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Nuvole M. Corradi

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Il verbo partire

Il verbo partire

Nuvole

Al mattino, quando spalanco le finestre sulle Tofane, mi si para davanti agli occhi una giornata splendida. Più bella delle altre: uno di quei cieli di smalto di estate piena, nemmeno all’orizzonte la traccia di una piccola nuvola.

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Poi, cos’è stato? All’inizio un niente. Un refolo di vento sottile e improvviso nell’aria ferma. Scompone per un istante gli ombrelloni nei giardini e le tende di pizzo alle finestre lasciate spalancate.

Poi tutto torna ardente e immobile.

Guarda: ora c’è una nuvola. Che strana: molto piccola, gonfia e nera. Sembra arrabbiata. Nel cielo terso si muove con una singolare velocità. Io la seguo con gli occhi, incuriosita da quella sua strana andatura furtiva. Mi piacciono, le nuvole, e soprattutto quelle nere. La mia nuvola, mi accorgo ora, è l’avanguardia di una schiera che rapida, spuntata come dal nulla, velocemente si ammassa all’orizzonte. Da dove vengono?

Nuvole nere, come chiamate all’appello da un oscuro generale, falangi che sorgono e si allineano l’una dopo l’altra minacciose, disponendosi alla battaglia. C’è ancora il sole in paese. Ma lassù si sta allestendo un sabba, un gonfiore rancoroso, un’iradiddio di spifferi maligni e moli plumbee. Finalmente una nuvola grassa, con la portanza da nave maestra, lambisce il sole e lo oscura. La luce cambia in un attimo: trasfigura la giornata ridente in un’aura livida.

Larghe ombre percorrono ora le rocce chiare delle Tofane: passano sopra le cime, le incupiscono in un grigio plumbeo e di nuovo le liberano; altre, più gonfie, ne arrivano. Un esercito ha occupato il cielo.

Sul tetto sopra di me, finalmente un tocco solitario, come di un piccolo sasso gettato. È il segnale: comincia.

Marina Corradi, Da bambina, Marietti

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