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La casa dei suoni C. Abbado
Un giorno al nipote più giovane arriva un messaggino WhatsApp che dice: «Finalmente ci sono anch’io. Il nonno!».
Lui, pieno di stupore, corre a tavola, dove è radunata la famiglia, e urla: «È arrivato un messaggio dal nonno da WhatsApp! Il nonno usa WhatsApp!».
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La sorella più grande, allibita e quasi sdegnata, dice: «Nonno usa WhatsApp??? Ma è una cosa da giovani!!!».
Tutta la famiglia ride divertita, ma non immagina cosa l’aspetti.
Il nonno, infatti, inizia a creare gruppi su gruppi e chat su chat.
Tutte le volte che arriva un messaggino, tutti si guardano e, rassegnati, pensano: «Nonno usa WhatsApp».
Allora i familiari provano in tutti i modi a disinstallare l’applicazione al nonno, ma ne escono a testa bassa e non possono far altro che dire: «Nonno usa WhatsApp!».
Lorenzo, classe V
La casa dei suoni
La nostra casa era piena di strumenti (c’erano perfino due pianoforti!), di allievi della mamma, che insegnava il pianoforte, e di amici del papà che suonavano con lui.
Avevo sette anni quando andai per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano. Quando mi sono affacciato al parapetto del loggione, che è la fila di posti più vicina al soffitto, ho visto, dall’alto, piccolissimi e lontani, tanti musicisti come nel sogno, ed un uomo che, agitando il suo ditino, scatenava suoni meravigliosi. Si trattava dei «Notturni» di Debussy, un musicista nato nella seconda metà dell’Ottocento, che sembra quasi dipingere luci e colori con la sua musica, ed in particolare mi colpì la musica del secondo notturno, Feste, con un suono di trombe che arriva in crescendo da lontanissimo come una magia.
Arrivato a casa, ho chiesto chi fosse quel piccolo omino che stava su una pedana rossa, e sembrava onnipotente: era un grande direttore d’orchestra, Antonio Guarnieri. Ho subito scritto nel mio diario che un giorno anch’io avrei diretto quella musica. Quando, molti anni dopo, ho avuto un figlio, ho provato a fargli ascoltare i Notturni che mi avevano impressionato quando avevo la sua età: il mio bambino ha spalancato gli occhi, come per il racconto di una favola, e il miracolo si è ripetuto, esattamente nello stesso momento musicale.
Quella serata fu per me importantissima; ero rimasto ammaliato dalla possibilità di suonare in tanti, insieme, e dalla importanza di quell’omino che li dirigeva come un filo conduttore. ll giorno dopo iniziai a studiare il pianoforte, per potere un giorno anche io fare musica insieme ad altri. Intanto, con rinnovata attenzione, ascoltavo le prove di mio padre, quando suonava con la mamma: era
una forma familiare di duo, speravo un giorno di essere in grado di sostituire la mamma al pianoforte, e di accompagnare io il papà. Una volta la mamma si ammalò, e il papà mi chiese di sedermi al pianoforte, e di provare a suonare insieme a lui. Ero emozionatissimo, e non mi sentivo affatto preparato. Cominciai a suonare, sentendomi orgoglioso di questo nuovo ruolo, ma le cose non andarono come avevo sperato: fu un vero disastro, perché era difficile seguire il violino del papà, e il papà era durissimo. Gridava, mi faceva suonare troppo in fretta, non mi lasciava smettere mai.
In realtà, suonare col papà è sempre stato così, per me, anche quando sono diventato più bravo: diventava giustamente esigentissimo, quando si trattava di musica, e la sua proverbiale pazienza lasciava posto a critiche impietose. La maggiore sorpresa, e il segreto più importante che mi ha lasciato, fu questa: fare musica con qualcuno non vuol dire tanto saper suonare quanto saper ascoltare. Egli mi ha insegnato che accompagnare un discorso musicale significa saperlo sentire attentamente, accettarlo, comprenderlo fin nei suoi angoli più misteriosi. Nella vita, come nella musica, è indispensabile sapere ascoltare gli altri, per poterli seguire. Ancora oggi, quando devo accompagnare un cantante o un solista con l’orchestra, mi ricordo di quel prezioso insegnamento. A volte due amici dei miei genitori venivano ad aggiungersi al violino del papà: Vidusso al pianoforte e Crepax al violoncello: così ho ascoltato per la prima volta un trio e ho capito che se si vuole suonare in tanti, bisogna sapersi ascoltare e cercare di “accordarsi” con gli altri.
Claudio Abbado, La casa dei suoni, Vallardi
Claudio Abbado è stato uno dei più importanti direttori d’orchestra. È nato a Milano nel 1933, da genitori anch’essi musicisti: suo padre era insegnante di violino al Conservatorio Giuseppe Verdi, sua madre era pianista. Ha diretto le più prestigiose orchestre del mondo, tra le quali la Scala di Milano, l’Orchestra Sinfonica di Londra, l’Orchestra Filarmonica di Vienna e l’Orchestra Filarmonica di Berlino.