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L’invenzione di Marconi P. Caccialupi
L’invenzione di Marconi
Per le condizioni di salute di Guglielmo fu deciso di andare a trascorrere l’estate del 1894 fra le montagne del biellese, nella superba visione delle Alpi. Paesaggio grandioso e suggestivo, aria fresca e salutare, possibilità di appartarsi, dopo lunghe passeggiate, solitudine per pensare, studiare, meditare.
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Nel gennaio di quello stesso anno, era morto il fisico Hertz appena trentasettenne, ma gli studi sulle onde elettromagnetiche proseguivano intensi qua e là nel mondo per opera di molti scienziati.
Al giovane Marconi che era al corrente di questi studi e di questi esperimenti, sembrava strano che ancora nessuno di quegli scienziati avesse pensato a quello che pensava lui, benché solo ventenne.
Confidò alla mamma il suo segreto, con parole semplici, ma calde di convinzione: padroneggiare le onde elettromagnetiche scoperte da Hertz, piegarle alle necessità della vita umana trasformandole in segnali: ricevere, registrare, leggere – sì leggere – a distanza questi segnali.
Ecco l’idea sovrana che nessuno aveva ancora avuto. E bisognava fare presto e intanto tacere!
Impegno e attività senza sosta
Quando finita l’estate ritornarono alla villa del Grifone, Guglielmo Marconi scelse il solaio come suo laboratorio e chiese al padre il denaro occorrente per poter acquistare il materiale necessario agli esperimenti che questa volta dovevano essere definitivi.
Il padre brontolò. Il “signorino” (così lo chiamavano i coloni) non si contentava più di poco; era una lista interminabile di materiale assai costoso quella che aveva presentato: campanelli elettrici, accumulatori, pile elettriche, filo di rame e perfino tasti telegrafici.
Con l’intercessione affettuosa della mamma che sapeva dove voleva giungere il figlio ed aveva fiducia nella sua riuscita, il padre finì per sborsare il denaro occorrente. Diffidava, è vero, ma se poi Guglielmo fosse riuscito a combinare qualche cosa di serio?
Il giovane cominciò il suo lavoro di montaggio, con l’aiuto del falegname Vornelli e del colono Mignani, inconsapevoli di quanto si andava preparando nel solaio ma pronti ad eseguire gli ordini e fedeli alla consegna del più assoluto silenzio.
Passarono nel lavoro febbrile l’autunno e l’inverno. Il solaio era gelido… La mamma lo sollecitava a restare di più al caldo della stufa… Il papà brontolava specialmente quando lo sentiva salire di notte su nel solaio… Ma egli rassicurava ambedue, dicendo che ormai tutto era pronto e tutto sarebbe andato bene.
Tenacia e fede nella vittoria
Si giunse così alla primavera del 1895: la preparazione del grande esperimento era durata cinque mesi; le prove e le riprove si erano susseguite con ansia crescente, spesso anche con risultati poco incoraggianti. Ma la tenacia del giovane, la serietà dei suoi studi e soprattutto la fede nella vittoria, avevano superato tutte le difficoltà.
A ridosso della villa c’era una collinetta distante circa ottocento metri, visibilissima dunque dalla finestra della soffitta. Guglielmo Marconi scelse quella località per il suo primo esperimento e andò a piantarvi il ricevitore; poi chiamò il fedele Mignani e lo incaricò di restare lì accanto, bene attento. Egli sarebbe tornato nel solaio e avrebbe premuto tre colpi sul tasto del suo apparecchio. Se tutto fosse andato secondo la previsione, al triplice colpo di tasto dal davanzale della finestra (rispondente al segnale della lettera “S” dell’alfabeto Morse) Mignani avrebbe potuto udire i tre colpi ripetuti dal ricevitore; se questo fosse avvenuto, avrebbe dovuto sventolare un fazzoletto.
Rapido, nell’ansia del momento lungamente atteso, Guglielmo Marconi attraversò il giardino, salì in fretta le scale e raggiunse il solaio. Il cuore del giovane sperimentatore batteva forte.
La prima vittoria
Il giovane alla finestra della soffitta posò la mano, che non tremava, sul tasto: uno, due, tre! Un attimo e dall’alto della collinetta di fronte rispose uno sventolio che sembrava avere in sé il fremito dell’allegrezza, della gioia del saluto, il grido della vittoria.
Guglielmo Marconi aveva vinto; era nato in Italia, a Pontecchio, vicino a Bologna, il telegrafo senza fili.