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La notte misteriosa scintillante J. Dobraczynski

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Il verbo partire

Il verbo partire

La notte misteriosa scintillante

La misteriosa notte scintillante continuava. Il cielo addirittura avvampava di stelle, tanto numerose che sembrava formassero un largo fiume di splendore, il quale scorresse da un’estremità all’altra dell’orizzonte e cadesse in una cascata argentea dietro la parete dei monti. Ma anche la terra pareva riflettere quello splendore, come se fosse un grande lago in cui si specchiasse il cielo.

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Il gruppo di persone si era fermato qualche passo davanti alla grotta. Ata con le braccia conserte pareva volesse trattenerle dal fare irruzione all’interno. Diceva qualcosa – ora con tono di preghiera, ora con voce disperata. Giuseppe si fermò accanto a lei. La donna si volse verso di lui, disse:

«Ascolta, Giuseppe, loro vogliono assolutamente entrare. Dicono che vogliono vedere. Spiego, li prego… non so che cosa vogliano…».

Lo sguardo si era abituato al chiarore e adesso li vedeva del tutto nitidamente. Si trattava dei pastori a cui gli abitanti di Betlemme affidavano le loro greggi. Il loro aspetto era selvaggio. Avevano i visi non rasati, tenevano in mano dei bastoni e coltelli e asce ficcati nella cintura. Erano vestiti con pelli di animali. In mezzo ai peli ispidi spuntavano le loro mani nerborute, grandi e forti. Il loro aspetto suscitava apprensione. Giuseppe sentì un brivido di paura, ma con mossa tanto più decisa si pose davanti ad Ata. Chiese:

«Che volete?».

Non risposero. Che li avesse stupiti l’apparizione di Giuseppe? Parlavano tra loro, come se si consultassero. Non comprendeva che cosa dicessero. Avevano una propria lingua, semplice, piena di parole straniere. Certamente nella loro vita non osservavano né la purezza né le norme della Legge. Vivevano in continuo vagabondaggio, conducendo con sé donne e bambini. Per quasi l’intero arco dell’anno si trovavano sui pascoli. A Betlemme comparivano due, tre volte l’anno: vi conducevano le greggi, per mostrarle ai proprietari, consegnavano i capi da ingrasso destinati al macello. In quell’occasione i proprietari delle greggi facevano i conti con loro. Ma nessuno li invitava in casa propria. Incutevano paura. Quando entravano nel villaggio, tutte le porte si chiudevano al loro passaggio. Si prendevano buona cura delle greggi, ma tutti erano convinti che, oltre alla pastorizia, si occupassero di ruberie. Inoltre parecchi erano meticci. Il lavoro li aveva resi duri, avvezzi alla lotta con gli animali selvaggi, che assalivano le greggi.

«Che volete?» ripeté. L’apprensione non lo aveva lasciato, ma al contempo sentiva di essere pronto a difendere i suoi anche se gli fosse toccato di lottare con tutto il gruppo dei nuovi venuti.

Quegli altri continuavano a parlare tra loro. Pareva che discutessero qualcosa. All’improvviso incominciarono a chiamare qualcuno e a spingerlo avanti. L’uomo che si fermò davanti a Giuseppe non era più giovane. Aveva i capelli ispidi, una incipiente calvizie sulla fronte. Il viso scuro, bruciato dal sole e dai venti, era tutto solcato di rughe. Attraverso la giacca di montone aperta si vedeva il petto villoso. Il suo bastone era incastonato di pietre focaie e alla cintura portava una piccola scure. Mentre passava tra i compagni, loro gli cedevano il passo con rispetto: doveva essere il loro capo.

«Di’» incominciò l’uomo «Qui nella grotta è forse nato un Bambino?».

Giuseppe si stupì a questa domanda.

«Perché me lo chiedi?».

«Voglio saperlo. Anche loro – indicò il gruppo – vogliono saperlo. Per questo siamo venuti».

«Per sapere della nascita di un bambino?».

«Sì».

«A mia moglie è veramente nato un Bambino…».

«E lo avete deposto nella mangiatoia?».

«Non capisco perché me lo chiedi. È così come hai detto. Siamo giunti oggi da lontano. Non si è trovato un posto per noi nella locanda. Nessuno ha voluto accoglierci…».

«E per questo è nato qui?».

«Sì».

«E lo avete deposto nella mangiatoia?».

L’uomo ripeté la domanda col tono di chi voglia accertare qualcosa di estremamente importante.

«Non avendo una culla…».

Il vecchio si rivolse verso i suoi. Disse loro qualcosa in una lingua gutturale, incomprensibile per Giuseppe. Quando finì si levò un grande vocìo. Giuseppe non riusciva a indovinare che cosa significassero le grida: ira, stupore o ammirazione. C’era qualcosa di strano nel fatto che quelli chiedessero notizie su cose tanto usuali.

L’altro si rivolse di nuovo a Giuseppe:

«Quando è nato questo tuo Bambino? Proprio quando si è accesa quella grande luce e quando si sono fatte sentire le voci?».

«La notte è piena di luci… E non so di quali voci parli. Io non ne ho sentita nessuna».

«Non le hai sentite?» adesso nella voce dell’uomo risuonava stupore.

«No… Che voci erano? Che cosa dicevano?».

L’uomo sembrava riflettere.

«Sì, erano delle voci…» affermò infine. «Le abbiamo sentite tutti. Non poteva essere un sogno. Il sogno viene a uno solo. Non ci sono due sogni uguali…».

«E che cosa dicevano quelle voci?» mentre chiedeva sentì un brivido percorrergli le braccia e scivolargli giù per la spina dorsale.

Il vecchio parve esitare. Diede un’occhiata ai suoi, si passò le mani sul petto irsuto. Infine borbottò:

«Dicevano cose strane… Che andassimo a cercare il Bambino che è nato nella notte nel campo di Davide ed è stato deposto in una mangiatoia di animali…».

«E a che scopo quelle voci vi hanno ordinato di cercare il Bambino?».

«Hanno ordinato di cercarlo e di guardarlo» affermò evasivo. Improvvisamente chiese: «Come è questo tuo Bambino?».

«Come gli altri bambini».

Scosse il capo, come se non potesse comprendere qualcosa.

«Dici così… Ma le voci hanno ordinato di andare, cercarlo, trovarlo e porgergli omaggio… Non so perché… Ognuno di noi ha preso con sé quello che poteva… Per offrirlo… E tu dici: un bambino qualsiasi? Ogni notte nascono dei bambini. Perché di questo Bambino hanno parlato le voci? Dobbiamo vederlo. Dobbiamo convincerci».

Disse questo e si mosse verso Giuseppe. Dietro di lui si mosse l’intera turba. Ma Giuseppe ancora una volta impedì loro il passaggio.

«Fermatevi! Trattenetevi!» esclamò.

«È vero quel che hai detto delle voci?».

Quello che aveva detto l’uomo suonava bello come un prodigio, eppure poteva celare un pericolo. La turba dei pastori, da cui emanava un sentore di pelle, di sangue e di grasso animale, non ispirava fiducia. Li avevano davvero condotti qui delle voci del cielo? – pensava. Se erano davvero voci celesti, perché non si erano rivolte ai sacerdoti? Perché non avevano parlato ai suoi fratelli? Proprio loro avrebbero dovuto comprendere e giungere per primi. Che cosa avrebbero capito da quel che avrebbero visto queste persone selvagge? Un Bambino avvolto nel lembi stracciati da una tunica… E che fosse un tranello? Che i suoi fratelli avessero macchinato qualcosa? Che volessero rapire il Piccino?

«Pensi» disse il vecchio, come indovinando i pensieri di Giuseppe «Che le voci misteriose non potevano parlare con noi? Le abbiamo sentite davvero. E abbiamo deciso subito di venire. Non ci trattenere…».

«Bene – disse – andate a vederlo. Non ve lo impedirò. Ma voglio avvertirvi: non vedrete nulla di straordinario. Non so che cosa vi abbiano detto le voci. Ma mia moglie ed io siamo povera gente…».

«Quando quello che ha parlato con noi ha detto che il Bambino sarebbe stato in una mangiatoia, sapevamo che avrebbe avuto bisogno del nostro aiuto… Per questo ciascuno ha portato qualcosa…».

«Che cosa vi aspettate dunque da Lui?».

L’uomo fece passare la mano nella chioma ispida.

«Lui ha detto – affermò – che questo Bimbo porterà la pace…».

«La pace?!» esclamò, indietreggiando istintivamente di un passo. «Vi ha detto così?».

«Ha detto così. Te ne stupisci?» da sotto le ciglia irsute adesso guardò con attenzione Giuseppe.

«Mi stupisce che voi cerchiate la pace» era in preda all’incertezza. «Avete l’aspetto di gente che ama la lotta».

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