbinate allo champagne.
58
b
c
d
e
a b Fioritura c Accrescimento dei frutti d Invaiatura e Frutti prossimi alla raccolta
59
pesco
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Buco incavato
a
L
e varietà che portano il nome di Buco incavato sono almeno 2, Buco incavato 1 e Buco incavato 2, la prima più precoce della seconda anticipando di 1 settimana la maturazione. Ci sono altre differenze: la B.I.1 è un po’ più piccola e ha un aspetto un po’ meno attraente. Entrambe sono pesche a pasta bianca, buonissime, originarie della Romagna, in particolare della campagna ravennate. Negli anni ’30-’40 del secolo scorso erano le varietà di pesche bianche ideali, note in Romagna ma non solo; il maggior centro di coltivazione era nella zona di Massa Lombarda; il legame con questa terra era tale che venivano anche chiamate Pesche di Massalombarda. A questo periodo di grande notorietà ha fatto seguito un progressivo declino dovuto all’introduzione sul mercato di varietà di pesche a pasta gialla provenienti dagli Stati Uniti, più resistenti alle ammaccature e meno ossidabili; più adatte quindi per la grande distribuzione. Dopo la seconda guerra mondiale la pesca Buco incavato scompare dal mercato; oggi sopravvive in vecchi impianti grazie alla passione di qualche coltivatore affezionato che ha conservato alcune piante a partire dalle quali è stata recuperata e introdotta nelle recenti collezioni di frutti antichi. È una varietà molto produttiva e abbastanza resistente alle malattie, adatta alla coltivazione in pianura. I frutti sono di pezzatura medio o grossa (rispettivamente per la B.I. 1 e la B.I. 2), di forma globosa, asimmetrica, con buccia tomentosa di colore verde chiaro sfumato di rosso; la polpa è bianca con marezzature rosse vicino al nocciolo, spicca, fondente a piena maturazione, di ottimo sapore e profumata. La raccolta avviene attorno al 20 Agosto, con un anticipo di 1 settimana per la B.I. 1. È adatta in particolare modo alla trasformazione e ha rappresentato a livello locale il pilastro dello sviluppo della frutticoltura industriale nel territorio di Massa Lombarda, divenuta in tal modo “capitale” europea della frutta. Ancora oggi a Massalombarda si ricorda tale primato con una sagra dedicata alla pesca Buco Incavato.
60
b
c
d
e
a b Fioritura c Accrescimento dei frutti d Invaiatura e Frutti prossimi alla raccolta
61
pesco
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Cormonese
a
S
i tratta di una varietà di origine friulana ottenuta da incrocio nel 1950. Negli anni ’50-’60 la maggior parte delle pesche coltivate erano a pasta bianca. La varietà Cormonese fu introdotta per arricchire l’offerta sul mercato con una pesca gialla precoce. La concorrenza di altre nuove varietà americane ne ha determinato l’abbandono dalla coltivazione. Le piante sono molto produttive; i frutti, di pezzatura media e forma oblunga, maturano a metà di Luglio, hanno polpa gialla, fondente, attaccata al nocciolo, di buon sapore.
a
b Fioritura
c
d Accrescimento dei frutti
e Frutti prossimi alla raccolta 62
b
c
d
e
63
pesco
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Gialla tardiva
a
I
l nome ci dice già tutto di questa pesca: è di colore giallo a maturazione, è una pesca a pasta gialla ed è una delle ultime pesche a maturare, verso fine Agosto - inizio Settembre, quando ormai sono poche le pesche sui banchi del mercato. Di probabile origine romagnola, dalla zona forlivese in particolare, produce frutti di media pezzatura, di forma sferoidale, con buccia di colore giallo con possibili sfumature rosse. La polpa è gialla, fondente, di gusto acidulo, attaccata al nocciolo. Ricorda alcune varietà di pesche tardive siciliane coltivate ai nostri giorni e molto apprezzate, la Gialla Tardiva di Leonfronte 1 e di Leonfronte 2. Queste pesche vengono coltivate con una particolare tecnica, l’insacchettamento del frutto, allo scopo di garantire una colorazione giallo chiaro della buccia.
64
b
c
d
e
a Ripresa vegetativa b Bottoni rosa c d Accrescimento dei frutti e Frutti prossimi alla raccolta
65
pesco
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Paola Cavicchi precoce
a
V
arietà di origine ferrarese, è stata ottenuta nel 1965 da un semenzale di Paola Cavicchi presso l’Azienda Cavicchi a Renazzo di Cento. Il termine precoce deriva dall’anticipo di maturazione di circa 10 giorni rispetto alla varietà “madre”. Entrambe, “madre” e “figlia”, sono state penalizzate a livello produttivo dalla concorrenza di nuove varietà più competitive che si sono affacciate al mercato peschicolo; oggi permangono solo in vecchi impianti. Il frutto è di grossa pezzatura, forma globosa, con buccia di colore rosa intenso e colorazione rossa a coprire buona parte della superficie; i frutti quindi sono molto belli, attraenti e anche buoni. La polpa infatti, di colore bianco con sfumature rosse attorno al nocciolo, è fine, fondente a maturazione, staccata dal nocciolo e di qualità ottima. Matura nella prima decade di Agosto. Il neo di questa varietà, causa della penalizzazione che ha subito sul mercato, è la scarsa resistenza alle manipolazioni, cosa che ne determina una estrema delicatezza, incompatibile con la grande distribuzione. Questa caratteristica potrebbe non rappresentare più un problema in circuiti commerciali diversi, per esempio per una distribuzione locale o di nicchia.
66
a
b Fioritura
c
d Accrescimento dei frutti
b
c
d
e
e Frutti prossimi alla raccolta 67
pesco
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Rosa Dardi
a
L’
origine non è certa anche se verosimilmente proviene dal comprensorio bolognese dove è stata descritta negli anni ’60 nella zona di Altedo. La sua diffusione è sempre stata molto circoscritta e limitata al territorio della provincia di Bologna. È caratterizzata da scarsa allegagione e bassa produttività. Ma il frutto, di pezzatura medio piccola, colore rossastro, polpa bianca con sfumature rosse attorno al nocciolo, deliquescente, è di maturazione precoce a fine Giugno e ha buone qualità organolettiche.
a b Fioritura c Accrescimento dei frutti 68
d Frutti prossimi alla raccolta
b
c
d
69
pesco
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Rosa del West
a
È
un’antica pesca a pasta bianca originaria della Romagna, isolata negli anni ’50 nel territorio di Forlì in frazione Barisano. A differenza della maggior parte delle antiche varietà di pesche, in particolare per quelle a pasta bianca, la Rosa del West non è stata abbandonata ma viene ancora coltivata sia per il mercato locale che per l’esportazione. Del resto le piante sono produttive, resistenti ai freddi invernali; i frutti sono di pezzatura grossa, forma sferoidale, attraenti, con buccia chiara sfumata di rosa e vellutata, polpa color bianco avorio, fondente e deliquescente a maturazione, si stacca dal nocciolo e ha ottime caratteristiche di gusto e profumo. Il momento della maturazione è ad inizio Agosto. Unico neo: è sensibile alle manipolazioni, pertanto richiede attenzione e delicatezza durante la raccolta e la distribuzione.
70
b
c
d
a Fioritura b Accrescimento dei frutti c d Frutti prossimi alla raccolta
71
pesco
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Rossa di Trenti
a
P
rende il nome dal coltivatore che l’ha propagata negli anni ’60-’70. È una pesca a pasta bianca originaria probabilmente dalla provincia di Modena, ma coltivata in un areale più ampio, oltre a Modena anche a Bologna, Massalombarda, Faenza; è adatta per le zone di pianura. Viene ancora coltivata con ottimi risultati in Romagna. Ha una produttività elevata e costante. Il frutto è di buone dimensioni, globoso, di colore rosso brillante a maturazione. La polpa è bianca, consistente, spicca, di buon sapore, dolce, acidula e profumata. I frutti hanno ottime caratteristiche organolettiche e sono ancora oggi molto apprezzati dal consumatore “moderno”. La raccolta avviene scalarmente nel corso della seconda metà di Agosto e la produzione è destinata al consumo fresco. È una varietà interessante per lo sviluppo di produzioni di nicchia, per mercati locali, a chilometro 0, per la vendita diretta in azienda.
72
b
c
d
a Fioritura b Allegagione c Accrescimento dei frutti d Frutti prossimi alla raccolta
73
pesco
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Toschina Proni
a
F
u ottenuta a Firenze dall’incrocio di Pesca della China x Poppa di Venere e si diffuse sulle colline di San Casciano Val di Pesa a partire dagli anni ’20 del secolo scorso. Alla denominazione iniziale si è aggiunto successivamente il nome Proni in onore al tecnico che ne ha promosso la coltivazione nel faentino. È una varietà vigorosa, con elevata allegagione, tanto da rendere necessario intervenire col diradamento. I frutti sono di dimensioni medie, forma ellittica, colore verde-giallo con lievi sfumature rosse, di aspetto attraente anche se poco colorato. La polpa è di colore bianco-verde, con venature rosse attorno al nocciolo, fondente e di buon sapore, anche se non molto dolce. La sua caratteristica peculiare è la maturazione molto tardiva, alla prima decade di ottobre; la più tardiva di tutte le pesche presenti nella collezione del pomario di Villa Smeraldi.
74
b
c
d
a Fioritura b c Accrescimento dei frutti d Frutti prossimi alla raccolta
75
albicocco
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Precoce Cremonini
a
D
enominata anche Precoce d’Imola fu ottenuta ad Imola da un semenzale di Reale d’Imola grazie all’opera di selezione di F. Cremonini da cui ha derivato il nome. In voga negli anni ’60, ’70 e ’80 oggi non è più utilizzata per i nuovi impianti. È una varietà produttiva ma sensibile alla Monilia, malattia che causa marciume. Il frutto è di buona pezzatura, medio-grossa, di colore giallo con sfumature rossastre. La polpa è gialla, consistente, spicca, aromatica e di buon sapore. La maturazione è precoce, come indica il nome, in quanto si raccoglie nell’ultima decade di Giugno.
76
b
c
d
e
a Ripresa vegetativa b Fioritura c Scamiciatura d Accrescimento dei frutti e Frutti prossimi alla raccolta
77
albicocco
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Reale d’Imola
a
D
etta anche Reale o Mandorlona, per la forma che ricorda quella della mandorla, ha un’origine imprecisata. Per lungo tempo è stata la regina delle albicocche romagnole, con vocazione particolare per la collina bolognese, da cui deriva la denominazione geografica “d’Imola”. Ha avuto una larga diffusione nel nord dell’Italia per la sua ottima qualità e per la rusticità, anche se è sensibile alla Monilia e ai colpi di sole. Altre caratteristiche meno favorevoli, quali la scalarità di raccolta e la scarsa attitudine alla conservazione, ne hanno provocato il graduale abbandono. Non si adatta infatti alla frigoconservazione e al trasporto su lunghe distanze. È abbastanza produttiva ma non in maniera costante. I frutti sono medio-grossi, con forma asimmetrica, a mandorla o a cuore, di colore giallo-arancio e con polpa semispicca, dolce, molto aromatica, con ottime qualità organolettiche. È un frutto dolcissimo e a basso contenuto calorico. Matura nella prima metà di Luglio, in maniera scalare per 2 o 3 settimane. Essendo molto buona è particolarmente vocata per il consumo fresco; veniva anche trasformata per ricavarne succo polposo e marmellate. Un tempo si utilizzavano persino i noccioli da cui si estraevano le mandorle dolci impiegate per produzioni dolciarie locali.
78
b
c
d
e
a Corolla visibile b Fioritura c Scamiciatura d Accrescimento dei frutti e Frutti prossimi alla raccolta
79
albicocco
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Tondina di Tossignano
a
D
enominata anche Tonda di Tossignano o semplicemente Tondina ha il suo areale tipico di produzione nella collina imolese, in particolare nella zona di Borgo Tossignano, come indica il nome. Già a partire dagli anni ’60 questa varietà va incontro ad un significativo declino in favore della Reale d’Imola e della Precoce Cremonini. I frutti maturano all’inizio di luglio; sono di pezzatura medio-piccola, di forma rotondeggiante, con buccia di colore arancione, vellutata; anche la polpa è arancione, succosa, poco aromatica. Oltre che per il consumo fresco può essere impiegata per la produzione di succhi.
80
b
c
d
e
a Fioritura b Scamiciatura c Accrescimento dei frutti d Invaiatura e Frutti prossimi alla raccolta
81
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
ciliegio
Amarena di Vignola
a
L’
origine è sconosciuta ma il nome indica chiaramente l’area in cui è stata individuata. Sono descritte 2 Amarene di Vignola ; quella a picciolo corto e quella a picciolo lungo. Il frutto, che matura all’inizio di luglio, è di piccole dimensioni, colore rosso chiaro acceso; la polpa è succosa, incolore, di sapore acidulo. Veniva utilizzato anche per il consumo fresco, ma soprattutto per la trasformazione.
82
b
c
d
a Ripresa vegetativa b Fioritura c Allegagione d Frutti prossimi alla raccolta
83
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
ciliegio
Ciliegia del fiore
a
È
di probabile origine romagnola e viene indicata anche con i sinonimi di Precoce del fiore o Ciliegia di Forlì. Nella prima metà del ‘900 era molto diffusa proprio nella provincia di Forlì in quanto era la ciliegia più precoce, maturando nella prima decade di Giugno. Dopo la seconda Guerra Mondiale è stata sostituita da altre varietà; oggi non viene più coltivata. È piuttosto produttiva e i frutti, di colore variabile dal rosa al rosso, hanno polpa tenera, incolore o rosa, di qualità modesta e di scarsa conservazione. È adatta soprattutto al consumo fresco ma lo sarebbe anche per la trasformazione industriale poiché ha un nocciolo piccolo e staccato; può essere impiegata in pasticceria.
84
b
c
d
e
a Ripresa vegetativa b Fioritura c Accrescimento dei frutti d Invaiatura e Frutti prossimi alla raccolta
85
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
ciliegio
Corniola
a
D
iffusa da molto tempo nel Forlivese e nel Riminese, oltre alla denominazione classica possiede tanti altri sinonimi tra i quali i più diffusi sono Cornetta in Romagna e Durone corniolino nel Bolognese. In virtù delle indiscusse qualità è stata recuperata e reintrodotta in nuovi impianti di coltivazione. Infatti pur essendo di origine antica (esistono testimonianze già da vari secoli) presenta caratteristiche adatte anche al mercato odierno: frutto sodo, croccante e di alta qualità organolettica. La produttività è notevole e i frutti hanno l’inconfondibile forma cordiforme, appuntita, colore rosso-nero, polpa rosso scuro, soda, croccante, molto gradevole e resistente alle manipolazioni; sono caratterizzati da una lunga shelf-life. L’epoca di maturazione è la prima settimana di Luglio; e in effetti la Corniola è la varietà più tardiva tra tutte quelle presenti nel pomario.
86
b
c
d
e
a Ripresa vegetativa b Bottoni bianchi c Fioritura d Invaiatura e Frutti prossimi alla raccolta
87
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
ciliegio
Durone Nero I di Vignola
a
L
e foto di questa scheda documentano il Durone Nero I di Vignola, il più popolare tra i Duroni di Vignola; ma ne esistono ben 3: il Durone Nero I, il Durone Nero II e il Durone Nero III, tutti probabilmente originari dal territorio modenese, come specificato dal nome. Tutti appartengono alla tipologia delle “duracine”, ciliegie con polpa dura e croccante. Tutti hanno frutti di colore rosso-nerastro, sia nella buccia che nella polpa; sono tutti buonissimi. Anche se meno diffuse di un tempo queste varietà sono oggi ancora presenti sul mercato e le possiamo trovare per un periodo abbastanza lungo, tutto il mese di Giugno, in quanto è proprio per il periodo di maturazione sfalsato che differiscono; la raccolta inizia con la varietà più precoce il Durone Nero I a inizio Giugno, continua con il Durone Nero II a maturazione intermedia, per finire con il più tardivo Durone Nero III a fine Giugno. Per la promozione di queste varietà nel comprensorio di Vignola sono stati creati un marchio di origine e un logo per la “ciliegia di Vignola”, riconosciuto dall’Unione Europea con la certificazione IGP (Indicazione Geografica Protetta).
88
b
c
d
a Ripresa vegetativa b Fioritura c Accrescimento dei frutti d Frutti prossimi alla raccolta
89
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
ciliegio
Mora di Vignola
a
I
l suo nome principale e i suoi sinonimi – Moretta di Vignola o Moretta o Ciliegia nera – ne individuano subito l’origine e la caratteristica principale, il colore rosso scuro quasi nero. È un’antica varietà italiana originaria probabilmente dalla zona di Vignola, in provincia di Modena, dove viene ancora coltivata. Esistono vecchi alberi in produzione di 100–130 anni di età e di dimensioni molto elevate, alti più di 20 metri. I frutti sono di colore rosso molto scuro, quasi neri, per l’elevato contenuto di pigmento antocianico; un tempo veniva estratto dalle ciliegie per essere impiegato come colorante alimentare. La Mora di Vignola è una ciliegia “tenerina”, cioè a polpa molle, e si differenzia pertanto dalle “duracine”, ciliegie a polpa dura, le più diffuse oggi sul mercato in quanto meno delicate e più resistenti alle manipolazioni. I frutti sono di dimensioni medio-piccole (una Mora di Vignola pesa mediamente 5-7 grammi contro i 14-15 grammi delle ciliegie che troviamo in commercio); hanno gambo molto lungo, polpa molto succosa, di colore rosso-nero come la buccia, sapore gradevolissimo; sono purtroppo soggetti allo spacco in caso di alta piovosità in corrispondenza della maturazione. Si raccolgono a fine maggio e possono essere destinati sia al consumo fresco che alla trasformazione industriale.
90
b
c
d
e
a Fioritura b Accrescimento dei frutti c Invaiatura d e Frutti prossimi alla raccolta
91
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
ciliegio
Morona
a
S
i conosce poco della sua origine, forse toscana, ma in passato è stata segnalata in diverse località della Regione Emilia-Romagna. I frutti sono piccoli, di colore rosso scuro, hanno polpa rosso-nera, tenera, dolce. Maturano verso la metà di giugno. La Morona è una varietà “tenerina”, assomiglia alla Mora di Vignola, ma è più tardiva. Veniva coltivata in passato e raggiungeva solamente i mercati locali per essere destinata unicamente al consumo fresco.
a Ripresa vegetativa b Bottoni bianchi c Fioritura 92
d Frutti prossimi alla raccolta e Frutti maturi
b
c
d
e
93
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
ciliegio
Visciola di Carpegna
a
È
di probabile origine marchigiana, come suggerisce il nome che richiama una zona di montagna della provincia di Pesaro. La Visciola è una ciliegia acida; il frutto è di colore rosso scuro, di piccole dimensioni, forma sferoidale, con un sapore particolare e ben riconoscibile rispetto a quello delle marasche e delle amarene. Matura a fine Giugno. Viene utilizzata per la produzione di un popolare liquore e per varie preparazioni di pasticceria della tradizione locale.
94
b
c
d
e
a Bottoni bianchi b Fioritura c Accrescimento dei frutti d Invaiatura e Frutti prossimi alla raccolta
95
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
susino
Bianca di Milano
a
È
una varietà tutta da scoprire; non esistono infatti sicure attestazioni bibliografiche che possano definirne l’origine, che resta ad oggi sconosciuta. Segnalata in passato in Toscana è stata custodita dall’Università di Firenze per scongiurarne la scomparsa. Anche se non ne sappiamo molto la possiamo osservare nel pomario storico di Villa Smeraldi e conoscere i suoi frutti di piccole dimensioni, rotondeggianti e di colore verde chiaro. Maturano verso la metà di Luglio. Sopravvive una vecchia pianta di questa varietà nei pressi di Faenza; pur non trattata produce ottimi frutti. Un tempo era abbastanza diffusa e l’aroma e la dolcezza della Bianca di Milano restano nella memoria di alcuni anziani agricoltori.
96
b
c
d
e
a Fioritura b Scamiciatura c d Accrescimento dei frutti e Frutti prossimi alla raccolta
97
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
susino
Regina Claudia Trasparente
a
D
i presunta origine modenese questa varietà è ancora oggi presente in frutteti dell’area bolognese e modenese. Continua ad essere molto popolare e ricercata da cultori affezionati che la chiamano più spesso con i sinonimi di Amola o Amolona. È una varietà molto antica derivata da un semenzale di Regina Claudia nel lontano 1835. È vigorosa e autofertile. Il frutto è piuttosto grosso, di forma sferoidale, buccia verde-gialla, traslucida e pruinosa. La polpa gialla, spicca, compatta è aromatica e di sapore molto gradevole. Si raccoglie nella prima metà di Agosto e può essere impiegata sia per il consumo fresco che per la sciroppatura. Per le sue ottime caratteristiche organolettiche è ancora molto ricercata.
98
b
c
d
e
a Ripresa vegetativa b Fioritura c Caduta petali d Accrescimento dei frutti e Frutti prossimi alla raccolta
99
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
susino
Regina Claudia Verde
a
C
on la denominazione di Regina Claudia, o con le alternative Regina Claudia Verde o Dorata, viene indicata la varietà più antica di questo gruppo di susine, di origine francese, individuate a partire dal XVI secolo. Il nome le è stato attribuito in omaggio alla regina Claudia, moglie di Francesco I. In Italia sono diffusi diversi cloni, circa una decina, non tutti francesi, denominati con questo nome. Cinque tra questi sono presenti nel pomario storico di Villa Smeraldi: Regina Claudia Verde, Regina Claudia d’Althan, Regina Claudia de Bavay, Regina Claudia de Moissac e Regina Claudia Trasparente. La Regina Claudia Verde ha un'alta produttività. I frutti sono di pezzatura media, forma globosa, buccia di colore verde, pruinosa, dorata al momento della maturazione, che avviene all’inizio di Agosto. La polpa è verde con riflessi gialli, soda, succosa, dolce e profumata, con buone caratteristiche organolettiche. Si può utilizzare sia per il consumo fresco che per la trasformazione in confetture o sciroppi.
100
b
c
d
e
a Fioritura b c d Accrescimento dei frutti e Frutti prossimi alla raccolta 101
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
susino
Susino 2
a
S
elezionata in Piemonte negli anni ’60 questa varietà fu successivamente propagata soprattutto nel territorio della Regione Emilia-Romagna. L’interesse per il Susino 2 era legato alla bellezza e alle dimensioni del frutto, superiori a quelle delle cultivar in voga al momento, in particolare la Stanley, cui avrebbe dovuto fare concorrenza. Ma il tentativo di diffusione non andò a buon fine a causa della scarsa produttività. Il frutto matura a fine Agosto-inizio Settembre, è di pezzatura medio-grosso, forma ellissoidale, simile a quella della Stanley, buccia di colore violaceo, pruinosa. La polpa è gialla e rispetto alla Stanley meno consistente, più succosa e di sapore modesto. Inoltre è risultata adatta al solo consumo fresco in quanto non si presta alla trasformazione per essiccazione.
102
b
c
d
e
a Fioritura b Scamiciatura c Accrescimento dei frutti d Invaiatura e Frutti prossimi alla raccolta
103
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
susino
Zucchella
a
È
presente da secoli in territorio emiliano nelle province di Parma, Piacenza e Reggio Emilia. Indagini recenti (Grandi et. al., 2009) hanno rilevato la coincidenza della Zucchella con la Prugna di Lentigione, tuttora coltivata nella località così denominata, nei pressi di Brescello in provincia di Parma. A Lentigione si è addirittura costituita un’associazione per la valorizzazione di questa susina. La produzione è strettamente locale e interessa una ventina di frutteti specializzati; dal prodotto ricavato si ottiene una pregiata confettura molto ricercata dagli estimatori locali. La produttività è elevata e il frutto ha pezzatura medio-grossa, forma ellissoidale, la classica forma a fiasco, colore rosa-rosso-violaceo, buccia pruinosa, polpa soda, gialla e consistente, vitrescente a maturazione, dolce, spicca e di ottimo sapore. Si raccoglie verso fine Luglio-inizio Agosto. Gli utilizzi possibili sono molteplici: consumo fresco o trasformazione per essiccazione, distillazione e produzione di frutta sciroppata. Ma la vocazione è per la preparazione di marmellate; contiene tanto zucchero che si potrebbe evitare di aggiungerne altro, mantenendo garantita una conservazione prolungata. Anticamente nella zona di Brescello veniva utilizzata anche per sorreggere le viti.
104
b
c
d
e
a Fioritura b Allegagione c d Accrescimento dei frutti e Frutti prossimi alla raccolta
105
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
melo
Abbondanza
a
U
n tempo comunissima nelle campagne del Bolognese la mela Abbondanza è stata per la prima volta individuata proprio nella pianura bolognese, a San Pietro Capofiume, nei pressi di Molinella, a fine ‘800. Ne esiste anche una variante denominata Abbondanza rossa, caratterizzata da un’intensa colorazione rossa del frutto a maturazione. Si tratta di un mutante di Abbondanza individuato nel ferrarese nel 1962 dal prof. Sansavini dell’Università di Bologna. La varietà “originale” invece è meno colorata al momento della raccolta, che avviene a metà Ottobre. Il frutto è di pezzatura media, leggermente schiacciato, di colore giallo con striature rossastre abbastanza estese, polpa di colore bianco crema, croccante, compatta, profumata e gradevole. La produzione è normalmente elevata e la durata di conservazione dopo la raccolta è molto lunga. È una mela buona sia per il consumo fresco che per la cottura e l’essiccazione.
106
b
c
d
e
a Fioritura b Frutticini con residui dei fiori c Accrescimento dei frutti d Invaiatura e Frutti prossimi alla raccolta
107
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
melo
Campanino
108
a
C
onosciuta anche con il sinonimo di Modenese questa varietà ha probabili origini emiliane, dalla zona di Modena appunto. Il suo nome curioso sembra ispirarsi al suono prodotto dai semi che sono mobili all’interno del frutto; o forse al fatto che spesso queste mele vengono prodotte a coppie, disposte come due campane. Comunque sia si tratta di una varietà rustica, caratterizzata da una buona tolleranza agli attacchi di ticchiolatura; come molte tra le varietà più popolari di mele antiche. Oggi ne restano solo poche piante destinate al consumo diretto dei coltivatori o comunque a produzioni di nicchia. Le mele Campanino sono di dimensioni medio-piccole, di colore verde sfumato di rosso, polpa soda, succosa, zuccherina e leggermente acidula. Si conservano a lungo dopo la raccolta, che avviene tra fine Settembre e inizio Ottobre. Il freddo e il gelo rendono i frutti più gustosi e saporiti; possono essere conservati fuori dai frigoriferi fino ad aprile.
b
c
d
e
a Bottoni rosa b Fioritura c Frutticini con residui dei fiori d Accrescimento dei frutti e Frutti prossimi alla raccolta
109
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
melo
Cavicchio
a
V
arietà di origine emiliana, probabilmente parmense, è sparita con l’arrivo sul mercato delle mele Red Delicious che ne hanno occupato lo spazio produttivo e commerciale. Le piante non sono molto vigorose ma piuttosto resistenti a parassiti e malattie; abbastanza produttive ma soggette ad alternanza di produzione negli anni. I frutti sono di pezzatura abbastanza grande, forma tronco-conica, allungati, assomigliano esteriormente alle Delicious; la buccia è di colore verde con estese aree rossastre; la polpa è bianca, succosa, croccante, di sapore modesto. Si raccoglie nella seconda decade di Ottobre.
110
b
c
d
e
a Bottoni rosa b Fioritura c Frutticini con residui dei fiori d Accrescimento dei frutti e Frutti prossimi alla raccolta
111
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
melo
Decio
a
V
arietà di origine antichissima; l’abbiamo forse ereditata direttamente dall’antica Roma. Si dice che sia stata importata dal generale romano Ezio quando sbarcò ad Adria con le sue legioni per combattere contro Attila nei dintorni di Padova. Sembra essere originaria della Valle Padana, probabilmente del Veneto. È presente in Emilia-Romagna nelle Province di Reggio Emilia, Modena e Ferrara. È conosciuta anche con i sinonimi Dezi, Decio nostrano, Deso (in Veneto), Nesta (in Toscana). Ha una produttività media ed è abbastanza tollerante nei confronti delle principali malattie fungine, ticchiolatura in particolare. Si adatta bene alla coltivazione sia in pianura che in collina e montagna. Produce frutti di media pezzatura, di colore giallo verde, con buccia liscia, polpa bianca, soda, croccante, zuccherina e profumata. La raccolta si colloca mediamente nella seconda metà di Ottobre; i frutti si conservano a lungo; caratteristica molto interessante soprattutto in passato quando non si disponeva di celle frigorifere per la conservazione. È adatta sia per il consumo fresco che per la cottura. Recentemente è stata reintrodotta in alcune zone del Veneto.
112
b
c
d
a Fioritura b Frutticini con residui dei fiori c Accrescimento dei frutti d Frutti prossimi alla raccolta
113
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
melo
Durello di Forlì
a
E
sistono diverse varietà denominate Durello; sono accomunate dalla consistenza della polpa soda, dalla serbevolezza dei frutti e dalla rusticità delle piante. Il Durello di Forlì possiede tutte queste caratteristiche. È stato individuato nel territorio forlivese e si distingue dal Durello di Ferrara, anch’esso presente nel pomario, in quanto produce frutti più grossi e la raccolta è anticipata di circa 10 giorni, attestandosi alla prima decade di ottobre. Produce mele di colore verdastro con sfumature rosse, polpa soda, dolce e acidula. Si conserva a temperatura ambiente molto a lungo. È particolarmente tollerante nei confronti degli attacchi di ticchiolatura; tanto che attualmente è oggetto di studio per il carattere di resistenza a questa malattia, essendone portatrice.
114
b
c
d
a Bottoni rosa b Accrescimento dei frutti c Invaiatura d Frutti prossimi alla raccolta
115
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
melo
Gelata
a
Q
uesta mela, di probabile origine abruzzese, è conosciuta anche con le denominazioni di Ghiacciata o Mela dall’olio in quanto la polpa è parzialmente traslucida. I frutti infatti sono sensibili alla vitrescenza della polpa, un’alterazione che produce aree dall’aspetto traslucido e vitreo, per l’accumulo di liquidi tra le cellule. Sono anche abbastanza sensibili agli attacchi di ticchiolatura, malattia di origine fungina in genere molto pericolosa per le mele. I frutti sono di media pezzatura, forma tronco-conica breve, colore giallo-verde sfumato di rosso; la polpa è gialla, succosa, croccante e soda, di sapore dolce e profumata. La raccolta ha luogo a metà Ottobre e i frutti si possono conservare a lungo, fino alla primavera.
116
b
c
d
a Fioritura b c Accrescimento dei frutti d Frutti prossimi alla raccolta
117
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
melo
Lavina
a
L
avina o Lavinia. È stata coltivata per molto tempo, per almeno 2 secoli, nell’area modenese; se ne presume pertanto l’origine. È praticamente scomparsa dopo la seconda guerra mondiale, sostituita da altre varietà di aspetto più invitante. Il frutto infatti non attrae particolarmente l’occhio; è di pezzatura medio-piccola, di colore giallo-verde, con lenticelle molto evidenti sulla buccia; con polpa di colore bianco-verde. È soda, succosa, abbastanza buona ma non tanto da poter competere con altre varietà, per esempio la Campanino. Si raccoglie verso metà Ottobre e può essere conservata a lungo durante l’inverno. È adatta per il consumo fresco; ma anche per particolari preparazioni. In passato infatti nell’area modenese veniva utilizzata per produrre l’aceto balsamico di mele, o “balsamele”, tramite un procedimento di produzione del tutto simile a quello del più noto aceto balsamico; dopo la spremitura delle mele il succo veniva concentrato e posto a fermentare in batterie di botti di diverse dimensioni e legni.
118
b
c d
e
a Bottoni rosa b Fioritura c Frutticini con residui dei fiori d Accrescimento dei frutti e Frutti prossimi alla raccolta
119
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
melo
Melo Ferro
a
N
ella Regione Emilia-Romagna la presenza del Melo Ferro è documentata già da fine ‘800; con questa denominazione si identificava un gruppo di varietà di mele con precise caratteristiche: polpa molto consistente, serbevole e resistenza alle principali malattie. Oggi persiste qualche sporadica coltivazione di Melo Ferro in provincia di Reggio Emilia. Il frutto ha pezzatura media, colore verde, polpa bianco-verde, succosa, croccante, decisamente soda, di buon sapore. Si raccoglie verso metà Ottobre e si può conservare molto a lungo fuori dal frigorifero. È adatta sia al consumo fresco che alla trasformazione. Nella tradizione gastronomica contadina veniva utilizzata per preparare mostarde, marmellate e flépi, le fette di mele essiccate da consumare durante l’inverno.
120
b
c
d
e
a Ripresa vegetativa b Bottoni rosa c Fioritura d Allegagione e Frutti prossimi alla raccolta
121
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
melo
Musa
a
I
n Romagna veniva chiamata anche Musona, alludendo alla particolare forma che ricorda quella del muso di un bue; in realtà la Musona sarebbe un clone diverso, anche se molto simile. Queste mele hanno un’origine antica, anche se non è nota; la mela Musa compare già nei dipinti di Bartolomeo Bimbi, pittore attivo alla corte della famiglia dei Medici tra fine ‘600 e inizio ‘700. Oggi sono ancora presenti in Romagna. La produzione è buona e la pianta piuttosto rustica e resistente. I frutti sono di medie dimensioni, di forma conica, colore giallo-verde con lenticelle e polpa bianca; si raccolgono in Ottobre. Venivano consumati soprattutto freschi durante tutto l’inverno; infatti la polpa non diventa farinosa ma resta croccante a lungo per diversi mesi durante la conservazione dopo la raccolta. La simile Musona, detta anche Musabò, ha il frutto caratterizzato dalla medesima forma, ma ancora più allungata; era diffusa prevalentemente nelle province di Piacenza, Parma e Reggio Emilia. Oltre che per il consumo fresco veniva utilizzata anche per la produzione di vino di mele o sidro.
122
b
c
d
a Ripresa vegetativa b Bottoni rosa c Accrescimento dei frutti d Frutti prossimi alla raccolta
123
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
melo
Renetta
a
I
l gruppo delle Renette ne comprende tanti tipi, originari delle diverse aree geografiche. I più noti sono la Renetta del Canada, la Renetta grigia del Tirolo, la Renetta grigia di Torriana (che si distingue per la buccia totalmente rugginosa). Nel pomario di Villa Smeraldi è presente una Renetta grigia che differisce dalle altre più note; si tratta probabilmente di un diverso clone tipico dell’Emilia-Romagna, attualmente oggetto di studio. I frutti sono di dimensioni medio-grosse, di colore verde anche a maturazione, con qualche rugginosità, polpa tenera, fondente, poco succosa, acidula e aromatica. Si conservano per diversi mesi dopo la raccolta. Le mele Renette possono essere consumate fresche oppure, ed è la loro specifica vocazione, per preparazioni gastronomiche quali la semplice cottura al forno o la preparazione di frittelle di mele, torte e strudel.
124
b
c
d
e
a Bottoni rosa b Fioritura c d Accrescimento dei frutti e Frutti prossimi alla raccolta
125
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Rosa Mantovana
melo
a
126
E
siste un nutrito gruppo di cultivar raggruppare con la denominazione di “Mele Rosa”; sono presenti da secoli nel territorio della Regione Emilia-Romagna e in altre regioni d’Italia; risultano già documentate nei secoli XVII e nel XVIII sia da Ulisse Aldrovandi, naturalista e botanico attivo nel territorio bolognese tra fine ‘500 e inizio ‘600, che da Bartolomeo Bimbi, pittore alla corte della famiglia dei Medici tra fine ‘600 e inizio ‘700. Ad oggi permangono incertezze nel riconoscimento delle cultivar specifiche. Oltre alla Rosa Mantovana le mele rosa comprendono, tra le altre, la Rosa Romana, la Rosa Emiliana, la Rosa d’Oliveto, tutte anticamente coltivate in Regione Emilia-Romagna. Anche la Rosa Romana, nonostante la specifica del nome, è presente da secoli nei territori delle province di Bologna e di Reggio Emilia, in particolare in collina e bassa montagna; deriva la denominazione “Romana” in quanto è stata documentata per la prima volta in area laziale. La Rosa Mantovana era coltivata fino alla metà del secolo scorso in varie zone della Regione Emilia-Romagna e nel Mantovano; ma anche il Trentino Alto Adige attesta l’origine di una Mela Rosa o Rosa di Caldaro, una delle sue varietà più diffuse fino a metà degli anni ’50. Al di là della vera origine geografica, ancora da accertare in maniera definitiva, le piante di Rosa Mantovana sono vigorose e produttive, ma con alternanza di produzione nei diversi anni. Il frutto è un po’ appiattito, asimmetrico, di pezzatura media, colore verde-giallo con aree rosa-rosse, polpa fine, fondente, aromatica, dolce, acidula e di sapore buono, ma un po’ diverso dagli standard di gusto attuali. Si raccoglie in ottobre e si conserva bene per alcuni mesi, fino a Natale; successivamente la polpa diventa tenera. Veniva utilizzata sia per il consumo fresco che previa cottura.
b
c
d
a Bottoni rosa b Fioritura c Accrescimento dei frutti d Frutti prossimi alla raccolta
127
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
melo
Scodellino
a
V
arietà di probabile origine emiliana; era diffusa nel ferrarese dove è stata coltivata a lungo; oggi è praticamente scomparsa È molto produttiva e rustica. Il frutto è di dimensioni medie, di colore giallo verde con lievi sfumature rosa; la polpa è bianca, succosa, soda e croccante, di ottimo sapore tendenzialmente acidulo. Si raccoglie verso la metà di ottobre e completa la maturazione nei mesi successivi. Come le varietà moderne non è soggetta all’alternanza di produzione. È considerata una delle migliori mele del passato e risulta particolarmente adatta per coltivazioni biologiche.
128
b
c
d
e
a Bottoni rosa b Fioritura c Frutticini con residui dei fiori d Frutti prossimi alla raccolta e Pianta con frutti maturi
129
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
melo
Violetta
a
L’
origine di questa varietà non è certa, ma probabilmente emiliana, dalla zona modenese. Si caratterizza per una elevata produttività. I frutti sono di pezzatura grossa, forma globosa e costoluta, di colore rosso vinoso alla maturazione; è questo carattere che giustifica la denominazione attribuita alla varietà. La polpa è di colore bianco, croccante, soda e di buon sapore. La raccolta avviene verso metà Ottobre.
130
b
c
d
a Bottoni rosa b Fioritura c Frutticini con residui dei fiori d Frutti prossimi alla raccolta
131
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Angelica
pero
a
132
N
ota anche con il nome di Santa Lucia, ha un’origine sconosciuta, ma sicuramente molto antica, in quanto la sua diffusione è da molto tempo documentata in Regione Emilia-Romagna, Veneto e Marche. Già nel ‘500 una tavola di Ulisse Aldrovandi ritrae una “Pyra Angela n. 1” molto simile all’attuale pera Angelica; così come Bartolomeo Bimbi rappresenta la “pera Angela” tra le “pere di Settembre” in una tela del 1699; analogamente anche altri autori successivi ne portano testimonianza. Dal 1812 risulta presente nella collezione dell’Orto Botanico di Bologna. Nelle Marche era coltivata fino agli anni ’50; a partire dal 2000 è iniziata un’opera di reintroduzione nel territorio. In Emilia-Romagna invece sono sopravvissute solo poche piante e in contesti marginali, famigliari o presso agriturismi per una distribuzione molto ridotta e rigorosamente locale. Si tratta di una varietà con produttività medio-alta, abbastanza suscettibile alla ticchiolatura e agli attacchi di insetti parassiti quali la Psilla e la Cidia. I frutti sono di pezzatura medio-piccola, di colore giallo con sovracolore rosso brillante sul lato esposto al sole; la buccia è liscia e fine; la polpa succosa e aromatica. Maturano a fine Settembre; poiché non si conservano a lungo devono essere consumati subito dopo la raccolta.
b
c
d
e
a Fioritura b Frutticini con residui dei fiori c Accrescimento dei frutti d Invaiatura e Frutti prossimi alla raccolta
133
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Cocomerina tardiva
a
pero
C
134
onosciuta anche come Cocomerina d’Inverno o Briaca tardiva o Sanguigna tardiva deve il suo nome alla singolare colorazione della polpa a maturazione che si presenta tendente al rosso con intensità variabile, più evidente a contatto della buccia e del torsolo. Una varietà simile, la Cocomerina precoce, si differenzia per il periodo di maturazione anticipato. Non si conosce con precisione l’origine di questa pera, ma esistono testimonianze già dal ‘600 sia in Francia che in Germania. Si tratta di produzioni ad esclusivo uso famigliare e quindi poco documentate. Oggi queste varietà a polpa rossa sono reperibili nell’Appennino romagnolo, in particolare nel territorio dei Comuni di Verghereto e Bagno di Romagna dove recentemente si è concretizzato un rinnovato interesse fino ad identificare nella pera Cocomerina un presidio Slow Food a partire dal 2003. Oggi viene ripiantata e riproposta nei menu di alcuni ristoranti della Romagna. La Cocomerina tardiva è una varietà piuttosto rustica, poco soggetta alle principali malattie del pero. I frutti maturano a fine Ottobre (in Agosto invece matura la Cocomerina precoce); sono piccoli e di forma rotondeggiante; la buccia è di colore giallo-verde, arrossata nelle parti esposte al sole; la polpa è soda, dolce e di colorazione rossastra. I frutti sono adatti esclusivamente per la consumazione previa cottura e per la trasformazione in marmellate e altre preparazioni gastronomiche della tradizione locale.
b
c
d
a Fioritura b Frutticini con residui dei fiori c Accrescimento dei frutti d Frutti prossimi alla raccolta
135
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Coscia
pero
a
136
V
arietà di origine toscana, conosciuta anche col nome di Coscia di Firenze, è una pera precoce storica molto conosciuta e apprezzata in passato. Esistono altre varietà simili che, pur essendo genotipi estranei, sfruttano questo stesso nome con declinazioni suggestive quali Coscia di donna bianca o Coscia di donna rossa. Il frutto è molto bello, ha la classica forma “piriforme”; è di pezzatura piccola, colore giallo-verde con possibili sfumature rosa e buccia liscia; la polpa è fondente e di sapore gradevole. Matura precocemente: nella prima metà di Luglio al Sud, per esempio in Campania; 10 giorni più tardi al Nord, dove le condizioni climatiche sono un po’ meno adatte per la coltivazione. Oggi la distribuzione della pera Coscia è molto limitata.
b
c
d
a Fioritura b Frutticini con residui dei fiori c Accrescimento dei frutti d Frutti prossimi alla raccolta
137
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Covata
pero
a
138
D
etta anche Covate questa varietà presente nel Forlivese prende forse il nome dalle antiche tecniche di conservazione dei frutti; non disponendo di impianti di refrigerazione i frutti potevano essere conservati più a lungo se ricoperti con la paglia o con la pula del grano, analogamente ai nidi predisposti per la “cova” delle uova. Non ci sono notizie sull’origine di questa varietà; è stata descritta negli anno ’90 in Romagna nella zona di Corniolo ed è stata individuata all’interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna e in altre aree dell’Appennino romagnolo. È una varietà abbastanza rustica e produttiva con maturazione scalare durante il mese di Agosto. I frutti sono piccoli, maliformi, di colore giallo-verde con chiazze rosse allargate sul lato dell’insolazione; la polpa è di colore bianco crema, grossolana, succosa e poco soda, di discreta qualità. È una pera adatta unicamente al consumo fresco e di scarsa durata.
b
c
d
e
a Fioritura b Frutticini con residui dei fiori c Accrescimento dei frutti d Invaiatura e Frutti prossimi alla raccolta
139
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Martin Sec
pero
a
140
È
una varietà molto antica di pera da cuocere. Non è accertata l’origine italiana ma la si può trovare in Piemonte dove viene ancora coltivata. In Emilia-Romagna invece non se ne conosce la presenza. È denominata in modi diversi nelle diverse regioni: Garofala, Cannellino, Camellina di Verona. È una varietà produttiva ma con alternanza nelle diverse annate; è abbastanza sensibile alla malattia fungina della ticchiolatura. I frutti sono di pezzatura piccola, con buccia di colore giallo bronzo, rugginosa e punteggiata; la polpa è molto gradevole, dolce e profumata, soda e granulosa, particolarmente adatta per la cottura. Si raccoglie in Ottobre e può essere conservata fino a Gennaio-Febbraio; particolare che spiega la sua popolarità in passato.
a
b
c
d
e
b Fioritura
c Frutticini con residui dei fiori d Accrescimento dei frutti e Frutti prossimi alla raccolta
141
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Mirandino rosso
pero
a
142
S
i tratta di una varietà anticamente diffusa in zone di pianura nelle province di Ferrara e di Mantova; era conosciuta anche con altre denominazioni, Bella di Giugno e Precoce di Moglia, che testimoniano le caratteristiche che contraddistinguono questa pera: il bell’aspetto del frutto e la precocità di maturazione. La Mirandino rosso è infatti precocissima; viene raccolta nell’ultima decade di Giugno. I frutti sono di pezzatura piccola e hanno la classica forma a pera, allungata, buccia sottile, liscia, senza rugginosità, colore giallo a maturazione con sfumature rosate sul lato esposto al sole; la polpa è bianca, fondente, dolce. Si tratta di una pera delicata, sensibile alle manipolazioni e di scarsa durata. È pertanto adatta al consumo fresco immediatamente dopo la raccolta.
b
c
d
e
a Fioritura b c d Accrescimento dei frutti e Frutti prossimi alla raccolta 143
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
pero
Mora di Faenza
144
a
È
una vecchia varietà romagnola diffusa particolarmente nelle colline attorno a Faenza, dove viene ancora coltivata in qualche vecchio impianto. È conosciuta anche come Mora o Brutta e buona. Le piante sono suscettibili agli attacchi della malattia fungina della ticchiolatura e della Psilla. I frutti sono di medie dimensioni e di aspetto non molto attraente, con forma tozza e bitorzoluta, buccia di colore giallo-verde con una bronzatura su vaste porzioni del frutto; la polpa di color bianco crema è soda, fondente e succosa, di buon sapore. La raccolta viene realizzata nella seconda metà di Ottobre e la maturazione si compie durante la conservazione in inverno. Si consuma tal quale. Questa pera è piuttosto popolare, godendo dell’apprezzamento di affezionati estimatori e oggi è diventata un presidio Slow Food.
b
c
d
e
a Fioritura b Frutticini con residui dei fiori c Accrescimento dei frutti d Invaiatura e Frutti prossimi alla raccolta
145
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Precoce d’Altedo
pero
a
146
L’
origine è ignota ma piante di questa varietà sono ancora presenti nelle campagne delle province di Ferrara e di Bologna. Il nome indica forse la possibile località d’origine; sicuramente identifica uno dei principali centri di produzione del passato, Altedo nel Bolognese. Alla fine degli anni ’50 Angelo Vespignani ne promosse la diffusione. Le piante di Precoce d’Altedo hanno un’elevata produttività; fruttificano a grappoli. I frutti sono di pezzatura media, ovoidale, con buccia di colore verde-giallo, con sfumature rosse nella parte esposta al sole, segnata da lenticelle rugginose. La polpa è bianca, grossolana, poco succosa, poco dolce e poco acida, di qualità organolettiche mediocri. La maturazione è precoce, a metà Luglio. Nonostante la produttività elevata, ad un iniziale successo ai tempi del boom della pericoltura bolognese ha fatto seguito l’abbandono della coltivazione; del resto la Precoce d’Altedo è piuttosto sensibile alle malattie e i suoi frutti sono di modeste qualità organolettiche e di scarsa durata; pertanto non ha retto al confronto con altre nuove varietà più competitive.
b
c
d
e
a Bottoni rosa b Fioritura c Frutticini con residui dei fiori d Accrescimento dei frutti e Frutti prossimi alla raccolta
147
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Spina Carpi
pero
a
148
S
embra essere una varietà antichissima, di origine imprecisata, probabilmente italiana; potrebbe forse essere un’eredità derivata dalla frutticoltura dell’antica Roma. È comunque curioso verificare quante altre diverse denominazioni esistono per questa varietà: Spino, Picena, Casentina, Duchessa di Montebello; nel veronese era chiamata Trentossi. Negli anni ’60 era ancora abbastanza diffusa; oggi è praticamente scomparsa. È vigorosa e piuttosto produttiva. I frutti sono di pezzatura media, forma tozza, tronco conica, buccia verde con lenticelle rugginose, polpa soda, granulosa e di buon sapore. Si raccolgono a fine Settembre-inizio Ottobre e si conservano molto a lungo anche senza refrigerazione. Si possono consumare freschi ma sono particolarmente adatti alla cottura. Oggi la varietà Spina Carpi è oggetto di rinnovato interesse in quanto sembra essere l’unica varietà tra le pere italiane a possedere i geni per la resistenza alla Psilla, insetto che può provocare notevoli danni. Il recupero di questa caratteristica e la sua potenziale introduzione nel patrimonio genetico di varietà coltivate potrebbe consentire di ridurre la pressione chimica per la difesa delle piante di pero.
b
c
d
e
a Fioritura b Frutticini con residui dei fiori c d Accrescimento dei frutti e Frutti prossimi alla raccolta
149
SCHEDE FOTOGRAFICHE DELLE VARIETÀ
Volpina
pero
a
150
È
un’antica varietà originaria probabilmente dell’Appennino Tosco-Romagnolo. La si può trovare ancora in Romagna dove viene coltivata in gruppi di alberi sparsi come pera da cuocere; uso per il quale è veramente ottima. Veniva anche utilizzata nelle piantate come tutore della vite. È molto produttiva e rustica. I frutti sono disposti a grappolo, sono molto piccoli, di forma rotondeggiante, schiacciata (sembrano delle meline), con buccia spessa, di colore bruno e rugginosa. La polpa è color bianco crema, dura, grossolana, molto dolce. I frutti vengono raccolti in Ottobre e maturano in inverno; è possibile conservarli a lungo fino a Febbraio-Marzo a temperatura ambiente. Sono adatti esclusivamente per la cottura; prendono parte a varie ricette di uso locale; una fra tutte: bolliti con castagne, foglie di alloro e vino. Un’altra varietà molto simile viene denominata Volpona; differisce per le dimensioni, in quanto è un po’ più grande, e per la polpa, che è fondente e ha un sapore meno interessante della Volpina.
b
c
d
e
a Ripresa vegetativa b Fioritura c Frutticini con residuo dei fiori d Accrescimento dei frutti e Frutti prossimi alla raccolta
151
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Sansavini S., 2013 Catalogo del pomario di Villa Smeraldi. Schede pomologiche di antiche varietà di Mele, Pere, Pesche, Albicocche, Ciliegie e Susine - con la collaborazione di S. Tartarini, V. Ancarani, M. Grandi - Ed. Dip. Scienze Agrarie, Università di Bologna Biodiversità in Agricoltura – IL DIVULGATORE – Anno XXXIV – n.11/12 – 2011 L.R. n. 1/2008 “Tutela del patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario del territorio Emiliano-Romagnolo” - ALLEGATO 1-12: “Schede tecniche per l’iscrizione al repertorio” - http://demetra.regione.emilia-romagna.it/al/ articolo?urn=er:assemblealegislativa:legge:2008;1 Repertorio volontario regionale delle risorse genetiche agrarie – Schede varietali - http://agricoltura.regione.emilia-romagna.it/agrobiodiversita/doc/ agrobiodiversita-vegetale Pianeta Biodiversità (raccolta di articoli dalla rivista AGRICOLTURA) – Centro Stampa Regione Emilia-Romagna – Ottobre 2013 Frutti dimenticati e biodiversità recuperata – “Quaderni Natura e Biodiversità” 1/2010, ISPRA e ARPAE Emilia-Romagna S. Guidi (a cura di), I frutteti della biodiversità in Emilia-Romagna, I Quaderni di ARPAE, 2013, seconda edizione
RIFERIMENTI FOTOGRAFICI Tutte le foto di questo capitolo sono state realizzate dal Circolo fotografico "Punti di Vista", ad eccezione di quelle realizzate da Rosella Ghedini come segue: pagg. 48, 59 (e), 65 (e), 75 (d), 77 (b)(c)(e), 81 (e), 85 (d), 89 (d), 91 (c)(e), 93 (d)(e), 107 (e), 109 (e), 111 (e), 113 (d), 115 (c), 117 (d), 119 (e), 121 (e), 125 (e), 129 (b)(d)(e), 131 (b)(d), 141 (e), 143 (e), 151 (e)
152
153 Pero Mirandino rosso in autunno (foto R. Ghedini)
Pomona dea del Pomario
Una divinitĂ "a chilometro 0"
Elisabetta Landi
IBC
Jacopo Carucci detto il Pontormo, Pomona, Villa medicea di Poggio a Caiano, 1519-1521 (fonte Wikipedia)
POMONA “I am the ancient apple-queen, As once I was so am I now. For evermore a hope unseen, Betwixt the blossom and the bough. Ah, where’s the river’s hidden Gold! And where the windy grave of Troy? Yet come I as I came of old, From out the heart of Summer’s joy.”
“Io sono l’antica mela-regina, Come ero una volta, così sono ora. Per sempre una speranza non vista, Tra il fiore e il ramo. Ah, dov’è l’Oro nascosto del fiume! E dove la tomba ventosa di Troia? Eppure vengo ora come venni un tempo dal cuore della gioia dell’estate”.
William Morris, da Poems by the ways, 1891
IL POMARIO: UN TEMPIO DELLA NATURA
C
i fu un tempo nel quale la Natura, luogo abitato dagli dei della vegetazione, era uno spazio sacro. Qui, in “santuari” all’aperto, le divinità richiamate dai riti agresti apparivano tra gli alberi da frutto e propiziavano la fecondità della Terra: una “Terra Madre” che, con i suoi pomi, era garanzia di sopravvivenza. L’agricoltura, perciò, era considerata un “dono”, basato sul rispetto del pianeta, e al tempo stesso nascondeva l’immagine di un “mistero”. Non mancano, nell’area padana, le testimonianze di questi culti antichissimi. Li rappresentano le “veneri steatopigie”, un altro modo per dire femmine prosperose, rinvenute nella nostra regione: la Venere di Savignano (Roma, Museo Pigorini), emersa nel 1925 dall’humus della valle del Panaro dove era stata interrata 35.000 anni fa e documentata da una copia al Museo omonimo di Savignano; o quella ritrovata nel 1940 a Chiozza, vicino a Scandiano, e ora ai Musei Civici di Reggio Emilia. Quelle immagini, espressioni della generosità del suolo e perciò dispensatrici di vita, erano le depositarie di una scienza perduta che “controllava” i cicli stagionali e l’utilizzo della terra finalizzato al nutrimento. Dal paleolitico al mondo etrusco e fino all’età romana i culti si diversificarono ma rimase, alla base del mito, l’idea del pianeta come luogo funzionale alla sussistenza governato da divinità fertili cui i popoli consacravano i prodotti dei campi.
Nicolas Fouché, Pomona, Budapest, Magyar Szepnmiivhészeti Mùzeum (fonte Wikipedia)
155
Oggi più che mai, in tempi critici per l’ecosistema, è opportuno recuperare il senso della sacralità della Natura, presente ai nostri progenitori, e viverlo con una coscienza rinnovata.
POMONA TRA STORIA, MITO E LEGGENDA
Lelio Orsi, Pomona, Novellara, Museo Civico Gonzaga, 1558 (fonte Istituto Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna, PATER – Catalogo del Patrimonio Culturale)
156
Nel Pomario, “tempio” all’aperto, era onorata Pomona, “patrona” degli alberi da frutto e della biodiversità delle piante. Le origini di questa divinità risalgono alla civiltà etrusco italica: una dea nostrana, quindi, e per così dire “a chilometro zero” perché, a differenza delle sue colleghe venerate in Grecia e nei domini romani con nomi diversi (Afrodite-Venere, Demetra-Cerere, Hera-Giunone, Athena-Minerva, ecc.), fu Pomona e basta, pur riassumendo in sé mille volti: dea “tellurica”, immagine della fertilità, icona dell’equilibrio della natura. Signora del pomario (nell’area mediterranea la frutta era una benedizione), governava il “fanum Pomonae”, o Pomonale, che si trovava sulla strada ostiense nei pressi dell’attuale Castel Porziano. Il suo culto era molto diffuso: non mancano ritrovamenti archeologici in altri territori: in Lunigiana si segnala una stele (tuttora all’attenzione degli studiosi), mentre a Salerno esiste un “tempio di Pomona”. Nel pomario si svolgevano riti agresti legati ai cicli stagionali, officiati da un sacerdote, il flamen pomonalis; il giorno sacro alla dea era la Pomonalia, una ricorrenza autunnale che coincideva con la maturazione dei frutti. La nostra conoscenza di Pomona è mediata dalla letteratura. Fu Plinio, nel libro XXIII della Storia Naturale (Medicina da vite, olivo e alberi da frutto), a darle voce: “Da me dipende la maggior parte dei piaceri umani” esordisce la signora dei pomi. “Io produco il succo del vino e il fluido dell’olio, io i datteri e i frutti… e non pretendo, come la terra, che tutto si conquisti con la fatica… Al contrario, sono io a fornire già pronto ogni frutto [che] si offre spontaneamente…”. Così, “l’uomo trasse dagli alberi la prima forma di nutrimento e in questo modo fu costretto a volgere il suo sguardo verso il cielo…”. Dunque, un collegamento tra il Cielo e la
Cornelius Mattens, Giardino di Vertumno e Pomona, Correggio, Museo Civico Il Correggio, fine sec. XVI-inizio sec. XVII (fonte Archivio Fotografico Museo Civico Il Correggio)
157
Marino Marini, Pomona, Pistoia, Fondazione Marino Marini, 1945 (fonte Archivio Fotografico Fondazione Marino Marini)
158
Terra, e i doni dell’agricoltura accolti con rispetto come segno della benevolenza degli dei. Se Plinio onorò Pomona come icona dell’Età dell’Oro e maestra dell’agronomia (gli agronomi di tutti i tempi si definirono “alunni di Pomona”), fu Ovidio che ne tramandò il mito e lo fece nelle Metamorfosi, l’opera capitale che velava in forma di leggenda il divenire della natura, celebrato nei culti agrari. Nella fiaba, contenuta nel XIV libro (vv. 621-697), la dea è una ninfa giardiniera, dedita alle piante da frutto. “La sua destra non stringe un giavellotto, ma una falce adunca con la quale sfoltisce la vegetazione che trabocca e pota i rami che s’intrecciano tra loro… E non tollerando che soffrano la sete irriga con rivoli d’acqua le fibre contorte delle avide radici”. Unica sua passione, la cura del pomario (la cui descrizione, riletta dagli umanisti, fu alla base dell’idea del giardino rinascimentale). Un bel giorno si innamorò di lei Vertumno, il Veltha degli etruschi, divinità solare della maturazione dei prodotti dei campi onorata dalle Vertumnalia. Deciso a conquistarla (Pomona era insensibile ai corteggiamenti), si camuffò in mille modi: prima si travestì da agricoltore, poi l’avvicinò fingendosi mietitore, quindi si tramutò in guerriero e in tante altre forme ma senza mai riuscire nei suoi propositi di seduzione. Finalmente, le si presentò in sembianze di vegliarda e così, accolto dalla ninfa, cominciò a persuaderla. “Se vuoi maritarti bene non accettare nozze banali”, si raccomandava, “ma scegli come tuo compagno Vertumno”. Poi, deposto il travestimento, ecco che le appariva in tutto il suo splendore. La ninfa, vinta, cedeva, e si abbandonava tra le braccia del dio. È una storia semplice, in apparenza, ma nasconde un mistero: quello dei cicli naturali e dell’eterno rinnovarsi della vegetazione. Pomona, “principio fertile”, rappresenta la varietà pomologica nel suo complesso (e difatti il Gallesio la ricordò, nel 1817, nella
Pomona italiana), alludendo alla “potenzialità” del frutto maturato da Vertumno, dio dei ritmi stagionali. In realtà, il nome di questa divinità maschile derivato dal latino vertere, trasformare (da cui i travestimenti che si succedono nel racconto), discendeva da quello di una deità più antica, Voltumna, titolare del Fanum Voltumnae, il sacrario nel quale si riconosceva la confederazione delle dodici popolazioni etrusche. Depositaria dell’antica scienza del cielo e della terra, governava le leggi della natura, esprimendo, così, l’intelligenza del pianeta. Nel tempo, la sua immagine si scisse in quelle di Vertumno e di Pomona, dei dell’agricoltura e garanti della prosperità del suolo. Non sembra un caso, allora, che nel ‘900, tra le due guerre e agli albori di una coscienza ecologica moderna, a Pistoia, al di là dell’Appennino, un grande artista, Marino Marini, intuisse l’autorità di Pomona rappresentandola come dea planetaria e principio di rigenerazione della natura in una serie straordinaria di sculture. Quelle opere, conservate presso la Fondazione Marini della città toscana e nei musei di tutto il mondo, davano forma a immagini senza tempo, evocando l’icona di un “futuro arcaico”. “C’è un senso di vita che passa, che circola; ci sono le stelle, ci sono i cieli”, scriveva in Io sono un etrusco. “È una civiltà che ancora oggi esce dalla terra, è una radice che alimenta… Le mie Pomone vivono di un mondo solare, di un’umanità piena, di un’abbondanza… Rappresentano una stagione felice…”. Forse, si potrebbe pensare, una stagione prospera garantita dal rispetto dell’ecosistema, una soluzione valida per il nostro presente.
Flamen pomonalis, Parigi, Louvre (fonte Wikipedia)
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Elisabetta Landi, Pomona tra immagine e leggenda, in Enrico Baldini, a cura di, Frutti da Museo. Arte e Scienza al servizio di Pomona, Accademia Nazionale di Agricoltura, catalogo della mostra (con il patrocinio dell’Ibacn), Biblioteca Universitaria di Bologna, Bologna, Tipolito Tamari snc, 2007, pp. 12-13 Elisabetta Landi, Pomona Dea dei frutti mito e iconografia, in Enrico Baldini, a cura di, Miti, arte e scienza nella pomologia italiana, Roma, CNR, 2008, pp. 1-34 Giovanni Feo, Il tempio di Voltumna. Alla scoperta del sacrario dei dodici popoli etruschi, Viterbo, Stampa Alternativa, 2009 159
Melo var. Ruggine (foto Punti di Vista)
Il nome (e il cognome) dei frutti Carlo Tovoli IBC
V
isitare un pomario è un po’ come entrare in una macchina del tempo alla scoperta di antiche piante da frutto. È un viaggio affascinante che per qualcuno può evocare il “tempo perduto” dei profumi e dei ricordi dell’infanzia, ad esempio, oppure può far riaffiorare reminescenze letterarie, proverbi, magari legati alle tradizioni contadine e tramandati in dialetto, o storie legate ad un passato più o meno recente. La varietà del pomario subito ci conquista. È così raro oggi osservare la frutta sulla pianta. In genere la troviamo accatastata negli scaffali del supermercato oppure nelle cassette dei mercati “contadini”. Il nostro rapporto con la frutta è superficiale: esiste nel nostro immaginario “la” mela, “la” pera, “la” prugna: è un’idea di frutta, perfetta, brillante, in una parola “artificiale”. Addentrandoci nel pomario osserviamo le tante varietà finora sconosciute di frutta, all’inizio con una certa diffidenza (se sono frutti “dimenticati” un motivo forse ci sarà...), poi, con curiosità, iniziamo ad abituare i nostri occhi alla diversità di forme e di colori, ci avviciniamo rispettosi per toccare, annusare e, magari, se ci è consentito, assaggiare. Ed è allora che, grazie al coinvolgimento dei nostri sensi, si apre davanti a noi un nuovo mondo, tutto da scoprire. Da quel momento vuoi saperne di più su “quella” mela o “quella” pera, e scopri che tanti altri frutti verranno a maturazione più avanti e quindi è possibile rinnovare l’esperienza “sul campo” nel tempo, seguendo i cicli della natura. Il desiderio ora è quello di imparare a riconoscere le tante varietà di frutta. Se è vero che “i confini del mio linguaggio sono i confini del mio mondo”, come ricorda il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein, per ampliare le nostre conoscenze dobbiamo poter dare un nome a quel particolare frutto che abbiamo davanti a noi. C’è la mela Abbondanza, Puppina, Belfiore, Decio, Fogliona, San Giovanni, persino la mela Carla e la Francesca. Le pere si chiamano Giugnola,
Ciliegie all’invaiatura; var. Gambolungo (foto Punti di Vista)
161
Durone di Cesena (foto R. Ghedini)
Moscatella, Agostana, Volpina, Scipiona, Cocomerina. Così le pesche (Buco incavato, Bella di Cesena, Impero, Sant’Anna, Regina d’Ottobre, ma anche K2 e Rosa del West), le prugne (Regina Claudia, Trasparente, Settembrina), le ciliegie (Mora di Vignola, Moretta, Durone della Marca, Anellona) e le albicocche (Reale d'Imola, Tonda di Tossignano, Sant’Andrea). L’elenco potrebbe continuare, soprattutto se ci soffermiamo sulle varietà quasi scomparse o ridottesi fortemente col passare degli anni. Indagare sui nomi delle piante, in generale, può riservare tante sorprese e curiosità. Ciò vale anche per la frutta e scopriamo che uno stesso frutto può avere un nome più o meno ufficiale e tanti sinonimi, che variano lungo lo stivale, a volte anche da una località all’altra della stessa regione (un esem-
Mela var. Musa (foto Punti di Vista)
163
Mela Rubra precoce (foto Punti di Vista)
164
pio per tutti la mela “Poppino”, detta anche Puppino Ferrarese o Poppina di Londra, ma anche Citron d’Hiver). La derivazione dei nomi può avere i riferimenti più diversi, dal colore alla forma, dalla religione al mondo animale, dallo spazio geografico a quello temporale, o richiamare personaggi storici. Iniziamo il “gioco dei nomi” partendo dalle mele. Tra le più curiose troviamo la Mela Musona, detta anche Muso di Bue o Musabò, usata tradizionalmente per fare il vino
di mele (sidro). Il suo nome deriva dall’aspetto conico allungato caratteristico del frutto, simile a un muso di animale. La Rosa Romana, detta così perché individuata per la prima volta nell’area dell’Agro Romano, è diffusa in particolare nel reggiano e nel bolognese. La Mela Decio, antica varietà forse di epoca romana; il suo nome pare derivare da Flavio Ezio, un generale che combatté contro Attila. E, ancora, le mele che “ricordano” altri frutti, come la Mela Pesca, diffusa nel reggiano; il suo nome ha origine dal particolare profumo che emana e dal colore della buccia, rosa-rossa sfumato. O la Mela Limoncella, dalla polpa bianca, zuccherina e leggermente acidula, da cui il nome. Tantissime le varietà di pere: la Cocomerina, (o anche Pera Anguria) deriva il suo nome dal colore della polpa parzialmente rossa. Presidio slow food, in Toscana è detta “Pera Briaca” non solo per il colore della polpa che ricorda quello del vino, vista la ricchezza di antociani, ma anche perché era usanza in passato immergerla nel vino per dimostrare, in base al suo galleggiamento, se il vino era stato diluito con acqua. C’è la Pera Giugno, o Giugnola, detta anche di San Pietro (che ricorre il 29 giugno) o di San Giovanni (il 24 giugno): la dicitura identifica le varietà che maturano nel mese di giugno, quando ricorre la festa dei Santi. Di maturazione molto tardiva invece è la Pera Ruggine, caratteristica per la sua buccia gialla, parzialmente rugginosa. Riferimenti antropomorfici li ritroviamo nella Pera Coscia, detta anche “coscia di donna”, nel secolo scorso la pera precoce estiva per antonomasia, che ricorda nella forma le rotondità femminili. La Pera Rampino o Rampina, detta anche San Giorgio, il cui nome deriva dalla particolare conformazione del peduncolo che ricorda un uncino o rampino. Il colore dà il nome alla Pera Angelica, varietà molto antica, dalla polpa bianca e gentile. Altra varietà estiva molto antica, descritta dalla metà del Cinquecento, è la Pera Moscatello (sinonimo
Varietà di pero di recente introduzione nella collezione del Pomario (foto R. Ghedini)
165
Etichetta di identificazione in campo delle varietà (foto R. Ghedini)
166
Petit Muscat), che ha un aroma pronunciato di moscato. Ricorda un animale la Pera Volpina, frutto del pero che in Romagna era tradizionalmente posto a sostegno delle viti, il cui nome sembra dovuto al fatto che le volpi ne sono molto ghiotte, oppure per il colore della buccia che riprende il colore del mantello dell’animale. Al conte faentino Scipione Zanelli che la introdusse in Romagna alla fine del XVIII secolo deve il nome la Pera Scipiona. Varietà invernale, si raccoglie a ottobre e matura da novembre fino a febbraio. È legato alla modalità di conservazione il nome della Pera Covate o Covata, che ha la sua zona tipica di produzione nell’Appennino roma-
gnolo. Il termine “cova” in Romagna indica la pula del grano, che insieme alla paglia, si usava per conservare meglio la frutta quando ancora non esisteva il frigorifero. Per quanto riguarda le pesche, diverse portano il nome della località d’origine, come la Bella di Cesena o la Bella di Piangipane, o la Bianca di San Tomè (da una frazione forlivese). In alcuni casi portano il nome del Santo, per indicare il periodo di maturazione, come la Pesca Sant’Anna (26 luglio). Ha un’epoca di raccolta molto tardiva la Pesca Regina d’Ottobre. In altri si fa riferimento alla conformazione del frutto, come per la Pesca Buco Incavato, di origine romagnola (“bus incavé” in dialetto) che è sferoidale con una sutura infossata, da cui il nome. Per le albicocche ricordiamo la Bella di Imola e la Reale di Imola; quest’ultima è stata a lungo il simbolo delle albicocche romagnole, dove era nota come “Mandorlona” per la sua forma a mandorla asimmetrica. Tra le ciliegie partiamo con la Ciliegia Ultima (o Ciliegione), detta anche Ciliegia Montanara, varietà tardiva che si raccoglie nella prima decade di luglio. C’è la famosa Mora o Moretta di Vignola, antica varietà sinonimo di ciliegia nera, un tempo usata anche per ricavare colorante alimentare, visto l’alto contenuto di pigmento antocianico. E poi il Durone della Marca, diffuso da oltre un secolo nel modenese e nel bolognese, che deve il suo nome all’origine marchigiana. Chiudiamo con le susine: la nobile Regina Claudia, la “sovrana” tra le susine, è di origine francese risalente al XVI secolo. Il nome è un omaggio alla Regina Claudia di Francia, moglie di Francesco I. Decisamente più “prosaica” è la derivazione del nome della susina “Borsa de Brec” (detta anche “Fiascona” o, in modo decisamente più elegante, “Favorita del Sultano”). Pieno di grazia è il nome della prugna precoce Sorriso di Primavera, mentre ricorda il periodo di maturazione la Susina Agostana. Poco sappiamo invece della derivazione del nome della prugna Zucchella, da lungo tempo presente nella nostra regione. Le prime notizie risalgono al 1700 e fanno riferimento alla provincia di Parma. È interessante ricordare che durante il governo di Maria Luigia d’Austria la coltivazione della Zucchella si estese a tutti i territori del Ducato di Parma e Piacenza, estendendosi anche al reggiano. Alimenterà la fantasia dei bambini la prugna Sangue di
Ciliegia var. Mora di Vignola (foto R. Ghedini)
167
Drago, di grosse dimensioni, con epidermide color rosso scuro e polpa sanguigna. Il gioco dei nomi potrebbe continuare quasi all’infinito. Per saperne di più non resta che visitare il pomario di Villa Smeraldi e seguire una delle tante visite guidate, fedeli allo slogan “I Love Pomario”. La frutta la si conosce anche amandola.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Sansavini S., “Catalogo del Pomario di Villa Smeraldi. Schede pomologiche” - con la collaborazione di S. Tartarini, V. Ancarani, M. Grandi – 2013, Ed. Dip. Scienze Agrarie, Università di Bologna Il dialetto e le sue parole. Piante e frutti nella lessicografia bolognese, 2007, I quaderni della civiltà contadina, Museo della Civiltà Contadina di San Marino di Bentivoglio S. Guidi (a cura di), I frutteti della biodiversità in Emilia-Romagna, I quaderni di Arpae, 2013, seconda edizione Frutti dimenticati e biodiversità recuperata. Quaderni “Natura e Biodiversità” 1/2010, ISPRA e Arpae Emilia-Romagna
168
Fonte Servizio Comunicazione CittĂ Metropolitana di Bologna
#ILOVEPOMARIO Dal Pomario con amore Protagonisti, pensieri, esperienze, ricordi
C
on la campagna #ILOVEPOMARIO realizzata tramite una piattaforma di crowd funding il Museo ha voluto offrire al pubblico la possibilità di conoscere di persona e contribuire alla salvaguardia di un prezioso patrimonio pubblico, di godere della generosità della natura, dei profumi, dei sapori e dei colori di queste varietà antiche che rappresentano una fonte di geni a cui attingere per recuperare caratteri oggi scomparsi e antiche virtù di cui la grande distribuzione ha perso il ricordo (resistenza a patogeni, rusticità e adattabilità ambientale, serbevolezza dei frutti e tenuta di maturazione dopo la raccolta…). Sono alcune centinaia le persone che hanno voluto seguire da vicino la cura di uno o più alberi contribuendo attraverso il semplice sostegno o, meglio, con l’adozione di un esemplare, che ha permesso loro di seguire gli sviluppi della pianta adottata e di raccoglierne i frutti attraverso attività didattiche e di raccolta collettiva della frutta riservate ai sostenitori. Qui di seguito abbiamo raccolto alcuni testi che ci hanno inviato quale ulteriore segno del loro sincero coinvolgimento e che testimoniano pensieri, ricordi, esperienze passate e di oggi, emozioni legate al contatto con la collezione di varietà antiche, le motivazioni della scelta del sostegno all’iniziativa.
170
Marco Bernardini (fonte Wikipedia)
Mentre li abbracci non piangere per certi alberi: salici. Molti non danno solo i loro frutti ma i nostri. Frutto della cultura colturale, di certe facoltà (non solo universitarie) che l´orto della mente irrora con la terra, e coltiva di fianco ai cieli, nel Pomario: vai a vederlo (per) crescere. Aprimi cielo, perché su questo museo ci piove! Alessandro Bergonzoni
171
Fiore Durone di Vignola Nero III (foto Punti di Vista)
Caro Pomario Ciliegio Durone di Vignola Nero e Melo Fior d’Acacia: È una storia d’amore: un Durone che ti si scioglie in bocca se lo addenti con grazia e una Mela contadinotta che profuma solo se affondi il naso senza remore. Che poi questi due alberi siano anche legati a una mia storia d’amore, questa è la vera ragione che me li ha fatti scegliere. Al prossimo raccolto! Marinella Manicardi
172
Regina Claudia di Bavay (foto Punti di Vista)
Rispondo di buon grado. Con villa Smeraldi e con il Museo della civiltà contadina esiste un legame di lunga data, che risale agli anni ‘70, quando cominciai a visitare con la mia famiglia il parco della villa, che trovavamo particolarmente suggestivo, con il laghetto e la vecchia ghiacciaia. Ricordo anche alcune piacevoli scampagnate con la scuola materna frequentata dalle nostre figlie. Oltre a ciò c´ è un legame, per così dire, istituzionale, dovuto al fatto che si tratta di un luogo di proprietà della Provincia di Bologna (oggi Città Metropolitana), nella quale ho lavorato per tanti anni. Mi è anche piaciuta la formula dell’adozione di una pianta, analoga a quella seguita da altre realtà, come il parco delle Foreste Casentinesi, nel quale siamo “proprietari” virtuali di 50 mq. di foresta. Un cordiale saluto ed un augurio di buon lavoro. Paolo Natali
173
Ciliegie var. Gemella (foto Punti di Vista)
Rispondo alla vostra gentile proposta dicendo che “ho adottato un albero nella speranza che le future generazioni possano ancora contare su una grande varietà di alberi e frutti; in particolare ho scelto l´albero di ciliegie Gemelle per festeggiare la nascita della nipotina Matilde nata il 10 giugno nel mio stesso segno zodiacale, Gemelli appunto. Non siamo riuscite a partecipare alla raccolta dei frutti nel giorno previsto ma ho visitato il Pomario e il Museo, dove ho visto tanti attrezzi che mi hanno ricordato la mia infanzia”. Grazie per il vostro coinvolgimento e buon lavoro. Neria Natali
Ho vissuto i primi 11 anni della mia vita in campagna, dove i miei allevavano 4 mucche da latte e coltivavano un po’ di terra con pochi mezzi, tanto che, alla fine degli anni ‘50, avevano ancora una cavalla come unico ausilio. Attorno alla casa e alla stalla non mancavano gli alberi di fichi, noci, albicocche, susine, prugne, pere, pesche e anche mele, naturalmente. Tutte piante nate, penso, un po’ spontaneamente, che davano frutti con generosità, anche se non proprio buonissimi. Le mele erano di pezzature e forme strane, un po’ asprigne. Le tenevo d’occhio e appena mi sembravano avere una parvenza di maturazione, un po’ di colore, le coglievo, o meglio, le abbattevo con l’aiuto di un bastone. Per le mele “buone” c´era ben altra possibilità. Un nostro vicino aveva un bel frutteto, che curava con attrezzature e mezzi (anche 174
Mela Runsè (foto R. Ghedini)
un Landini!) adeguati. Le mele (e le pere) maturavano a scaglioni, a seconda della varietà, e noi bimbi aiutavamo, nel nostro piccolo, a raccoglierle, compensati con frutti bellissimi e succosi. Per il consumo nei mesi freddi si faceva scorta di mele “invernali”, destinate soprattutto alla cottura nel forno della cucina economica. Mia madre non mancava di darmi un po´ del succo dolcissimo che si formava, prima che si rapprendesse. Dalla montagnola di mele ammonticchiate nella soffitta si spandeva un profumo che ricordo ancor oggi. Certo, un certo numero avvizziva, marciva o diveniva pasto dei topolini domestici, ma erano perdite preventivate. A tutto questo ho pensato quando ho saputo del progetto pomario. Chissà se ci sarà qualcuna delle “mie” strane mele, mi sono detto. Bellissima idea quella di salvare le varietà del passato, in controtendenza rispetto alle odiose logiche di mercato. Ho scelto una mela rossa, bella. Mi piacciono i frutti dalla polpa soda. Ahimè, la mia non era proprio così, ma non ha avuto importanza. L’ho raccolta (e assaggiata) amorevolmente: era pur sempre la mia “figlioccia”! Antonio Campigotto
175
Perché un albero? Perché è vita, che vive e che rende vivo il mondo facendone dono di sé e di ciò che su se stesso cresce. Ha radici salde nel terreno, rami e foglie che svettano fino al cielo e dà frutti per nutrire le creature che vivono tra essi, tutti i figli di cielo e terra. L’albero è un ponte, un tramite tra ciò che eravamo e ciò che saremo e che sostiene ciò che siamo. Prendersi cura di un albero da frutto è prendersi cura del mondo e di noi stessi, legarsi e donarsi alla terra che ci accoglie e accogliere i doni che ci offre. Per millenni tutto questo è stato vissuto come un aspetto di sacralità, simbolo dei cicli della vita. Sensazioni che vogliamo provare ancora. Legambiente - Circolo Pianura Nord
Fiori di albicocco Bella d'Imola (foto Punti di Vista)
Perché ho adottato un albicocco? Fin da piccolo ogni volta che potevamo io e mio padre andavamo in campagna dove lui era nato (al Vila*) ed il mio gioco era stare in mezzo alla terra a cercare delle robe strane… e ce ne erano davvero tante: il pollaio, l´uchil*, la stalla, la patunara*… A me piacevano tanto gli attrezzi che erano dietro all´aia: un erpice, un rullo, una aratro, un ripuntatore*… ma più di tutto mi piacevano i trattori: il Lamborghini blu era il mio preferito (a dire il vero c´era solo quello…) che faceva un fumo infernale e non aveva nemmeno uno straccio di cabina (non parliamo poi di sicurezza)… Anche la Pasqualina non era male ma a dire il vero mi faceva più paura con quel muso senza carter e soprattutto non sarei mai riuscito ad accenderla con quello strappo! 176
Ma cosa serviva tutto questo? Per coltivare la terra, l´orto, la vigna, le patate, la frutta! Ecco la frutta, il passatempo ma anche l´esame più difficile era riconoscere la frutta quando ancora non era sugli alberi… così ecco che ogni volta che si incrociava un albero o un filare la domanda era “che cos´ è?” diciamo che ci ho messo un po´ a trovare i punti strategici ma adesso sono diventato così anche io: seguo le stagioni guardando cosa succede in campagna quando iniziano a spuntare le foglie, quando escono i fiori quando è ora di dare l´acqua* (che poi è veleno), quando è ora di diradare o di raccogliere, quando è ora di potare o quando è inverno e tutto sembra fermo. Tutto questo per dire che la mia Bella di Imola (che poi è un albicocco!) l´ho adottata con l’idea di trasmettere un po´ della mia infanzia a mio figlio che invece a differenza di me difficilmente potrà passare i suoi pomeriggi in campagna a cercare il Lamborghini blu e non perché io non voglia portarlo ma perché purtroppo di quella che era una civiltà contadina è rimasto davvero molto poco… Daniele
Adottanti di Albicocco Bella d'Imola (foto R. Ghedini)
PS: gli albicocchi sono i più facili da riconoscere ed è per questo che non ho scelto un cotogno o un pruno… La varietà poi era una di quelle che avevo nel mio orto a casa per cui potevo cominciare a mangiare le albicocche (acerbe) da metà maggio in poi… * termini o espressioni dialettali che in italiano non rendono!
177
Pere var. San Giovanni nella fase iniziale di formazione (foto Punti di Vista)
Un giorno, arrivata dal fruttivendolo, mi è capitato di osservare con occhi diversi ciò che era esposto nelle cassette. La frutta non era più solamente la merce che vedevo esposta, un prodotto, un alimento. Ho provato a ricostruire, nel pensiero, il percorso di vita che aveva portato a quelle forme, a quei colori, a quei sapori. Non facile, visto che abito in pieno centro, a Bologna, e non mi capita spesso di poter vedere le coltivazioni e ancor meno i frutteti. Da quei pensieri è nato il desiderio di “avere” un albero e di conoscerlo, seguendolo in tutte le stagioni, in tutti i suoi ciclici mutamenti. Dalle prime gemme, di un verde appena accennato, ai fiori delicati, dal corteggiamento di indaffaratissime api, ai frutti che crescono accarezzati dai raggi solari... Davanti a quelle cassette di frutti, ho iniziato a percepire ogni frutto come un dono della natura... e con l’adozione di un pero del Pomario di Villa Smeraldi ho voluto sostenere e ricambiare la sua immensa e generosa bellezza. Margherita Marmotti
178
Susino var. Fiaschetta (foto Punti di Vista)
Tre anni fa di un susino divenni intestatario. Per rimirarlo, di Villa Smeraldi andai al Pomario Dove apprezzai le assenze di antiparassitario. Tra le file degli alberi da frutto, come in un abbecedario, cercai il mio e, come fa il bibliotecario, leggendo le etichette trovai quello di cui ero affidatario tra peschi, meli, peri… un vero campionario! Un recupero di specie antiche, forse centenario. Di uno solo io ero “proprietario” Ma, maturati i frutti di quel terreno agrario, del gusto di tanti altri io fui beneficiario; la mia adozione mi rese poi socio onorario di quel frutteto e, come gli altri soci, testamentario dei suoi buoni prodotti il cui assaggio ottenne un consenso plebiscitario. Ecco perché al pruno, mio rampollo originario, seguì un ciliegio, l’anno seguente, in altro calendario adottato con convincimento del tutto volontario. Non pensiate che il mio testo sia pubblicitario, Commissionato in risposta ad un questionario, È piuttosto un tributo volontario a quell’idea, d’impianto straordinario, nata dallo staff di I LOVE POMARIO ! Luisa
179
Melo Gambafina (foto Punti di Vista)
Salve, rispondo a nome di mia mamma, Maria Rosa Bassi, che ha adottato un melo Gambafina. “Credo che le varietà antiche siano parte del nostro passato, e che ci possano aiutare in futuro. Se hanno superato i secoli così bene, un motivo ci sarà.” Grazie per la bella iniziativa! Virginia 180
Susino Santa Rosa (foto Punti di Vista)
Ho adottato un albero del pomario insieme alle mie due figlie perché siamo una famiglia molto “cittadina”, e mi piaceva l’idea di creare un legame con il mondo contadino, passato e presente, del quale conosciamo così poco... poi ho pensato che potesse essere anche il modo per avvicinarle ad amare di più la frutta in tutte le sue varietà, non solo le mele e le banane! Non siamo riuscite purtroppo a prenderci cura come avremmo voluto del susino che avevamo adottato, ma è stato proprio bello partecipare alla raccolta delle ciliegie, in una giornata che fino all’ultimo sembrava grigia e bagnata, ma poi si è aperta ad un sole caldo in un cielo azzurrissimo Paola Natali
181
Pere in accrescimento, var. Decana del Comizio (foto Punti di Vista)
L’adozione di un albero del Pomario, nel caso specifico di VillaSmeraldi, si inserisce nel solco già tracciato da mio padre, Adolfo Borghi e da mio zio, Ettore Borghi, i quali entrambi collaborarono in diversi modi con Ivano Trigari nel Gruppo “La Stadura” per dar vita ad una Istituzione che mantenesse vivi, a futura memoria, i connotati della Civiltà contadina. L’attività di Adolfo e di Ettore nel sociale si era peraltro già esplicata anche in un altro contesto quali soci fondatori della Granarolo Latte. Perché quindi non fornire, da parte mia, un piccolo contributo per mantenere o accrescere quanto prodotto dal lavoro umano con impegno, fatica, amore... in tanti anni di attività!?! La scelta si è indirizzata ogni volta ad una precisa pianta da frutto che, più di ogni altra, ha il potere di riportarmi alla mente gli anni della mia infanzia vissuti in campagna. Finora non ho avuto occasione di fare esperienza di raccoglitore, ma la visita al Pomario suscita in me ogni volta sensazioni positive, emozioni, ricordi di vita vissuta, che riconfermano a me l’oculatezza della scelta operata. Grazie Pomario! Viva il Museo della Civiltà contadina di San Marino di Bentivoglio! Borghi dott.ssa Lilia
182
Giovane mela var. Imperatore (foto Punti di Vista)
Ci siamo trovati una sera d’inverno in occasione di una bella iniziativa al Museo della Civiltà Contadina per “M’illumino di meno”, e poi siamo andati a cena tutti insieme al lume di candela per il compleanno di un´amica alla Locanda Smeraldi. L’amica, che ama molto le piante e, in questo caso, tutti gli alberi del Pomario, ci ha chiesto di regalarle un´adozione collettiva ed è passata con un cestino per la raccolta, che ha dato ottimi frutti (mai metafora fu più giusta e in tema!). Quella è stata la partenza delle adozioni dei fruttiferi del “nostro” Pomario Uno dei “M’illumino di meno”
183
Ciliegie var. Morona (foto R. Ghedini)
Prendersi cura di un albero e vederlo cambiare in tutte le stagioni, osservare il “nostro” ciliegio in fiore, sentirne il profumo, gustare il sapore prelibato dei suoi frutti... #ILOVEPOMARIO ci ha permesso di riscoprire un contatto con la natura che spesso diamo per scontato e soprattutto di contribuire alla salvaguardia dell’ambiente. Un´azione concreta che dal centro di Bologna ha raggiunto un luogo magico come Villa Smeraldi! Servizio Comunicazione della Città Metropolitana
184
Momenti di raccolta collettiva degli adottanti (foto R. Ghedini)
185
Padiglioni Didascalia del Museo della CiviltĂ Contadina (foto R. Ghedini)
Scatti dal Pomario FotografiAMO il Pomario Selezione di scatti dall'archivio fotografico del Pomario a cura di Rosella Ghedini IBC
188
gemme e ripresa vegetativa
189
190
fiori
191
192
frutticini
193
194
frutti in accrescimento e invaiatura
195
196
frutti maturi
197
198
abitanti e visitatori
199
Adulto di coccinellide (foto Punti di Vista)
Il progetto fotografico
Artistigando - Circolo Punti di Vista
A
l Circolo fotografico “Punti di Vista” (www.circolopuntidivista.it) è stato richiesto di presentare un progetto di documentazione del Pomario Storico con ampio mandato per la sua realizzazione. Non essendo esperti di botanica, abbiamo subito escluso un approccio scientifico ed abbiamo proposto di documentare lo stato vegetativo delle piante con cadenza quindicinale per poter coglierne tutte le fasi significative. Le fotografie dovevano avere caratteristiche formali omogenee: fatte sul campo, cogliere particolari interessanti a fini documentativi ed essere gradevoli dal punto di vista cromatico e compositivo. L’applicazione di questi criteri, se estesa alle circa 190 varietà presenti nel pomario, implicava una mole di circa 3.600 fotogrammi che dovevano essere reperibili secondo semplici modalità di ricerca. La Direzione responsabile del Pomario ha accettato il progetto presentato secondo i criteri di cui sopra, pertanto l’iniziativa è stata esposta a tutti i soci del Circolo per coinvolgere quanti più fotografi possibile nella realizzazione. Una tale mole di lavoro non poteva essere svolta se non suddividendo i compiti fra più persone che condividessero sia gli standard fotografici che di archiviazione. Dieci soci hanno aderito al progetto e sono stati impegnati per un anno nelle riprese fotografiche e nella produzione del corposo data base. Certamente una delle peculiarità della fotografia è stata e resta quella di documentare eventi passati, con questo progetto abbiamo avuto l’opportunità di documentare, grazie all’eterno ciclo della natura, almeno per il Pomario Storico, anche gli eventi futuri.
Coppia di adulti di coccinellidi (foto Punti di Vista)
201
Fiore di melo var. Panaia visitato da un'ape (foto Punti di Vista)
202
Larva di coccinellide (foto Punti di Vista)
203
Elenco delle varietà di Silviero Sansavini
Emerito, Università degli Studi di Bologna
204
SPECIE
GRUPPO
VARIETÀ
Pesco
Polpa bianca
Bella di Cesena Bianca di S. Tomè Buco Incavato 1 Buco Incavato 2 Capucci 18 Cinzia Fior di Maggio Forlì 1 Impero Iris Rosso K2 Maria Bianca Michelini Morellona Morettini 2 Natalina Paola Cavicchi Precoce Pesca dei Santi Pesca Sanguigna Pesca Settembrina Pieri 81 Poppa di Venere Regina Bianca Regina d’Ottobre
SPECIE
GRUPPO
Pesco
VARIETÀ Rosa Dardi Rosa del West Rossa di S. Carlo Rossa di Trenti S. Giorgio S. Varano 1 S. Varano 2 S. Varano 3 Sant’Anna Splendor Toschina Proni Vespignani 2
Polpa gialla
Bella Contadina Bella di Piangipane Cormonese Elberta Gialla Tardiva J. H. Hale Pesca Carota Red Haven
Percoche gialle
Pesche noci
Percoca di Romagna Percoca CRA/Fo Angelo Marzocchella (clone di Vesuvio) Sbergia Precoce Sbergia Tardiva segue
205
SPECIE
Albicocco
Ciliegio dolce
Ciliegio acido
GRUPPO
VARIETÀ Bella d’Imola Precoce Cremonini Reale d’Imola S. Andrea Tondina di Tossignano Anellone Ciliegia del fiore Ciliegione Corniola Durella Duroncina di Cesena Durone del Cortile Durone della Marca Durone dell’Anella Durone di Cesena Durone di Vignola Nero I Durone di Vignola Nero II Durone di Vignola Nero III Gambolungo Gemella Mora di Vignola Moretta di Cesena Moretta Morona Amarena di Vignola Visciola di Carpegna
206
SPECIE
Susino-Prugno
Susino cinogiapponese
GRUPPO
VARIETÀ Agostana Amola Bianca di Milano Fiaschetta Prugna di Lentigione Regina Claudia Bovay Regina Claudia d’Althan Regina Claudia di Moissac Regina Claudia Verde Regina Claudia Verte o Doréé Settembrina (Anna Spath) Susino II Zucchella Goccia d’Oro Morettini 355 Sangue di Drago Santa Rosa
Ibrido Susino CG x Mirabolano
Sorriso di Primavera
Mirabolano
Mirabolano comune
segue
207
SPECIE
Melo
208
GRUPPO
VARIETÀ Abbondanza Abbondanza Rossa Belfiore Giallo Campanino Carla Cavicchio Commercio Decio Della Carraia Dominici Drappo Rosso Durello di Ferrara Durello di Forlì Fior d’acacia Fogliona Gambafina Gelata Lavina Melo Ferro Molinaccio Musa (Limoncella) Musona Panaia Paradisa Poppina Renetta Renetta Grigia Rosa d’Oliveto
SPECIE
GRUPPO
Melo
Var. di riferimento
VARIETÀ Rosa Locale Rosa Mantovana Rosa Romana Rosmarina Rubra Precoce Ruggine Runsè Scodellino Tellina Travaglino Verdone Violetta Zambona Zitella Zuccherina Fuji Aztec Gala Brookfield Gala Buckeye Gold Chief Golden Delicious Granny Smith Imperatore Kanzi Pink Lady-Rosy Glow Red Delicious Jeromine Red Delicious Super Chief segue
209
SPECIE
Pero
210
GRUPPO
VARIETÀ Agostana Ammazza Cavallo Angelica Bergamotta Esperen Broccolina Brutti e Buoni Butirra precoce Morettini Cedrata Romana Cocomerina Tardiva Covata Curato Dell’Auzzana Gamogna Madernassa Martin Sec Mirandino Rosso Mora di Faenza Mora di Pirovano Moscatellina Moscatellona Pera Giugno Pera Lauro Pera Ruggine Pera Rugginosa Precoce di Altedo Salama San Giorgio San Giovanni
SPECIE
GRUPPO
Pero
VARIETÀ San Lazzaro Precoce Scipiona Spadoncina Spina Carpi Truvèla Volpina Volpona
Var. di riferimento
Zuccherina Abate Fétel Angelys Carmen Conference Coscia Decana del Comizio Decana d’Inverno Kaiser Max Red Bartlett Passa Crassana Santa Maria William
211
Glossario Accessione Sinonimo di varietà, oppure clone della stessa, oppure pianta di cui si conosce solo la specie, ma non l’origine, e la cui denominazione varietale manca o è incerta. Afidi Insetti conosciuti anche come “pidocchi delle piante”; pungendo i tessuti vegetali si nutrono della linfa e dei succhi cellulari, indeboliscono e imbrattano le piante. Agricoltura sostenibile Produzione di alimenti e di altri prodotti agricoli con sistemi che, oltre a fornire un adeguato vantaggio economico agli agricoltori, garantiscono anche il rispetto dell’ambiente e l’equità sociale. Agricoltura industriale o intensiva Sistemi di produzione finalizzati prioritariamente a produrre cibo a costi bassi per il produttore e per il consumatore, in un’ottica di massimo
212
sfruttamento delle capacità produttive degli animali e dell’ambiente. Agroecosistema ecosistema artificiale modificato nel tempo dall’attività agricola dell’uomo; è il complesso degli elementi e delle caratteristiche agricole ed ecologiche di una particolare area. Vedi definizione a pag. 29. Allegagione Fase di passaggio dal fiore al frutto. Avversità biotiche Sono tutte quelle riconducibili ad organismi viventi: batteri, virus, funghi ed altri patogeni, che provocano danni alle piante agrarie e sono combattute con l’uso di fitofarmaci o con la lotta biologica. Si distinguono da quelle abiotiche, che riguardano suolo, clima e ambiente in senso lato. Biodiversità Vedi definizione riportata nel testo a pag. 24.
Biodiversità vegetale dell’agroecosistema Include tutte le forme viventi, vegetali (dai microrganismi alle piante superiori) presenti in un determinato agroecosistema. Pertanto non include solo le entità genetiche utili alla vita e ai processi industriali dell’agricoltura, ma anche quelle dannose o parassitarie, ai fini della coltivazione o della salute dell’uomo. È dunque l’insieme delle risorse genetiche che fanno la biodiversità e assicura la continuità della vita e per questo se ne richiede la tutela. Bombi Insetti simili alle api ma più grossi e pelosi; come le api raccolgono il nettare e il polline; contribuiscono efficacemente all’impollinazione; sono molto importanti e utili per l’agroecosistema e per l’uomo. Breeding Significa miglioramento genetico. Quello tradizionale è condotto attraverso incrocio (od ibridazione) e successiva selezione. Attualmente con le NBT (new breeding technologies) il significato viene esteso all’uso di nuove biotecnologie molecolari (con
manipolazione del DNA) differenti da quelle tradizionali per ottenere OGM. Carpocapsa delle pomacee Cydia pomonella: è uno degli insetti più dannosi per melo e pero per i danni provocati dalle larve che scavano gallerie nei frutti. Cidia del pesco Cydia molesta: è uno degli insetti più dannosi per le drupacee, pesco in particolare; provoca danni ai germogli e ai frutti. Coccinellidi Sono le popolarissime coccinelle, efficaci predatori di insetti dannosi alle piante coltivate. Cordiforme A forma di cuore. Crisopidi Famiglia di insetti utili le cui larve sono voraci predatori di insetti dannosi alle coltivazioni. Crowdfunding Raccolta di fondi, in genere tramite internet, attraverso contributi, anche di piccola entità, offerti da molte persone 213
che condividono uno stesso interesse e/o vogliono sostenere uno stesso progetto. Cultivar Termine agronomico per indicare una pianta coltivata ottenuta tramite miglioramento genetico. DOP Denominazione di Origine Protetta; è un marchio attribuito dall’Unione Europea per valorizzare le peculiari caratteristiche qualitative degli alimenti che derivano da una specifica origine geografica. Duracine Drupe a polpa dura e compatta, con riferimento particolare alle ciliegie, denominate anche “duroni”. Ecosistema Insieme degli organismi viventi e degli elementi non viventi che interagiscono in un determinato ambiente creando un sistema autosufficiente e in equilibrio (es: lago, foresta). Erosione genetica In senso agronomico è la scomparsa di specie, varietà, cloni un tempo coltivati, 214
dovuta in genere a motivi economici o sanitari. In senso naturalistico l’erosione genetica della biodiversità è generalmente attribuita a mutazioni climatiche, avversità biotiche o abiotiche, ma deriva anche da attività antropiche, quelle economiche in particolare. Fanum Luogo di culto; il ‘Fanum Voltumnae’ era il santuario federale etrusco. Farmer market Anglicismo entrato nel linguaggio corrente con riferimento ai luoghi, più o meno improvvisati e legittimati, in cui i piccoli agricoltori vendono direttamente i loro prodotti; non possono perciò essere equiparati ai negozi. In tal modo i contadini vogliono appropriarsi del plusvalore del frutto che, nel corso della distribuzione, va ad accrescere e moltiplicare il prezzo del prodotto al consumatore (rapporto da 1 : 3 fino a 1 : 5). Fenotipo Insieme dei caratteri osservabili in un individuo (pianta o qualsiasi altro essere vivente).
Genotipo Costituzione genetica di un organismo; ne determina tutte le caratteristiche. Germoplasma È il patrimonio genetico di una o più specie, sedimentatosi nel tempo e inglobante tutte le forme, coltivate o meno. Nell’accezione comune perciò rappresenta solo le entità genetiche del passato di cui è venuto meno l’interesse commerciale. Hashtag Un tipo di etichetta utilizzato in servizi web o social network con la funzione di rendere più facile agli utenti l’accesso alle informazioni su uno specifico tema. Heirloom Varietà “cimelio”. IGP Certificazione europea di Indicazione Geografica Protetta; marchio concesso a prodotti agroalimentari nel rispetto di un apposito regolamento. Impollinatori Insetti o altri animali (uccelli, lumache) o altri elementi della natura (acqua, vento) in grado di provocare
l’impollinazione, cioè l’incontro tra le cellule gametiche maschile e femminile (derivate da granelli di polline e dall'uovo), rendendo possibile la fecondazione. Invaiatura Fase della maturazione dei frutti corrispondente al momento del viraggio del colore. Km. 0 Si riferisce a prodotti commercializzati e venduti direttamente nella zona di produzione. Long Shelf Life (LSL) Varietà a lunga vita post raccolta. Mercato di alta gamma Mercato di prodotti che si differenziano per elevata qualità ed alto prezzo di vendita al consumatore. Monilia È una malattia fungina tipica delle drupacee; colpisce in particolare pesche e albicocche; si manifesta con marciume dei frutti e muffe ad anello.
215
Mutante Individuo o gene che ha subito una mutazione e presenta quindi uno o più caratteri ereditari modificati rispetto all'origine. Nicchia ecologica Spazio occupato da una specie o da una popolazione all’interno del suo habitat, nel senso del ruolo e delle funzioni degli individui nell’ecosistema. Organolettiche (qualità/caratteristiche) Insieme delle caratteristiche fisiche e chimiche percepite dagli organi di senso, come l’odore, il sapore, il colore. Paletnologia Disciplina che studia la preistoria e si propone di individuare e di definire gli aspetti culturali che hanno caratterizzato lo sviluppo delle società umane prima della comparsa della scrittura Patriarchi Alberi monumentali per longevità, dimensioni, forma, valenza paesaggistica; sono molto vecchi, talvolta plurisecolari o, nel caso dell’olivo, anche millenari, come risulta 216
dal volume “I patriarchi vegetali” di E. Bellini. Sono in genere alberi sopravvissuti fortunosamente in luoghi remoti, perché sono sfuggiti all’abbattimento cui sono destinati in genere gli alberi quando non servono più. Patrimonio genetico Insieme delle informazioni genetiche che si trasmettono tra generazioni. Pomario Luogo di coltivazione di alberi da frutto di varie specie che rimanda all’antico Pomarium dei latini. Può assolvere a diverse funzioni: a) personali: autoapprovvigionamento alimentare, espressione estetica di censo o di bellezza; ostentazione di potere della proprietà; b) pubbliche: educativopedagogiche, botanico-museali, ricerche pomologiche. Dimensioni, articolazione, struttura organizzativa del Pomario variano con le finalità. Non è da confondere con il frutteto la cui finalità, a parità di specie, è unicamente la produzione per il mercato. Produzioni di nicchia Spazi di mercato, di piccole dimensioni, non ancora saturati dall’offerta;
riguarda in genere uno specifico tipo di clientela o prodotti con caratteristiche particolari. Pronubo Animale (insetto, uccello, altro) in grado di trasportare il polline da un fiore all’altro permettendo l’impollinazione e la conseguente formazione del frutto. Psilla Insetto tra i più importanti che colpiscono il pero; tramite punture di nutrizione provoca imbrattamento e deperimento delle piante e dei frutti. Risorse genetiche Animali, piante, microrganismi ed invertebrati che vengono utilizzati per l’alimentazione, l’agricoltura e la silvicoltura; comprendono sia specie selvatiche che addomesticate. Scamiciatura Fase in cui cadono i fiori e appare il frutticino appena formato. Semenzale Piantina germinata da seme.
Serbevolezza Attitudine dei prodotti agricoli a mantenere uno stato di buona conservazione a lungo, senza deteriorarsi. Shelf-life Durata della vita di un alimento dalla produzione alla vendita mantenendo inalterate le caratteristiche. Sirfidi Numerosa famiglia di insetti molto utili per l’uomo; da un lato gli adulti sono impollinatori molto efficienti; dall’altro le larve sono voraci predatrici di insetti dannosi alle piante frutticole, in particolare di afidi. Slow food Tendenza gastronomica che si oppone alla pratica diffusa del consumo frettoloso dei pasti con cibi artefatti (fast food) e promuove il recupero di un’alimentazione più tradizionale e genuina e uno stile di vita più sobrio e consapevole. Specie Insieme di individui in grado di accoppiarsi tra loro e di generare prole feconda. 217
218
Spicca Nelle drupacee frutto la cui polpa si stacca facilmente dal nocciolo.
Tenerine Frutti a polpa tenera, con particolare riferimento alle ciliegie.
Standard qualitativi Servono a definire e circostanziare le qualità dei frutti, altrimenti lasciati ad una empirica attribuzione di qualità (es. dolce o acido, compatto o fondente, ecc.). Nelle moderne discipline di Pomologia e Merceologia sono “parametri fisico-chimici e sensoriali” misurabili e necessari per le classificazioni commerciali delle varietà e per le comparazioni di qualità (es. residuo rifrattometrico del succo determinato in °Brix). Studi fenotipici Sono studi che riguardano il fenotipo delle piante come di qualsiasi altro organismo, per definirne le caratteristiche somatiche, fisiologiche e comportamentali, nonché l’interazione con l’ambiente e le tecniche di governo degli alberi; nella fattispecie, questi studi sono necessari per caratterizzarne i frutti, dall’epoca di maturazione, fino alla qualità postraccolta e alla shelf life (durata dopo conservazione).
Ticchiolatura Malattia di natura fungina che interessa in particolare mele e pere; provoca la formazione di macchie scure e deformazioni su foglie e frutti, con il rischio di compromettere la produzione. Varietà In campo agrario-vegetale è un’entità (es. pianta) omogenea, stabile e distinta da ogni altra (per questo anche brevettabile); pertanto può essere propagata solo vegetativamente (es. per innesto, talea o micropropagazione) e quindi non da seme. In botanica e in altri comparti produttivi o negli ecosistemi naturali, ove crescono solo piante da seme, anche nei casi in cui vengono selezionate, il termine varietà indica una popolazione piuttosto eterogenea per vari caratteri, pur conservando una certa costanza del carattere selezionato, che la differenzia rispetto ad altre popolazioni appartenenti alla stessa specie.
Veneri steatopigie In paletnologia sono cosÏ definite le sculture di forma muliebre di età paleolitica; se ne sono rinvenuti esemplari a Brassempouy, Laussel, Lespugue, Balzi Rossi, Willendorf, Malta, Savignano sul Panaro, Chiozza; sono caratterizzate da accumuli adiposi nelle zone dei glutei e delle cosce. Vitrescenza Alterazione della polpa per la formazione di aree dall’aspetto traslucido e vitreo.
219
Ringraziamenti Alla realizzazione di questo libro hanno contribuito tante persone che mi hanno aiutata fattivamente e che voglio ringraziare di cuore. Per primi coloro che si sono impegnati scrivendo un testo con le loro specifiche e preziose competenze; chi ha sfogliato questo libro già li conosce: Dede Auregli, Direttore dell’Istituzione Villa Smeraldi Museo della Civiltà Contadina; Silviero Sansavini, Emerito dell’Università degli Studi di Bologna; Duccio Caccioni, Direttore Marketing e Qualità del CAAB di Bologna; i colleghi Elisabetta Landi e Carlo Tovoli dell’Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali. Un ringraziamento particolare ai fotografi di Artistigando - Circolo fotografico PUNTI DI VISTA che con perizia, gusto e tanta pazienza hanno prodotto una grande mole di materiale fotografico, risorsa principale da cui è partita l’idea di questa pubblicazione; voglio citare tutti coloro che hanno partecipato al progetto “Scatti dal Pomario”; Lucia Sciuto, Alessandro Recchiuti, Angelo Riberti, Andrea Lolli, Gianni Bonetti, Guido Tibaldi, Giancarlo Pulitanò, Mario Chiarini, Valentino Brunelli, Vincenzo Terracciano; oltre ad Andrea Marcuz, presidente di Artistigando. Un doveroso ringraziamento a tutti coloro che hanno dato disponibilità per integrare materiali ed informazioni utili alla pubblicazione; insieme ai tanti che hanno contribuito a vario titolo alla realizzazione del pomario storico, al suo mantenimento e alla sua conoscenza. In particolare: Grazietta Demaria, Paola Natali, Veronica Brizzi, Simona Quarenghi, Laura Venturi, Filippa Genuardi, Luca Landi, Raoul Cervellati, Andrea di Natale e Luca Franceschelli della Città Metropolitana di Bologna; Massimo Drago, Roberta Chiarini, Valter Gherardi, Valtiero Mazzotti, Ilaria Berzoini e Daniele Tartari della Regione Emilia-Romagna; Rino Ghelfi e Vincenzo Ancarani dell’Azienda Agraria dell’Università di Bologna; e poi Marco Grandi, Fausto Smaia, Guido Ghermandi, Maria Grazia Tovoli, Giulia Albertazzi, Elisa Biondi, Alessandro Mengoli e i ragazzi della Coop. Soc. ANIMA, Caterina Ghelfi, l’Associazione Gruppo della Stadura, il Consorzio Agrario di Bologna. 220
E ancora Gabriele Fabbrici, Museo Civico Il Correggio di Correggio; Ambra Tuci, Fondazione Marino Marini di Pistoia. In particolare voglio ringraziare Dede Auregli, Direttore dell’Istituzione Villa Smeraldi Museo della Civiltà Contadina, che in questi anni ha sostenuto il Pomario storico con tutte le sue forze tra mille difficoltà. Non posso tralasciare la mia riconoscenza per il collega Carlo Tovoli che ha messo a mia disposizione la sua consolidata esperienza editoriale con estrema simpatia e pazienza; senza il suo prezioso supporto non sarei riuscita nel mio intento. Ringrazio poi l’Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali che ha creduto nella mia idea e mi ha supportato nel lavoro a questa pubblicazione che tratta un tema, per la verità, un po’ “originale” per l’Istituto, sostenendo in tal modo il principio per cui la cultura non sta solo negli scritti e nell’arte concepiti in senso classico, ma è un’entità diffusa e la possiamo ritrovare anche nel “sapere” quotidiano depositato dalla nostra storia, nelle tradizioni, nelle conoscenze tramandate di generazione in generazione per secoli e che rischiamo di perdere per sempre. Non per niente il Pomario storico di Villa Smeraldi è un vero e proprio Museo a cielo aperto. Di fondamentale importanza in questi anni è stato il sostegno di tutti coloro che hanno deciso di adottare le piante del pomario; nelle pagine del libro hanno raccontato le loro personali motivazioni. Un grande ringraziamento a loro e a tutti coloro che in futuro decideranno di sostenere il pomario, forse anche incuriositi e stimolati da questo libro.
Finito di stampare Settembre 2017 – Centro Stampa Regione Emilia-Romagna
IL POMARIO STORICO DI VILLA SMERALDI
ISBN 9788897281665