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L’altalena di Kito M. Serra

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Il verbo partire

Il verbo partire

L’altalena di Kito

Avevo otto anni e guardavo la mia altalena rossa lasciata sul retro della capanna. Potevo leggere ancora il mio nome scritto dalla mamma sul copertone nero: Kito. Ero diventato grande e non la usavo più. Ricordai quando papà, tornato dal lavoro con un bel gruzzoletto, era corso a comprare la ruota e la corda alla rivendita del mercato del villaggio. Dipinse la ruota di rosso e la legò con la corda all’albero sul retro. Saltavo di gioia e dondolavo con il mio fratellino Otieno, seduto sulle mie gambe. La mamma ci seguiva col fiatone per tenere in equilibrio il piccolo Otieno che rideva come un matto.

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Poi un giorno scoppiò la guerra, mamma e papà volarono in cielo e noi non abbiamo più giocato con l’altalena rossa.

Otieno ed io siamo stati sempre fortunati: non avevamo bisogno di lavorare nelle piantagioni di tè, come facevano tanti bambini del quartiere. Andavamo a scuola e la mamma era sempre stata fiera di noi. Quando però mi sono ammalato, mi vergognavo un po’ ad andarci perché non volevo che gli altri bambini vedessero le piaghe che la malattia mi lasciava sulla pelle. Così ogni tanto saltavo le lezioni e le pagelle andavano sempre peggio.

Quel giorno a scuola non c’ero andato. L’altalena era coperta di polvere e penzolava raschiando la terra. Provai a raddrizzare la ruota e soffiai via la terra. Poteva andare bene per Otieno… avrei dovuto pulirla, sistemarla e regalarla a lui, perché ricominciasse a giocare nel cortile.

Bussarono alla porta. Era la signora Rita, preoccupata perché da tre giorni non mi vedeva in classe. Mi portava le medicine settimanali e un chilo di riso. Quella volta, però, aveva una notizia speciale: una coppia italiana voleva occuparsi di me e mi avrebbe sostenuto per l’intero anno scolastico. Si chiamavano Pietro e Angela. Proprio dei bei nomi! Ero contento e ringraziavo, mentre leggevo la lettera e guardavo la loro foto. Sorridevano e mi scrivevano che, anche se non mi avevano mai visto, mi volevano già bene come se fossi stato figlio loro. La scuola mi piaceva e poter continuare a studiare mi riempiva di speranza. Poi ripensai per un attimo alla vergogna di stare in mezzo agli altri bambini… e Rita si accorse che ero tanto triste. Mi lasciò con una promessa:

«Tornerò presto, Kito, e porterò con me buone notizie!».

Una novità, in effetti, arrivò in poche settimane.

Una nuova maestra si sarebbe curata di me soltanto, tutto il giorno, anche a casa dopo le lezioni. Mi avrebbe aiutato con i compiti e seguito in ogni passo della scuola. Mi sembrava una bella notizia, ma ancora non capivo bene se esserne davvero felice… Finché la conobbi! Entrò in casa mia e la feci accomodare vicino al letto dove avevo preparato i quaderni e i libri, pronto per studiare.

«Ma che bravo! Allora studiare ti piace davvero!» mi disse dolcemente.

«In matematica me la cavo, ma con geografia mi confondo un pochetto», dissi sospirando.

«Dove si trova il Ruanda?» mi chiese.

«Ehm, nell’Africa… orientale!» risposi con mia sorpresa.

«E l’Africa dove si trova?».

«Beh… sulla Terra, direi».

«Bravo, Kito. Vedi che non sei poi così tanto confuso?».

Si chiamava Angelique! Lo stesso nome di Angela, la mamma italiana.

Non mi sembrò una coincidenza e subito quella nuova maestra mi piacque parecchio. Poi, quando mi diede una carezza sul viso, prima di andare via, mi piacque ancora di più. Nessuno lo faceva più da tempo e, anche se all’inizio mi vergognai un po’, presto mi lanciai in una lunga stretta tra le sue braccia. Pensai che quel nome le stesse a meraviglia.

Da quel giorno io, Otieno e Angelique diventammo inseparabili: ci aiutava con i compiti e ci metteva a studiare duramente, ma ci insegnava anche a riordinare la casa e a farla più accogliente. Un giorno arrivò alla capanna con due morbidi materassi nuovi di zecca. Altro che paglia!

Ci spiegava come prepararci da mangiare e come cucinare piatti sani, mi portava con lei al mercato, dove imparavo a fare la spesa, e mi diede una crema che mi toglieva i segni dalla pelle.

Ero al settimo cielo, finalmente correvo a scuola tutti i giorni e giocavo con gli altri bambini, andavo spesso a casa di Angelique e stavo con i suoi figli che avevano la mia età. Quando ci invitava a pranzo la domenica, per me e Otieno era come stare in una seconda meravigliosa famiglia.

La mia vita all’improvviso era cambiata: ripulii l’altalena, ripassai la vernice rossa sul copertone e comprai una nuova corda più forte.

Il giorno del compleanno di Otieno ci fu una grande festa e gliela mostrai ben infiocchettata. Era felicissimo e lo ero anche io.

Dondola ancora senza sosta nel cortile sul retro sulla sua magnifica altalena rossa.

Maria Serra, Un sorriso per sempre. Storie di incontri che cambiano la vita, Piccola Casa Editrice

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