Le vesti di sempre. Gli abiti delle mummie di Roccapelago e Monsampolo del Tronto Archeologia e collezionismo a confronto
22 dicembre 2012 – 7 aprile 2013 Modena, Museo Civico d’Arte Promotori Museo Civico d’Arte - Comune di Modena Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna in collaborazione con Comune di Pievepelago, Comune di Monsampolo del Tronto, Arcidiocesi di Modena e Nonantola, Chiesa della Conversione di San Paolo di Roccapelago, Diocesi di Ascoli Piceno, Parrocchia Maria Ss. Assunta Monsampolo del Tronto Comitato scientifico Marta Cuoghi Costantini, Donato Labate, Lorenzo Lorenzini, Francesca Piccinini, Thessy Schoenholzer Nichols, Iolanda Silvestri Mostra a cura di Lorenzo Lorenzini e Thessy Schoenholzer Nichols Studio degli abiti Thessy Schoenholzer Nichols Testi di Laura Carlini, Annalisa Biselli, Filippo Maria Gambari, Donato Labate, Lorenzo Lorenzini, Angela Lusvarghi, Ivana Micheletti, Mario Plebani, Thessy Schoenholzer Nichols, Iolanda Silvestri Redazione Isabella Fabbri, Iolanda Silvestri (IBC) Progetto espositivo Lorenzo Lorenzini Coordinamento tecnico Giorgio Cervetti Comunicazione Stefano Bulgarelli, Cristina Stefani Progetto grafico Beatrice Orsini, Iolanda Silvestri (IBC) Realizzazione grafica Beatrice Orsini (IBC) Allestimento L’ARCA. Progettazione e tecniche esecutive nel restauro, Modena Logo Pubblicità, Modena Laboratorio didattico a cura di Nicoletta Di Gaetano, Luana Ponzoni Operatori educativi: Luisa Capelli, Elisa Casinieri, Eva Ori, Elisabetta Tiddia Amministrazione Annalisa Lusetti, Milvia Servadei Segreteria Camilla Benedetti, Maria Grazia Lucchi Impianti audiovisivi Lorri Mediaservice Crediti fotografici Costantino Ferlauto (IBC), Roberto Macrì, Ivana Micheletti, Donato Labate, Thessy Schoenholzer Nichols, Barbara Vernia Ufficio stampa Giulia Bondi, Comune di Modena Valeria Cicala, Isabella Fabbri, Carlo Tovoli (IBC) Carla Conti, Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna Restauri Laboratorio R.T. Restauro Tessile, Albinea (RE) Laboratorio “La Congrega”, Ancona Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna Un ringraziamento speciale a Gabriele Beccantini, Stefano Casciu, Valeria David, Daniele Diotallevi, Enzo Ferroni, Melanie Frelat, Giorgio Gruppioni, don Elvino Lancellotti, Luigi Malnati, don Pietro Mandozzi, Caterina Margione, Luca Mercuri, Rachele Merola, Ivana Micheletti, Emanuela Micucci, Vania Milani, Roberto Monaco, Cristiano Silvestri, Nazzareno Tacconi, Mirko Traversari, Maria Rosaria Valazzi, Barbara Vernia, Ivan Zaccarelli. Stampa Centro stampa regionale Emilia-Romagna
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’Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna promuove con piena convinzione la mostra sulle vesti delle mummie di Roccapelago e Monsampolo, unitamente al Museo Civico d’Arte di Modena e alla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia, con la collaborazione del Comune di Roccapelago, della chiesa della Conversione di San Paolo di Roccapelago, del Comune di Monsampolo, della Parrocchia Maria Ss. Assunta di Monsampolo e della Diocesi di Ascoli Piceno. Sette enti uniti in uno sforzo congiunto per dare visibilità alle storie sconosciute di due piccole comunità, celebrate in questo suggestivo evento senza avvalersi d’imprese eclatanti o preziosi cimeli, ma grazie alla narrazione degli umili indumenti portati dai loro abitanti nella dura e modesta ripetitività quotidiana: le medesime povere vesti indossate in vita e in morte. Le mostre dedicate al tessile e alla sua storia sono organizzate in modo sporadico nei musei ed è del tutto eccezionale che siano legate a ritrovamenti straordinari, come è invece accaduto in questo caso. Rinvenimenti che in virtù della loro rarità hanno accomunato istituzioni ed esperti con competenze scientifiche diverse, consociati per scandagliare un ambito della cultura materiale sconosciuto ai più e riserva di pochi specialisti. Il tessile antico è un settore al quale l’Istituto regionale ha dedicato da sempre un’attenzione specifica, intensamente condivisa con i musei del territorio. In questa circostanza la collaborazione con il Museo Civico d’Arte di Modena va ad esaltare ulteriormente il lungo lavoro di studio, recupero e valorizzazione della collezione Gandini conservata nel museo modenese, una delle raccolte tessili più rappresentative e prestigiose del nostro paese. L’impegno scientifico ed economico dispiegato dal Museo Civico d’Arte e dall’IBC nel lungo e articolato lavoro di studio, restauro e riallestimento della raccolta Gandini sono i presupposti che hanno reso possibile questo ulteriore appuntamento. La mostra permette in modo facile e accattivante di entrare in un mondo rurale a noi vicino solo in apparenza, ma tanto lontano nella logica complessa di legami e rimandi culturali. Un universo qui rievocato da fogge semplici e funzionali con poveri decori, dalla naturale ruvidezza della materia prima e dai suoi intrecci grossolani, dai rudimentali strumenti di 3
lavoro. Senza un adeguato restauro dei reperti non sarebbe stato possibile avere accesso a questo mondo antico, oggi dissepolto, per apprezzarne i contenuti e le forme. Per questa ragione il recupero dei materiali è stato interamente supportato dall’Istituto regionale, che ne ha sostenuto i costi e coordinato lo svolgimento. L’azione conservativa ha fruttato risultati a dir poco sorprendenti per la leggibilità ripristinata in modo integrale dei manufatti, vessati da pesanti strati di polvere e depositi di superficie, nonché dagli arricciamenti impropri e dalle torsioni deformanti dei tessuti. Per comunicare con efficacia il significato della scoperta archeologica, l’evento modenese propone soluzioni innovative, che restituiscono il gusto e le necessità dell’abbigliarsi delle genti di Roccapelago e Monsampolo, recuperando, per esempio, dati come i tagli e le cuciture sartoriali rilevati durante il restauro. Dati che, grazie al ricorso di software avanzati, hanno portato alla ricostruzione virtuale delle fogge vestimentarie indossate dagli abitanti di entrambe le comunità, consentendo il rifacimento materiale di un abito femminile. Una mostra di piccole dimensioni per celebrare un evento ragguardevole, che pone all’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori il tema attuale e stimolante della scelta più idonea per far apprezzare l’importanza del tessile antico. La mostra si prefigge anche la finalità di suscitare nei visitatori l’interesse ad approfondire la storia delle collettività e dei luoghi di provenienza dei materiali, invitandoli ad esplorare i territori d’origine dei reperti e a conoscere dal vivo le realtà e le genti di Roccapelago e Monsampolo. Laura Carlini Responsabile Servizio Musei e Beni Culturali Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna
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’ eccezionale scoperta di numerosi corpi mummificati nella cripta cimiteriale della chiesa parrocchiale di Roccapelago rappresenta il primo ritrovamento di questo genere nella storia archeologica dell’Emilia Romagna, un territorio il cui clima tendenzialmente umido non favorisce questo tipo di conservazione. Le opportunità che tale scoperta ha offerto all’archeologia e al mondo scientifico di studiare sia i resti umani che gli indumenti e i tanti oggetti d’uso quotidiano, ricostruendo quasi tre secoli di vita contadina, credenze, tradizioni, usanze e abitudini, stato di salute, alimentazione e speranza di vita di quell’antica comunità montana, hanno subito messo in moto la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna: ne è nato, insieme al Laboratorio di Antropologia di Ravenna - Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali (Università di Bologna), un progetto di studio articolato ed ambizioso. Al progetto, significativamente denominato Storia e vita di una piccola comunità dell’Alto Appennino modenese tra XVI e XVIII sec., hanno aderito enti territoriali (Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna, Assessorato al Turismo della Provincia di Modena, Comunità Montana del Frignano, Comune di Pievepelago), Università (Bologna, Modena e Reggio Emilia, Torino, Genova, Pisa e University of Huddersfield – Inghilterra), Enti religiosi ( Ufficio Diocesano per i Beni Culturali Ecclesiastici, Parrocchia di Roccapelago), Musei (Musei Civici di Modena), Associazioni (Accademia lo Scoltenna, Associazione Pro Rocca) e Fondazioni (Fondazione Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale). La Fondazione Cassa di Risparmio di Modena ha inoltre sostenuto, con rara sensibilità, il primo progetto di studio e valorizzazione che si è concretizzato nella realizzazione, a poco più di un anno dalla scoperta delle mummie, di una mostra e di un convegno di studi tenuti nell’estate del 2012 direttamente a Roccapelago. Fondamentale è stato inoltre il lavoro e l’impegno spontaneo di singoli studiosi, di volontari e restauratori e dei privati, come la ditta “Onoranze Funebri Gianni Gibellini” che con liberalità ha curato il trasporto professionale delle mummie. I primi risultati delle indagini sono stati editi in riviste e atti di convegni e 12 mummie sono state adeguatamente valorizzate con l’esposizione didattica nel luogo del rinvenimento. A tutto questo si aggiunge ora una nuova mostra Le vesti di sempre. Gli abiti 5
delle mummie di Roccapelago e Monsampolo del Tronto. Archeologia e collezionismo a confronto promossa dai Musei Civici di Modena, dall’Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna e da questa Soprintendenza e dedicata ai tessuti che indossavano gli inumati di Roccapelago, mettendoli a confronto con quelli indossati dalle contemporanee mummie di Monsampolo, messe in luce dai colleghi della Soprintendenza Archeologica delle Marche. Le amplissime sinergie realizzate sono conseguenza certamente dell’interesse ed eccezionalità del ritrovamento come della sensibilità del tessuto territoriale ma anche della sempre maggiore capacità dei funzionari della Soprintendenza, come in questo caso l’impareggiabile Donato Labate, di diventare registi e fare squadra anche e a maggior ragione in momenti di scarsità di risorse. Questa sempre intensa collaborazione e sinergia tra Soprintendenza, Regione, Enti Locali, Università, Musei, estesa a singoli studiosi e associazioni di volontariato, rappresenta infatti la giusta risposta per un’efficace e rapida valorizzazione ed il lavoro messo in campo sui ritrovamenti di Roccapelago è uno degli esempi meglio riusciti. A ogni persona coinvolta va il ringraziamento dell’Ufficio e mio personale per l’ottimo livello raggiunto, confidando che con il concorso di tutti si possano rilanciare gli studi e si riesca a garantire l’allestimento permanente in situ dei materiali rinvenuti. All’interno dell’impegno globale della Soprintendenza, non può essere taciuta la particolare e appassionata collaborazione con alta professionalità del settore restauro (Roberto Monaco), del settore dei rapporti con i media (Carla Conti), del settore documentazione (Roberto Macrì) e del settore grafico (Rossana Gabusi). Filippo Maria Gambari Soprintendente per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna
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La cripta cimiteriale della chiesa parrocchiale di Roccapelago: le indagini archeologiche, lo studio interdisciplinare e la valorizzazione dei resti mummificati Donato Labate
I lavori di restauro della Chiesa di Roccapelago a Pievepelago (MO), svolti tra il 2009 e il 2011, hanno consentito di riportare in luce, oltre ai resti della preesistente rocca medievale e della primigenia chiesa, anche numerose sepolture e una cripta cimiteriale con molti corpi mummificati. La cripta, che ricalca un ambiente seminterrato della Rocca medievale e collocata in origine sotto l’altare della chiesa più antica, ha restituito circa 300 sepolture fra infanti, bambini e adulti, parte dei quali (una sessantina di individui) risultavano mummificati naturalmente. Non si tratta della mummificazione intenzionale di importanti personaggi (membri di famiglie illustri o prelati), 1. Cripta della chiesa parrocchiale di Roccapelago al ma della conservazione momento della scoperta naturale (dovuta a particolari condizioni microclimatiche) di una piccola e povera comunità dell’appennino, qui sepolta tra la seconda metà del XVI secolo e la metà del XVIII secolo. Si tratta di corpi, avvolti in sudari, che presentano ancora la pelle e a volte i capelli, vestiti con camicie e calze pesanti, che furono deposti uno sull’altro a formare un’intricata piramide di mummie, corpi parzialmente scheletrizzati e moltissimi scheletri anche scomposti. Il recupero delle mummie è stato possibile grazie alla efficace cooperazione in cantiere di archeologi e antropologi che ha permesso di recuperare i corpi nella loro connessione anatomica e riporli su supporti rigidi per poterli trasferire presso il Laboratorio di Antropologia di Ravenna, diretto da Giorgio Gruppioni del Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali (Università degli Studi di Bologna). 7
Le indagini antropologiche, già iniziate e presentate in un recente convegno, hanno rivelato lo stato di salute, l’alimentazione, il tipo di lavoro, i rapporti di parentela, le caratteristiche genetiche. È emerso che si tratta di una popolazione con carenze alimentari (scarso apporto proteico), che praticava lavori pesanti e con una speranza di vita, se si superava l’età adolescenziale (mortalità infantile molto alta), che poteva oltrepassare i 50 anni di età. Alcune mummie sono state sottoposte alla TAC grazie alla collaborazione delle AUSL di Ravenna e Forlì, numerose altre sono state oggetto di approfondite analisi di archeoentomologia funeraria condotte da Stefano Vanin dell’Università di Huddersfield (Inghilterra). Lo scavo ha restituito anche numerosi reperti che raccontano la storia della Rocca prima e della chiesa dopo, ma soprattutto si tratta di oggetti quali medagliette devozionali, crocifissi, rosari e una quantità davvero considerevole di tessuti (camicie, pizzi, calze, cuffie) relativi agli indumenti e ai sudari che avvolgevano i defunti. Significativa è inoltre la presenza di monili, orecchini, anelli, collane, spilloni crinali, oggetti personali come un dado da gioco o un rasoio che hanno accompagnato il defunto nell’ultimo viaggio. Tra le medaglie devozionali sono frequenti quelle che raffigurano la Madonna di Loreto, presso il cui santuario era diretto il maggior flusso devozionale. Significativa è la presenza di crocifissi, anche di pregevole fattura, alcuni dei quali recano al rovescio la raffigurazione della Madonna del Soccorso con la preghiera VITAM PRAEST PURAM “assicuraci una vita pura”. Anche la Madonna è inoltre raffigurata a stampa su due tessuti. Particolare è la presenza di un sacchetto in stoffa che conteneva due medaglie in cartone pressato. Un altro piccolo involucro di stoffa, assicurato alla camicia di 2. Corpo mummificato con camicia e sudario, chiesa una mummia con un lac- parrocchiale di Roccapelago cio, conteneva una medaglietta devozionale in metallo e un foglietto di carta ripiegato più volte che potrebbe contenere una preghiera. Singolare è, infine, il recupero di una lettera trovata ripiegata e sigillata con un medaglia che contie8
ne una Madonna. Si tratta di un raro documento di spiritualità che, in riferimento alle “rivelazioni della Passione” fatte alle Sante Elisabetta, Brigida e Matilde, accenna alle preghiere giornaliere da dire per 15 anni per ottenere le indulgenze, la protezione divina e la salvezza dell’anima. Per garantirsi questa protezione Maria Ori, nominata nella lettera, si fece seppellire con addosso il documento che rappresenta un raro esempio di credenza e devozione popolare associato al rito funerario. La lettera e i numerosi reperti rinvenuti sono stati esposti a Roccapelago in una mostra “Le Mummie di Roccapelago (XVI-XVIII sec.): vita e morte di una piccola comunità dell’Appennino modenese”, che ha riscosso molto interesse, al pari dell’esposizione nella cripta della Chiesa di Rocca3. Cripta della chiesa parrocchiale di Roccapelago allo pelago di una dozzina stato attuale con la ricollocazione di parte delle mummie di corpi mummificati adagiati a terra nella loro originaria giacitura, nel rispetto della morte e della primigenia funzione cimiteriale della cripta. Bibliografia G. GRUPPIONI, D. LABATE, L. MERCURI, V. MILANI, M. TRAVERSARI, B. VERNIA, Gli scavi della Chiesa di San Paolo di Roccapelago nell’Appennino modenese. La cripta con i corpi mummificati naturalmente, in, Pagani e Cristiani. Forme di attestazioni di religiosità del mondo antico in Emilia, X, Firenze 2011, pp. 219-248. D. LABATE, L. MERCURI, Un raro documento cartaceo rinvenuto negli scavi della cripta della chiesa di S. Paolo di Roccapelago nell’appennino modenese, in, Il MiBAC al Salone del Restauro di Ferrara un appuntamento consolidato, a cura di A. Mosca, XIX Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali (Ferrara, 28 - 31 marzo 2012 - Quartiere Fieristico), Roma 2012, pp. 148-149. 9
M. TRAVERSARI, V. MILANI, Quadri paleopatologici nelle fonti documentarie: il caso di Roccapelago e i suoi registri dei morti, in, Pagani e Cristiani. Forme di attestazioni di religiosità del mondo antico in Emilia, XI, Firenze 2012, pp. 171-178. M. TRAVERSARI, V. MILANI, Le mummie di Roccapelago: il progetto di musealizzazione come modello etico e scientifico, in, Pagani e Cristiani. Forme di attestazioni di religiosità del mondo antico in Emilia, XI, Firenze 2012, pp. 181-184. G. GRUPPIONI, D. LABATE, L. MERCURI, V. MILANI, T. SCHOENHOLZER NICHOLS, M. TRAVERSARI, B. VERNIA, Le indagini archeologiche nella chiesa di San Paolo di Roccapelago nell’Appennino modenese: studio interdisciplinare e valorizzazione dei resti mummificati rinvenuti nella cripta, in, Atti del Convegno di Studi dell’Accademia dello Scoltenna, c.s.
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Le mummie di Monsampolo tra scienza e costume Mario Plebani
Nel corso dei lavori di riparazione dei danni causati dal sisma in Umbria e Marche, alla chiesa Maria Ss. Assunta in Monsampolo, un’esplorazione archeologica nella cripta, effettuata nel 2003, ha portato all’individuazione di un sistema di fosse granarie medievali, dove venivano conservate le derrate alimentari, richiuse quando nella seconda metà del Cinquecento iniziò la fabbrica per la costruzione della chiesa. Le fosse vennero in parte distrutte dalla costruzione della cripta e dai quattro ossari rinvenuti durante lo scavo. Ossari anche loro molto compromessi e svuotati dei corpi traslati nell’attigua cappella della Buona Morte e lì murati. E’ qui che, tolto il muro, sono state trovate le mummie in una catasta di ossa umane sconnesse. Sono stati portati alla luce oltre venti corpi umani mummificati. In maggioranza si tratta di mummie “naturali” cioè di resti che si sono conservati per un 1. Monsampolo del Tronto con la chiesa di Maria Ss. Assunta processo spontaneo di mummificazione; tra queste è stato osservato anche un caso di mummificazione antropogenica ottenuta attraverso un procedimento chirurgico di eviscerazione. Le condizioni climatico-ambientali hanno eccezionalmente permesso di conservare i corpi ma anche gli abiti realizzati con fibra vegetale. L’esame delle vesti ha messo in evidenza, oltre alla varietà delle fogge riconducibili ad un ceto popolare del Piceno, lo straordinario stato di conservazione delle fibre tessili, canapa, lino e ginestra, solitamente sottoposte a completo disfacimento; gli abiti realizzati con tali fi11
bre erano propri di gente povera, contadina, che non aveva possibilità di vestire capi in fibre pregiate quali lana e seta che, al contrario, solitamente si conservano. Il ritrovamento è una rarissima occasione per studiare e testimonia- 2. Fosse granarie medioevali. Monsampolo del Tronto, chiesa re la vita contadina di Maria Ss. Assunta di un’epoca della quale ci sono veramente poche tracce. Tra i pezzi ritrovati: abiti femminili, gilet maschili, calze, cuffie, camicie. Sono tutti molto rappezzati, ma allo stesso tempo ricchi di particolari come bottoncini, preziosi merletti e ricami, segno che i corpi sono stati seppelliti con le vesti povere ma migliori, quelle della festa. Terminati gli studi e i restauri, i corpi verranno ricomposti negli ambienti ove sono stati trovati, nella cappella della “Buona Morte” e nell’attigua cripta. In questi suggestivi spazi si sta allestendo il racconto del rinvenimento e degli studi e sarà possibile osservare, oltre ai corpi mummificati, gli abiti, i tessuti, i rosari, le medaglie, gli anelli e tutti gli oggetti rinvenuti du3. Monsampolo del Tronto, chiesa di Maria Ss. Assunta 12
rante lo scavo archeologico. Verrà così costituito “il Museo della Cripta”, il cui progetto è finanziato con fondi POR Marche, Provincia di Ascoli Piceno e Comune di Monsampolo del Tronto. Per l’attuazione, il Comune di Monsampolo del Tronto si avvale di un comitato di esperti costituito da Franco Ugo Rollo, mummiologo, ordinario di Antropologia all’Università degli Studi di Camerino; Thessy Schoenholzer Nichols, storica del costume, docente del Polimoda di Firenze; Daniele Diotallevi, storico dell’arte della Soprintendenza per il 4. Coppia di corpi femminili mummificati. MonPatrimonio Storico Artistico sampolo del Tronto, chiesa di Maria Ss. Assunta ed Etnoantropologico delle Marche; Mara Miritello, archeologa che ha seguito lo scavo nella cripta per conto della Soprintendenza Archeologica delle Marche. Il restauro delle vesti e tessuti è stato eseguito dalla ditta “La Congrega” di Ancona e l’allestimento del museo è curato dagli architetti Marco Mattioli, Dino Polidori e Katyuscia Laudadio.
5. Particolare di un corpo mummificato. Monsampolo del Tronto, chiesa di Maria Ss. Assunta 13
Gli abiti delle mummie di Roccapelago e Monsampolo Lorenzo Lorenzini, Thessy Schoenholzer Nichols
Se è vero che tra le principali vocazioni di un Museo Civico come quello di Modena vi è quella di testimoniare la storia della città e del suo territorio, è altrettanto vero che i mezzi per assolvere tale compito sono molteplici. In questo caso si sono volute mettere in campo, ancora una volta, le potenzialità legate al patrimonio tessile e alla storia del costume ponendo a confronto i materiali di pertinenza archeologica provenienti dal territorio con quelli della collezione Gandini, alcuni dipinti della Galleria di Matteo Campori e gli strumenti per la tessitura della collezione di Villa Sorra. Tutto ciò al fine di contribuire all’apprezzamento e alla valorizzazione di un ritrovamento eccezionale che, opportunamente, si è deciso di valorizzare con un allestimento permanente nel contesto di pertinenza. 1. Manifattura modenese, Cuffietta da neonato in damasco di seta cremisi, sec. XVII (?). Roc- A Roccapelago, infatti, le particolari condizioni microclimaticapelago, inv. n. 267268 che della cripta della chiesa hanno consentito la conservazione dei corpi di molte generazioni di montanari vissuti tra Sei e Ottocento; con essi le povere testimonianze delle devozioni che li avevano accompagnati in vita e gli indumenti utilizzati in questo estremo frangente. Che questo non sia il solo caso in Italia è provato dalla presenza in 2. Lucca o Milano, Damasco di seta, ultimo quarto sec. XVI - primo quarto sec. XVII. Modena, Museo Civico d’Arte, Collezione Gandini, p. II, 165 14
3. Manifattura modenese, Cuffia femminile in velluto tagliato unito (forse impresso) di seta bruna. Roccapelago, inv. n. 267268
mostra di oggetti provenienti da un analogo ritrovamento marchigiano, ma quello di Roccapelago resta al momento un unicum in Emilia. Sebbene siano stati già raggiunti interessanti risultati, molti sono gli aspetti tuttora in corso di indagine; la presente occasione, in particolare, si concentra sullo studio dell’abbigliamento popolare, argomento poco rappresentato da effettive testimonianze materiali. La realtà di Roccapelago restituisce un grande numero di reperti tessili; sebbene molti di essi risultino illeggibili per lo stato frammentato, ne sono stati individuati alcuni che, opportunamente contestualizzati, aprono uno scorcio molto interessante sulla storia del costume. Quanto emerge invece dal sito di Monsampolo è di tutt’altro tenore, i corpi sono rivestiti di abiti quasi integri e di livello qualitativo superiore. La prima considerazione da non tralasciare è che le condizioni sociali ed economiche dei due centri erano diverse. La piccola comunità dell’Appennino modenese doveva lottare quotidianamente con la durezza della vita che imponeva pochissime concessioni al superfluo; tali limitazioni si protraevano oltre l’esistenza e dettavano il metodo di inumazione: i cadaveri venivano generalmente vestiti soltanto con la camicia e le calze, quindi chiusi in un sudario in
4. Italia, Velluto tagliato unito impresso di seta blu, metà sec. XVIII. Modena, Museo Civico d’Arte, Collezione Gandini, inv. p. IV, 84 5. Italia, Velluto tagliato unito di seta verde, secc. XVI-XVII. Modena, Museo Civico d’Arte, Collezione Gandini, p. II, 236 15
6. Manifattura Appennino modenese, Merletto a fuselli a fili continui, sec. XVIII. Roccapelago, US 23 sacco 60
tela che spesso veniva cucito sul defunto. Tra la considerevole mole di brandelli di stoffe che fasciavano i cadaveri mummificati sono stati individuati soprattutto frammenti di camicie, in particolare teli con tracce di scolli e polsi, talvolta ornati di merletti e bottoni; sono stati isolati anche lacerti di tessuti diversi, alcune tele di lana o di lana e lino, stoffe a quadri tinte in azzurro con il guado, modesti ornamenti come nastri, fettucce e cordoncini. Il corpo, dunque, non veniva generalmente vestito, lo si lasciava con la camicia, l’indumento più intimo, portato direttamente sulla pelle, talmente personale da 7. Manifattura Appennino modenese, Tela di non poter essere trasmesso ad lino a quadri forse parte di uno scialle, sec. altri. L’assenza di abiti potreb- XVIII. Roccapelago, US 23 sacco 21 be infatti avere quale vera motivazione la necessità di conservarli per altri, fatte salve alcune eccezioni. Tra queste risultano sorprendenti le due cuffie, una in damasco e l’altra di velluto, uniche presenze di pregiati tessuti di seta, da leggere come un segno struggente di affetto lasciato sul corpo di un neonato e di una signora. Ci si chiede come fossero giunti presso la comunità di Roccapelago due esempi di moda “alta”, non tanto per la confezione quanto per la stoffa; velluto 8. Manifattura Appennino modenese, Coccarda di taffetas e raso di seta verde e rosa, sec. XVII. Roccapelago, US 28 16
9. Manifattura Appennino modenese, Fettuccia in lino o canapa blu e verde tessuta con la tecnica a tavolette, sec. XVII. Roc- 10. Tessitura della fettuccia con la tecnica a tavolette capelago, US 28
e damasco sono infatti produzioni di pregio, certo per la materia prima ma, soprattutto, per la tecnica di tessitura che presupponeva l’utilizzo di macchine complesse e l’appartenenza a un comparto produttivo del tutto estraneo alla zona. In un contesto dove si registra quasi esclusivamente la presenza di manufatti eseguiti localmente, gli oggetti di lusso potevano arrivare soltanto attraverso il commercio o, più verosimilmente, attraverso un dono. Anche l’analisi dei piccoli ornamenti come i merletti e i nastri porta alla scoperta di tecniche antiche. Tra questi un sottile nastro decorato con coccarde di seta, ritrovato nello strato più in basso della cripta (US 28), databile quindi tra XVI e XVII secolo. La tecnica di ese-
11. Manifattura Appennino modenese, Fettuccia intrecciata a cappi e ciocca di capelli. Roccapelago, US 23 sacco 22 17
12. Tessitura della fettuccia con la tecnica dei cappi intrecciati
13. Copia da Gaetano Gandolfi, Due giovinetti, fine sec. XVIII, olio su tela. Modena, Museo Civico d’Arte, Galleria Campori, inv. n. 228
cuzione è una semplificazione di quella usata per i nastri di seta che adornavano giubbe, corpini e calzoni durante il Rinascimento. Tale tecnica, che sembra sparire nel secolo successivo, si avvaleva di tavolette con quattro fori attraverso i quali passavano i fili d’ordito; questi intrecciavano con la trama mentre le tavolette venivano continuamente rigirate. Nei bordi degli indumenti, nei peduncoli dei bottoni o per stringere i corpini (ad esempio nella mummia n. 21 di Monsampolo del Tronto), è stata riscontrata un’altra tecnica, oggi scomparsa ma molto diffusa in passato per la facilità di apprendimento; le fettucce risultavano da un intreccio ottenuto manipolando dei fili a cappio sulle dita. Diverse sono le caratteristiche del sito di Monsampolo del Tronto: la comunità marchigiana poteva infatti contare su una maggiore agiatezza e su una collocazione geografica più favorevole, di migliori condizioni di vita insomma che, esattamente come per Roccapelago, hanno avuto una continuità nel post mortem. La cripta della chiesa di Maria Ss. Assunta è stata utilizzata come sepoltura per cura della confraternita della Buona Morte ma, nonostante l’evidente similitudine con quella del borgo emiliano e le analoghe prospettive di studio 14. Manifattura Appennino modenese, Orecchini e frammento di collana (o rosario) di bronzo, sec. XVIII. Roccapelago, inv. nn. 267222, 267188 18
15. Particolare di camicia con gilet e giacca; della giacca resta l’ordito di lino, la trama di lana si è decomposta, inizio sec. XIX. Monsampolo del Tronto, Mummia n. 1
offerte, si differenzia per il microclima che in entrambi i luoghi ha determinato la mummificazione naturale dei corpi e la perfetta conservazione delle fibre vegetali - lino, canapa, ginestra - degli abiti, normalmente soggette ad un completo degrado durante la decomposizione. La modalità di inumazione di Monsampolo, inoltre, prevedeva una completa vestizione dei cadaveri. Gli abiti si sono conservati quasi integralmente nella stratificazione data loro al momento della sepoltura: la camicia, la sottana, il corsetto e talvolta un giacchino per le donne; la camicia, i calzoni, il gilet e una giubba per gli uomini. Pur trattandosi di vesti contadine, la qualità piuttosto alta le qualifica come “abiti della festa” arricchiti di nastri, cordoni o semplici ricami. Sono ben conservati anche i colori dati da pigmenti naturali: fra tutti, gli azzurri ottenuti dal guado. Di particolare interesse risulta poi il confronto con le tavole pubblicate integralmente da Sergio Anselmi che rappresentano i costumi dei popolani marchigiani. Gli acquerelli originali (Civica Raccolta Stampe Bertarelli del Castello Sforzesco di Milano) sono frutto di una ricognizione sullo stato delle campagne del Regno Italico commissionata dall’amministrazione napoleonica nel 1811. La sequenza di figurini, il cui scopo classificatorio indulge in un idealizzato decorativismo, è tuttavia assai fe16. Abbigliamento festivo dei contadini di Falconara, 1811 ca., acquerello, Milano, Civica Raccolta Stampe Bertarelli, Castello Sforzesco (da: S. Anselmi, Contadini marchigiani del primo Ottocento. Una inchiesta del Regno Italico, Senigallia 1995) 19
17. Manifattura marchigiana, Parte di sottana con corpino in lino, steccato con fibre vegetali e imbottitura cilindrica sui fianchi, sec XVIII o inizio sec. XIX. Monsampolo del Tronto, Mummia 20
dele nella riproduzione delle fogge, dei colori, delle proporzioni e arriva, talvolta, a definire perfino la costruzione sartoriale. Nonostante la parata di contadini non sembri neppure sfiorata dalla durezza della vita, lontana da stenti e fatiche, è innegabile l’esattezza tutta illuminista di questo repertorio; i “villani”, perfino nei loro rudi abiti da lavoro, appaiono immersi in una bucolica visione che privilegia la festa, i momenti di aggregazione e di svago. La trasposizione nella realtà della cripta induce a pensare che la morte stessa rientri nelle situazioni topiche della vita e che,
18. Ricostruzione dell’abito appartenente alla mummia 20
19. Manifattura Appennino modenese, Camicia frammentaria di lino con scollo ricamato, sec. XVIII. Roccapelago, US 23 sacco 21 20. Disegno ricostruttivo della camicia 20
21. Giovanni Antonio Burrini (1656-1727), Due teste di carattere, 1680-90, olio su tela. Modena, Museo Civico d’Arte, Galleria Campori, inv. n. 104
come il fidanzamento e il matrimonio, sia occasione per sfoggiare l’abito buono. Il sito di Monsampolo ha l’impagabile merito di restituire pressoché intatti capi d’abbigliamento fino ad ora conosciuti quasi esclusivamente attraverso la pittura. Al contrario, è principalmente attraverso il rapporto con questa forma d’arte che i brandelli di Roccapelago trovano un completamento: la camiciola infantile ornata dal vaporoso colletto a “lattuga” trova un puntuale riscontro nel dipinto di Giovanni Antonio Burrini rappresentante Due teste di carattere. Il paggio “moro” e il ragazzo biondo, rappresentanti di una classe subalterna, indossano entrambi una camicia ornata al collo da una gorgiera non inamidata, un vero e proprio anacronismo se si considera la datazione del quadro negli anni ‘80 del Seicento; tuttavia, quello che a livello stilistico si giustifica come un omaggio a Tiziano e alla pittura veneta, è probabilmente la rappresentazione di una livrea, un abito “senza tempo” destinato a designare l’appartenenza di chi lo indossava. Così come il volgo in genere 22. Manifattura Appennino modenese, Camicia infantile con colletto a “lattuga” in tela di lino, sec. XVIII. Roccapelago, Tomba 9 21
23. Manifattura Appennino modenese, Polso di camicia in tela di lino, sec. XVIII. Roccapelago, Tomba 9
25. Contadino di Sant’Angelo in Vado al lavoro, 1811 ca., acquerello, Milano, Civica Raccolta 24. Giacomo Ceruti (1698-1767), PortaroStampe Berta- lo, 1730-40, olio su tela. Modena, Museo relli, Castello Civico d’Arte, Galleria Campori, inv. n. 160 Sforzesco (da: S. Anselmi, Contadini marchigiani del primo Ottocento. Una inchiesta del Regno Italico, Senigallia 1995)
era tenuto a esprimere il proprio stato attraverso l’abbigliamento e, al di là delle possibilità economiche, era considerato sconveniente che i “villani” vestissero con lusso e trasgredissero le norme sociali pavoneggiandosi in abiti alla moda. Non deve quindi stupire la permanenza di forme e modelli inalterati nei secoli, soprattutto per quanto riguarda la confezione di alcuni capi. La camicia, indossata in ogni tempo e in ogni luogo da ricchi e poveri, quasi una seconda pelle, ha in fondo poche varianti costituite essenzialmente dai decori e dalla finezza della tela con la quale era confezionata. Tuttavia quello che a prima vi26. Manifattura Appennino modenese, Camicia femminile in tela di lino, sec. XVIII-XIX. Roccapelago, US 23 sacco 85 ind 51 22
27. Sequenza del taglio e della costruzione di una camicia in riferimento all’altezza della pezza di tela. Lo schema si basa sui rilievi effettuati sulla camicia n. 27 di Monsampolo del Tronto
sta sembrerebbe un modesto margine di modifica, rivela in realtà un’ampia gamma di espedienti sartoriali. L’eccezionalità dei siti di Roccapelago e Monsampolo consiste anche nel numero davvero alto di reperti la cui incompletezza è compensata dalla vastità di esempi forniti. Le camicie utilizzate dai ceti rurali erano essenzialmente confezionate in casa completando un ciclo di produzione autarchica: dalla coltivazione delle piante tessili e dall’allevamento degli ovini provenivano le materie prime, poi cardate, filate, eventualmente tinte e infine tessute su telai domestici. L’analisi dei reperti ha suggerito che, in assenza di un modello prestabilito, il taglio delle camicie si basava essenzialmente sulla suddivisione della pezza la cui altezza costituiva una sorta di modulo. Tale altezza, che dipendeva dai regolamenti municipali, si aggirava attorno ai 65 cm; quello che contava davvero però era che ogni singolo pezzo tagliato risultava da una suddivisione del tessuto che non prevedeva nessuno spreco. I tagli diritti avvenivano mediante la sfilatura di un filo di
28-29. Esempio di cuciture usate a Monsampolo del Tronto nell’unione dei teli in corrispondenza delle cimose e polso di camicia con bottone 23
30. Manifattura marchigiana, Abito femminile (fine sec. XVIII) e camicia in lino con merletti e ricami databile tra il sec. XVI e il sec. XVII. Monsampolo del Tronto, Mummia 21
31. Camicia dopo il restauro. Monsampolo del Tronto, Mummia 21
trama il quale permetteva l’allineamento e la perpendicolarità delle varie parti e degli orli. Le camicie di Roccapelago rivelano una condizione di povertà piuttosto accentuata, non solo per il fatto di essere l’unico indumento indossato dalle mummie, ma anche per i numerosi rattoppi, stratificati e accostati con estrema cura; doveva trattarsi dell’unica camicia posseduta dal defunto e portata per una vita intera, tanto da diventare letteralmente un insieme inscindibile con la persona. Tuttavia ogni camicia mostra una sua raffinata perfezione nelle cuciture, talvolta doppie, negli impunturati e nei punti indietro. La funzionalità veniva di conse32. Contadina di Fano in abito da lavoro estivo, 1811 ca., acquerello, Milano, Civica Raccolta Stampe Bertarelli, Castello Sforzesco (da: S. Anselmi, Contadini marchigiani del primo Ottocento. Una inchiesta del Regno Italico, Senigallia 1995)
33. Particolare dell’abito della mummia 21, Monsampolo del Tronto 24
34. Manifattura marchigiana, Bustino in tela di cotone ricamato in seta con motivi floreali, fine del sec. XVIII. Monsampolo del Tronto, Mummia 18
35. Particolare della mummia 18 con il bustino
guenza: ad esempio le parti sotto le ascelle mostrano l’unione di teli (cimosa a cimosa) con punti incrociati che risultano piatti; non si creavano quindi fastidiose sovrapposizioni contro la pelle dove andava il corpino esterno. Un accorgimento sofisticato se si pensa alla vita dura dei contadini come i ricami in bianco sulle camicie con punti combinati a diversi passaggi in modo da creare un rilievo; oppure il punto incrociato per tenere insieme le piccole pieghettature intorno allo scollo e ai polsi. Sulle camicie femminili troviamo spesso delle finiture in merletto, quasi sempre a fuselli a fili continui (il filo caricato su un gran numero di fuselli intreccia creando contemporaneamente il fondo e il motivo). Per Monsampolo questo fatto non è tanto sorprendente vista la prossimità con Offida, centro caratterizzato da una lunga e remota tradizione; nel modenese, in particolare per le zone montane, non risultava invece nulla di 36. Manifattura marchigiana, Camicia in lino o canapa; fra manica e corpo è inserito un merletto a fuselli a fili continui databile ai secc. XVI - XVIII. Monsampolo del Tronto, Mummia 18
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37. Monsampolo del Tronto, Mummia 20
38. Italia, Tramezzo a fuselli, seconda metà sec. XVI. Modena, Museo Civico d'Arte, Collezione Gandini, p. V, 285
simile; i filati piuttosto grezzi e la semplicità della tecnica rendono molto probabile che la loro esecuzione sia avvenuta sul territorio. L’analisi dei manufatti indica che sono stati utilizzati pochi spilli per fissare e tenere in posizione il merletto in fase di lavorazione e nessun disegno preciso; le merlettaie lavoravano piuttosto a mano libera con la sola guida di una stoffa a righe o a quadretti posta a rivestimento del tombolo. Ben diversa è la fattura delle camicie di Monsampolo, a partire dal taglio che prevedeva la confezione della parte inferiore, quella che restava nascosta sotto il bustino e la sottana, in una tela più robusta. La parte superiore e le maniche sono invece arricchite di merletti e di ricami di fattura piuttosto raffinata e che riportano a tipologie decorative a cavallo tra Cinque e Seicento. La prima ipotesi possibile è che i due manufatti siano stati tramandati per molte generazioni in virtù delle preziose finiture; in seconda battuta può essere invece ipotizzata un’esecuzione non così lontana nel tempo ma ancorata a una tradizione decorativa di matrice antica. In ogni caso emerge in tutta la sua forza una umanità che, seppure gravata dalle contingenze di un’esistenza non facile, agiva consapevolmente entro una rete di valori imprescindibili segnalati anche attraverso le vesti e gli ornamenti, “villani”, certo, ma impegnati a profondere decoro e dignità ai momenti fondamentali della vita, compresa la morte. 39. Particolare della camicia della mummia 21, sec XVI o inizio sec. XVII. Monsampolo del Tronto
40. Italia, Bordo in tela di lino ricamata con finitura ad ago, fine sec. XVI. Modena, Museo Civico d'Arte, Collezione Gandini, p. V, 211 26
Le vesti del quotidiano restaurate
Iolanda Silvestri, Ivana Micheletti, Annalisa Biselli Scavi archeologici dell’età moderna risalenti ai secoli compresi tra il XVI e il XVIII secolo come quelli di Roccapelago e Monsampolo pongono il restauro al più alto grado dei valori di restituzione storica e artistica del bene culturale. Quando poi il recupero viene applicato ai manufatti tessili costituiti di materia organica ad altissima deperibilità, allora la teoria e la prassi di questa disciplina, nata solo un secolo fa e ad oggi enormemente cresciuta, forniscono le sue performances migliori. I reperti delle vesti indossate dagli abitanti di entrambe le comunità, tessuti in tela di lino, canapa e lana, appartengono a quella parte più povera, ma paradossalmente più preziosa e 1. Camicia infantile con colletto a ” lattu- peggio conservata del patrimoga” ritrovata nella chiesa parrocchiale di nio tessile antico che il tempo Roccapelago non è riuscito a preservare in gran quantità in quanto consunta dall’uso quotidiano. I manufatti in seta, al contrario, lavorati con un filato ben più nobile e costoso, pur nella loro fragilità naturale, hanno goduto di una conservazione migliore in quanto beni preziosi da tramandare e preservare nei secoli. I tessili archeologici del tipo repertato a Roccapelago e Monsampolo rivenuti con caratteristiche tecniche e materiche simili contraddistinte da lavorazioni 2. La stessa veste dopo il restauro 27
3. Parte di camicia con scollo orlato da un merletto a fuselli ritrovata nella chiesa di Roccapelago
semplici con filati non serici, impongono riflessioni specifiche e scelte di metodo obbligate. Il restauro di questi materiali non è consistito solo in un mero recupero materico e funzionale del reperto e delle valenze estetiche espresse, ma ha anche imposto la scelta mirata di una campionatura limitata e ben documentata rispetto al contesto del ritrovamento. Dei due siti archeologici, lo scavo di Roccapelago è stato emblematico al riguardo. A fronte di una rilevante quantità di vesti ritrovate nella cripta sui 300 inumati (infanti, bambini e adulti) di entrambi i sessi, poche, infatti, sono le varietà di indumenti, tipologie tessili e filati rilevati. I corpi preservati da una mummificazione naturale assicurata da un microclima ideale, indossano una camicia avvolta in un sudario, mentre il capo è racchiuso, talvolta, in una cuffia e i piedi sono protetti da calze in maglia di lana. Povere vesti confezionate con tele riassemblate e rattoppate, i cui unici e “preziosi” decori sono rappresentati da bordi sfilati orlati a giorno o da merletti a fuselli rivenuti nei colletti e nei polsini. Poche varietà di indumenti, ornamenti semplici e accessori essenziali prodotti in ambito domestico con lavorazioni artigianali e filati in lino, canapa e lana, ad eccezione di tre manufatti in seta di sicura importazione: una coccarda in taffetas e raso verde - rosa e due cuffiette, una in velluto tagliato unito bruno, l’altra in damasco rosso. I capi individuati per il restauro - un abito da bambino, una parte di camicia, un polsino 4. La stessa camicia durante il lavaggio 28
5. Rilievo dei tagli e delle cuciture della camicia con ricostruzione della forma sartoriale della stessa camicia (rilievo eseguito da Thessy Schoenholzer Nichols)
in fibra vegetale e due cuffie in seta - hanno imposto la scelta di una campionatura ristretta ma significativa selezionata in relazione a criteri diversi: la svestizione non distruttiva della mummia, la buona conservazione dei reperti, la varietà di tipologie vestimentarie e tessili documentate, il numero limitato di materiali da preservare in vista della risepoltura programmata degli inumati. Le operazioni conservative si sono svolte nell’ordine seguente: • rilievo fotografico • rimozione meccanica della polvere e dei depositi di superficie con l’aiuto di pennelli e aspiratore a velocità regolabile, seguita da microaspirazione • umidificazione preliminare al lavaggio eseguita con vaporizzazione utile a preparare gradualmente le fibre disidratate al lavaggio • test di tenuta dei colori per i reperti in seta e conseguente lavaggio in acqua e alcool a 90° solo se il test è negativo •lavaggio a immersione in acqua addolcita e detergente neutro prece- 6. La camicia a restauro ultimato duto con montaggio di reti protettive per le zone più degradate • risciacqui ripetuti finalizzati ad eliminare il detergente • asciugatura naturale delle cuffie con sostegni per il rimodellamento della forma originale • posizionamento finale dei reperti planari su pannello in fase di asciugatura con il ripristino della corretta ortogonalità delle fibre mediante 29
7. Particolare del merletto a fuselli dello scollo della camicia prima del restauro
l’uso di spilli entomologici • rilievo grafico dei modelli sartoriali • studio dei filati, dei tessuti e dei decori • consolidamento a cucito delle parti consunte e sfilacciate, applicazione di supporti tessili congrui per il risarcimento delle lacune locali e il consolidamento integrale del reperto • riprese fotografiche e relazione finale Per la conoscenza dei materiali, determinanti sono state alcune operazioni come la pulitura che ha facilitato la distensione dei filati e la lettura degli intrecci, l’analisi dei filati al cross-cut, al microscopio digitale e al SEM (Scanning Electron Microscopy), il rilievo dei tagli e delle cuciture originali che ha permesso la ricostruzione virtuale delle parti mancanti delle vesti con la restituzione dei modelli sartoriali originali. Grazie ”alla magia” del restauro e a questa suggestiva esposizione, oggi non ancora definitiva ma che si auspica integrata in futuro nei capi e migliorata nella resa dei volumi, le umili vesti di entrambe le comunità sono rinate a nuova vita. Per i restauri delle vesti di Roccapelago é possibile consultare la banca dati restauro all’interno del Catalogo del Patrimonio IBC: http://bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/samira/v2fe/index.do I restauri sono stati eseguiti da: R.T. Restauro Tessile - Albinea RE (vesti di Roccapelago) La Congrega - Ancona (vesti di Monsampolo) 8. li te ci
Particolare del merletto a fuseldello scollo della camicia duranil restauro con spilli entomologiapplicati per il fissaggio dei bordi 30
9. Particolare della camicia durante la pulitura
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