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Partenza per la Turchia F. Geda
Partenza per la Turchia
Un pomeriggio, di venerdì, che come ho già detto, era il nostro giorno per fare quello che ci pareva e che io passavo in un eterno e incommensurabile – si dice così? – campionato di calcio contro le squadre delle fabbriche vicine, ecco, un venerdì questo mio amico con cui avevo parlato a cena dei trafficanti, si è avvicinato alla pietra dov’ero sdraiato per riprendere il fiato, con una mano sulla pancia, e mi ha detto se avevo voglia di ascoltarlo un secondo.
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Mi sono tirato su. Non era solo. C’erano altri afghani assieme a lui.
Mi ha detto: «Senti, Enaiat. Abbiamo parlato. Vogliamo partire per la Turchia, e abbiamo messo da parte abbastanza soldi per pagare il viaggio e per pagarlo anche a te, se ti fa piacere. E non lo facciamo solo per la fratellanza eccetera», ha detto, «ma anche perché quando si parte insieme a degli amici le possibilità che tutto vada bene sono maggiori di quando si parte da soli, senza nessuno cui chiedere aiuto in caso di pericolo».
Poi ha fatto una pausa, mentre la squadra che era scesa in campo dopo di noi ha segnato e tutti hanno urlato per la gioia. «Che ne dici?».
«Che ne dico?».
«Sì».
«Che vi ringrazio e accetto. Cos’altro posso dire?».
«È un viaggio pericoloso, lo sai?».
«Lo so».
«Molto più pericoloso degli altri».
La palla è rimbalzata contro la pietra e si è fermata contro i miei piedi. L’ho rispedita indietro con un calcio, con la punta della scarpa.
Il sole aveva afferrato ogni angolo del cielo, l’azzurro non era azzurro, ma giallo, le nuvole dorate e sanguinanti per le ferite inferte dai monti. Dove i massi stritolano. Dove la neve taglia e soffoca.
Ancora non lo sapevo che la montagna uccide.
Ho strappato un filo d’erba secca e ho cominciato a succhiarlo.
«Non ho mai visto il mare», ho detto. «Ci sono un sacco di cose che non ho ancora visto nella mia vita e che vorrei vedere, e se a questo aggiungiamo che anche a Qom, anche qui, ogni volta che metto piede fuori dalla fabbrica, anche qui è pericoloso. Beh, sapete cosa vi dico? Sono pronto a tutto».
La voce era ferma. Ma per la mia inconsapevolezza. Avessi saputo cosa mi attendeva, non sarei partito.
O forse sì.
Non lo so.
Di certo lo avrei detto in un altro modo.
• Hai sentito parlare dei “viaggi della speranza” con i quali migliaia di persone fuggono da guerre, carestie e povertà per cercare un luogo dove poter ricominciare una nuova vita? • Secondo te quali sacrifici e dolori dovranno sopportare lasciando la loro terra e i loro affetti? • Porta a scuola un articolo di giornale che racconti un fatto di cronaca su questo argomento.