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Il gioco E.H. Porter

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Il verbo partire

Il verbo partire

Il gioco

«Perché mi hai fatto tanto spaventare, signorina Pollyanna?» chiese Nancy ansimando, dopo che era arrivata ai piedi dello sperone di roccia dove la bimba era appena ridiscesa con evidente rincrescimento.

«Ti ho fatto spaventare? Oh, mi dispiace; ma non devi mai preoccuparti per me, Nancy. Anche papà e le signore dell’Assistenza si preoccupavano, finché si sono rassegnati. Tanto finivo per tornare sempre a casa senza un graffio».

«Ma non sapevo nemmeno che fossi uscita» disse Nancy, prendendo la ragazzina sottobraccio e correndo giù per il pendio. «Non ti ho visto uscire. Nessuno ti ha vista. Scommetto che te ne sei andata per il tetto».

Pollyanna saltellò soddisfatta. «È proprio quello che ho fatto. Solo che invece di salire sopra il tetto, sono scesa dall’albero».

Nancy s’arrestò di colpo. «Che cosa hai fatto?».

«Sono uscita dalla finestra e poi mi sono lasciata scivolare lungo i rami dell’albero».

«Benedetti numi!» disse Narcy quasi senza fiato, riprendendo la corsa. «Vorrei sapere quello che tua zia avrà da dire su questo!».

«Davvero? Bene, allora glielo dirò, così lo saprai» rispose Pollyanna con allegro candore.

«Per amor del cielo!» disse Narcy terrorizzata. «No, no!».

«Vuoi dire che si arrabbierebbe?» domandò Pollyanna chiaramente preoccupata.

«No… anzi, sì… beh, lasciamo perdere. Non m’importa sapere che cosa direbbe» disse Narcy borbottando, decisa a evitare a Pollyanna una sgridata, se non di peggio. «Ma è meglio che ci sbrighiamo; ho ancora tutti i piatti da lavare!».

«Ti aiuterò io» le promise immediatamente Pollyanna.

«Oh, signorina Pollyanna!» esclamò Nancy esitante.

Per un po’ procedettero in silenzio; il cielo si stava oscurando rapidamente e Pollyanna strinse più forte il braccio della sua amica. «Sono contenta, dopo tutto, di averti fatto stare in pensiero; perché così sei venuta a cercarmi» disse con un brivido.

«Povero uccellino! Devi anche aver fame; io… io temo che dovrai mangiare pane e latte in cucina con me. Tua zia vuole così perché non sei stata puntuale per la cena, capisci?».

«Ma non potevo. Ero lassù».

«Sì, d’accordo, ma lei non lo sapeva» disse Nancy. «E mi dispiace per il pane e latte, proprio davvero».

«Ma a me non dispiace per niente, sono contenta».

«Contenta? E perché?».

«Perché il pane e il latte mi piacciono, e perché così potrò mangiare con te, in cucina».

«Sembra che tu non faccia fatica a essere contenta di tutto» disse Narcy con una certa ironia, ancora scossa al ricordo del coraggioso sforzo di Pollyanna nell’accettare di buon grado la squallida stanza nel sottotetto.

Pollyanna abbozzò un sorriso. «Beh, comunque fa parte del gioco».

«Del… gioco?».

«Sì, il gioco del “sii sempre contento”».

«Di che cosa diavolo stai parlando?».

«Ma è un gioco! Me l’ha insegnato papà ed è molto carino» aggiunse Pollyanna. «L’abbiamo sempre giocato insieme, fin da quando ero piccola piccola. L’ho anche insegnato alle signore dell’Assistenza e qualcuna di loro ha persino provato a giocarlo».

«Com’è questo gioco? Non me ne intendo molto di giochi, io».

Pollyanna rise ancora, ma poi sospirò. Alla ormai tenue luce del crepuscolo il suo piccolo viso apparve affilato e pensieroso. «Beh, abbiamo cominciato quella volta che alla missione sono arrivate un mucchio di stampelle».

«Stampelle?».

«Sì. Vedi, io desideravo tanto una bambola e papà l’aveva anche scritto, ma quando le signore dell’Assistenza inviarono un po’ di roba alla missione, risposero che non avevano ricevuto nessuna bambola, ma diverse stampelle. Aggiunsero che ce le mandavano perché potevano sempre riuscire utili, prima o poi. Ed è stato allora che abbiamo iniziato per la prima volta a far questo gioco».

«Non vedo che cosa ci sia di divertente» disse Nancy quasi irritata.

«Ma sì, il gioco consiste proprio nel trovare in qualsiasi situazione qualcosa di cui potersi rallegrare; non importa che cosa» soggiunse candidamente Pollyanna. «E noi cominciammo proprio dalle stampelle».

«Ma benedetto il cielo! Non vedo come si possa essere contenti di ricevere un paio di stampelle quando si desidera una bambola!».

«E invece, una ragione c’è» disse Pollyanna. «Anch’io in principio non riuscivo a capirlo» aggiunse in uno slancio di sincerità. «Papà me l’ha dovuto spiegare».

«Bé, allora potresti spiegarlo anche a me» disse Nancy un po’ sarcastica.

«Ma è semplice! Tanto per cominciare puoi essere contenta di non aver bisogno delle stampelle» spiegò Pollyanna trionfante. «Come vedi, è molto facile, una volta che hai capito il meccanismo».

«Sì, sì, fra le tante cose strane ci sarà anche questa» ammise Nancy con scarsa convinzione.

«Non è strano, è bello» insistette Pollyanna con fervore. «Da allora, abbiamo sempre continuato a far questo gioco. E più era difficile, più era divertente!

Solo… solo… che qualche volta è troppo difficile, come quando papà se ne va in cielo e non ti restano che le signore dell’Assistenza».

«O come quando sei cacciata in un buco di stanza, con niente dentro, in cima alla casa» disse Narcy con rabbia.

Pollyanna sospirò. «Sì, anche in quel momento è stato difficile» ammise. «Soprattutto perché mi sentivo così sola e non avevo nessuna voglia di fare il gioco: desideravo proprio essere circondata da molte belle cose! Ma poi mi è venuto in mente quando odio guardarmi allo specchio e vedere tutte le lentiggini che ho, e mi sono sentita contenta che non ce ne fosse neanche uno. E per finire ho visto lo splendido panorama fuori dalla finestra, e ho capito che c’era proprio di che essere contenti. Vedi, quando ti capita qualcosa che ti fa dispiacere, come trovarti un paio di stampelle al posto di una bambola, pensi subito a cosa servono le stampelle, e allora ti ricordi che hai due gambe sane e robuste che ti permettono di correre e di salire sugli alberi: così dimentichi il resto».

«Uff!» sbottò Nancy, cercando di mandar giù il groppo che aveva in gola.

Eleanor H. Porter, Pollyanna, De Agostini

fervore: passione, entusiasmo.

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